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giovedì 25 aprile 2013

L'opposizione perduta di Vendola nell'Italia colonizzata

di Gianni Vattimo,  Il Fatto Quotidiano



Sento Vendola in un talk show televisivo (Ballarò, credo) che ricostruisce le tappe della vicenda che ha portato alla rielezione di Napolitano e al nuovo governo di destra che incombe su di noi. Tutto giusto, soprattutto la tesi (credo di averla scritta anch’io, con mesi di anticipo su Vendola) che la situazione attuale è figlia dello Ur-golpe napolitaniano del 2011, quando non si rimandò il governo Berlusconi alle camere e se ne contrattarono (a che prezzo? Stiamo ancora scoprendolo) le dimissioni per creare il governo dei tecnici.

mercoledì 6 marzo 2013

Grillo, sempre Grillo, fortissimamente Grillo

04/03/2013
di Gianni Vattimo

Grillo sempre Grillo fortissimamente Grillo. Forse è ora di smitizzare un po’ il grande trionfo dei Cinque Stelle, anche se è giusto aspettare che gli eletti del Movimento  si “qualifichino” in Parlamento e con le decisioni che prenderanno. Io non ho nessun dubbio che i loro programmi coincidano con le mie aspettative, dunque anche per me Cinque Stelle è la possibilità buona di cambiare finalmente l’Italia, di realizzare quella “rivoluzione civile” per cui, anche nell'ultima campagna elettorale, mi sono impegnato.

Grillo come un Di Pietro non gravato da zavorre amministrative (Maruccio) o troppo conservatrici (Donadi e C.). Una certa dose sana di “leninismo”, che a Di Pietro è rimasto sempre (troppo?) estraneo, e che forse, almeno agli inizi, è indispensabile a ogni rivoluzione, per civile che sia. Ma appunto perché si tratta di una rivoluzione “civile”, che si compie dentro la cornice della democrazia formale (persino Chavez si è sempre affidato alle elezioni democratiche!) non può pretendere di cominciare completamente da zero. Si tratta solo di decidere quando si comincia a fare i conti con la storia, quella delle strutture esistenti, dei partiti e dei politici “di prima”. E’ un po’ come nelle contrattazioni sindacali: il sindacato deve lottare contro il padrone, ma da ultimo, dovendo “portare a casa il contratto”, non potrà mai diventare un potere totalmente rivoluzionario. 

lunedì 28 gennaio 2013

Ingroia, Di Pietro e la rivoluzione che non può più attendere





Dal mio blog sul Fatto Quotidiano: www.ilfattoquotidiano.it


Inutile dire che voterò per la lista Ingroia, soprattutto perché è lì che ritrovo Di Pietro e quel che resta di IdV; giustamente purificata dagli elementi di destra che ci stavano dentro fino ad ora: persone per lo più rispettabili e solo di opinioni più conservatrici delle mie; a parte ovviamente quelli che hanno ceduto alle lusinghe berlusconiane in vari momenti, o quelli che hanno deciso di scappare con la cassa.

Di Pietro ha ragione: dobbiamo usare di questa emorragia di finti o scontenti militanti per rendere IdV più autenticamente quello che deve, voleva, essere: un partito di rinnovamento radicale della politica e della società italiana; non per niente, a parte l’innominabile Lega, è rimasto l’unico gruppo di opposizione al governo eurobancario Bersani-Monti-Napolitano.


sabato 25 agosto 2012

Firmare a sostegno dei pm anche per dire no al regime

Il Fatto Quotidiano, 23 agosto 2012


Si parla tanto, discutendo dell’articolo (decisivo, inappuntabile) di Gustavo Zagrebelsky, di eterogenesi dei fini. Ma varrebbe la pena anche, e più, di parlare di eterogenesi delle cause. Spieghiamoci: davvero possiamo pensare che le tante migliaia di cittadini – compreso il sottoscritto – che hanno firmato l’appello del Fatto a difesa dei pm di Palermosotto attacco da parte di quasi tutti i grandi media cosiddetti indipendenti, siano stati motivati dalla preoccupazione per la sorte di quei magistrati, per ora almeno non direttamente minacciati né di licenziamento né di carcere; o dalla irresistibile curiosità di sapere che cosa si dicevano Napolitano e Mancino nelle conversazioni illegalmente, criminalmente ascoltate e addirittura trascritte dalla magistratura palermitana? Ma che cosa davvero ci poteva essere di così decisivo in quei nastri, già per giunta dichiarati irrilevanti ai fini del processo? Confessiamo finalmente che del contenuto di quelle intercettazioni non ci potrebbe importare di meno. Figurarsi se il nostro saggissimo presidente (Giulia Bongiorno docet) si sarebbe mai lasciato andare, anche senza sospettare di essere ascoltato, a dire qualcosa di men che prevedibile, istituzionale, neutrale?

E allora? Perché in tanti avremmo dovuto sentirci così impellentemente spinti a firmare il documento pro pm? Le ragioni, le cause “eterogenee” di cui generalmente si tace nella discussione sullo scritto di Zagrebelsky, sono, appunto, altre. La diffusa e motivatissima insofferenza per il vero e proprio regime che è calato sul Paese per gli sforzi congiunti di Napolitano e Monti, è la ragione principale che spiega la popolarità dell’appello – anche se sia delle sorti dei magistrati palermitani, sia della trattativa Stato-mafia nessuno dei firmatari si era dimenticato. Ciò che si è voluto respingere con la valanga di firme è stato principalmente la progressiva instaurazione del regime, che del resto anche dalla vicenda delle intercettazioni palermitane ha ricevuto una intensificazione senza precedenti. Se qualcuno aveva ancora dei dubbi, dopo le esternazioni mediatiche degli ultimi giorni, anche e soprattutto da parte di padri della patria come Scalfari, questi dubbi non dovrebbero più esserci. Siamo di fronte non a una campagna di delegittimazione del Capo dello Stato, come vanno predicando ex esponenti della ex-ex-ex sinistra; ma a un generale sforzo di consolidamento del regime; temiamo, in vista di autunni e inverni caldi e caldissimi.

