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lunedì 24 giugno 2013

Gianni Vattimo: maestri, amori, disperazione del fondatore del pensiero debole

“La mia vita è piena di sensi di colpa, finirò per fare il predicatore religioso”

Intervista a Gianni Vattimo di Antonio Gnoli, La Repubblica

                                                                                                                                                               Fonte: LaVanguardia.com



Ormai fa coppia fissa con Sancho. Mentre siamo a tavola davanti a un piatto di involtini primavera cucinati dalla domestica filippina — una suora laica, scoprirò più avanti — Sancho scuote pigramente la testa e guarda incuriosito l’intruso, che poi sarei io. «Non è geloso, glielo assicuro», dice Gianni Vattimo, «è solo che gli piace essere al centro dell’attenzione. I gatti sono così: un misto di curiosità, indifferenza e abitudine». La conversazione va avanti già da un po’. Prima nella penombra del salotto. Poi qui nella stanza dove ceniamo, ricompresa nel vasto appartamento torinese. C’è un poster colore rosso acido che attira la mia attenzione: ritrae Vattimo, sotto una frase di Keynes: «La repubblica dei miei sogni si colloca all'estrema sinistra della volta celeste». «Fu un dono di certi amici per i miei settant'anni», ricorda il professore.

martedì 5 febbraio 2013

Eco è sempre Eco

31/01/2013, L'Espresso
di Gianni Vattimo

Due fasi nel pensiero del grande intellettuale? No. Leggendo la raccolta degli "Scritti sul pensiero medievale", dice il filosofo, si nota la coerenza del metodo. Tomista.



Dovremo dunque riconoscere che c'è un primo Eco e un secondo Eco, così come si parla comunemente di un primo e secondo Heidegger o di un primo e secondo Wittgenstein? Una questione rilevante, perché è certo che uno degli elementi che tengono viva la ricerca su un autore, e dunque la fortuna delle sue idee, oltre alla mole del suo eventuale "Nachlass" di inediti da scoprire decifrare, pubblicare (Nietzsche, Benjamin come sommi esempi), è anche la questione dell'eventuale evoluzione o trasformazione interna del suo pensiero, con tutti i risvolti biografici e storico-generali (qui soprattutto Heidegger: il secondo Heidegger è nato con la scelta nazista?).


A tutte le ragioni della già stragrande popolarità di Eco se ne aggiunge dunque una che finora non era apparsa, e ciò accade principalmente con la pubblicazione, nella collana Bompiani del Pensiero occidentale diretta da Giovanni Reale, dei suoi "Scritti sul pensiero medievale". Sono 1.332 pagine di testi che, partendo dalla tesi di laurea (uscita nel 1956) su "Il problema estetico in Tommaso d'Aquino" (discussa a Torino sotto la guida di Luigi Pareyson) e fino alla "Intervista (immaginaria) a Tommaso d'Aquino" per il "Corriere della Sera", (2010) includono tutto (o solo probabilmente tutto) l'Eco medievalista, costituendo una sorpresa non solo per i lettori dei suoi scritti più recenti (filosofia, semiotica, romanzi, giornali, enciclopedie e storie della cultura) ma anche per coloro che lo hanno seguito fin dagli inizi della sua carriera di pensatore. (Sia detto tra parentesi, chi scrive fu uno dei primi recensori del libro su San Tommaso e degli studi sull'Estetica medievale negli anni Cinquanta del secolo-millennio scorso. "Quantum mutatus ab illo", dice Enea a Ettore nell'Eneide).

giovedì 5 aprile 2012

Barcellona, in memoria di Gadamer

Coincidiendo con la conmemoración de los 10 años desde la muerte de H.-G. Gadamer se celebró en la Universidad de Barcelona un coloquio, dirigido por Manuel Cruz, entre Emilio Lledó y Gianni Vattimo sobre la figura filosófica del autor de Verdad y método.

La editorial Herder, en su página de facebook, ofrece el enlace a un video de este acto de homenaje a Gadamer. 



Lledó y Vattimo evocan la figura de Gadamer a los 10 años de su muerte 
Manuel Cruz enfatiza la influencia del pensador alemán en el pensamiento contemporáneo 
Cataluña en EL PAÍS, Francesc Arroyo Barcelona 11 MAR 2012 - 21:31 CET 

