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venerdì 24 gennaio 2014

Ermeneutica o nuovo realismo?


di GIANNI VATTIMO

In questo video Gianni Vattimo si interroga sui motivi d’esistenza del nuovo realismo.

Il video, prodotto con il contributo di Giacomo Pisani, è stato realizzato grazie alla collaborazione tra MicroMega - Il Rasoio di Occam e il progetto culturale www.filosofiainmovimento.it.

venerdì 22 marzo 2013

Berlusconi ineleggibile, tutte le piazze del 23 marzo

da Redazione Micromega

ROMA, Piazza Santi Apostoli, h. 17 | Facebook
MILANO, largo Cairoli, h. 13.30 | Facebook
GENOVA, Prefettura (in cima a Via Roma), h. 17 | Facebook
PALERMO, Palazzo di Giustizia (V Impallomeni G. Battista, 20), h. 10

Domani, sabato 23 marzo, tutti in piazza per realizzare la Costituzione e far rispettare la legge del 1957 che vieta a Silvio Berlusconi l’ingresso in Parlamento!

La manifestazione principale si svolgerà a Roma a piazza Santi Apostoli, alle ore 17, e darà seguito all'appello “Berlusconi ineleggibile” – promosso da Vittorio Cimiotta, Andrea Camilleri, Paolo Flores d’Arcais, Dario Fo, Margherita Hack, Franca Rame, Barbara Spinelli – che in pochi giorni ha raccolto oltre 230mila firme sul sito di MicroMega.

mercoledì 20 febbraio 2013

Elezioni, Vattimo: “Un voto di resistenza antimontiana”

18/02/13, Micromega

colloquio con Gianni Vattimo di Rossella Guadagnini


Gianni Vattimo
Il countdown è cominciato. La settimana che manca al voto significa per i partiti l’ultima occasione per rafforzare le proprie posizioni, conquistare gli indecisi, contrastare la spinta all’astensionismo. L’incognita del Senato pesa come un macigno sulla formazione del futuro governo. Nella convulsa campagna elettorale cui abbiamo finora assistito due sono le novità: Beppe Grillo con il M5S e Antonio Ingroia con Rivoluzione Civile. E il resto? E’ noia, secondo il filosofo Gianni Vattimo, che spiega a MicroMega come sulle politiche economiche ci sia ben poco di diverso tra le proposte di Bersani e quelle di Monti. Per scongiurare un futuro di conflitti sociali, avvisa l’europarlamentare Idv, serve una forte affermazione delle componenti della sinistra, a partire da Rivoluzione Civile.


Destra e sinistra: qualcuno sostiene che siano concetti obsoleti, non più in grado di descrivere la realtà, specie per i giovani.

La differenza tra destra e sinistra è l’unica cosa in cui possiamo ancora credere. Destra e sinistra oggi sono più vive che mai e si vede benissimo. La destra, in questo momento, significa Europa, Monti, banche e messa in ordine dei conti. Uno schieramento che domina perché ha il controllo dei media. La sinistra, invece, significa più politica sociale, meno disuguaglianze, sostegno ai diritti civili e una patrimoniale seria. Il patto con la Svizzera per il rientro dei capitali, noi non l’abbiamo fatto. L’hanno fatto Inghilterra e Francia, tassandoli al 20 per cento. La destra ha una natura darwiniana e razzista: vuole usare le differenze naturali per lo sviluppo. La sinistra vuole correggere le differenze naturali in modo che tutti possano competere cominciando dallo stesso livello. 

domenica 4 dicembre 2011

Pensiero debole o nuovo realismo? Rassegna stampa

La querelle tra pensiero debole, postmoderno e nuovo realismo, che i lettori del blog hanno seguito via via che si sviluppava, è riecheggiata sulle pagine culturali di diversi quotidiani nelle ultime settimane. La discussione ha trovato molto spazio anche sui blog e nei forum; ma il punto di partenza rimane il dibattito uscito sui giornali cartacei e sui periodici, che qui ricostruiamo in ordine cronologico (e i cui testi sono reperibili su questo stesso blog). Segnalateci gli eventuali articoli che ci siano sfuggiti in questa rassegna.

Ultimo aggiornamento: 6 dicembre 2011.

