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lunedì 24 giugno 2013

Gianni Vattimo: maestri, amori, disperazione del fondatore del pensiero debole

“La mia vita è piena di sensi di colpa, finirò per fare il predicatore religioso”

Intervista a Gianni Vattimo di Antonio Gnoli, La Repubblica

                                                                                                                                                               Fonte: LaVanguardia.com



Ormai fa coppia fissa con Sancho. Mentre siamo a tavola davanti a un piatto di involtini primavera cucinati dalla domestica filippina — una suora laica, scoprirò più avanti — Sancho scuote pigramente la testa e guarda incuriosito l’intruso, che poi sarei io. «Non è geloso, glielo assicuro», dice Gianni Vattimo, «è solo che gli piace essere al centro dell’attenzione. I gatti sono così: un misto di curiosità, indifferenza e abitudine». La conversazione va avanti già da un po’. Prima nella penombra del salotto. Poi qui nella stanza dove ceniamo, ricompresa nel vasto appartamento torinese. C’è un poster colore rosso acido che attira la mia attenzione: ritrae Vattimo, sotto una frase di Keynes: «La repubblica dei miei sogni si colloca all'estrema sinistra della volta celeste». «Fu un dono di certi amici per i miei settant'anni», ricorda il professore.

martedì 18 giugno 2013

“La Chiesa dovrebbe superare le ipocrisie sulla sessualità”

Breve intervista a Gianni Vattimo, a cura di Marco Neirotti
in La Stampa del 13 giugno 2013

                                                                                         Fonte: godandpoliticsuk.org

Il filosofo Gianni Vattimo, parlamentare europeo eletto con l’Italia dei Valori, guarda con attenzione e su diversi piani la frase di Papa Francesco sulla «lobby gay». Sono in realtà poche parole, dette durante un’udienza privata e appaiono più che altro conferma di una voce diffusa e giunta concretamente fino a lui.

lunedì 17 giugno 2013

Non c'è Ragione senza Dio

di Gianni Vattimo, L'Espresso

Il filosofo seicentesco Baruch Spinoza

Che cosa (diavolo) è l’Illuminismo?
Il titolo del breve saggio di Kant, che fa consistere l’Illuminismo nell'uscita della ragione umana dallo stato di minorità merita di essere preso, in questa forma leggermente modificata dalla parentesi, come guida per la lettura del recente libro di Steven Nadler dedicato al "Tractatus teologico-politicus" di Spinoza, e significativamente intitolato "Un libro forgiato all'inferno". 

mercoledì 10 aprile 2013

L'Italia laica fa sentire la sua voce



A Reggio Emilia tutto pronto per le “Giornate della Laicità“, la manifestazione d’approfondimento culturale in programma dal 19 al 21 aprile 2013.

Un momento di discussione ed elaborazione del pensiero e dei concetti di democrazia e cittadinanza libera, organizzato da Iniziativa Laica in collaborazione con Arci Reggio Emilia, Politeia – Centro per la ricerca e la formazione in politica ed etica e Fondazione Critica Liberale. Dopo il successo delle precedenti edizioni, il Festival quest’anno sarà incentrato sul tema “Diritti al futuro – Un’Italia laica sarebbe certamente migliore”, e articolato in 16 incontri che vedranno la partecipazione di alcuni tra i più importanti pensatori del nostro paese, esponenti del mondo culturale, filosofico e scientifico, laico e religioso: tra questi, Stefano Rodotà, Enzo Marzo, Chiara Saraceno, Curzio Maltese, Eugenio Lecaldano, Marilisa D’Amico, Silvia Finzi, Carlo Alberto Redi, Simona Argentieri, Patrizia Borsellino, Gianni Vattimo e molti altri ancora.

mercoledì 27 marzo 2013

Miedo al cambio

Entrevista a Gianni Vattimo por Christian Riavale, Noticias

El incisivo filósofo cristiano analiza riesgos y limitaciones de una reforma franciscana de la Iglesia. Tabúes sexuales y fortuna sucia.


Gianni Vattimo

La elección de Jorge Mario Bergoglio al frente del Vaticano puede abrir un período de aggiornamento de la Iglesia similar al que se produjo durante el pontificado de Juan XXIII. Ese es el diagnóstico que formula el filósofo Cristiano Gianni Vattimo (77), autor –entre otros– de un famoso libro sobre “El futuro de la religión”. En vísperas de un viaje a Buenos Aires (que comenzará el 2 de abril y concluirá el 12, invitado por la Fedun y coordinado por el Departamento de Audiovisuales del IUNA), Vattimo reflexionó sobre los grandes desafíos que debe resolver el Papa Francisco a fin de revivificar la Iglesia y restablecer un vínculo de confianza con la sociedad.

lunedì 25 marzo 2013

Il futuro della religione

In questi giorni post-conclave, nell'ambito del dibattito sul futuro della religione, vi ripropongo qui di seguito il mio intervento su tale argomento al Festival della Filosofia di Torino del 2007. 


 

Per vedere il video dell'intervista clicca qui (UniNettuno.tv)


Il futuro della religione di R. Rorty, G. Vattimo, S. Zabala (Garzanti, 2005)

domenica 24 marzo 2013

"La teologia del quotidiano è l'unica possibile"


Intervista a Gianni Vattimo, La Nacion

Para la version en español, clique aquì

Jorge Mario Bergoglio, Papa Francesco

Durante la sua visita in Argentina dell’anno scorso ci aveva spiegato che, secondo lei, una speranza di cambiamento andrebbe cercata in America Latina. L’elezione al soglio pontificio dell’Arcivescovo di Buenos Aires, Cardinale Jorge Bergoglio, successore di Benedetto XVI con il nome di Francesco, va in questa direzione?
Penso di sì, anche se la speranza del cambiamento che può venire da Papa Francesco è abbastanza vaga come quella che mi aspettavo e mi aspetto dall’America Latina per l’Europa e il mondo: più un grande esempio che un fatto preciso. Come il fatto che ci siano Lula,Chavez, Morales, non significa un cambio immediato nella nostra politica europea, ma qualcosa che ha da fare con il clima generale. Ora sappiamo che non c’è più solo il potere imperialistico nel mondo. Così Papa Bergoglio: la Chiesa non è più soltanto il luogo del dogma, della repressione sessuale, della ricchezza, e della corruzione bancaria romana; si avvicina un  po’ di più a ciò che abbiamo sperato da Cristo: misericordia, vicinanza, anche tenerezza.