Le poche voci dissonanti, anzitutto quella di Antonio Di Pietro, accanto a quella di Grillo e all’altra - un po’ arrochita dal vecchio e nuovo berlusconismo - della Lega, sono ormai tacitate e demonizzate in tutti i modi, fino a dire esplicitamente che chi non sta con Napolitano o si permette di criticarlo non potrà appartenere al centrosinistra Bersanian-Casinista verso cui Quirinale e establishment ci stanno spingendo. Non solo c’è la luce in fondo al tunnel, ne siamo ormai fuori per merito di questo governo. Domandare conferma di tutto ciò agli esodati senza pensione, ai licenziati di tutte le fabbriche che hanno chiuso i battenti, ai tarantini presi in giro dalla compagnia di giro dei ministri inviati prontamente sul luogo da Monti. Quasi tutti i giorni la stampa “indipendente” ci informa che Monti ci è invidiato da tutti i paesi d’Europa e forse anche da Obama. Sarà anche vero che lo spread è un poco sceso, e che le borse hanno guadagnato qualche punto: già, le borse e le banche, pupilla degli occhi del premier. Ma per il resto, i costi della vita per le famiglie, ci sarà forse da aspettare un po’ di più, e così per avere un qualche recupero dell’occupazione. Ma intanto noi vediamo la luce in fondo al tunnel con gli occhi dei media; che del resto, insieme a Napolitano sono i creatori delle fortune politico-tecniche di Monti. Nessuno si è accorto che qualcosa sia migliorato in Italia negli ultimi mesi, anzi il contrario è sotto gli occhi di tutti. È anche questo clima di untuosa accettazione della menzogna ufficiale, quirinalizia o no che sia, ciò che (correggetemi se sbaglio) i firmatari dell’appello pro pm di Palermo vogliono combattere. Forse sarebbe ora di smettere di giocare tutti ai costituzionalisti dibattendo sulle prerogative del Presidente. Ne usasse finalmente una, decisiva: sciogliere le inutili Camere e mandarci finalmente a votare e restaurando quel poco di democrazia che ancora ci resta.

mercoledì 1 febbraio 2012

Governo Monti, danni collaterali

Dal mio blog su Il Fatto Quotidiano, 29 gennaio 2012

I danni collaterali del governo tecnico

Non so se stia davvero crescendo la nostalgia per Berlusconi, certo aumenta vistosamente l’insofferenza verso il governo Monti, e anche verso chi, come il Pd, se ne è fatto sostenitore senza se e senza ma. Il sospetto niente affatto inverosimile è che tutto sia un gioco delle parti, quale che sia la consapevolezza degli attori.

La destra maledice Monti, e proprio per questo la cosiddetta sinistra lo difende. In termini elettorali (prima o poi si dovrà pure andare a votare) chi paga il prezzo di questo governo del rigore bancario-fondomonetarista, è il Pd, che finirà per dissanguarsi e per scoraggiare definitivamente il suo elettorato. Il quale ha sopportato finora solo perché terrorizzato dalla grande stampa “indipendente”: se va male alle banche va malissimo a tutti. E così via.

Ma fino a quando durerà questa sopportazione?
In giro per l’Italia ci sono scioperi e agitazioni sociali di vario tipo. Non basta stimolare l’odio per i camionisti e i forconi “infiltrati” dalla mafia, o contro i parlamentari e i loro privilegi. Presto o tardi, anzi già ora, la protesta sociale di padroncini, famiglie monoreddito, mamme che devono badare ai bambini cacciati anzitempo dalle scuole, anziani lasciati senza assistenza sociale, pensionati ridotti a rubare nei supermercati, si farà sentire in modi meno soft.

Quando Di Pietro dice, come qualche tempo fa, che prima o poi ci scappa il morto lo si copre di insulti come se fosse un terrorista; ma intanto il morto ai blocchi stradali dei camionisti ci è scappato, e i pacchi esplosivi alle agenzie delle tasse sono arrivati. I sacrifici che Monti (e Napolitano, e il potere bancario) chiede agli italiani non possono più essere sopportati in nome del governo “tecnico”. O si va a elezioni subito o la situazione sociale non farà che peggiorare. Non è la marcia su Roma, certo; o non ancora. Ma un governo tecnico messo di fronte a tensioni sociali crescenti non diventerà prima o poi, per ragioni puramente “tecniche”, un governo autoritario?

Sono solo ragioni “tecniche” quelle che hanno ispirato l’ondata di arresti di No-Tav ordinata da un magistrato sicuramente democratico come Giancarlo Caselli: non poteva fare diversamente di fronte all’evidenza di azioni violente perpetrate in Val di Susa nell’estate scorsa. Inutile dire che dei gas illegali sparati dalla polizia contro i manifestanti anti-Tav non si sa più nulla; e della illegalità permanente in cui hanno proceduto finora i lavori per la nuova ferrovia – dalla mancata consultazione delle comunità territoriali interessate, alle menzogne spacciate all’Unione Europea per spremerne i fondi, alla militarizzazione della Valle e alla sordità rispetto a tutti i pareri tecnici contrari all’opera – non vi è traccia nei mandati di arresto caselliani. Tutto questo, del resto, è politica, non tecnica, e va tenuto lontano.

Il fatto – non solo questo fatto specifico dei No-Tav, ma del governo tecnico in generale – è che, come si è detto spesso, sbagliando, del fascismo italiano rispetto a quello tedesco, Berlusconi era meglio perché era meno serio. Monti è un rigoroso – anche perché apolitico – esecutore delle regole del sistema. Non per niente il Financial Times lo considera la colonna portante dell’Europa; e Obama lo vede tanto di buon occhio. Miseria, disoccupazione, infelicità crescente in tutti i livelli della società? Danni collaterali.

martedì 5 luglio 2011

Ma cosa è successo a Di Pietro?

Ma cosa è successo a Di Pietro?
Chiacchiera con Silvio, esalta la vecchia Dc, fa polemiche con Nichi Vendola e guarda verso il Terzo polo. Una 'svolta moderata' che ha stupito tutti, anche nel suo partito. Tattica o strategia? E funzionerà o no?


