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venerdì 24 luglio 2009

Copyright addio: siamo tutti pirati


Ecco una mia recensione che è anche una risposta a molti dei vostri commenti su questo blog. Io stesso, come si evince anche dall'articolo, mi sono impegnato a essere un parlamentare del software libero: la questione mi appassiona parecchio, e intendo essere parte attiva del movimento. Che, in primo luogo, dovrebbe effettivamente costituire, come suggerito dal movimento, un intergruppo al Parlamento europeo: sarebbe innanzitutto un segnale, e poi una possibilità di agire seriamente in un'Europa che purtroppo, sinora, si è occupata in primo luogo di quella difesa a oltranza del diritto di proprietà intellettuale che con il libero commercio ha ben poco a che fare. Tornerò sull'argomento...


Anzitutto: questo non è un libro per vecchi, come si potrebbe dire parafrasando il titolo del romanzo di Cormac McCarthy. Ma anche i lettori meno giovani che non si lasciano spaventare da alcune pagine irte di terminologia informatica finiranno per appassionarvisi come a un vero e proprio romanzo d'avventura fedele alla promessa del titolo. Avventure di pirati sono quelle che il titolo promette. E i pirati sono qui i sempre più numerosi «smanettoni» che utilizzando il loro computer, anche tra i meno sofisticati, e poche basilari conoscenza della rete (il «Web») beffano ormai da tempo le grandi compagnie di produzione e distribuzione di musica, film, video, giochi e altri prodotti di intrattenimento che possono essere trasmessi elettronicamente.

Persino il nostro attuale ministro dell'interno, in una intervista di qualche tempo fa citata in epigrafe di uno dei capitoli del libro di Luca Neri (supponiamo, di quando non era ancora ministro) confessa senza alcuna vergogna che lui la musica non la compra certo ma la «scarica» dalla rete con un procedimento che rimane illegale e che le grandi compagnie si sforzano di perseguire. E aggiunge: «Non sono mica come Bono degli U2 che fa grandi proclami per la pace nel mondo e contro le multinazionali e poi si compra le azioni di Microsoft o di Forbes e così diventa ricco. Io sono per la libera scaricabilità della musica». Maroni diceva qui - e non sappiamo se oggi lo ripeterebbe - quello che a molti di noi viene da dire spontaneamente quando leggiamo La baia dei pirati. Assalto al copyright.

Non siamo mica dalla parte delle multinazionali, il file sharing, che significa lo scambio di contenuti di tutti i tipi tra utenti che praticano un rapporto peer to peer (un rapporto da pari a pari, abbreviato in p2p) ci sembra da approvare anche per elementari ragioni politiche. Stiamo cadendo vittime di un abbaglio ideologico? Come è possibile giustificare questo che a tutti gli effetti è un furto di beni altrui, magari solo perché da piccoli ci siamo abituati a parteggiare per i pirati della Malesia contro i cattivi governatori delle colonie che li combattevano in nome dei diritti dei re europei? Ma a parte la simpatia per i pirati dei mari della Sonda o per Robin Hood, il sentirsi dalla parte degli smanettoni ha ben altre e più serie motivazioni. Che partono dalla pervasività e inarrestabilità del fenomeno, come si può vedere dalla affascinante storia che Neri racconta nel libro, nella quale, nonostante l'impegno con cui le grandi industrie distribuzione di musica, film, video ecc. si sono impegnate a combatterlo con i mezzi dell'antipirateria legale, non ha fatto che crescere esponenzialmente in questi anni.

D'accordo che ciò che in linea di principio è un crimine non può cessare di esserlo solo perché quasi tutti lo praticano. Ma la storia recente delle nostre società è piena di esempi di «crimini » che hanno cessato di essere considerati tali in base ad una adeguamento delle leggi alle pratica corrente e a nuove situazioni esistenziali. Stiamo lottando persino per far si che l'omicidio del consenziente - nel caso dell' eutanasia - non sia più penalmente punito; e ciò anche in conseguenza degli sviluppi della medicina che hanno spalancato la possibilità di tenere in vita un essere umano, anche contro sua volontà, per tempi indefiniti.

Sebbene l'esempio sia molto remoto, anche nel caso del peer to peer siamo di fronte a una innovazione tecnologica che obbliga i legislatori a fare i conti con una situazione del tutto inedita e «intrattabile» con le leggi vigenti fino ad ora. Come del resto diceva molto chiaramente il ministro Maroni nella intervista citata, la questione del copyright - che è il diritto violato dal file sharing - è molto più un problema delle multinazionali che non degli autori, degli artisti, dei creatori di quei beni che secondo i pirati dovrebbero circolare liberamente nella rete.

Neri suggerisce che già ora per molti autori di musica risulta vantaggioso far circolare in rete le loro creazioni, giacché serve da pubblicità per concerti e eventi dal vivo, che rendono economicamente più delle royalties pagate dalle grandi compagnie di distribuzione. Qualcosa del genere sembra accadere persino per il cinema, dove alla lunga sembra destinato e rinascere il gusto per il film visto in sala piuttosto che (o dopo che lo si è visto) sullo schermo del computer.