mercoledì 13 marzo 2013

Anche Cristo si dimetterebbe

Intervista a Gianni Vattimo di Gianni Carta, CartaCapital
Para a versão em Português clique aqui


Appassionato lettore di Nietzsche e Gramsci, il filosofo Gianni Vattimo ha scritto diversi libri sulla religione, come Il futuro della religione. Carità, ironia, solidarietà (Garzanti, 2005). Secondo Vattimo, dimettersi “è una delle cose migliori che un papa può fare” perché la Chiesa cattolica deve recuperare senso cristiano.

CartaCapitalHa detto che la rinuncia del papa è stata un affare italiano. Perché italiano?
Gianni Vattimo: Italiano nel senso che, purtroppo, una grandissima parte delle questioni che riguardano il pontefice e che verosimilmente sono entrate in gioco nella sua decisione di rinunciare sono italiane. Tutte le notizie di Vatileaks, incluse quelle sulla banca vaticana, riguardano la Chiesa cattolica in generale ma hanno le loro radici a Roma. Inoltre, l’affare è soprattutto italiano perché tutto è successo in Italia.

sabato 2 marzo 2013

L'atto rivoluzionario del Papa


01/03/2013, L'Indro
Colloquio con Gianni Vattimo di Carlo Baghetti

Con la spettacolare uscita di scena avvenuta l'altro ieri di Benedetto XVI, il vicario di Cristo infrange irrimediabilmente la sua immagine di cocchiere infallibile per assumere tratti molto più fragili e contemporanei. Gianni Vattimo, teorico del pensiero debole che ha avuto il merito di introdurre in Italia il dibattito sul postmoderno - inteso come accettazione dell’errore, del caduco e dell’effimero - ci ha rilasciato alcune dichiarazioni in merito all’uscita di scena di Benedetto XVI, il 'Papa emerito'.



Cosa rappresenta per la sfera politica questa abdicazione senza eredi?

È un atto profondamente rivoluzionario. Non so cosa rappresenta per gli altri, nella sfera pubblica, ma per me è una tentazione ad imitarlo. Ho dubitato che fosse un segno del cielo, che mi invitava a lasciar perdere la politica o comunque fosse un invito a ritirarmi nello studio o nella meditazione, se non proprio nella preghiera.
Si è mai visto il presidente dell’IBM che si dimette? O qualcuno di qualche grande corporation? In questi casi si va in pensione non ci si dimette. Le dimissioni richiamano una differenza a cui non siamo più abituati tra la vita personale, coscienza, impegno, vocazione e la funzione sociale. Molto spesso i cristiani si sono domandati: “Ma il Papa ci crede?”. Molti papi possono aver avuto crisi simili, ma ci sono passati sopra. Per esempio, se Bersani diventasse monarchico si dimetterebbe? Mah...

In che modo può cambiare il rapporto tra coscienza e istituzione avendo stabilito questo precedente?

Potrebbe rendere l’istituzione un po’ meno solida, quindi meno funzionale rispetto agli obblighi terreni. La vecchia contraddizione per cui il clero predica la povertà e poi sono tutti straricchi, abitano in palazzi magnifici, sono vestiti da satrapi rende il rapporto ancora più complicato. La storia del cristianesimo è questa, come il problema della Donazione di Costantino, come il problema tra Chiesa e Stato: sei lì, eserciti un potere, ma lo fai in nome di una salvezza interiore. Devi predicare agli altri, ma fino a che punto è giustificato che tu hai le guardie svizzere, i gendarmi pontifici, la banca, lo IOR? Non è una cosa indifferente.

mercoledì 18 luglio 2012

Ma non è nella natura che si scopre il divino


Ma non è nella natura che si scopre il divino

La Stampa, 5 luglio 2012
di Gianni Vattimo
 
Sarà pur vero che l’evento - solo cosi lo si può chiamare - che ha rotto la quiete uniforme del «tutto» prima della nascita delle cose ha avuto un peso decisivo nel prodursi di quella differenziazione di particelle da cui e’ cominciato, per ciò che ne sappiamo, il corso dell’evoluzione di cui, bene o male che sia, noi siamo per ora il punto di arrivo. Ma parlare del bosone di Higgs come se fosse Dio è davvero un po’ troppo. Non perché si tratti di una bestemmia («Dio bosone» è sicuramente un’espressione che fino a oggi non era venuta ancora in mente a nessun ateo blasfemo, per quanto dotto e accanito). Semmai, esprime un atteggiamento mentale che non ha più quasi alcun ascolto presso teologi, filosofi, uomini di fede. Riflette infatti la convinzione che Dio si possa in qualche modo scoprire in questo o quell’ aspetto della natura. Ma da quando Gagarin, spedito nel cosmo con la navicella, ovviamente atea, dell’Urss ha potuto esplorare il cielo senza trovare Dio, questa aspettativa «positivista» ha perso ogni senso, se mai ne ha avuto uno. Le cinque vie classiche di San Tommaso - quelle che «dimostravano» l’esistenza di Dio a partire dal mondo, di cui Dio sarebbe la causa prima o il motore ultimo - erano bensì molto più sofisticate dell’ ingenuo ateismo di Krusciov; ma anche loro hanno resistito poco all’affermarsi progressivo del convenzionalismo scientifico moderno. Ormai attribuiamo solo all’uomo primitivo - quello per il quale il tuono o il fulmine sono opera di un qualche soggetto supremo l’idea che il mondo materiale debba essere stato prodotto da una volontà originaria ritenuta onnipotente. San Tommaso stesso osservava che dal punto di vista di Aristotele sarebbe stato molto più razionale pensare al mondo come eterno. Se no come avrebbe potuto, una volontà perfetta e sottratta al divenire, e cioè immutabile, decidere, a un certo punto, di crearlo? Il racconto della creazione è un contenuto della fede, cui si crede (chi ci crede) come a un mito fondatore della nostra esistenza individuale e sociale che accettiamo perché sentiamo che senza di esso perderebbe ogni senso ciò che pensiamo e facciamo. Ma quanto a parlarne in termini di scienza fisica non ci prova ormai più nessuno.



