sabato 5 novembre 2011

Dibattito pensiero debole-new realism: Sull'autenticità della decisione


Realisti o postmodernisti? Meglio l'autenticità della decisione 
Giacomo Pisani
GoBari.it, 3 novembre 2011 

Il dibattito filosofico fra “pensiero debole” e “nuovo realismo”, inaugurato la scorsa estate da Gianni Vattimo e Maurizio Ferraris, ha chiamato in causa alcuni dei più grandi filosofi italiani. Alcuni di questi hanno trovato nuovi spunti all’interno dello spazio teorico aperto dalla riflessione di Costantino Esposito, “E l’esistenza diventa una immensa certezza”, al Meeting di Rimini per l’amicizia tra i popoli, il 23 Agosto 2011, la quale ha fatto scaturire un’interessante discussione sulle pagine de “Il Sussidiario”.

Riprendendo brevemente alcune delle posizioni in gioco, secondo quanto Vattimo sostiene già dagli anni ’80, nella società dei media si diffonde un clima di precarietà, superficialità, che tende ad “erodere” il principio di realtà per fondare una nuova esperienza della verità, basata sulla pluralità, in cui “la realtà si presenta con caratteri più molli e fluidi, e in cui l’esperienza può acquisire i tratti dell’oscillazione, dello spaesamento, del gioco”. E’ questo carattere a far scorgere a Vattimo il potenziale emancipativo della comunicazione generalizzata, che delinea l’impianto strutturale della società postmoderna. A parere di Vattimo, l’ultimo limite alla derealizzazione totale, è costituito dal mercato e dalle “leggi” dell’economia. In essi, “il reale si fa ancora troppo, e indebitamente, valere”.
Ma il disperdersi dell’uomo nelle possibilità che di volta in volta si intrecciano, implicate nella struttura reticolare in cui consiste la società postmoderna, comporta l’adesione del soggetto ad un nuovo “principio di realtà”, quello costituito dall’aspetto pubblico delle cose, dei fatti, degli accadimenti, se non passa attraverso la messa in discussione del proprio stesso orizzonte conoscitivo. L’apertura del soggetto al reale resta fissata nei termini della pubblicità del mondo dei media, e si traduce nella rottura del rapporto che fa cor-rispondere dialetticamente il soggetto alla propria storia. In tal modo, l’uomo postmoderno è escluso da un’autentica decisione sul mondo e sulla propria stessa esistenza, e sprofonda al rango di attivatore neutrale.

Ciò che ci sembra, invece, più di ogni altra cosa, poter rimetter in gioco il soggetto nella sfida col reale, è il rapporto con l’alterità irriducibile, il confronto autentico, in cui l’interesse penetra nelle ragioni dell’altro per rivedervi un gioco di invocazioni e di valutazioni, di sfide e di richiami. Un gioco in cui è egli stesso ad essere coinvolto, quando la certezza ingenua, irriflessa, in cui si sedimenta quell’esposizione costitutiva dell’uomo al reale, si ricama di irrequietudine, cade in preda alla tensione. In tale rapporto, il soggetto ritrova davvero un’immensa certezza: quella di esserci, di poter imprimere al mondo il piglio della propria identità, senza disperderla negli spazi neutri ai margini del mondo, in cui si finisce per vivere comodamente nell’anonimato. L’uomo coglie finalmente il reale stesso come luogo privilegiato non della chiacchiera postmoderna, ripiegata in sé per rassicurarsi e vivere nell’illusione di appartenere solo a se stessa, ma delle scelte. Uno spazio per nulla neutrale, un mondo carico di vita. L’altro, insinuandosi al fondo delle nostre sicurezze, facendole vacillare di fronte alla propria incommensurabilità, apre uno spazio di scelta e ridefinizione, erode piano gli argini del nostro orizzonte culturale non per annullarlo, il che significherebbe trasporre l’adesione conoscitiva del soggetto presso un nuovo assoluto inespugnabile. Piuttosto, ci permette di assumere la storicità del nostro orizzonte culturale, che costituisce la condizione pregiudiziale della sua apertura.

E in tale apertura, il reale torna in questione, come parte costitutiva dell’esistenza. Il rapporto tra soggetto e realtà, dunque, si ricuce nello spazio della decisione e dell’autenticità, già invocate da Corrado Ocone. Ma per autenticità non intendiamo un ritorno nostalgico ad un’aurora originaria, in cui si conserva la natura genuina delle cose, dei fatti, dei fenomeni. Piuttosto, designiamo, in senso heideggeriano, la condizione esistenziale in cui il soggetto torna ad assumere la propria storicità, per sottrarsi all’anonimato a cui è condannato nella società dei media e dei consumi, della neutralità e dell’annullamento dell’identità, per tornare a porre l’accento sull’ “io”. Per non relegare la domanda di senso a quel grido disperato che pervade le possibilità indifferenti del postmoderno, in cui esplode tragicamente quando, ormai mortificata, rifluisce nell’esasperazione, nel disturbo psichico ed esistenziale, e per fare invece di quella stessa domanda la cifra dell’esistenza, il crisma della postmodernità.

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