Emilio Lledó (Sevilla, 1927) y Gianni Vattimo (Turín, 1936) tienen mucho en común. Para empezar, ambos han dedicado su vida a la filosofía. Ambos han escrito libros y artículos, han seguido exitosas carreras universitarias y tienen otra cosa en común: estudiaron con Georg Gadamer (Marburgo, 1900-Heidelberg, 2002). Esta semana se cumplirán 10 años de la muerte del pensador alemán y dos de sus discípulos más famosos recordaron cómo era, cómo lo conocieron, como les influyó. Es, desde luego, uno noticia, pero seguramente es más noticia (por lo insólito) que el aula inicialmente prevista se quedara pequeña para la multitud que asistió al coloquio el pasado jueves en la Facultad de Filosofía de la Universidad de Barcelona. Hubo que habilitar el Aula Magna y aun esta se quedó pequeña.
Empezó Lledó, que volvía a hablar a los estudiantes en la que, durante 11 años, fuera su universidad, antes de abandonarla para viajar a Madrid, en 1978. Recordó aquellos años, el patio de la facultad de letras, donde, dijo, “latía la vida”, y lo hizo desde una convicción, que enlazaba con su relación con Gadamer: “Somos memoria y amistad”. Lledó llegó a Heidelberg en 1953 y Vattimo más de una decena de años más tarde. Los dos tenían un alemán rudimentario, pero ansias de aprender. “Yo conocía a Lledó por las bibliografías”, dijo Vattimo. Cuando preparaba un estudio de licenciatura sobre Aristóteles, entre los textos que leer había uno del estudioso español sobre la Grecia clásica.
El interés por la filología griega unía a Gadamer y a Lledó y fue también el punto de conexión entre el joven estudiante español y Martin Heidegger, que había sido profesor de Gadamer y que acudió algunas veces a su casa a participar en un “círculo aristotélico” en el que se leían obras del estagirita. Vattimo, en cambio, estaba más interesado en Heidegger, directamente, pero su relación con Gadamer fue también fructífera. Para empezar, acometió la primera traducción de su principal obra, Verdad y método, luego las cosas siguieron y ambos mantuvieron una larga amistad. “Gadamer es para mí un modelo de vida y de muerte”, dijo, aseguró Vattimo, que recordó la vitalidad de su maestro y su capacidad para gozar incluso en el momento en que se celebró su centenario.
También Lledó evocó al “gozoso” Gadamer y largas conversaciones con él, algunas hasta la madrugada, en Nápoles, en torno a unas copas de grapa, cuando el alemán tenía ya más de 90 años. Y, sobre todo, cómo le enseñó a percibir el “latido filosófico en las palabras”, para pedir a los estudiantes, a continuación, que rechacen las propuestas de una universidad que forma para trabajar y ganar dinero y defiendan una academia que estimule el entusiasmo por las ideas y el proceso de aprendizaje.
El presentador del acto, Manuel Cruz, enfatizó la influencia de Gadamer en el pensamiento contemporáneo y su capacidad para estimular a sus discípulos para seguir un camino propio.

Gadamer, Lledó, Vattimo: filósofos en la intimidad

Por: | 14 de marzo de 2012
Georg Gadamer (1900-2002), discípulo de Heidegger, filósofo y maestro de una pléyade de pensadores contemporáneos, murió el 13 de marzo de 2002, a los 102 años de edad. Dos de sus discípulos, el español Emilio Lledó, y el italiano Gianni Vattimo, revisaron su obra en un diálogo moderado por el catedrático de la Universidad de Barcelona Manuel Cruz. Éste los invitó a hablar y ellos lo hicieron. Lo que sigue es un amplio extracto de la charla, muy centrada, en apariencia, en aspectos de la relación privada pero que trasciende ampliamente el ámbito de lo personal.

martedì 24 agosto 2010

Sul sentiero dei filosofi, due virgole cambiano tutto

Un altro consiglio di viaggio, dal mio articolo su La Stampa di ieri.

“Il Philosophenweg è un sentiero lungo circa due chilometri, che sale dal quartiere Neuenheim di Heidelberg verso l’altura dello Heiliger Berg”. Sono le prime righe del breve articolo che chiunque può trovare in Wikipedia, e al quale ho dovuto ricorrere per rinfrescare la mia memoria circa un luogo che per anni mi è rimasto in mente accentuando sempre più i suoi caratteri mitici e perdendo parallelamente ogni concretezza. Al punto che oggi, per arrivare ad imboccarlo, dovrei chiedere indicazioni.