- Il 19 luglio, MicroMega pubblica un numero del suo "Almanacco di filosofia", con una sezione intitolata "verità/Verità", che ha in qualche modo aperto il dibattito. L'indice del numero è disponibile qui.
- L'8 agosto, Maurizio Ferraris pubblica su Repubblica un articolo sul "ritorno del pensiero forte", che si può leggere qui.
- Il 19 agosto, su Repubblica esce il dialogo tra Gianni Vattimo e Maurizio Ferraris, su pensiero debole e nuovo realismo. Lo potete trovare qui
- Il 22 agosto, Giuliano Ferrara interviene dalle colonne del Foglio. Lo trovate qui.
- Nei giorni successivi, il dibattito prosegue con interventi on-line, parzialmente ripresi da Repubblica, il 26 agosto. Gli articoli (Raffaella De Santis, Pierfranco Pellizzetti, Pier Aldo Rovatti, Paolo Flores d'Arcais, Paolo Legrenzi, Peta Bojanic) sono tutti reperibili qui.
- Accanto all'inserto "Domenica" del Sole-24Ore, che pubblica un breve intervento il 28 agosto (per ora non disponibile on-line), sul Riformista del 30 agosto esce un articolo di Corrado Ocone, che riprende i recenti dibattiti americani sul postmoderno. Il testo di Ocone si può leggere qui.
- Il giorno dopo, 31 agosto, Emanuele Severino risponde alla querelle Vattimo-Ferraris dalle colonne del Corriere. Il testo dell'articolo è reperibile qui.
- Nei giorni successivi intervengono Riccardo Chiaberge sul Fatto Quotidiano (2 settembre, reperibile qui) e Vittorio Possenti su Avvenire (con un articolo pubblicato il 3 settembre, reperibile qui).
- Sempre il 3 settembre, su Repubblica esce l'articolo di Edward Docx che ha animato il dibattito americano sul postmoderno, di cui parlava Ocone sul Riformista. Il testo di Docx è reperibile qui.
- Il 7 settembre è Bruno Gravagnuolo a intervenire, su L'Unità. L'articolo è reperibile qui.
- Il 9 settembre, ancora sul Fatto Quotidiano, interviene Nicla Vassallo. Il suo testo si può leggere qui.
- Il 10 settembre, Eros Barone commenta il dibattito su VareseNews. La sua lettera è disponibile qui.
- L'11 settembre compare l'articolo di Roberto Gramiccia su Liberazione. Qui il suo articolo. e qui un nuovo contributo a sua firma, pubblicato il 18 settembre.
- Il 12 settembre interviene Alain Finkielkraut, intervistato da La Stampa. Il testo è disponibile qui.
- Intervistato, Maurizio Ferraris torna sul pensiero debole il 16 settembre, su Left-Avvenimenti. Il testo è reperibile qui.
- Il 18 settembre Liberazione pubblica gli interventi di Francesca Rigotti e Roberto Gramiccia. I testi sono disponibili qui.
- Sul Manifesto del 22 settembre compare l'intervento di Guido Traversa. Qui l'articolo.
- Ancora il 22 settembre, Simona Maggiorelli intervista Salvatore Veca su Left-Avvenimenti. Qui troverete il testo.
- Il 27 settembre è la volta di Carlo Rovelli, su Repubblica. L'articolo è reperibile qui.
- Il 5 ottobre L'Unità pubblica un articolo di Mico Capasso; il testo è disponibile qui.
- Costantino Esposito torna sul tema in un articolo su L'Avvenire, il 20 ottobre. Il testo è reperibile qui
- Il 3 novembre, Giacomo Pisani interviene su GoBari. Il testo è disponibile qui.
- Il 7 novembre, Corrado Ocone intervista Gianni Vattimo sul Mattino. Ecco il dialogo completo.
- Nel mese di novembre, arriva anche in edicola il nuovo numero di Alfabeta2, che raccoglie altri interventi sul tema. Qui c'è l'indice completo del fascicolo.
- Il 3 dicembre, Corrado Ocone interviene su Il Riformista. L'articolo è disponibile qui.

Segnaliamo che la discussione è proseguita anche sul sito di MicroMega, con interventi (cliccate sui nomi per leggerli) di Franca D'Agostini (28 agosto), Adriano Ardovino (28 agosto), Mauro Barberis (30 agosto), Michele Martelli (1 settembre) Francesco Saverio Trincia (5 settembre), Emilio Carnevali (5 settembre), Carlo Augusto Viano (6 settembre), Edoardo Ferrario (7 settembre), Sossio Giametta (8 settembre), Giovanni Perazzoli (20 settembre), Gianni Mula (4 ottobre), Nicola Acocella (11 ottobre).

Richiamiamo anche, infine, altri articoli pubblicati (solo) sul web: quello di Simone Regazzoni, su Affari Italiani il 2 settembre; quello di Gianfranco Marrone su Doppiozero, 12 settembre; quello di Corrado Ocone, uscito su QdR il 13 settembre; un intervento di Carlo Sini, raccontato da Affari Italiani, il 3 ottobre; quello di Francesca Recchia Luciani, pubblicato su Santippe il 22 ottobre.

venerdì 26 agosto 2011

Dibattito sul postmoderno

Nel ricordarvi di acquistare il numero di MicroMega in edicola (fino a lunedì, poi in libreria), segnalo qui la discussione aperta da MicroMega stessa sul suo sito, che raccoglie gli interventi apparsi in coda al dialogo pubblicato da Repubblica tra il sottoscritto e Maurizio Ferraris, L'addio al pensiero debole che divide i filosofi. Trascrivo qui, per i lettori di questo blog, gli articoli (in gran parte pubblicati da Repubblica in data odierna) in questione, firmati da Pierfranco Pellizzetti, Pier Aldo Rovatti, Paolo Flores d'Arcais, Paolo Legrenzi e Petar Bojanic. Un intervento di Giuliano Ferrara sugli stessi temi è uscito sul Foglio il 22 agosto ed è disponibile qui.



A che punto è il pensiero? Debole, forte o esistenziale? 
di Raffaella De Santis

Postmoderni o neorealisti? O anche: pensiero debole o pensiero forte? Interpretazioni o fatti? Sono alcuni degli interrogativi che stanno animando il dibattito filosofico, dopo la pubblicazione su Repubblica, lo scorso 8 agosto, del manifesto con cui Maurizio Ferraris ha presentato il New Realism, il "nuovo realismo" filosofico, con l'intento di sorpassare l'impasse del postmoderno e le sue "derive" ermeneutiche. Da quel primo intervento ne è scaturito un dialogo tra Ferraris e Gianni Vattimo, tra chi vuole riportare la concretezza della realtà al centro della riflessione e il padre del pensiero debole. Ed è allora partendo proprio da quel dialogo, pubblicato su queste pagine il 19 agosto, che abbiamo deciso di ospitare interventi di filosofi e studiosi. Scrive Paolo Legrenzi, psicologo cognitivo all' università Ca' Foscari di Venezia: «Oggi il vento è cambiato. Due grandi tradizioni di ricerca, l'evoluzionismo e lo studio del cervello, stanno occupando la scena». E Petar Bojanic, allievo di Derrida, tra i fautori di un ritorno al realismo filosofico, mette in guardia dagli eccessi delle interpretazioni, perché in questo modo finisce che «anche il passato può essere riscritto». Così se Pier Aldo Rovatti ricorda l'inizio di quel percorso che trent' anni fa portò alla nascita del pensiero debole, difendendo l' anima "politica" delle posizioni di allora: «Nasceva come uno strumento di lotta contro ogni violenza metafisica», Paolo Flores d'Arcais rintraccia in Abbagnano, Bobbio e Geymonat i precedenti che hanno avuto il merito di riportare la filosofia su un terreno neo-illuminista. Il New Realism sarà oggetto di una tavola rotonda il prossimo novembre a New York, all'Istituto Italiano di Cultura, mentre a primavera è previsto un convegno internazionale a Bonn, organizzato dallo stesso Ferraris insieme a Umberto Eco, John Searle, Markus Gabriel e Petar Bojanic.