L'Espresso, 3 luglio 2011. Susanna Turco

Se non fosse un ciclone, non si chiamerebbe Antonio Di Pietro. Animale da palcoscenico oltreché da transatlantico, cuore contadino e anima mediatica, bravo quanto Berlusconi a sembrare un non professionista della politica pur essendolo, capace di inscenare una svolta e negarla nello stesso tempo, ciclone si conferma anche adesso che gioca (pare) la carta del profilo moderato o, come dice lui, di "proposta". Basta piazza, andiamo oltre l'antiberlusconismo, proclama oggi l'uomo che più di tutti ha incarnato il "No B.": dall'Idv, all'Idv2, per gli appassionati della numerazione progressiva.

Un riposizionamento che ha fatto insorgere la "base" sul Web, l'ala "sinistra" del partito, e anche gli "amici" del popolo viola: "Non abbiamo forse detto per due anni che il nostro paese vive un'anomalia democratica? Che la protesta ha un valore costituente? Cosa è cambiato? Berlusconi è ancora lì. Quale oscuro vantaggio tattico dovrebbe spingerci ad abbassare la guardia?", gli hanno scritto spiazzati in una lettera aperta. L'altolà più forte è arrivato dall'uomo che ormai contende a Di Pietro il primato carismatico nel partito, Luigi De Magistris: "Cercare la svolta centrista è un errore", ha tuonato il neo sindaco di Napoli, tra un'emergenza rifiuti e l'altra, "non è ciò che vogliono i nostri sostenitori". Da Strasburgo Gianni Vattimo si dice perplesso: "Sono d'accordo con Luigi, non vorrei che si perdesse troppo il legame con la gente arrabbiata". Da Roma Francesco Barbato, deputato ma senza tessera, con soavità spara la parola magica. Congresso. "Ci sarà pure l'Idv2 per Di Pietro. Per me non è cambiato nulla", spiega: "E se fosse vero quel che leggo, se si vuol modificare il posizionamento del partito, serve un congresso straordinario e io lo chiederò ".

Vera o presunta che sia, improvvisa o invece da tempo meditata, la più recente pennellata del leader Idv ha spazzato in pochi giorni l'immagine del "compagno Tonino", tutto megafono e movimenti, lungamente coltivata. Prima la chiacchierata con Berlusconi nell'aula di Montecitorio, poi, soprattutto, una serie di suggestioni che hanno trovato il loro trionfo in un'intervista al "Corriere della Sera", tutta suonata al ritmo di "Berlusconi è una persona sola", "se fa le riforme vere lo sosterrò", "attaccarlo non basta più", accompagnata con il basso continuo del "io vengo dai cattolici, dai moderati", "ho studiato in seminario", "non sono un uomo di sinistra".

Per dimostrarlo, Di Pietro ha persino giocato la carta della famiglia, come prima di lui usavano fare Ciriaco De Mita e Clemente Mastella: "Mio padre aveva la tessera della Dc. La Libertàs, la chiamava". Parole in libertà? Tutt'altro. Se è vero che il leader Idv si prodiga in "rassicurazioni", spiegando "che continueremo a chiedere le dimissioni del premier", quel che emerge parlando con gli esponenti più in vista del partito è un vero e proprio mutamento di prospettiva. "Per noi la primavera del 2011 segna il D-day, una svolta politica che è avvenuta nel Paese: inizia una nuova fase, e quindi anche un altro ruolo per noi", spiega il portavoce del partito Leoluca Orlando. Ma guai a parlare di svolta centrista, perché "l'Idv non è né di centro, né di destra. Epperò nemmeno di sinistra, e forse De Magistris ha frainteso questo".

Tutti hanno cura di articolare, del resto, il "post-ideologismo" dell'Idv ("In Europa non a caso siamo nel gruppo dei liberaldemocratici", è il refrain), così come l'assenza di qualsiasi tentazione Terzopolista. "La nostra permanenza nel centrosinistra non si discute, non tireremo fuori il coniglio dal cilindro", assicura il capogruppo al Senato Felice Belisario, "siamo stati radicali quando serviva, ma a questo punto dobbiamo costruire un'alternativa di governo: dunque argomentare, non urlare". Un passaggio che, puntualizza il presidente dei deputati Idv, Massimo Donadi, non nasce oggi: "Un anno fa il nostro congresso si intitolava "Dalla protesta alla proposta". Si teorizzò una svolta che allora era prematura e che oggi stiamo avviando. Chi si finge stupito o deluso - penso per esempio a Pancho Pardi - farebbe meglio ad avere più memoria, e lealtà". Pronta la replica del senatore dell'Idv che fu tra gli animatori dei girotondi: "La svolta di Di Pietro non mi convince, mi sembra più tattica che strategica: provare a pescare tra i moderati delusi può anche andare bene se funziona, ma alla lunga ci porta verso un orizzonte che non è il nostro. E' vero che Sel ci sottrae una parte del nostro elettorato, ma non è nemmeno una tragedia: il nostro bacino futuro è tra gli astensionisti, che sono tanti, e hanno bisogno di una radicalità costituzionale che possiamo interpretare meglio di altri".

Di Pietro e la svolta centrista? L'Idv nega, siamo quelli di sempre

Di Pietro e la svolta centrista? L'Idv nega, siamo quelli di sempre
Ma Pardi e Vattimo: "Sbagliato cercare il voto moderato"
Wanda Marra - 28 giugno 2011 Il Fatto Quotidiano