Quando arrivo a Heidelberg (è già la seconda volta, ci sono stato due anni prima per un breve corso estivo) è il mese di ottobre del 1963. Sono titolare di una borsa della Fondazione Alexander von Humboldt - una delle più prestigiose e certo tra le più ricche – e mi preparo a passare almeno un anno, ma saranno poi due, seguendo i corsi di Hans Georg Gadamer, di Karl Loewith, e di Juergen Habermas da poco nominato in quella università. Poiché me lo posso permettere, cerco casa in uno dei quartieri più belli della città vecchia, subito al di là dell’Alte Bruecke, il ponte vecchio che scavalca il Neckar e conduce anche verso il Philosophenweg. Già da vari mesi ho cominciato a studiare Heidegger (mia madre resterà sempre incerta se studio Heidegger a Heidelberg oppure Heidelberg a Heidegger..) e il poeta che lui predilige, Friedrich Hoelderlin. Direi che i quel momento sono affetto da una ammirazione quasi patologica per la cultura tedesca: quando apro Hoelderlin provo una sorta di emozione fisica, il cuore in gola di chi si accosta a un sancta sanctorum. E sul Philosophenweg, che una delle prime sere comincio a salire, c’è anche un punto con una Hoelderlinstein, una pietra che segna il luogo da cui Hoelderlin ammirò il panorama della città vecchia ispirandovi una sua famosa poesia . Non ricordo di averla vista davvero; mi torna in mente la delusione provata quando, sul lago di Silvaplana, raggiunsi la “Pietra dell’eterno ritorno”, il luogo dove Nietzsche ebbe la rivelazione della idea che dominò da allora in poi tutto il suo pensiero: un sasso quasi invisibile, che sfuggirebbe al viandante se non ci fosse una scritta....Ma i filosofi a cui è intitolato il sentiero? Non sono i grandi classici tedeschi (ci sarà passato almeno Hegel, certo, che insegnò qui; e più di recente Max Weber, la cui casa si affacciava sul Neckar sotto la collina su cui si arrampica la strada). Il nome allude agli studenti che usavano passeggiarvi, spesso non solo in compagnia dei libri; e che, secondo un uso ottocentesco, erano tutti, almeno all’inizio, studenti di filosofia (Così come oggi chi compia il terzo ciclo di studi in una università americana, fosse pure un geografo o un chimico, è un PhD, Philosophiae Doctor). Anche di studenti, però, in quel mese di ottobre ne incontro pochi: i corsi cominciano a novembre, la città non è ancora così animata come sarà nel corso del semestre. Oltre a leggere Hoelderlin e Heidegger, vado solo a trovare Gadamer; che abita in collina, tanto che sulle prime mi immagino che viva appunto sul Philosophenweg, il che per la mia mitologia personale sarebbe il massimo. Ma no, sta da un’altra parte della collina; dove, invitato a cena, arrivo (con il mio mazzo di rose per la signora, Frau Professor) con un giorno netto di ritardo. Conosco le parole Samstag e Sonntag, sabato e domenica. Ma non ancora Sonnabend, che è altro termine per sabato. Risultato, credo di dover andare la domenica (Sonntag) sera (Abend). Gadamer mi ricorderà l’episodio anni dopo, quella sera lo stufato di cervo mi aspettava comunque. Del resto,mentre seguo benissimo le sue lezioni pubbliche, non sempre sono sicuro di capire quello che Gadamer mi dice nei colloqui privati; credo anche per la sua abitudine di intercalare espressioni del tedesco parlato: sowieso, kaum (appena appena, a stento, non proprio ma..)..Ancora oggi non mi fido di questo kaum, e anche Sonnabend continuo a sfuggirlo. Ma intanto, aveva allora 63 anni, Gadamer comincia a imparare l’italiano, e preferisce che io gli parli nella mia lingua. La kaum-frage, la questione del kaum, però, si riproduce in termini diversi: non sempre capisco il suo italiano Anche per questo le nostre conversazioni sono spesso lunghissime: discutiamo della mia traduzione del suo libro Wahrheit und Methode, che concluderò solo alla fine degli anni Sessanta, e che, edita da Fabbri e poi da Bompiani, rimarrà per vari anni l’unica traduzione esistente.

Tutto questo e molto altro evoca in me il Philosophenweg. A dimostrazione che tutto, o quasi, sta nei nomi: “l’essere che può venir compreso è linguaggio”, è una delle tesi centrali di Verità e metodo , su cui, anche guardando dall’alto della collina il Philosophenweg, ho avuto il privilegio di discutere con Gadamer : mettere o no tra due virgole la proposizione relativa, come in tedesco non si può non fare? Se ne è discusso ancora il giorno del centesimo compleanno del maestro, nella vecchia aula magna di Hedelberg, In italiano le virgole cambiano tutto: “L’essere, che può venir compreso, è linguaggio” – significa “tutto l’essere”. Senza le virgole, invece, solo quell’essere che può venir compreso è linguaggio; ma finisce per sembrare una tautologia. Temo che Gadamer, da buon pensatore moderato che non voleva urtarsi troppo con i “realisti”, tendesse a preferire l’italiano senza virgole, Ma io pensavo e penso che il suo, nostro, ispiratore Heidegger sarebbe stato per la versione più radicale, con le virgole.

Ma torniamo al Philosophenweg. Che di per sé non è molto diverso da tanti sentieri della collina torinese. Dunque (una prova che ci vogliono le virgole?) tutto sta nel nome. E non so nemmeno se, nominandolo in italiano, avrebbe per me la stessa suggestione. Sempre ancora con il mio cuore in gola appena avvicino la lingua di Hoelderlin e di Heidegger.