Baruffe torinesi su favole e verità



Neo-Realismo vs. Postmoderno Debole? Insomma, Cesare Zavattini o Wim Wenders?
Il dibattito ferragostano tra Gianni Vattimo e Maurizio Ferraris, apparecchiato sulle pagine de La Repubblica il 19 agosto, potrebbe essere letto come una disputa interna alla famiglia accademica torinese, in cui il più giovane tra i due contendenti (Ferraris, già cucciolo della redazione che nel 1983 assiemò in volume la raccolta di saggi eponima del debolismo o, come lo chiama Carlo Augusto Viano, flebilismo) elabora ancora una volta il lutto dell'uccisione simbolica del padre accademico (appunto, Vattimo), tradito per i più up to date lidi del post-post-modernismo.

Chi scrive, d'istinto parteggerebbe per l'agonista under, certo più spiritoso dell'over e probabilmente – lui sì – ancora studioso, quando il suo antico maestro ormai campa di rendita; come risultò ancora una volta l'aprile scorso, nella performance vattimiana al Festival della Laicità di Reggio: la sua giustificazione dell'essere credente (in dio o Chavez?) era solo la deliberata volontà di prendersi gioco dell'uditorio o che altro?

Quale l'oggetto dell’attuale contendere? Presto detto (si fa per dire): se, in campo ontologico, dunque riguardo ai modi di esistenza della realtà, valga solo l'interpretazione oppure si mantenga un nocciolo duro di fattualità. Discussione che entra almeno nel suo secondo secolo di vita, come ricerca di una via altra tra idealismo e positivismo. D'altro canto lo snobismo torinese ama il remake. Anche filosofico. Operazione in cui uno come lo scrivente, che bazzica marciapiedi infinitamente sottostanti al ciel dei cieli del pensiero che riflette su se stesso, evita accuratamente di addentrarsi; lascia senza troppi rimpianti o frustrazioni a tipi come John Searle le questioni sul misterico del "come può esserci un insieme epistemicamente oggettivo di affermazioni relative a una realtà che è ontologicamente soggettiva" (Creare il mondo sociale, Cortina, Milano 2010 pag. 21).

Eppure anche il rozzo frequentatore del fatto sociale bruto intuisce che la filosofia sarà pure un genere letterario, quanto l’economia, la sociologia o la teologia; ciò nonostante l’assunto dell’ermeneutica quale teoria della verità-storicità, che interpreta il Moderno producendo favole e miti, incontra qualche difficoltà a non evaporare davanti all’obiezione di Flores d’Arcais: “una favola può smentire un’altra favola?” (Almanacco di filosofia, MicroMega 2011).

Difatti, dopo l’overdose decostruttiva, dopo tanto accatastare nuvole postmoderniste, dopo i tanti appelli narcisistici alla condizione del nomadismo senza scopo, in cui il bla-bla benaltristico finiva per produrre lische di pesce consistenti quanto il fumo di una papier mais da intellettuale di Rive Gauche, l'estensore di queste note aveva apprezzato il tentativo di ritrovare un ancoraggio di senso/significati.

Ben venga – dunque – chi dice che "senza ontologia non ci possono essere né epistemologia né etica, perché la realtà (l'ontologia) è il fondamento della verità (l'epistemologia) e la verità è il fondamento della Giustizia (l'etica)”. (M. Ferraris, Ricostruire la decostruzione, Bompiani, Milano 2010 pag. 89).
Possiamo spingere – però – la nostra ricostruzione post decostruzione fino al punto di rinunciare a quella fondamentale ermeneutica del sospetto che chiamiamo "critica"? Ferraris lo nega. Però, quanto è conseguente laddove contesta l'affermazione che la realtà viene ricostruita comunicativamente e presentata sotto forma di illusione, forgiata – appunto – dal Potere come arma al servizio della propria autoperpetuazione? Può negare la grande mistificazione come gioco degli specchi (deformanti) linguistici, in nome di una irriducibile verità della realtà, quando tale verità-realtà viene condivisa linguisticamente? Può farlo dopo "le armi di distruzione di massa irachene" o il "ghe pensi mì" berlusconiano?

Il mondo (per qualcuno) sarà pure una favola, ma (per tutti noi) è anche il campo di battaglia dove eserciti d’occupazione combattono per la conquista di una legittimità gabellata quale naturalità, corrispondenza all’ordine naturale delle cose. E questo, prima dei filosofi decostruttori e affabulatori, ce lo prospetta proprio un uomo di guerra; il generale dei generali David H. Petraeus: “quello che i decisori politici pensano sia accaduto è ciò che conta, più di quanto sia effettivamente accaduto”.
Difatti nella sua (molto blasé, dunque torinese) querelle con l'ex maestro Vattimo, l’allievo le spara davvero grosse: "se diciamo che la cosiddetta verità è un affare di potere, perché abbiamo fatto i filosofi invece che i maghi?".

Non so Ferraris, ma altri continuano a ragionare sospettosamente sulla realtà sociale, proprio perché su di essa sono al lavoro tanti spudorati maghi illusionisti. Magari – per dirla alla Pierre Bourdieu – per "rendere problematico quello che appare scontato" e mostrare come l'evidente sia sempre costruito, a partire da poste in palio e rapporti di forza. La Forza, un punto da cui ripartire nelle faccende umane dopo tanta indefinitezza debolistica. Non un'inesitente forza dei fatti "veri", quanto l'intrinseca cogenza del dominio e della sottomissione. In tutta la loro materialità.

Atteggiamento laico e critico, cui faceva appello una altro torinese (lui – però – ben poco snob; semmai severo come gli antichi maestri alla Gaetano Salvemini) – il buon Viano – quando bastonava in un libello einaudiano, dell'Einaudi del bel tempo che fu (Va' pensiero, 1985), la combriccola dei "flebili". Appunto, dal Vattimo al Ferraris.

(25 agosto 2011)




L’idolatria dei fatti
di Pier Aldo Rovatti, da Repubblica, 26 agosto 2011

Il pensiero debole, nato 30 anni fa grazie a un reading curato da Gianni Vattimo e da me, ha avuto una imprevedibile diffusione internazionale. Certo, anche le sciocchezze possono andare in giro per il mondo e trovare ascolto. Non so se questo sia il caso, e comunque non mi affretterei a darlo per morto.