Sempre pensando agli artisti, Neri c’invita anche a riflettere sul fatto che nella situazione attuale di libera circolazione in rete, la loro libertà creativa è molto più grande di quanto non sia mai stata in passato. Non hanno più bisogno di un editore che investa capitali per far circolare le loro opere, se le possono pubblicare da sé con il loro computer. Ecco qui un altro aspetto decisamente rivoluzionario del file sharing, e un'altra ragione che stimola lo nostra simpatia. Lo sviluppo delle forze produttive, direbbe Marx, rende obsoleti i rapporti di produzione che devono essere cambiati per adeguarsi meglio alle nuove condizioni tecniche e anche «esistenziali» che si sono create. Nietzsche, dal canto suo, pensava che il problema dell'uomo di oggi è quello di innalzarsi mentalmente e spiritualmente al livello delle proprie capacità tecniche.

Anche tutto questo, e molto di più, si agita sullo sfondo delle avventure piratesche di ci parla Neri. Che sia una faccenda eminentemente e epocalmente politica (pensiamo a un terreno di cui Neri si occupa poco, quello dei brevetti farmaceutici) lo hanno capito i fondatori svedesi della baia dei pirati: hanno costituito un partito che oggi ha una rispettabile rappresentanza al Parlamento europeo. La rivoluzione è appena cominciata.

Gianni Vattimo (TuttoLibri, 18 luglio 2009)

(Luca Neri, LA BAIA DEI PIRATI. Assalto al copyright. Cooper, pp. 254, euro 12)

domenica 31 maggio 2009

Sono anch'io un candidato per il software libero

"Software libero" si riferisce alla libertà dell'utente di eseguire, copiare, distribuire, studiare, cambiare e migliorare il software. Più precisamente, esso si riferisce a quattro tipi di libertà per gli utenti del software:

- Libertà di eseguire il programma, per qualsiasi scopo (libertà 0).
- Libertà di studiare come funziona il programma e adattarlo alle proprie necessità (libertà 1). L'accesso al codice sorgente ne è un prerequisito.
- Libertà di ridistribuire copie in modo da aiutare il prossimo (libertà 2).
- Libertà di migliorare il programma e distribuirne pubblicamente i miglioramenti (e le versioni modificate in genere), in modo tale che tutta la comunità ne tragga beneficio (libertà 3). L'accesso al codice sorgente ne è un prerequisito. Un programma è software libero se l'utente ha tutte queste libertà[1].
Per approfondire clicca qui.


Il software libero è importante per l'Italia perché:
dinamizza il mercato nazionale delle PMI di servizi informatici[2];
realizza i valori costituzionalmente garantiti della libertà d'espressione e d'informazione, libertà di cultura, libertà d'iniziativa economica, uguaglianza e cooperazione[3].
beneficia la bilancia dei pagamenti[4] ed il bilancio dello stato[5].

Note
[1] Definizione tratta dal sito del progetto GNU.
[2] Mentre nel mercato del software proprietario la vendita di licenze gioca in misura fondamentale, l'economia del software libero si incentra sulla fornitura di servizi (di installazione, personalizzazione, sviluppo, modifica, manutenzione, assistenza, e formazione) che possono essere erogati da PMI. La diffusione del software libero favorisce lo sviluppo di competenze informatiche sul territorio e quindi migliora la competitività del mercato ICT nazionale e, incidentalmente, riduce la dipendenza del sistema paese dalle risorse tecnologiche estere.
[3] Vedi l'articolo “Software libero e diritti fondamentali”, che evidenzia i profili di rilievo costituzionale del software libero.
[4] Se si usa più software libero diminuisce l'acquisto di licenze software. Da ciò consegue una diminuzione delle importazioni ed un beneficio nei conti della bilancia dei pagamenti. Infatti, i maggiori fornitori di software proprietario utilizzano strategie di ottimizzazione fiscale e vendono le loro licenze dall'estero (per esempio, Microsoft vende dalla filiale Irlandese. A p. 32 delle note integrative al bilancio di Microsoft S.r.l. per l'esercizio economico 2005/2006 si legge: E' importante rilevare che Microsoft Italia non vende ai clienti i prodotti di Microsoft, in quanto le vendite sono effettuate da Microsoft Ireland Operation Limited).
[5] Quando un'impresa od un privato rinunciano ad acquistare licenze di software proprietario dall'estero ed acquistano servizi di software libero in Italia, lo stato ha un maggior introito fiscale consistente nell'imposta sul reddito pagata dall'impresa nazionale e, a cascata, nell'imposta sui redditi dei dipendenti dell'impresa, dei fornitori, ecc.

(http://www.carocandidato.org/wiki/view/what)