Goodbye postmoderno
La sua fine su “Prospect”
Corrado Ocone - Il riformista, 30 agosto 2011
Jean François Lyotard |
Ma cosa è stato propriamente il postmoderno? Da un punto di vista filosofico, possiamo dire che si è trattato di una reazione alla fine di quelle “grandi narrazioni” che secondo Lyotard, autore nel 1979 del fortunato pamphlet su La condizione postmoderna avrebbero caratterizzato la modernità (in pratica, tutte le grandi ideologie, dal marxismo al progressismo borghese, dal liberalismo classico al cristianesimo politico). In verità, si è trattato di una imponente operazione di messa in scacco dei classici concetti di verità e realtà su cui si è costruito il pensiero occidentale. Ciò è avvenuto mediante un processo di “decostruzione”, una parola chiave del lessico postmoderno (al centro del pensiero di un filosofo solo parzialmente assimilabile alla temperie quale Derrida): grazie cioè alla messa in luce degli elementi “impuri” che sono alla base dei concetti giudicati “alti” o “nobili” dalla nostra tradizione (Nietzsche, sicuramente un progenitore di questo modo di pensare, aveva parlato di “genealogia della morale”). Si è perciò parlato addirittura della “violenza” del concetto di verità, dei meccanismi di potere che ne sarebbero alla base e che avrebbero dato una giustificazione morale, ad esempio, alla nostra arroganza verso i popoli non occidentali. Da questo punto di vista la stessa realtà è un meccanismo di dominio con la cui falsa cogenza si sono tarpate le ali alla fantasia, alla creatività, alla capacità di ricrearci il mondo secondo i nostri desideri (per i postmodernisti, l’uomo è soprattutto un essere desiderante). La strategia di risposta postmodernista è stata la spettacolarizzazione o virtualizzazione del reale, e quindi l’indistinzione sempre piu marcata fra il vero e il falso, fra l’essere e l’apparire (un processo favorito in qualche modo dall’avanzare di Internet o da spettacoli televisivi tipo “Il grande fratello”, tipicamente postmoderni); la fine delle sintesi unitarie e una spiccata propensione alla frammentazione sia nella costruzione del sapere sia delle identità personali (le quali possono essere continuamente cambiate quasi fossero degli abiti); la fine di ogni gerarchizzazione, anche e soprattutto nell’ambito culturale, ove la pop culture, mettiamo Madonna, un’altra icona postmoderna, ha la stessa dignità di Dante o Shakespeare. Strategia tipicamente postmoderna è stata poi l’ironia, teorizzata dal filosofo americano Rorty: una sorta di presa in giro dei valori attraverso il sarcarsmo, ma sostanzialmente un comportamento di vita deresponsabilizzante che non prende sul serio niente e nessuno.
Milton Friedman |
Visto da questo angolo prospettico, il postmodernismo culturale sembrerebbe avallare la vecchia tesi marxiana della ideologia come sovrastruttura. Quale più funzionale alleato del mercatismo aggressivo di un pensiero in disarmo che predica la fine della verità e della realtà, e in sostanza dello spirito critico?
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