In autonomia dallo stesso Vattimo, con il quale tuttora condivido lo stile, la funzione e il senso di questo modo di pensare, e soprattutto la sua potenzialità emancipatoria, ci ho lavorato sopra da allora, puntando sui temi del gioco e del paradosso, senza di cui credo che si possa capire poco della difficile realtà in cui viviamo (e spesso ci dibattiamo).


L'amico Ferraris lavorava gomito a gomito con me e con Vattimo, poi ha ritenuto opportuno andare per la sua strada che oggi chiama "nuovo realismo". Ho letto con molta attenzione il suo dialogo con Vattimo e sono rimasto – come molti – alquanto perplesso. Vi ho trovato un'eccessiva semplificazione. Come accade quando si vuole tirare troppo la coperta dalla propria parte, si rischia di deformare un poco le cose.


Innanzi tutto, pensiero debole e postmodernità non possono essere sovrapposti. Forse la postmodernità ha fatto il suo tempo, mentre il pensiero debole era e rimane una maniera di leggere l'intera filosofia, mettendovi decisamente al centro la questione del potere. Nasceva infatti come uno strumento di lotta contro ogni violenza metafisica e di conseguenza sospettava di ogni fissazione oggettivistica della Verità (con la iniziale maiuscola). Non si presentava come un semplice discorso teorico, aveva una valenza esplicitamente "politica", e il carattere di una mossa etica che Vattimo chiamava pietas (cioè, sostanzialmente, un ascolto del diverso) e che per me era un contrasto tra pudore e prepotenza per guadagnare uno spazio di gioco nelle maglie strette dell'uso dominante della teoria.


Quando, oggi, si riduce tutto ciò a una querelle semplificata tra fatti e interpretazioni, si corre il pericolo di evacuare proprio questa sostanza etico-politica e di ridurre il pensiero debole a una specie di barzelletta. Non esistono fatti nudi e crudi che non abbiano a che fare con qualche interpretazione, questo è un fatto, così come sono fatti (duri e provvisti di effetti) le singole interpretazioni. Che oggi ci sia il sole o piova non mi dice niente sulla realtà in cui stiamo vivendo e nella quale temiamo di soccombere. Anzi, c'è da chiedersi perché qualcuno abbia bisogno di costruirsi questo paraocchi lasciando fuori dalla vista le cose più importanti. Il pensiero debole nasceva, poi, in una particolare consonanza con il pensiero critico di Michel Foucault e con le sue analisi del potere microfisico e della società disciplinare. Ora, che abbiamo potuto conoscere meglio le sue ultime ricerche, il debito si è allargato, e non è un caso che Foucault non trovi nessuna cittadinanza nel cosiddetto new realism di Ferraris.


Un punto fa da spartiacque, e riguarda la verità. Foucault ci ha insegnato, con un gesto nietzschiano, che la storia (sì, la storia!) è un susseguirsi di giochi di verità, il che significa che i valori del vero e del falso si trasformano, sono la posta in gioco di un pesante e determinato conflitto, vengono di volta in volta innalzati sulle bandiere dentro una lotta di posizioni e per ottenere vantaggi. Dal dispositivo di potere (reale) non si evade con un semplice colpo di filosofia, e quando si eternizzano le categorie, cercando di fissare cosa è veramente reale, non si fa altro che assumere una posizione dentro il dispositivo, che lo sappiamo oppure no. Mi chiedo cosa abbia da dire il nuovo realismo a questo riguardo, una volta che si sia sgombrato il campo da contrapposizioni un po' di scuola e un po' artificiose, dato che nessuno dubita che la realtà abbia una consistenza e produca effetti. Sicuramente non lo dubitano coloro che hanno trovato nel pensiero debole molti attrezzi per la loro cassetta.


(26 agosto 2011)




Per farla finita con il postmoderno




La visione che ci restituisce il mondo
di Paolo Legrenzi, da Repubblica, 26 agosto 2011


Nella psicologia è circolata per molto tempo l'idea che quel che conta sono le interpretazioni, e non i fatti. Anzi, sono le interpretazioni stesse a creare i fatti. In una variante di psichiatria sociale, il matto era, semplificando (ma non tanto), il risultato di chi lo classificava come tale. Cambiata la società, eliminata l'etichetta, trattati i matti da persone normali, il problema si sarebbe ridotto, se non dissolto. In forme meno grossolane, questa stessa idea permeava altre scienze umane.

Oggi il vento è cambiato. Due grandi tradizioni di ricerca, l'evoluzionismo e lo studio del cervello, anche grazie a nuove tecniche di osservazione, stanno occupando la scena. L'uomo è un pezzo della natura biologica, e non è poi così speciale. L'idea che sia lui a costruire il mondo, con le sue categorie di osservazione e d'interpretazione, è al tramonto. Si celebra così la fine del presunto primato dell'interpretazione sui fatti. Non ci si era mai spinti ad affermare che leggi scientifiche – come, poniamo, la legge dei gas –, fossero interpretazioni del comportamento dei gas. E tuttavia per le scelte individuali e le società era così. Circola poi, ancor oggi, una variante politica, nel senso che chi detiene il potere politico e i media può "costruire" la realtà. Era questo cui alludeva Donald Rumsfeld, il segretario alla difesa del secondo Bush, quando affermava, dopo la caduta del comunismo: «Ora il mondo lo facciamo noi».

Questa versione "forte" del credo "interpretativo" è fallita miseramente. I fatti si vendicano nella politica estera americana. I fatti presentano il conto. Il potere politico può, anche per molto tempo, far sì che l'opinione pubblica riconosca un fenomeno "da un certo punto di vista", ma non può fare di più.

Quando s'insegna psicologia, al primo anno di studi, si deve contrastare lo spontaneo "realismo ingenuo" degli studenti. Esso consiste nel pensare che noi vediamo il mondo così com'è, semplicemente perché è fatto così. In realtà il nostro sistema percettivo è un intreccio di meccanismi inconsapevoli che ci "restituisce" il mondo in seguito a una complessa elaborazione di ipotesi su quello che c'è là fuori. E anche il pensiero umano funziona così. Questo però non implica sposare la tesi che la mente crea il mondo. Al contrario, la mente dell'uomo e degli altri animali fa ipotesi su come funziona il mondo e le aggiorna continuamente perché l'azione umana cambia il mondo. Questa è la tensione che sbrigativamente si etichetta con il binomio natura/cultura.