Se anche dobbiamo pensare che il bosone di Higgs non c’entra niente con Dio, è però vero che scoperte come quella di oggi hanno un potente riflesso sulla nostra vita, sulla visione del mondo, dunque anche sulla nostra religiosità. E’ una specie di effetto che possiamo solo chiamare «neutralizzante» rispetto alla nostra storia vissuta. Come confrontare i pochi millenni della storia della specie umana con gli sterminati orizzonti delle ere geologiche, del formarsi del cosmo fisico e, appunto, con i minuti seguiti al big bang. La scienza moderna, del resto, si è formata anche e soprattutto criticando il racconto della Genesi, anzitutto contestando il geocentrismo biblico (ricordate il Galileo di Brecht, che ispira a molti l’idea che tutto ormai sia permesso). E ciò non solo per la sconsiderata volontà delle autorità religiose di difendere una cosmologia «rivelata» che veniva progressivamente dissolvendosi; ma anche e soprattutto perché, effettivamente, non era e non è facile pensare alla nostra storia umana in termini di storia della salvezza o anche solo, in termini laici, come storia della civilizzazione, e insieme alla nostra posizione nel cosmo, un battito d’ali di farfalla destinato a durare un attimo e a essere inghiottito dal silenzio cosmico. L’ostinazione con cui la Chiesa ha sempre tentato di contrastare la cosmologia moderna e il suo spirito illuministico riflette la preoccupazione, non così irragionevole, di conservare un senso alla storia umana - e dunque all’etica, alla politica, alla società - di contro al senso nichilistico, leopardiano, suscitato dal sentimento dell’infinito cosmico. Non c’è un’uscita consolante e pacificante da questo dilemma. Noi siamo - storicamente - quell’umanità che ha anche scoperto, se cosi è, il bosone di Higgs; ma questa scoperta è un momento della nostra storia. Non è una constatazione risolutiva, ma è con questa condizione duplice, librata tra storia e natura che dobbiamo fare i conti. 
 

lunedì 11 giugno 2012

Vattimo: “Soy un cristiano heterodoxo y nostálgico”

Vattimo: “Soy un cristiano heterodoxo y nostálgico”