“Che Di Pietro ce la mandi buona”. La battuta è del filosofo Gianni Vattimo, filosofo ed eurodeputato dell’Italia dei Valori. “Svolta centrista? Non sono sicuro che ci sia, non ho avuto modo di parlare con Di Pietro. Però, se così fosse, penso che sarebbe un errore: non è lì che vanno cercati i voti, ma piuttosto nell’elettorato di Vendola o tra i simpatizzanti di Grillo”. In realtà almeno nei vertici dell’Italia dei valori sono in pochi a pensarla così. O almeno a prendere una posizione così netta rispetto alle ultime mosse del loro leader, per il quale, tra gli attacchi a Vendola e a Bersani, l’insistenza su un programma per l’“alternativa” e la disponibilità a collaborare pure con Berlusconi per le riforme, si è parlato di riposizionamento moderato. “Nessuna svolta centrista. Vogliamo essere un soggetto politico generalista che si rivolge potenzialmente a tutto l'elettorato”, spiega Massimo Donadi, capogruppo del partito alla Camera. Eppure Luigi De Magistris, sindaco di Napoli, nonché esponente di spicco del partito, in un’intervista a Repubblica tale svolta l’ha non solo fotografata, ma pure criticata: “Credo che Antonio stia tentando una svolta centrista. Secondo me non ha senso, perché il centro è già fin troppo ingolfato. E soprattutto non è la nostra tradizione”. Perché “non possiamo di punto in bianco trasformarci da ala sinistra ad ala destra del centrosinistra. La nostra forza è la vicinanza ai movimenti. Dobbiamo avere un rapporto privilegiato con Sel e con quella parte del Pd che produce riflessioni in sintonia con le nostre”. Dice Donadi: “Le parole di De Magistris le condivido in toto: nemmeno io voglio una svolta centrista per trovarmi fianco a fianco con Casini”. I dirigenti del partito di Tonino, sfumatura più, sfumatura meno, stanno con il loro leader, dunque. A prescindere da storie politiche e provenienze composite. Spiega Felice Belisario, capogruppo in Senato, cresciuto nelle file della Dc: “Il berlusconismo è sul viale del tramonto. Quindi dobbiamo andare oltre l’antiberlusconismo, e costruire il programma e il progetto dell’Idv 2”. Il berlusconismo è in fase calante, ma Berlusconi è ancora il presidente del Consiglio. “Noi continueremo a fare opposizione dura. Non è vero che abbiamo una posizione più morbida nei confronti del centrosinistra”. Nessun cambiamento politico anche secondo il senatore Stefano Pedica (un passato nella Dc e poi nell’Udeur): “Stiamo continuando a fare manifestazioni tra la gente, non vedo cosa sia cambiato”. Difficile collocare il partito tra centrodestra e centrosinistra, spiega il deputato Leoluca Orlando (pure lui provenienza Dc): “Non sono di destra: sono contro il reato di immigrazione clandestina e contro i bombardamenti; sono per dare risposta di diritti a disoccupati e precari; sono per una lotta serrata alla evasione. Non sono di sinistra: sono per le regole del libero mercato e contro i conflitti di interessi. Non sono di centro: sono convinto dell’importanza del pluralismo culturale e religioso”. L’Idv 2 (ovvero quella del “nuovo corso” del partito che ieri Di Pietro ha ribadito), spiegano, va incontro al fatto che i 27 milioni di elettori che hanno votato ai referendum non sono tutti di sinistra. Così come non sono della sinistra radicale tutti gli elettori di Pisapia e De Magistris. Qualcuno fa notare che il sondaggio sulle intenzioni di voto realizzato da Demos e pubblicato ieri da Repubblica dà in netta risalita il partito (sarebbe al 7,8 per cento rispetto al 5,9 per cento delle intenzioni di febbraio e al circa 4 per cento complessivo delle ultime amministrative). Eppure nella “base” c’è persino stata una raccolta di firme contro il nuovo Di Pietro. “Erano 200 persone”, taglia corto pure uno come Maurizio Zipponi, che è stato segretario della Fiom. E il senatore Luigi Li Gotti, avvocato, un passato politico tutto a destra (in An c’è stato 30 anni) ribadisce che “non è cambiato niente”. Perché “noi abbiamo sempre fatto un’opposizione dura, ma contemporaneamente delle proposte in Parlamento. È giusto dire che non siamo pregiudizialmente contrari a tutto”. Eppure lo stesso Li Gotti in un intervento all’esecutivo del 6 giugno aveva sottolineato come il partito sia lacerato da risse e lotte intestine. “Io mi riferivo alle divisioni a livello locale, che ci sono e sono gravi, ma non a un problema di strategia politica”. Anche Fabio Evangelisti, che invece arriva dal Pci sostiene che il riposizionamento di Di Pietro “è più una ricostruzione che un fatto”. De Magistris? “È stato più responsabile di Tonino che comunque qualche sparata, tipo quella contro Bersani, l’ha fatta”. Insomma, sulla linea di Vattimo sono pochi. Come Pancho Pardi, senatore, ex leader dei Girotondi, che chiede una “sede di discussione generale”. E avverte: “Non ha senso cercare di catturare il voto moderato. Ci sono fin troppi pretendenti. Dobbiamo cercare di convincere gli astensionismi. Con un radicalismo costituzionale”. E un radicalismo tout court è quello che vuole l’europarlamentare Sonia Alfano, che viene dai grillini: “A me pure la definizione di centrosinistra sembra troppo estesa. Di Pietro mi ha rassicurato. Vedremo”.

domenica 21 febbraio 2010

Non voto Bresso nemmeno sotto tortura

Non voto Bresso nemmeno sotto tortura
Il Giornale, 20 febbraio 2010
di Paolo Bracalini