Agli psicologi cognitivi piace che in filosofia stia emergendo una posizione chiamata "nuovo realismo". Non possono concordare né con il realismo ingenuo, né con la rozza idea che siamo noi a creare i fatti con le nostre interpretazioni. Per quanto concerne la versione politica, questa tesi si è sconfitta da sola. 




Perché serve una prospettiva diversa
di Petar Bojanic, da Repubblica, 26 agosto 2011



Nel gennaio scorso Ferraris e io eravamo a Parigi, e al termine di una sua conferenza sul futuro della decostruzione qualcuno gli ha chiesto: «Ma perché senti tutta questa necessità di richiamarti al realismo e ai fatti? In fondo, le interpretazioni possono dare libertà». Ferraris ha risposto: «È vero. Ma possono anche negare tutto, comprese le peggiori tragedie della storia». Ripensandoci, è lì che è nata l'idea di un convegno sul "New Realism".

Il realismo è la grande novità filosofica dopo trent'anni di postmoderno, ed è un punto a cui sono arrivato, per parte mia, lavorando su una "fenomenologia dell'istituzionale" che, rispetto a Ferraris, è più aperta alle proposte di Foucault. Sull'essenziale però siamo d'accordo. Derrida, il nostro comune maestro, ci ha resi attenti alla necessità di decostruire, di smontare, di non fermarsi alle apparenze (perché ovviamente non tutto quello che appare è reale, ci sono anche le allucinazioni, lo sappiamo bene). Ma di farlo con una prospettiva di speranza, la speranza, appunto, che la decostruzione potesse portare emancipazione e verità. Se trascuriamo questa circostanza, si finisce nel nichilismo, una posizione che costituisce un problema non solo dal punto di vista teorico (perché è una negazione del sapere) ma anche, e soprattutto, dal punto di vista morale, perché se si sostiene che tutto è fluido e tutto è interpretabile anche il passato può essere riscritto.

C'è un altro segnale importante che, secondo me, viene dal "Nuovo Realismo", e che è particolarmente significativo per chi, come me, si è trovato a vivere e a lavorare in situazioni culturali molto diverse e a volte contrapposte (dall'Inghilterra alla Francia alla Serbia). Il postmodernismo, malgrado la sua pretesa di cosmopolitismo filosofico, era in effetti una teoria che si limitava alla cosiddetta "filosofia continentale". Con la svolta realistica si sta facendo esperienza di un dialogo tra scompartimenti un tempo non comunicanti, per esempio fra temi che vengono da filosofi analitici, come Searle, e temi che vengono da filosofi continentali, come Derrida.

Questo aspetto non mi sembra puramente formale, e tocca la sostanza del lavoro filosofico. Perché "Nuovo Realismo" significa confrontarsi sulle cose, senza limitarsi a chiedersi l'un l'altro "da dove parli?", il gioco postmoderno che spesso riduceva i confronti filosofici alla deferenza nei confronti dei rituali della propria tribù di appartenenza.

giovedì 11 agosto 2011

Se Heidegger finisce arruolato tra le file socialdemocratiche


Se Heidegger finisce arruolato tra le file socialdemocratiche
Corriere della Sera, 19 luglio 2011
di Armando Torno

Nel 2007 apparve per la McGill-Queens University Press, curato da Santiago Zabala, un volume collettivo di saggi in onore di Gianni Vattimo. Nei primi mesi del 2012 vedrà la luce da Garzanti, tradotto da Lucio Saviani. Tra i contributi ve n'era uno di Richard Rorty (l' 8 giugno di quell' anno moriva a New York) che metteva in luce una tesi dello stesso Vattimo, già comprensibile nel titolo: A sinistra con Heidegger. E ora queste pagine escono in anteprima sul numero oggi in libreria di «MicroMega», insieme a un saggio di Paolo Flores d'Arcais (presente nella raccolta americana) e a una conversazione tra Vattimo e Daniel Gamper. Va detto che Rorty, dopo aver utilizzato tutte le precisazioni di carattere politico («Heidegger era un nazista coinvolto e un uomo molto disonesto») e quelle esistenziali («La sua vita ci fornisce prove ulteriori che il genio tra i filosofi, gli artisti e gli scienziati non ha un particolare rapporto con la decenza umana»), mette in evidenza il fatto che Vattimo consideri il lavoro del pensatore tedesco sulla modernità come «la migliore base teoretica per iniziative politiche e sociali di sinistra». E questo anche se certi lettori potranno sobbalzare pieni di sgomento al solo accenno di un Heidegger «socialdemocratico» e faranno qualche fatica a convincersi che le politiche di sinistra «troverebbero un beneficio dalla rinuncia al razionalismo illuminato». Rorty, tuttavia, ricorda loro che anche John Dewey, il più influente pensatore socialdemocratico americano, fu ripetutamente accusato di irrazionalismo e che dopo aver esaminato Essere e tempo disse che gli sembrava il suo Esperienza e natura «tradotto in tedesco trascendentale». E non perde l'occasione per un'osservazione puntuta: «Se Dewey avesse vissuto abbastanza da leggere gli ultimi scritti di Heidegger, avrebbe visto che essi raccolgono temi presenti nel suo La ricerca della certezza». Insomma, in quel convegno il filosofo statunitense presentò la via di Vattimo senza dimenticare di mettere in chiaro che «Heidegger, smesso di essere nazista, non adottò una posizione politica diversa», anche perché «non riponeva speranze nel mondo moderno, che vedeva dominato da una fede assoluta nella tecnologia». Per Rorty il tanto discusso pensatore tedesco «prese in giro la speranza che iniziative politiche concrete potessero cambiare il suo destino». Alla fine il giudizio è comunque positivo, giacché il modo con il quale Vattimo «tesse insieme cristianesimo, Heidegger e ideali democratici è tanto audace quanto originale».

lunedì 18 luglio 2011

In edicola il nuovo numero di MicroMega

Il nuovo numero di MicroMega sarà domani in edicola...
DIALOGOPaolo Flores d’Arcais / Roberta De Monticelli - Controversia sull’etica
È possibile una fondazione razionale del pensiero pratico? Esiste una morale razionalmente ‘vera’? Se sì, in che modo vi si può risalire dal momento che la storia non ci dà testimonianza di una sola norma universalmente accettata in tutte le società di Homo sapiens? E se no, come è possibile salvarsi dal nichilismo e dalla legge del più forte?