Revista Criterio, n. 2382, Jnio 2012; por Poirier, José María - Ryan, Romina

El filósofo italiano Gianni Vattimo afirma que no existen los hechos sino las interpretaciones y que los conceptos absolutos no son viables en la Posmodernidad. Como en años anteriores, Gianni Vattimo visitó Buenos Aires y la Feria del Libro, donde además de dictar una divertida conferencia presentó su libro Della realtà. Fini della filosofia, una compilación de los últimos 15 años de trabajo universitario. Profesor emérito, en la actualidad es representante en el Parlamento Europeo del partido Italia de los Valores, cuyo líder es Antonio Di Pietro, “el único partido de oposición auténtica a Berlusconi y ahora a Monti”, explicó en diálogo con CRITERIO.
–Algunos dicen que hay un Vattimo anterior a la obra Creer que se cree y uno posterior; otros dicen que hay varios. ¿Cuántos Vattimo hay?
–Me gusta muchísimo que se diga que hay diferentes Vattimo, porque eso sucede sólo con algunos grandes filósofos como Heiddeger, Wittgenstein oNiezschte… Yo, sin embargo, creo que hay una continuidad en mi historia intelectual. Cuando terminé mis estudios en la escuela superior decidí inscribirme en la carrera de Filosofía por intereses teológicos y políticos. Más tarde comprendí que como inquietud religiosabuscaba lo que más tarde se llamó Posmodernidad, la idea de poder construir un pensamiento filosófico no tomista, no demasiado tradicionalista, pero sí cristiano. Siempre digo que soy un “cato-comunista”, un católico de izquierda. Si tenemos que hablar de rupturas, en mi historia la primera fue en 1968. Si bien no participé en el movimiento estudiantil, tenía muchos amigos allí. En ese momentoya era catedrático en Turín, gracias al apoyo de una mayoría de católicos de derecha y debido a la influencia del profesor que dirigía mis estudios. Pero después de tres meses alejado de la universidad e internado en un hospital por un problema de salud, al regresar me di cuenta de que había devenido maoísta. Cuando hablé con mi profesor y amigo me dijo: “¿Cómo? ¿Y ahora me lo dices? ¡Qué problema! ¿Qué hago?”. “¡Es que ha sucedido ayer!”, le expliqué. En ese período de enfermedad había leído a Herbert Marcuse, al griego KostasAxelos que había escrito Marx, pensador de la técnica, es decir que se empezaba a reconocer una conexión entre al antitecnicismo de Heidegger y el anticapitalismo de Marx, y aún sigo creyendo que se puede ser marxista o comunista siendo hegeliano. El último libro mío traducido al inglés, HermeneuticCommunism, tiene como subtítulo “De Heidegger a Marx”.
Una primera ruptura entonces sucedió en 1968, cuando se convierte en maoísta. ¿Y después?
–En 1974 se publicó mi libro sobre Nietzsche, escrito entre 1968 y 1972, que era absolutamente revolucionario en tanto el asunto principal eraunir la aspiración revolucionaria de la burguesía –la liberación del sujeto, la liberación sexual, el divorcio– con la revolución proletaria, que era básicamente económica. Obviamente Nietzsche no fue revolucionario en lo personal, pero muchas de sus ideas pueden ser utilizadas en ese sentido. Ese año fue también muy interesante porque empecé a trabajar en estos pensamientos de transformación socio-cultural inspirados por Nietzsche y Heidegger juntos y, finalmente, todo el desarrollo sucesivo fue la elaboración de la conexión entre ambos, algo que ellos nunca hubieran pensado. Cuando algo se combina es difícil distinguirlo de lo que viene después. En este sentido, el conocimiento personal con los estudiantes más radicales se convirtió para mí en una manera de tomar distancia del terrorismo italiano, muy presente en aquellos años. Un día, por ejemplo, uno de mis discípulos me dijo que habían arrestado a un estudiante en Bolonia sólo porque tenía mi número telefónico en su agenda. En 1978 fui amenazado por las Brigadas Rojas porque el discurso era que si había alguien en la izquierda que no estaba con ellos, era un enemigo. Y yo era decano de la Facultad, pertenecía al Partido Radical, que era contestatario pero pacifista, y había aceptado formar parte del primer juicio popular a las Brigadas Rojas. En ese momento empecé a pensar que una revolución no podía ser leninista y violenta porque tendríamos 20 años de guerrilla y otros 20 años de stalinismo. En ese tiempo de reflexión sobre la experiencia del terrorismo escribí un ensayo que para mí es fundamental, Dialéctica y diferencia del pensamiento débil; la dialéctica era el marxismo, a diferencia del pensamiento de nombres como Jacques Derrida o GillesDeleuze, que no terminaban de gustarme porque eran un poco anarquistas pero se abstraían de la lucha política efectiva. El pensamiento débil guardaba relación con la idea de hacer uso de Nietzsche y Heidegger para imaginar una filosofía de la historia que adquiere sentido en la reducción de la violencia y no en la realización, incluso violenta, de un modo pensado antes. Esto era importante política y éticamente. En esos años, además, me pidieron una introducción a la edición de El mundocomo voluntad y representación de Arthur Schopenhauer. En ese momento dejé de ser maoísta ingenuo para convertirme en izquierdista no violento, pero menos ilusionado con la idea de revolución total.
–¿Hubo un tercer quiebre?
–Sí, vinculado a la lectura de RenéGirard: la idea de una interpretación de la religión no en el sentido victimario, sacrificial, sino viendoal cristianismo como superador del carácter violento de las religiones naturales. Cuando uno se pregunta por qué Jesús fue asesinado,es porque precisamente reveló esa visión, algo muy escandaloso.
–¿Qué relación establece entre el pensamiento débil y la teología del anonadamiento, la kénosis?
Tengo que volver a un momento importante, incluso a unrencuentro conmi religiosidad personal.Paradójicamente, cuando estuve viviendo en Alemania a comienzos de los años ’60, donde no leía los diarios italianos porque llegaban demasiado tarde, cuando dejéde tener el problema de discutir con la jerarquía católica italiana y con los católicos de derecha, no fui más a misa. Pero repensando a Girard creo que volví a ser cristiano, y también por mérito de Nietzsche, de Heidegger y hasta de Mao.
–Algunos escribieron que a partir de Creer que se cree usted volvía a la religión pero también que la religión volvía al pensamiento y al debate.
–Esasí en cuantouno intenta relacionar siempre en el discurso la historia personal con la historia de la época. En 1968 era típico: los estudiantes pedían la liberación sexual porque era lo que a ellos les interesaba, pero pensaban que debía ser mundial. Eso refleja la idea de vocación histórica, es decir que no siento la filosofía como una vocación para ocuparme de los absolutos sino para leer los signos de los tiempos, que es una expresión evangélica. Cuando empecé a escribir Creer que se cree, un verano en la montaña, me parecía que ya no había razones filosóficas “objetivas” para no ser cristiano en tiempos de la Posmodernidad. Cuando se disuelven los meta-relatos (materialista, positivista, etc.) que intentan explicarlo todo, uno puede releer escrituras sagradas como el Evangelio –no tengo mucha simpatía con el Antiguo Testamento, sobre todo por la violencia, es demasiado antiguo–. Fue un esfuerzo por interpretar la situación filosófico-cultural desde el punto de vista de un retorno posible a la religiosidad a través de la disolución de los meta-relatos metafísicos.
–Su lectura de la Posmodernidad siempre se da en términos positivos, como por ejemplo la desaparición de los dogmas.