Professor Vattimo, già stufo di Di Pietro?
«Io stimo Di Pietro perché è l’unico di sinistra in Italia, però non posso stare con la banda di trafficanti della Tav che l’Idv sostiene».
Traduco: in Piemonte voterà contro il suo partito, che sostiene la Bresso, famosa pro-Tav.
«Esattamente, farò il voto disgiunto e invito anche gli elettori piemontesi dell’Italia dei valori a fare altrettanto. Ho individuato una candidata al consiglio regionale dell’Idv che mi piace e che voterò, ma non voterò mai la Bresso, nemmeno se mi torturano».
E chi vota?
«Ma, vediamo, il candidato presidente di una lista di sinistra minoritaria per esempio...».
Ci risiamo, non è che ritorna a sinistra?
«Per adesso sono un indipendente dell’Idv e quindi ho anche posizioni divergenti da Di Pietro».
Se fosse in Campania farebbe lo stesso, non voterebbe l’indagato De Luca candidato presidente anche dall’Idv?
«Sì, anche se mi dicono che i reati che gli contestano sono reati, diciamo così, di assistenza politica per gruppi di disoccupati. Insomma c'è reato e reato, bisogna distinguere. Anche Tartaglia, che è indagato per aver tirato la statuetta del Duomo in faccia a Berlusconi...».
Poco grave.
«Se Tartaglia avesse delle altre buone ragioni per essere candidato, se per esempio fosse esperto di acque potabili o di infrastrutture, io non baderei assolutamente al fatto che è indagato».
Fosse per lei lo candiderebbe.
«Ripeto, lo farei se avesse altri titoli oltre ad aver tirato il Duomo in testa al Cavaliere, anche se tutto sommato...».
Anche quello...
«Anche quello mi sembra un merito».
Suvvia, non dirà sul serio.
«Non dico che è un merito politico sufficiente per farne un candidato, ma ecco non potrei dire di essere profondamente addolorato per l’aggressione a Berlusconi...».
Allora sarà anche d’accordo con Genchi che al congresso Idv ha sostenuto che l’aggressione era tutta una montatura organizzata dal premier. Teorie del complotto da siti internet, ma lei è europarlamentare...
«Intanto io mi fido più di Genchi che di altre forme di informazioni. Poi sul caso Tartaglia ho la stessa posizione che ho sempre avuto sull’11 settembre. Cioè come Bush ha sfruttato l’11 settembre a suo favore, anche Berlusconi ha utilizzato straordinariamente bene la vicenda Tartaglia, talmente bene che, conoscendo i miei polli, posso sospettare che lo abbiano organizzato».
Parla come un grillino.
«Non sono grillino, sono un marxista che sta con Di Pietro. Ecco, semmai lui deve stare attento a non diventare troppo amico del Pd, chi lo vota potrebbe cambiare idea. Il test saranno le regionali, se sarà negativo vorrà dire che Di Pietro deve cambiare rotta rispetto ai De Luca».
Non è che sosterrà anche lei la corrente di De Magistris?
«Ma per ora c’è Di Pietro e va bene così, De Magistris mi piace, è anche un bell’uomo, anche se non è il mio tipo e quindi non lo dico per fargli la corte».
Ma non le piacerebbe uno più a sinistra?
«Mi piacerebbe ma non c’è».
C’è Vendola, è anche difensore dei diritti omosessuali.
«Per carità, questi come Vendola e Ferrero si sono suicidati con le loro mani per difendere i poteri delle loro piccole burocrazie. Se qualcuno mi spiega una differenza di visione politica tra Vendola e Ferrero gliene sarò grato, ma non ne vedo nessuna».
Lei si dice marxista, Di Pietro però no, almeno per ora.
«Io sono marxista, leninista e non mi è nemmeno antipatico Stalin, che ci ha salvato da Hitler, più degli Stati Uniti. Di Pietro non lo è? Peccato, però mi fido lo stesso. Gli darei anche le chiavi di casa».

mercoledì 10 febbraio 2010

Vattimo: «Serve un Cln per liberarci di Berlusconi»


Vattimo: «Serve un Cln per liberarci di Berlusconi»
il Piccolo — 10 febbraio 2010
di ROBERTA GIANI
Antonio Di Pietro? «Un leader carismatico ma senza ducismo».
Luigi De Magistris? «Sono un suo adepto».
Gioacchino Genchi? «È un mio amico, e non solo per paura».
I candidati inquisiti? «Non sono tutti uguali. Se sono inquisiti per aver lanciato una statuetta, a mio avviso possono correre».
Gianni Vattimo provoca, disarma, irride. E alla fine, dal suo ufficio di Strasburgo, invoca clemenza: «Non mi faccia querelare, mi raccomando». Ma il grande filosofo, "fiore all’occhiello" della pattuglia di eurodeputati indipendenti dell’Italia dei valori, non scherza sul suo Paese. E nemmeno sul suo futuro: «Ci vuole un Cln per liberarci da Silvio Berlusconi. Sono pronto ad allearmi persino con Pierferdinando Casini».
Professore, ora che l’Italia dei valori si riorganizza, prenderà la tessera?
Non saprei. Sono stato eletto come indipendente ma, facendo parte del comitato nazionale del partito, mi sono sentito di chiedere a Di Pietro se voleva che mi iscrivessi.
Risposta?
«Aspetta».
E lei?
Sono un obbediente.
Tutti parlano della svolta di Di Pietro. Lei avverte: la democratizzazione del partito va bene, ma non deve mettere a rischio il carisma del capo. Che significa?
Di Pietro vuole realizzare la più ampia democrazia interna, e lo capisco. Ma deve evitare di imitare i partiti tradizionali di oggi - una desolazione - perché l’Italia dei valori non può perdere né le sue aperture anarchiche né il carisma del suo capo.
Come si fa a essere partito leaderistico e democratico?
Difficile. È un po’ la quadratura del cerchio ma è una questione cruciale: attiene alla democrazia.
Addirittura?
Ci sono diverse esperienze che ci fanno pensare che la democrazia tende a soffocarsi a causa dei suoi meccanismi eccessivamente complessi.
Il leader ha una sorta di potere salvifico?
Me lo faccia dire con la dovuta cautela, siamo nell’Italia di Berlusconi, ma è abbastanza vero. Molti si precipitano nelle sezioni dell’Italia dei valori perché c’è Di Pietro, mica perché ci sono tessere, correnti, apparati.
Di Pietro, quindi, è un vero leader carismatico?
Lo è fortemente. Ma senza nessun ducismo.
Sicuro?
Un esempio. Si presenta come il contadino di Montenero di Bisaccia non per stupida umiltà, ma perché non pretende di essere il faro della civiltà, come invece Mussolini e Berlusconi.
Il tratto più forte di Di Pietro?
La testardaggine. Non vorrei mai averlo come nemico: dice quello che fa, fa quello che dice, e va sempre sino in fondo.
Nessun dubbio? L’ultimo episodio ”strano” sono le foto con Bruno Contrada...
Le hanno pubblicate per screditarlo, ovvio, è l’ennesima porcata. Ma le spiegazioni di Di Pietro sono state adamantine.
Meglio Di Pietro o De Magistris?
Mi sento vicino a tutti e due. E non saprei chi scegliere se fossero in contrasto.
Sembrano esserlo, in verità.
Non lo sono. Ho persino il sospetto di un gioco delle parti: De Magistris fa il rivoluzionario-movimentista e Di Pietro, in questa fase, il più istituzionale.
Non è che si sta ammorbidendo?
Il giustizialismo e l’antiberlusconismo sono nel suo carattere. La svolta, se vogliamo chiamarla così, è legata al suo senso di responsabilità: non vuole continuare a chiedere ai suoi un impegno per la sola opposizione. E quindi tenta nuove vie politiche. Io stesso, seppur senza entusiasmo, voterò in Piemonte Mercedes Bresso.
In Campania, però, c’è l’inquisito Vincenzo De Luca.
Non conosco bene la sua vicenda e do credito a De Magistris. Ma, al contempo, do atto a Di Pietro di aver sterilizzato la questione: De Luca dovrà dimettersi, se verrà condannato. Io aggiungo: già in primo grado.
Molti, da Travaglio al popolo della rete, protestano. Non è impresa ardua tenere insieme la piazza e il palazzo?
Se non si riesce a farlo, è un guaio. Se si accetta l’impossibilità di tenere insieme piazza e palazzo, ci si deve ritirare dalle istituzioni.
Come si costruisce un’alternativa di governo credibile?
Serve un Comitato di liberazione nazionale. Dobbiamo liberarci da Berlusconi.
Porte aperte all’Udc?
Sono pronto persino a votare Casini, e io so quanto mi è indigesto, purché gli accordi preventivi siano inequivocabili e impediscano ogni possibile azione corruttiva e clientelare.
L’Italia dei valori deve aprire alla sinistra?
Sicuramente. Ben venga Nichi Vendola, tanto per cominciare.
In prospettiva, con il Pd, che rapporti ci devono essere?
Il Pd dovrebbe confluire nell’Italia dei valori, più che l’opposto.
Genchi al congresso. Presenza opportuna?
Lo trovo simpatico e divertente. Sono diventato suo amico, e non solo per paura.
Intercettava anche lei?
Gliel’ho chiesto, mi ha detto di no. Non sono così importante.