ICEBERG - verità/Verità
Richard Rorty - A sinistra con Heidegger
Tessendo insieme in maniera originale cristianesimo, Heidegger e ideali democratici, Gianni Vattimo propone il nichilismo come la filosofia più funzionale a una politica di sinistra, che trarrebbe beneficio dalla rinuncia al razionalismo illuminato. Per Vattimo – sottolinea in questo saggio uno dei maggiori esponenti dell’ermeneutica contemporanea – ‘emancipazione e nichilismo vanno a braccetto’.

Paolo Flores d’Arcais - Per una critica esistenzial-empirista dell’ermeneuticaLa filosofia di Gianni Vattimo è essenzialmente una filosofia etico-politica e l’ermenutica rappresenta per l’autore di Oltre l’interpretazione la migliore filosofia sulla cui base costruire un progetto politico di emancipazione. Ma essa si scontra – sia sul piano etico-politico che su quello strettamente teoretico con difficoltà insormontabili. Per superare le quali non le resta che compiere l’ultimo decisivo passo: la rinuncia all’essere.

Richard Rorty in conversazione con Joshua Knobe - Un talento da bricoleurCe n’è per tutti: da Platone a Kant, da Putnam a Foucault. In questa brillante intervista rilasciata a The Dualist nel 1995 (e pubblicata qui per la prima volta in italiano), un Richard Rorty schietto e diretto spiega le sue scelte filosofiche – spesso dettate da contingenze e casualità – e si interroga sul motivo del suo successo.

Gianni Vattimo in conversazione con Daniel Gamper - Addio alla verità. Ma quale?
Esiste un uso appropriato del concetto di verità? Oppure è davvero tutto solo interpretazione? In base a che cosa si sceglie ‘da che parte stare’? Che cos’è la violenza? Qual è il rapporto tra secolarizzazione e cristianesimo? A partire dal suo ultimo libro, Addio alla verità, Gianni Vattimo ripercorre il suo itinerario filosofico e politico, spiegando come sia possibile una lettura di sinistra di Heidegger.

Maurizio Ferraris - Epistemologia ad personam Speriamo che l’ultimo libro di Gianni Vattimo, Addio alla verità, non finisca nelle mani di Niccolò Ghedini. L’avvocato del premier potrebbe trovarci infatti delle ottime argomentazioni a sostegno di originali interpretazioni circa le serate ad Arcore. Rinunciare alla verità, oltre a essere assurdo sul piano teorico, è pericoloso su quello etico-politico: da sempre infatti, nel realismo è incorporata la critica, nell’irrealismo l’acquiescenza.

Paolo Flores d’Arcais - Addio alla verità? Addio all’essere!La pretesa di Gianni Vattimo di dire addio alla verità – che egli avanza addirittura come dovere democratico – dimentica l’essenziale: che le affermazioni sui fatti (piove) e quelle sulle norme (il matrimonio è indissolubile) appartengono a due ambiti completamente diversi. E rinunciare alle ‘modeste verità di fatto’ (v minuscola) ci impedisce anche di smascherare chi si appella abusivamente alla Verità.

INEDITO 1
Hannah Arendt - La storia e l’azione (presentazione di Dario Cecchi)Conclusa la stesura di Le origini del totalitarismo, nella prima metà degli anni Cinquanta Hannah Arendt si dedica all’approfondimento della relazione fra totalitarismo e marxismo e all’indagine di alcune categorie della filosofia antica e moderna che diventeranno fondamentali per la sua riflessione successiva, quella confluita nella Vita activa e nella raccolta di saggi Tra passato e futuro. Negli scritti qui proposti per la prima volta in italiano, il concetto di ‘tradizione’ è contrapposto a quello di ‘storia’ come ‘orizzonte aperto all’avvenimento di tutte le possibili storie singolari’.

INEDITO 2Günther Anders - Senza radici (presentazione di Micaela Latini)Con la sua intensa attività filosofica ‘d’occasione’, Günther Anders ha sviluppato una originale riflessione sulla condizione della ‘non-appartenza’. Nei testi che seguono, proposti per la prima volta al lettore italiano, la tematica dello ‘sradicamento’ è prima declinata come necessità/impossibilità di una ricostruzione unitaria della propria vita nel ricordo, poi con riferimento alla questione della credenza religiosa, sotto forma di un dialogo socratico fra l’incarnazione del dogmatismo e quella della libertà di pensiero.

INEDITO 3
Theodor W. Adorno - Massa e leader (presentazione di Stefano Petrucciani)
Per la prima volta tradotti in italiano, questi tre brevi saggi di Adorno – Televisione come ideologia (1953), Indagini d’opinione e sfera pubblica (1964), Leadership democratica e manipolazione delle masse (1950) – sviluppano tematiche tipicamente francofortesi, prima fra tutte la critica dei dispositivi di dominio presenti nelle società di massa novecentesche.
Ma ci consegnano anche un Adorno inedito e sorprendente, che spiega quale deve essere il comportamento di un leader politico ‘veramente democratico’.

INEDITO 4Friedrich W.J. Schelling - La Bibbia e la storia (presentazione di Adriano Ardovino)
Le recenti pubblicazioni su Gesù di papa Benedetto XVI rappresentano il massimo tentativo – in epoca post-conciliare – di mettere in discussione il metodo storico-critico nell’interpretazione dei testi sacri. Eppure già il giovane Schelling vedeva nella lettura storico-critica (insieme all’indagine filosofica intorno al fenomeno della religione in quanto tale) l’unico modo per salvare la teologia dalla crisi in cui era sprofondata all’epoca dei Lumi. Una lezione di grande attualità che riproponiamo con due testi inediti del ‘periodo tubinghese’ (1790-1795).