–Y como no existe más “la verdad”, se necesita la caridad.
–El concepto de kénosis, pero también la interpretación…En eso usted parece luterano.
–Sí, porque la interpretación tiene que ver con el hecho de que no hay una verdad objetiva. Tal vez en el siglo XX la noción misma de verdad se transformó en una noción de caridad, porque si uno retoma incluso a Habermas, siempre habla de una racionalidad comunicativa, lo cual implica que es racional lo que puedo decir sin vergüenza frente a los otros. Sobre todo porque todo el discurso epistemológico del siglo XX tiene mucho de convencionalismo, es decir que la verdad científica se pronuncia dentro de un paradigma compartido, no es un encuentro directo de mí mismo con el objeto, es un encuentro con maneras de interpretar el objeto conforme a una historia de la ciencia, de la matemática, etcétera.
–Desde su perspectiva filosófica, ¿la metafísica preserva algo o absolutamente nada?
–Tengo el defecto de que cuando hablo de metafísica la nombro desde Heidegger, que es enemigo de la metafísica porque es enemigo del concepto de una verdad objetiva; para él ni siquiera y Dios puede ser un objeto. Desde una perspectiva metafísica puede decirse que Dios es un objeto supremo, pero llamarlo objeto no es un gran elogio. La metafísica en tanto concepción de la vida, fe existencial puede considerarse, pero en la historia siempre ha tenido una pretensión de universalidad que no logro visualizar sin violencia.
–Quisiéramos preguntarle sobre la construcción de la verdad en la política.
–No puedo pensar en una verdad para todos; yo pienso algo y puedo dar razones, pero no puedo demostrarlo. En cuanto a la verdad política, se trata de preguntar quién lo dice. Esto es lo básico, hermenéutico: como no hay verdades, sólo hay interpretaciones. Cuando me confronto con problemas, por ejemplo, con lo que pasó durante el gobierno militar en la Argentina, hay un problema de interpretaciones que se confrontan y se construyen sobre la base de documentos y testimonios, que son intérpretes en un proceso penal. Todo es un juego de relación intersubjetiva más que de toma de acto de lo que está. Lo mismo sucede con la verdad política; yo no tengo confianza en lo que diga Videla. ¿Por qué? No porque sé que ha matado, sino porque tengo otros testimonios de gente que tiene parientes desaparecidos, y por lo tanto no es una opinión sino que está documentado. En Italia se me reprocha esta idea, pero sé que no tengo confianza en Berlusconi. Hay hechos que se llaman así porque tenemos suficientes luces que nos indican que lo son, así como un dato de la física cuántica puede considerarse de tal forma porque lo atestiguan ciertos científicos.
¿Qué le suscita Raztinger como intelectual? Insiste en el relativismo pero por otro lado la dimensión del diálogo entre fe y cultura le interesa mucho.
Yo abrigaba muchas esperanzas cuando fue elegido Papa porque había sido profesor en Tübingen, pero ahora tengo una versión un poco descolorida sobre lo que el catecismo llama “la gracia de estado”: cuando uno llega a ser ingeniero, tendría una asistencia especial para ingenieros, y cuando uno es elegido Papa, se torna reaccionario. Por ejemplo, en la encíclica Deus caritas estdecía, por ejemplo, que las primeras comunidades cristianas eran comunistas pero que naturalmente esto después se quebró. ¿Por qué “naturalmente”? Es como aceptar la afirmación de Margaret Thatchercon respecto al capitalismo. Creo que Benedicto XVI es menos reaccionario que Juan Pablo II, que era más simpático; pero este Papa tiene menor decisión que su antecesor, que no era un teólogo sino un pastor de almas. Tiene toda la incertidumbre del intelectual, y como hombre de estudio, creo que tiene dificultades para tratar con la Curia. Yo esperaba mucho más de él.
¿Cómo ve el futuro de la Iglesia como institución?
–Me gustaría salvar a la Iglesia del suicidio, por ejemplo, ante ciertas actitudes un poco dogmáticas en torno del sacerdocio femenino, el problema del celibato eclesiástico, que ahora es anacrónico; todo esto le da un rostro reaccionario que no es exigido por ningún cristianismo. Básicamente no creo que ni siquiera la Escritura Sagrada sea una descripción adecuada de Dios, es una educación para el pueblo de Dios, por lo tanto, la teología como tal me parece absolutamente insignificante. Cuando era chico mi director espiritual me obligaba a leer libros del dominico francésGarrigou-Lagrange.Hay ciertas cosas que me gusta deciraunque sean arriesgadas porque creo que son religiosas, por ejemplo hay una frase de san Pablo que dice que la fe y la esperanza son transitorias, pero que la caridad va a durar. Un día discutía con un obispo en Toscana y le sugerí que esa frase no se refiere solamente a la vida eterna sino también a la vida histórica, es decir que hoy cada vez parece menos urgente que la gente crea que Dios es uno y trino. Los misioneros, cuando llegan a un destino como el Amazonas, abren un hospital o fundan una escuela, no obligan a la gente a creer en un Dios trino. Sería bueno pensar la historia del cristianismo como articulada con una reducción de la importancia de los dogmas e incluso una reducción de la pura esperanza en el más allá. Yo no tengo ninguna actitud polémica ni siquiera en contra de mis educadores católicos, estoy muy agradecido de la educación cristiana recibida. Soy básicamente un cristiano un poco heterodoxo pero nostálgico, incluso soy uno de los pocos que podría seguir la misa en latín. Si no fuera cristiano, no sería comunista.
Le había molestado en la polémica con Umberto Eco sureivindicación de la realidad al estilo un poco aristotélico.
–Sí, porque siempre fue un señor básicamente neo-tomista. Así como santo Tomás tenía como base la cosmología tolemaica, Eco toma la semiótica; siempre quiere como base para sus afirmaciones una ciencia positiva, como fundamentación científica.
¿Qué opina de su colega Massimo Cacciari?
–Lo conozco bien pero no lo comprendo mucho; siempre le digo que lo quiero muchísimo pero no lo entiendo. Estámuy comprometido, es una gran persona, pero no llego a entender a dónde quiere llegar; y también hay otros filósofos italianos que son demasiado erráticos para mi gusto. Cuando les pregunto a los universitarios por qué leen ese tipo de autores tan complicados, me dicen: “si los comprendiéramos no tendría sentido leerlos”. Hay una cierta vitalidad, de todas maneras, que resiste al pensamiento único, que rechazo sobre todo por razones políticas. En Italia tenemos el gobierno de Monti, que no fue elegido por nadie, y es aceptado por los partidos más opuestos ya que los libera de responsabilidades; Monti hace lo que dice el Banco Mundial.
–En el ámbito político de su país, ¿qué opina de Beppe Grillo, actor líder de la anti-política?
Es un fenómeno interesante, de populismo, pero no comparto que tome un carácter de anti-política. Empezó hace algunos años, pero en las últimas elecciones se volvió fuerte. Obviamente estoy más cerca de Grillo que de Berlusconi, incluso que de los comunistas, que respaldan a Monti, pero quiero ver qué pasa. Con Di Pietro me encuentro bien, aunque me critican que yo siempre haya sido de izquierda y él sea un representante del centro. Si bien está en la oposición absoluta a Berlusconi, no se identifica con ideales socialistas o marxistas. Estoy con él porque es la forma de lograr que un italiano comunista vaya al Parlamento Europeo, porque los partidos de extrema izquierda en Italia se han dividido y no tienen ni un solo diputado.