martedì 9 febbraio 2010

Meglio il carisma di un capo

Meglio il carisma di un capo

La Stampa, 9 febbraio 2010

Vista dall’interno, o comunque da vicino (io sono un indipendente eletto in Italia dei Valori, non iscritto, almeno per ora), l’alternativa Di Pietro-De Magistris è molto meno marcata di quanto venga fatta apparire sui media. Il partito di Di Pietro è sempre stato più un movimento che un partito; la leadership carismatica del suo presidente lo ha condotto alle affermazioni recenti (fino all’8 per cento alle elezioni europee) e non avrebbe senso rinunciarvi completamente in nome di una “democratizzazione” – tessere, congressi locali e nazionali, mozioni e contro mozioni – tendente a omologarne la struttura a quella – fallimentare – dei partiti tradizionali. Con tutto ciò, sia il nuovo statuto sia la celebrazione del primo congresso nei giorni scorsi erano passi da fare, e Di Pietro ha fatto bene a portarli a termine con caparbia decisione. I tratti del movimento e i “vantaggi” in termini politici che essi assicurano – apertura alla società civile, stretto contatto con le tante aree di cittadini “anti-partito” (Grillo, per esempio), presenza costante nelle piazze – non vanno assolutamente buttati a mare. De Magistris si sente ed è – anche per i suoi risultati elettorali – il rappresentante-custode di questo aspetto movimentista essenziale al partito. Che è anche il suo spirito di sinistra, quello per il quale io, per esempio, mi dichiaro un suo adepto.
La questione della candidatura di De Luca, su cui si è manifestato il dissenso di De Magistris, non è però tale da dar ragione a chi parla di una spaccatura tra i due leader dell’IdV. Non voglio chiamarla un gioco delle parti, perché entrambe le posizioni sono assolutamente sincere; ma dal punto di vista tattico è qualcosa di molto simile.
Il punto però è un altro: accettando anche al prezzo di De Luca l’accordo con il PD alle regionali, Di Pietro sta portando il partito verso le rive desolate e sterili della “cultura di governo” che ha distrutto ogni prospettiva del centro-sinistra? Sia Di Pietro sia, per quanto ne sappiamo, Vendola, sia lo stesso De Magistris sono d’accordo sul fatto che è un rischio da correre. Soprattutto, non aveva senso, alla vigilia delle elezioni regionali, tentare una operazione come quella proposta per la Campania da De Magistris: una formazione che raccogliesse la società civile, movimenti, e i resti di chi ancora guarda a una sinistra vera. Per rimediare ai danni dell’Arcobaleno, non minori di quelli prodotti dalla tattica suicida del PD, ci vuole più tempo; ci si può pensare per il 2013 e proprio facendo perno su una IdV capace di rafforzarsi sia sul fronte della protesta sia su quello della partecipazione costruttiva al lavoro istituzionale, mantenendo cioè la sua fisionomia di movimento e di partito. Decisivi per capire come muoversi, saranno per Di Pietro i risultati delle elezioni regionali, ai quali dipenderà anche il rinnovamento delle dirigenze locali, oggi ancora talvolta infette dal “familismo” che non preoccupa solo Pancho Pardi. Ma in ogni caso, il carisma del “capo” è assai meglio che i finti carismi dei piccoli signori delle tessere di questa o quella periferia. Su questo, alla fin fine, si fonda il carattere esemplare e rinnovatore che Italia dei Valori giustamente rivendica.

Gianni Vattimo

giovedì 31 dicembre 2009

Giù le mani da Di Pietro

Ecco la mia risposta, apparsa oggi su Il Fatto Quotidiano, all'articolo di Flores d'Arcais "Caro Di Pietro l'IdV non basta" (29 dicembre). Sempre sul Fatto odierno, trovate la replica dello stesso Flores.