SAGGIOGiorgio Cesarale - Marx sugli scaffali di Barnes & NoblesCi avevano detto che era rimasto sepolto sotto i detriti del Muro di Berlino, travolto dal crollo dei regimi del socialismo reale. In realtà negli ultimi anni il pensiero di Karl Marx è stato protagonista di un prepotente ritorno sulla scena, complice anche una crisi economica planetaria che ha dimostrato la debolezza dell’impianto teorico ‘mainstream’ nelle scienze economiche. Ripercorriamo le principale tendenze del revival marxiano.

martedì 19 aprile 2011

Karol Wojtyla - Il grande oscurantista

Karol Wojtyla - Il grande oscurantista”: da martedì 19 aprile in edicola il numero speciale di MicroMega

A pochi giorni dalla beatificazione di papa Wojtyła, MicroMega esce martedì 19 aprile con un numero speciale che farà discutere. Dedicato proprio all’ex pontefice. Un volume con un titolo inequivocabile: “Karol Wojtyła, Il grande oscurantista”.

Verranno riproposti contributi già apparsi in passato su MicroMega, ad eccezione della testimonianza di dom Giovanni Franzoni di fronte alla Postulazione per la causa dei santi nel processo di beatificazione di Wojtyła e della riflessione di Hans Kung, il maggior teologo cattolico vivente, che ricorda le tante ombre di Giovanni Paolo II: dalla titubanza nell’intervenire sugli abusi sessuali al pieno sostegno ai Legionari di Cristo del ‘discusso’ Maciel passando per la crociata sul celibato ecclesiastico, la carenza di miracoli e l’inflazione di santificazioni dal grande valore mediatico. Una dettagliata cronologia ripercorre poi tutte le tappe del lunghissimo pontificato di Giovanni Paolo II.

Ma nel numero c’è spazio anche per tutte le opinioni sul pontefice nel più classico dialogo tra posizioni differenti. Come nella tavola rotonda “Rinascita cattolica o sfida oscurantista?” - tra Paolo Flores d’Arcais, Piero Coda, Emanuele Severino, Enzo Bianchi, Gianni Vattimo, Andrea Riccardi e Massimo Cacciari - e nella sezione dedicata all’enciclica “Fides et Ratio” dove si possono leggere i contributi di Fernando Savater, Leszek Kołakowski, Angelo Marchesi, Paolo Flores d’Arcais, Gianni Vattimo, Carlo Augusto Viano e Vincenzo Paglia.

E infine, l’ultima sezione del numero, è dedicata alla sua morte. Lina Pavanelli osserva come un’attenta analisi delle condizioni di salute di Giovanni Paolo II dimostra che non gli sono state praticate, nelle ultime settimane, alcune cure che avrebbero potuto tenerlo in vita ancora a lungo. Wojtyla, per l’autrice, le avrebbe rifiutate perché le considerava troppo gravose: lui diventerà santo, a Piergiorgio Welby sono stati rifiutati persino i funerali.

LEGGI IL SOMMARIO

E in particolare...

TAVOLA ROTONDA
Paolo Flores d’Arcais / Piero Coda / Emanuele Severino / Enzo Bianchi / Gianni Vattimo / Andrea Riccardi / Massimo Cacciari / Umberto Galimberti - Wojtyła il Grande: rinascita cattolica o sfida oscurantista?
Svoltasi pochi giorni dopo la morte di Giovanni Paolo II, in questa tavola rotonda filosofi, teologi, storici – credenti e non credenti – affrontano senza diplomazie gli aspetti cruciali e controversi di un papato che ha segnato un secolo e l’intera storia della Chiesa: il rapporto con la modernità, il dialogo interreligioso, l’impatto nella politica, la questione del ‘senso’.

Gianni Vattimo - Contro gli assolutismi di Fede e Ragione
Né con il papa né con Flores d’Arcais. Il filosofo del pensiero debole critica quelli che considera i due assolutismi simmetrici della Fede e della Ragione. In entrambi i casi, la conseguenza è la fine della libertà e della democrazia.

martedì 5 aprile 2011

Giornate della laicità



“Libertà di pensiero è la certezza che, comunque pensi, ho il diritto di farlo e nessuno mi oppone divieti. Di più: che i divieti non esistono, e i soli divieti che esistono sono di carattere accidentale, provvisorio. [...] Al negativo, è giusto proibire soltanto la sconfessione della libertà di pensiero” (Ferruccio Ulivi)

Le Giornate della Laicità, alla loro seconda esperienza, sono il tentativo ambizioso ma concreto di rieducarci a pensare liberamente.
Liberi. Veramente liberi da dogmi e preconcetti che impediscono spesso all’individuo di nutrire un pensiero laico rispetto a ciò che accade intorno a lui.
Liberi. Senza auto-censure di una morale che altri vorrebbero imporci, privi di condizionamenti religiosi o verità imposte.
Dal 15 al 17 aprile faremo un esercizio di vita: affronteremo temi importanti e controversi, cercando di fuggire da condizionamenti di ogni tipo. Incontreremo persone che ci mostreranno il loro pensiero, senza la presunzione di doverci convincere o “fidelizzare” ad un convincimento come un qualsiasi brand commerciale.

Coltiveremo l‘idea di essere liberi nel nostro pensiero, che è l’unico modo che conosciamo per svolgere il difficile compito affidato del cittadino.

Le “Giornate della laicità” rappresentano la prima iniziativa dedicata interamente ad un tema che forse in una paese effettivamente democratico (e quindi a fortiori laico) dovrebbe risultare talmente scontato da non costituire oggetto di nessun dibattito. In Italia, invece, troppo spesso è addirittura un tabù, al punto che è entrata nel linguaggio comune la distinzione tra “laico” e “laicista”, quest’ultimo in accezione negativa, per cui il laicista sarebbe portatore di una laicità esasperata, estremistica, intollerante rispetto alle visioni del mondo, mentre si tratta solo di una laicità coerente, che prende sul serio il dovere per ogni democrazia di “innalzare un muro di separazione” tra fede e politica, tra religione e Stato, come chiedeva uno dei padri della rivoluzione americana, Thomas Jefferson.