Feria del libro de Madrid

71ª FERIA DEL LIBRO DE MADRID

Gianni Vattimo inaugura el especial de EL PAIS: "Solo una guerra o revolución podrían cambiar la clase política" 

El filósofo italiano Gianni Vattimo ha inaugurado esta mañana la cobertura especial que hará EL PAÍS de la 71ª Feria del Libro de  Madrid. Lo ha hehoc a través de un chat con los lectores, en un homenaje a Italia como país invitado a la cita madrileña. 

Los internautas preguntan a Gianni Vattimo

profespa

1. 25/05/2012 - 12:13h.
¿Cómo podría Italia librarse de esa clase política corrupta que no sabe renunciar a sus privilegios? ¿No le parece que hay una ruptura insalvable entre la casta política y el pueblo?
El problema es que la política es como la describía Aristóteles: si tenemos que filosofar filosofamos. Y la política está así. Soy una parte pequeña y extranjera de la clase política. No veo muy bien cómo se puede sin una revolución o una guerra. La historia ha demostrado que estos hechos necesitan de cambios radicales. El problema es quién va a hacer esto. No me gusta lo que hace Monti, es un hombre más de la banca. Pero cómo sustituimos a los políticos actuales? La cuestión es complicada porque en tiempo de crisis de la democracia no hay manera constitucionales de cambiar la constitución sin hacer referencia a la clase política existente. No veo muchas posibilidades de este tipo. Se trata de preparar una nueva ley electoral, con algunos movimientos de masas. Preparar un nuevo parlamento de acuerdo a las exigencias del país. La única esperanza es esta posibilidad de trabajar un poco al interior de las instituciones, no todos son corruptos. Escuchar a los movimientos de calle, una activación de las masas aunque no sea violenta.
 

Juan C. Santos

2. 25/05/2012 - 12:16h.
¿Y si la Democracia fracasa?¿Y si los ciudadanos han perdido el control sobre la política? ¿Es la rebelión la solución?
Se trata de producir revoluciones. Creo que desafortunadamente tenemos que trabjajar mucho para reactivar la política. La mala reputación de los políticos es justificada. No es una invención de los medios de comunicación, y todo esto esconde otras corrupciones. No todo es responsabilidad de la clase política, hay otros poderes que usan la mala fama de la politica para limitar la democracia.
 

Michel Lugo

3. 25/05/2012 - 12:24h.
Existe el desencanto en política. ¿Y en filosofía? ¿Alguna vez lo ha sentido?
Sí. Creo que el desencanto aqui es básicamente porque los fundamentalismos son violentos. La busqueda de verdades absolutas. Esa busqueda es una actitud de violencia. Eso no singifica que la filosofía no tenga nada más que filosofar. Yo intento responder a esto con el pensamiento débil, que es esa tentativa de responder a a ese desencanto elaborando una via para salir de la violencia. Hay un contenido de la filosofia después de la metafisica, elaborar un discurso mas interpretativo y menos obejtivista, con menos pretensiones de corresponder a una realidad innegable.
 

alexanxo

4. 25/05/2012 - 12:28h.
Usted que es un gran conecedor de nietzsche, ¿ que cree que pensaria de esta epoca que nos ha tocado vivir?.gracias.
Nietzsche sería un filósofo adecuado para esta época, no como exacerbación de la vioencia y el poder. El escribió una vez que ahora que Dios ha muerto queremos que vivan muchos dioses Era una posicion de pluralismo cultural. Ser fuertes en una perspectiva de vida. El superhombre no quiere decir el líder de las bandas criminales, sino una persona capaz de interpretar el mundo actual. Tenemos que crear una acitud más individual y característica. Es una buena manera de indicar el camino de la autenticidad. tiene que devenir un sujeto responsable en un mundo pluricultural. Ahora que no hay verdades absolutas hay que tener caridad.
 

Magaly

5. 25/05/2012 - 12:33h.
Cree VD. que la desigualdad entre ricos y pobres, a nivel planetario, tiene visos de corregirse en este siglo?
No lo tiene. Si no se corrige esta diferencia excesiva puede derivar en cuestiones indeseadas. El problema no se reduce a asumir una pérdida de condiciones de vida. Por ejemplo, el día que todos los chinos tengan coche vamos todos a morir porque no habrá gasolina suficiente. Hay que evolucionar en aspectos tecnológicos. Es problema de desarrollo tecnologico y presencia democrático. Hay que desarrollar métodos alternativos. Lenin tenía razón como algo mixto un conjuto de desarrollo tecnológico y presencia fuerte de democracia política, de participación popular en la política.
 

ALS

6. 25/05/2012 - 12:36h.
¿Sigue teniendo sentido la presencia de la filosofía como asignatura específica y común en los planes de estudios de la enseñanza secundaria (Bachillerato en España)?
Es muy importante que esa asignatura permanezca. Me gustaría que hubiera una discplina para todas las carreras. Sin filosofía no hay democracia. Donde no hay una cultura filosófica muy desarrollada ni pensamiento crítico la conciencia política se pierde en la tecnicidad. La tendencia a susttuir la filosofía por asignaturas más prácticas y ténicas es una tendencia al suicidio. La tecnología por sí solo no lleva a nada. NO discute la técnica.
 

José Manuel López García.

7. 25/05/2012 - 12:46h.
¿ El método de la metafísica conduce a una visión violenta del mundo o quizás debería ser llamada violencia semántica?
El problema es que la metafísica como idea es una estructura que se puede conocer como causa primera. Todo esto es una idea de las clases dominantes. El establecer diferencias entre los que saben y no saben. No se trata de inventar formas de saber. Hay que tomar la palabra. Walter Benjamin dice que lo importante es dar la palabra a los que han sido silenciados a lo largo de la Historia. Se trata de desarrollar la filosofía como diálogo subjetivo. No decimos que nos ponemos de acuerdo porque hemos encontrado la verdad, pero podemos decir que encontramos la verda cuando nos ponemos de acuerdo. Es la negociacion entre grupos. La filosofia se desarrolla en ese sentido y así es como podrá tener un sentido útil para la sociedad.
 

Mensaje de despedida

Muchas gracias por las preguntas tan interesantes. Lamento no haber contestado más, pero he tratado de dar unas respuestas un poco más largas. Un saludo a todos

Vattimo: la academia de filosofía itinerante

Vattimo: la academia de filosofía itinerante

El ensayista italiano estuvo de ronda en Buenos Aires dejando a su paso cuestionamientos sobre los conceptos absolutos. “En Europa, hay clima de resignación”, sentenció.