Giù le mani da Di Pietro
di Gianni Vattimo

Caro Paolo (e caro Di Pietro, che è il nostro interlocutore comune), come ti viene in mente, proprio il giorno in cui a Bari è successo quel che è successo tra le varie “anime” (si fa per dire) del Pd, e mentre in vista delle regionali si assiste a risse di ogni tipo all’interno di partiti, coalizioni, gruppi, - come ti viene in mente, ti domando (con la consuete amicizia) di proporre a Di Pietro lo scioglimento del suo partito in vista della creazione di una ennesima “cosa” da comporre attraverso l’unione di gruppi, movimenti, (frammenti di) partiti, società civile eccetera, per avere finalmente un vera e forte opposizione capace di battere il grande corruttore? Sarà che tu, come mi ricordi sempre, hai un passato trotzkista – immagino di mitologie rivoluzionarie, e dunque forse anche “centraliste” - e perciò stesso diffidi di ogni struttura politica che non sia fondata su primarie, secondarie, terziarie, una testa un voto, ecc.

Io che prima d’ora non sono mai stato comunista e non so nemmeno bene la differenza fra trotzkisti, leninisti, stalinisti, trovo non solo irrealistica ma anche suicida la tua proposta. Il partito di Di Pietro è nato coagulandosi spontaneamente intorno a un personaggio carismatico che finora lo ha condotto a divenire una grande forza nel panorama politico italiano. Vogliamo davvero farne una ennesima formazione i cui lottino “democraticamente” signori delle tessere e piccole burocrazie, conducendo agli esiti che sono sotto gli occhi di tutti? Non sarebbe ora di guardare realisticamente a che cosa succede a queste formazioni dilaniate da “democratiche” lotte intestine, da campagne “primarie” (sì, parlo anche del Pd) i cui strascichi si vedono anche nelle situazioni come quella di Bari? So bene che mi obietterai che questi problemi sono inevitabili se si vogliono partiti (e anche stati) democratici. Ma io ti invito a guardare alla situazione italiana: i soli partiti che “reggono” sono quelli, permettimi la semplificazione, “carismatici”. Il Partito Radicale è Pannella, la Lega è Bossi, Forza Italia e derivati sono Berlusconi e IdV è Di Pietro. Neanche a me, pieno di pregiudizi “democraticistici” piace constatare tutto ciò: ma confesso che comincio a mettere in dubbio proprio questi pregiudizi. IdV è il partito di opposizione senza compromessi e fedele alla Costituzione di cui tu parli. Che cosa vi aggiungerebbe il fatto di sciogliersi e invitare altri a comporsi in una nuova forza? Finora l’esperienza dice che simili iniziative hanno avuto esiti disastrosi (penso sempre al Pd). Ci sarebbe di nuovo solo una ennesima trattativa con piccole burocrazie moribonde pronte a confluire per ricominciare a scannarsi tra di loro. Quel che Di Pietro può e deve fare è lanciare dal suo congresso un appello a tutti gli spiriti liberi perché entrino in IdV. Del resto già ora le candidature sono decise sulla base del libero invio di curriculum, le porte sono aperte a tutti, io stesso sono un esempio di questa apertura: sono stato accolto dal partito, eletto da indipendente e con chiare posizioni comuniste.

Ripeto, c’è del “carismatico” in questa idea: non mi vergogno di ammetterlo, del resto sono un devoto ammiratore di Castro, di Chavez (peraltro sempre eletto democraticamente), ma sono anche consapevole che i dirigenti del CLN (è di questo che ora dobbiamo riparlare) non furono eletti in regolari congressi. Il loro illuminismo era per fortuna temperato da una buona dose di decisionismo, e questo forse si chiama, appunto, carisma.

sabato 12 dicembre 2009

"CASA EUROPA": Convegno internazionale a Torino, 18-19 dicembre 2009 (volantino e programma scaricabili)

CASA EUROPA
CASA EUROPA

Verso un nuovo modello di convivenza,
tra solidarietà e libertà
Convegno internazionale
Consiglio regionale del Piemonte – Palazzo Lascaris, Via Alfieri 15 (Torino)


Venerdì 18 dicembre 2009

ORE 15,00: “ATTUALITÀ E PROGETTUALITÀ DEL MODELLO EUROPEO”
Apertura dei lavori
Gianni Vattimo (Filosofo, Deputato al Parlamento europeo)
Relazioni
Umberto Morelli (Docente di Storia dell’integrazione europea, Università di Torino): “L’avanguardia europea, all’interno come all’esterno: il progetto politico e una nuova concezione della sicurezza”
Luciano Gallino (Sociologo, Università di Torino): “Riforma dell’architettura finanziaria: proposte non ortodosse per l’Unione europea”
Coffee break

ORE 16,30: “L’EUROPA CHE CI ATTENDE”
Relazioni
Sonia Alfano (Deputato al Parlamento europeo; diretta streaming): “Migliori e peggiori prassi: politica e giustizia, modello europeo e caso italiano”
Giorgio Schultze (Portavoce europeo della Marcia Mondiale per la Pace e la Nonviolenza, Movimento Umanista): “L’Europa rimossa: confini e conflitti. La chance del Mediterraneo”
Conclusioni di Antonio Di Pietro (Presidente dell’Italia dei Valori, Deputato al Parlamento italiano)
Dibattito

Sabato 19 dicembre 2009

ORE 9,00: “IL MODELLO EUROPEO TRA DIMENSIONE INTERNA E DIMENSIONE ESTERNA”
Relazioni
Mariacristina Spinosa (Consigliera Regionale del Piemonte): “L’Unione Europea come attore globale: politiche di sicurezza, democrazia e diritti umani”
Leoluca Orlando (Vicepresidente ELDR, Deputato al Parlamento italiano): “Identità e convivenza”
Dibattito e Coffee break

ORE 11,00: “LA SFIDA DELL’EUROPA”
Tavola rotonda
Gianni Vattimo (Filosofo, Deputato al Parlamento europeo)
Fernando Savater (Filosofo, Università dei Paesi Baschi)
Coordina Federico Vercellone (Filosofo, Università di Torino)
Dibattito
Ore 13,00: Chiusura dei lavori
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La cittadinanza è invitata a partecipare
Organizzazione:
Segreteria di Gianni Vattimo in Italia
+39.338.1292352 +39.349.7841361
gianni.vattimo@europarl.europa.eu
http://www.giannivattimo.blogspot.com/
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Cari amici,