Il filo conduttore di questa prima esperienza sarà il tema del “relativismo”, perché nella crociata contro il relativismo, di cui si è fatto banditore il regnante Pontefice, si condensano tutti gli equivoci della cosiddetta “laicità positiva”, di stampo clericale, alle cui sirene fin troppi laici sembrano porgere orecchio. Il “relativismo” contro cui si scaglia l’anatema altro non è, infatti, che il principio da cui prende origine la modernità: in campo politico agire “etsi Deus non daretur”, poiché se non si esilia Dio dalla sfera pubblica ogni conflitto e contrasto potrà essere condotto in Suo nome e trasformare ogni controversia in potenziale ordalia, fino alla guerra di religione. In campo etico riconoscere il pluralismo delle morali, e dunque una sola morale minima vincolante per la civile convivenza: quella dei principi costituzionali che garantiscono i diritti inalienabili di ciascuno sulla propria vita e la propria libertà.

Promotori dell’evento: INIZIATIVA LAICA, MICROMEGA, ARCI RE

Date: venerdì 15 (pomeriggio), sabato 16 e domenica 17 aprile 2011

Luogo: REGGIO EMILIA - presso la sede reggiana dell’Università degli Studi di MO e RE, I Teatri di Reggio Emilia, Reggio Children, nei comuni reggiani di Correggio e Scandiano e al Fuori Orario di Gattatico

Curatore dell’evento e responsabile scientifico: Paolo Flores D’Arcais

Responsabile comitato organizzativo: Giorgio Salsi

Quota di partecipazione alle conferenze: come in altri eventi consolidati (festivaletteratura di Mantova, festival della Mente di Sarzana…), per coprire le spese dell’evento è prevista anche una quota di partecipazione da parte del pubblico. La prenotazione delle conferenze e la vendita dei biglietti di partecipazione inizierà entro il mese di marzo 2011.

Programma sul sito: www.giornatedellalaicita.com

Incontri cui partecipa Gianni Vattimo:

16 aprile

ore 18.00
Incontro con Gianni Vattimo
"Essere e fede"
Università di Modena e Reggio Emilia, Aula Magna

17 aprile

ore 11.30
Dialogo tra Gianni Vattimo e Paolo Flores D’Arcais
"Un filosofo può credere in dio?"
Università di Modena e Reggio Emilia, Aula Magna

venerdì 7 gennaio 2011

Vattimo: «Una sinistra vera non difenderebbe Marchionne»

Vattimo: «Una sinistra vera non difenderebbe Marchionne»
Il secolo XIX.it, 7 gennaio
di Ilario Lombardo

L’intellighenzia italiana, come si diceva una volta, “scende in carta” accanto agli operai Fiom. Era da tempo che non si vedeva un così alto numero di teste con la t maiuscola (letterati, sociologi, filosofi…) scaricare tutta la propria indignazione in appelli, manifesti, raccolta firme. Usciti uno dopo l’altro contro il diktat di Marchionne e per non lasciare soli i metalmeccanici della Cgil. Gli ultimi due sono opera di Micromega e di un gruppo di 19 intellettuali torinesi. In entrambi in coda all’elenco alfabetico si trova la firma di Gianni Vattimo, filosofo ed europarlamentare.

Professor Vattimo, un pensatore come lei, torinese tra l’altro, ci deve spiegare le ragioni del no a Marchionne…

«A Torino sentiamo molto quello che sta accadendo a Mirafiori. Non è solo la questione Fiat, è come se percepissimo che si tratta del primo passo nella graduale imposizione di una diversa disciplina del lavoro. Noi, democraticamente, non ce lo auguriamo».

Ma scusi, il referendum tra gli operai non è uno strumento democratico adeguato?

«Ma no, ma come si fa a pensarlo? L’idea che questi poveretti siano chiamati a votare sotto ricatto è una mostruosità. O votano come e quanto vuole Marchionne o perdono il lavoro. È un paradosso».

A Pomigliano non ha stravinto il sì, eppure i 700 milioni promessi ci saranno…

«Qui è diverso, anche perché non chiariscono cosa faranno a Mirafiori. Parlano di gipponi in stile americano che in Italia non riusciamo a vendere. Costruiranno i motori e li rispediranno negli Stati Uniti? Mah. A me viene il sospetto che il proposito sia di andarsene via. L’essenziale ora è capire perché si deve fare un referendum se deve finire come vuole il padrone. E poi, l’altra questione assurda è sulla mancata rappresentatività di Fiom, perché non ha firmato gli accordi».

Non lo prevede lo Statuto dei lavoratori?

«Lo si applicasse integralmente allora. Molto norme sono state violate. Si andrà al referendum senza una campagna precedente adeguata. Con le fabbriche chiuse e gli operai in cassa integrazione».

Marchionne vuole rendere più competitive e governabili le fabbriche. Dal suo punto di vista non ha ragione?

«Io credo che Marchionne sia il giusto manager per questo sistema capitalistico predatorio. Solo che non capisco perché non si parla anche dei salari italiani. Nonostante siano i più bassi in Europa la Fiat perde quote di mercato. Allora, penso, non sarà solo la disciplina del lavoro il problema della produttività. Servono investimenti, innovazione, tecnologia. Invece Fiat vuole spendere meno tagliando i diritti e le pause ai lavoratori».

Cosa pensa del comportamento del Pd? I suoi concittadini Chiamparino e Fassino hanno detto che voterebbero sì al referendum…

«Il problema della sinistra italiana c’è da quando si è messa in testa che solo il capitalismo ci avrebbe potuto salvare. È diventata una specie di sindacato americano, che deve garantire disciplina al capitale sociale. Il Pd è allo sfacelo. I dirigenti sentono di voler essere sinistra di governo e devono identificarsi con quel mondo. Ma, mi chiedo, perché votare l’imitazione se c’è l’originale? Una sinistra seria dovrebbe intensificare il conflitto sociale a tutti i livelli, per mettere un freno a questa logica della competitività e per spiegare a Marchionne che in Italia ci sono delle leggi e bisognerebbe rispettarle».