Ñ Revista de Cultura, 23.05.2012. POR Julieta Roffo

El filósofo italiano Gianni Vattimo anduvo por Buenos Aires y, como los futbolistas que se adaptan a distintas posiciones en el campo, se movió en escenarios diferentes y ante públicos disímiles, pero en cada conferencia subrayó dos de sus ideas más importantes: que con el correr de los años –de las décadas, de los siglos– crece lo que él ha llamado “el pensamiento débil”, y que no existe una única verdad sobre un hecho, sino tantas interpretaciones como testigos haya. Para Vattimo, se trata de dos conceptos irrenunciables.
La primera de sus presentaciones fue el domingo 6 en la Feria del Libro: a su cargo estaba la última de las conferencias magistrales de la 38º edición del evento, y ante casi doscientas personas, el autor de El fin de la modernidad, ejemplificó el debilitamiento de los conceptos absolutos a través de la evolución de la figura de Dios: “Antes era algo muy misterioso, muy trascendente, caía un trueno y se le rogaba al Dios del Trueno que no destruyera la propia casa. Con la figura de Jesús aparece un hombre que les dice a sus prójimos que no son servidores de Dios sino sus amigos; eso debilita la primera idea tan fuerte y tan temible”, sostuvo, y agregó que el pasaje entre la unción divina de los reyes medievales hasta las elecciones democráticas actuales es otra señal de ese debilitamiento.
Esos mismos ejemplos utilizó el miércoles 9 en Arte Sin Techo, una Organización No Gubernamental que trabaja con gente en situación de calle desde una especie de casa ocupada –ocupada por sus intervenciones artísticas y por su trabajo constante, desde que emergió en medio de la crisis de 2001– en el corazón de Almagro. Apenas llegó a esa casa, Vattimo bromeó en su castellano casi perfecto: “Parece un centro civil italiano, feo, sucio y malo”. Allí lo escucharon unas veinte personas, en una actividad organizada entre la ONG, el Centro de Excelencia Jean Monnet de la Universidad de Bologna, y el Laboratorio en Humanidades “Política, Estética y Comunicación” constituido por el Instituto Italiano di Cultura y el Servicio de Cooperación y Acción Cultural francés.
En ese segundo encuentro fue en el que el también diputado del Parlamento Europeo profundizó más sobre conceptos filosóficos: Friedrich Nietzsche y Martin Heidegger, a quienes estudió largamente, fueron los más citados ante un público más especializado que el que había llenado la sala Leopoldo Lugones de La Rural, en su mayoría estudiantes universitarios. Sobre los años en los que Heidegger avaló al nazismo, Vattimo intentó una explicación, aunque no una justificación: “Tiene que ver con el lugar que ocupa un filósofo cuando se cruzan dos triunfalismos, como fueron el capitalismo y el comunismo”, señaló. Las intenciones de un intelectual al unirse a un sistema político son claras para Vattimo: “Enseguida el intelectual querrá liderarlo”, sentenció, y destacó el rol de Rusia sobre el final de la Segunda Guerra Mundial aseguró: “Si Rusia no hubiera hecho lo que hizo, liberado lo que liberó, estaríamos completamente dominados, seríamos todos nazis”.
En Arte Sin Techo hubo tiempo para reflexionar sobre el arte y también sobre la política, tema que especialmente interesa a Vattimo y que lo llevó a definir a la Organización de las Naciones Unidas (ONU) como “una organización disciplinaria hasta el día de hoy”. Para el filósofo, “el impresionismo, el cubismo y el surrealismo fueron una defensa de la actividad humana contra la tecnificación de comienzos del siglo XX, cuando se fundaban Ford y Fiat, y el taylorismo se imponía como modelo de producción fabril”. Esa tecnificación, explicó el autor de Adiós a la verdad, se está dando actualmente en Europa, en las más altas esferas del poder político: Mario Monti, el actual premier italiano, economista y con más experiencia institucional que en el barro partidario, es para Vattimo una muestra de esa “tecnocracia” posterior a la renuncia de Silvio Berlusconi, a quien critica duramente cada vez que tiene el margen de hacerlo.
En Europa “hay un clima de total resignación, la gente no ve que le propongan mejoras alentadoras como para orientar su voto hacia allí”, aseguró, y vinculó esto a su idea de dominación: “El dominio hacia el otro se funda sobre la idea de que la realidad es de tal manera, inamovible. Hoy esa realidad la delinean los banqueros, y no los débiles, por eso es importante desterrar el concepto de una verdad única”, dijo Vattimo, a medio camino entre el entusiasmo y la preocupación.
Hay otro concepto que debe ser reformulado, según el italiano: se trata de la esencia, un tema del que la filosofía se ha ocupado largamente. “Un papa, un dirigente político o un filósofo ambicioso puede decirte ‘Esta es tu esencia, tú no lo sabes pero yo te lo digo’”, le dijo a su público atento, esta vez en la Feria, y continuó: “Yo no creo en eso; la única esencia es la libertad de cada uno, que merece ser respetada, y la única verdad posible es la que nos deja ser más libres, aunque acepto interpretaciones porque de eso les hablé toda la tarde”, matizó.
En cada ámbito que Vattimo visitó en una ciudad que define como “una segunda patria”, hubo público atento a su obra y sobre todo a los pensamientos que elabora ante las nuevas preguntas, y que empieza a responder después de tomarse unos segundos la cabeza con las dos manos. Hay una convicción que lo sigue a cada charla: “Hay que ser fuerte para ser uno de los débiles, hay que saber poner la otra mejilla y darse cuenta de que uno no debe ser el violento, porque el orden imperante siempre será más violento que uno”, concluyó. “Y basta”, dijo.

martedì 5 giugno 2012

"Onora il padre e la madre"

"Onora il padre e la madre": la voce dei protagonisti del convegno organizzato da Niccolò Rinaldi, 27 aprile 2012, nel quadro dell'iniziativa "I dieci comandamenti", una serie di "per rinnovare la politica nel nostro paese". Tra i relatori, Gianni Vattimo.


giovedì 5 aprile 2012

Vattimo: «La humanidad está espiritualmente satisfecha por la religión y el erotismo»