È con vero piacere che invito voi tutti a partecipare a un convegno internazionale (con sede a Torino) da noi organizzato con il sostegno del gruppo Alde, l’Alleanza dei Liberali e dei Democratici per l’Europa, di cui l’Italia dei Valori e noi parlamentari europei eletti in quelle liste facciamo parte.
Si tratta di un convegno aperto (tutta la cittadinanza è invitata), di informazione e discussione sul tema del “modello europeo”. Il titolo “Casa Europa”, di gorbacioviana memoria, deriva da un articolo che scrissi per La Stampa il 31 maggio 2003, giorno nel quale (i tempi erano quelli dell’allargamento ai paesi dell’Est e della discussione sulla possibile costituzione europea) alcuni intellettuali europei (tra questi Habermas, promotore dell’iniziativa, Savater, Derrida, Eco, io stesso) pubblicavano, ciascuno su un grande organo di stampa del proprio paese, articoli ed editoriali sulla struttura e la vocazione “identitaria” dell’Unione europea a confronto con le istanze provenienti dal mondo della cultura e dalla società civile. Nel mio articolo discutevo questioni ancora di attualità, dall’allargamento alla Costituzione europea, dalla politica estera comunitaria alla “identità condivisa” eventualmente propria di quel progetto sempre in fieri (di una progettualità mai conclusa, per così dire) che è il processo d’integrazione europea.
Ci proponiamo allora, a sei anni di distanza, in occasione del Trattato di Lisbona e di una crisi economico-finanziaria senza precedenti, di riaggiornare quelle riflessioni, di pensare la specificità storica dell’Unione Europea e di valutare le potenzialità future del tanto declamato “modello europeo”. Un modello sempre (più) in bilico, per svariate ragioni; ma anche un modello che può tornare al centro della scena, quella continentale come quella internazionale, a patto che l’Europa riesca a compiere quel salto di qualità che in tempi ormai lontani, veri e propri alfieri del processo d’integrazione quali Altiero Spinelli invocavano per un futuro migliore, di pace, di convivenza libera e solidale. Quel salto di qualità che ancora oggi, l’Europa non ha compiuto, e che nell’attuale contesto globale, e forse è l’ultima occasione, è chiamata a compiere.
Ne discuteranno con voi, oltre al sottoscritto, intellettuali, militanti e rappresentanti politici che hanno a cuore il modello europeo, quello del passato, quello del presente e quello che verrà. Umberto Morelli, federalista, storico del processo d’integrazione europea, tratterà i temi dell’integrazione politica, e non solo economica, dell’Europa, nonché la novità rappresentata dal Trattato di Lisbona in tema di politica estera e di sicurezza comune, destinata a diventare una politica di solidarietà tra gli stati membri e di promozione dei diritti umani e dello sviluppo anche all’esterno. Un tema, quello dell’Europa come attore globale, sul quale tornerà Mariacristina Spinosa, consigliera regionale del Piemonte, impegnata dal basso, per così dire, a promuovere quelle stesse politiche delle quali l’Europa di Lisbona dovrà farsi protagonista sulla scena globale.
A Luciano Gallino, sociologo noto a voi tutti, spetta il compito di riflettere sulla riforma dell’architettura finanziaria internazionale, e sul contributo che un’Europa più coraggiosa, rispetto a quella che affronta timorosa i guasti della crisi economica e con maggior timore ancora le questioni dell’ordine economico internazionale, potrà dare alla risoluzione degli squilibri globali. Giorgio Schultze, portavoce della Marcia Mondiale per la Pace e la Nonviolenza, discuterà delle prospettive di un’integrazione più ampia e solidale, che coinvolga l’area mediterranea, e dei conflitti che in essa si svolgono, che l’Europa tende colpevolmente a lasciare ai suoi margini.
Sonia Alfano, deputata europea, tratterà il tema delle migliori prassi, uno dei cardini del modello europeo (almeno tale dovrebbe essere), e in particolare la questione dei rapporti tra politica e giustizia, facendo riferimento al triste caso italiano e al contributo che l’Europa può fornire per un’Italia che non solo non fa onore al continente, ma che anzi è in grado di minare alle fondamenta il processo stesso di coesistenza europea. Ad Antonio Di Pietro toccherà il compito di riflettere sull’”Europa che ci attende” (o forse non ci attende), sull’Europa che chiama l’Italia, come ogni altro suo paese membro, a un’assunzione di responsabilità nei confronti degli impegni che il nostro paese ha accettato di onorare fondando la nuova entità politica europea. Del modello europeo, di un modello che deve coniugare in modo nuovo l’identità del continente europeo e le esigenze sempre più complesse di una convivenza sempre più problematica, discuterà Leoluca Orlando, vicepresidente del Partito europeo dei Liberali, Democratici e Riformatori. Una convivenza difficile, che tuttavia l’Europa deve necessariamente garantire adottando standard sociali elevati, nei confronti di chi già abita la casa europea come in quelli di coloro che sono, e saranno, i nostri nuovi inquilini, provenienti da altri paesi.
La tavola rotonda (coordinata dal filosofo e amico Federico Vercellone) che animerò con Fernando Savater, filosofo di fama internazionale e attento “osservatore partecipante” del progetto d’integrazione europea, verterà sul tema della sfida, del coraggio. Il coraggio di un’Europa che deve guardare al futuro, più che al passato, che sappia lasciarsi alle spalle le tradizionali diatribe sulle origini e adotti un atteggiamento responsabile nei confronti del mondo che verrà. Un’Europa che sappia rispondere con lungimiranza ed efficacia alle aspettative di tutti noi, che svolga, perché no, una vera e propria funzione di avanguardia, anche in campo internazionale. Un’Europa che sappia essere “casa”, aperta agli altri cittadini della città mondiale. Una casa che spinga il mondo attuale a trarre esempio di quanto di buono in essa, e per suo tramite, può accadere non solo per i suoi ma per tutti gli abitanti della società globale; una casa di cui il mondo futuro che vogliamo, un mondo di cittadini responsabili, possa essere fiera.
Gianni Vattimo

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Locandina Convegno Casa Europa


Programma Convegno Casa Europa