Vattimo: «La humanidad está espiritualmente satisfecha por la religión y el erotismo»

Precursor del pensamiento débil, figura indiscutible de la filosofía, Gianni Vattimo reflexiona sobre el papel del pensador en la sociedad actual en un libro publicado por Herder Editorial 
 
Día 14/03/2012 - 16.22h
«Nihilista libertario», Gianni Vattimo (Turín, 1936) es una de las figuras clave de la posmodernidad. Nunca ha creído en el poder, al que considera como «un azucarillo que se disuelve en el vaso de sus propias contradicciones». Partidario del «necesario compromiso» de los intelectuales, lector de Octavio Paz y de Eugenio Trías, Gianni Vattimo ya profetizó en esta entrevista en ABC hace más de dos décadas que Europa estallaría en conflictos si no aceptaba la diversidad de sus pueblos.
Su propuesta teórica, denominada pensamiento débil, le ha valido el reconocimiento mundial. Colaborador habitual en varios medios italianos y extranjeros, ha sido profesor en las universidades de Turín, Los Ángeles y Nueva York. Es autor de una amplia producción ensayística, entre la que destacan «Vocación y responsabilidad del filósofo» y «Comunismo hermenéutico» (en colaboración con Santiago Zabala), obras de Herder Editorial.
He aquí claves esenciales del pensamiento de Gianni Vattimo sobre la función del hombre que se para a pensar extraídas de su nuevo libro:


¿Por qué y para qué filosofar?: «Estudié filosofía porque me sentía implicado en un proyecto de transformación del hombre, en un programa de emancipación. Es posible que esto se deba a mis orígenes proletarios: los proletarios no pueden creer en modificar realmente su propia vida si no modifican el mundo… Si se nace hijo de ricos abogados se puede decir sin esfuerzo moral: yo también quiero ser abogado. Pero uno que nace hijo de una madre viuda de un policía del sur está casi fatalmente inducido por la propia incomodidad social a proyectar una transformación radical».
La conciencia: «Comencé a tomar conciencia de mí mismo cuando leía novelas de aventuras a los doce años. La respuesta fue en ese momento muy simple: comencé de inmediato a imaginarme envuelto en una empresa de dimensiones histórico-emancipadoras, quería que venciera la república en 1946 y quería que venciera la Democracia Cristiana en el 48. Tenía diez o doce años, y no obstante me daba cuenta de que estaba en juego algo importante en la Italia de aquellos años. Creo que podía ser, ante todo, antes de la reconstrucción de la posguerra, el compromiso intensísimo de las conciencias religiosas con el proyecto político: la Democracia Cristiana era esto, en aquella época. Luego, naturalmente, se convirtió en otra cosa, pero en aquella época la relación estaba muy clara».
La política de filósofo: «La vocación a hacer política como filósofo, a perseguir la emancipación como filósofo, y no como político especialista y profesional, significaba para mí optar por una decisión en algún sentido más universal, esto es, más indirectamente comprometida, con menos resultados inmediatos de carácter político, legislativo, etcétera, pero más educativa. En la opción de hacer política como filósofo interviene mucho la pedagogía, la idea de educar a la humanidad, de promover la transformación del hombre antes de la transformación de las estructuras».
Perder el alma: «He crecido siempre cultivando la frase evangélica “si no pierdes tu alma, no la salvarás”. Me parece enfático decir “no vengo esta tarde, porque de esas cosas no me ocupo, no forman parte de mi vocación”: es como responder “usted no sabe quién soy yo”. No consigo nunca rechazar un compromiso sin sentirme mal: digo “no puedo” solo cuando tengo otro en aquel mismo momento, y por tanto me es imposible ir, pero no consigo nunca decir “no es mi vocación, no es mi especialidad, etcétera”. Me parece siempre excesivamente egoísta, demasiado solemne, y en parte también ridículo. El especialismo en filosofía es en ciertas condiciones defectuoso desde el principio, y en el fondo a esto me refiero hablando de “perder el alma”».
Llenar los vacíos: «Quien no hace filosofía es un hombre disminuido, un “despreciable mecánico”. Todo esfuerzo de ver con tolerancia las demás condiciones humanas me parece ligeramente hipócrita. Estoy convencido de que, en definitiva, nadie puede seriamente “especializarse” a menos que tenga presente la totalidad de la vida espiritual: esto es lo “filosófico” que hay en la vida de todos. ¿Qué hace el comerciante de pollos cuando no comercia con pollos? A veces pienso que la importancia del eros en la vida de las personas está en el hecho de que llena exactamente esos vacíos que no llena el trabajo. La filosofía es eso en lo que piensas cuando no tienes nada específico en qué pensar…En este sentido quizá hacer filosofía corresponde, más que a un talento o a una vocación, a un defecto; o mejor, a la enfatización e institucionalización de un defecto».
La supervivencia del espíritu: «La vida de la mayor parte de la humanidad está espiritualmente satisfecha por la religión y el erotismo: se mueve entre la supervivencia del alma y supervivencia de la especie. A mí, en efecto, me espanta a veces la estrechez de horizontes en la que se mueven también mis reflexiones; yo mismo que predico “perder el alma” en realidad hablo sólo de mí y de aquellos que ejercen oficios análogos o diversos del mío: empleados estatales de otros departamentos, o bien profesionales o también obreros de la Fiat. Estoy convencido de que cuando hago filosofía hago un discurso que se refiere solo a un determinado trozo del mundo, nada más».

domenica 18 marzo 2012

Dio è morto, torniamo a Dio

L’'Ana-teismo di Richard Kearney: così l'esperienza del vuoto ci riapre al problema della trascendenza

La Stampa, 16 marzo 2012
 
GIANNI VATTIMO
Esce oggi da Fazi il saggio di Richard Kearney Ana-teismo. Tornare a Dio dopo Dio (pp. 330, e17,50), in cui il filosofo, allievo di Ricœur e professore al Boston College, conduce il lettore in un percorso innovativo alla ricerca del sacro dopo l’ateismo. Pubblichiamo uno stralcio dell’introduzione di Vattimo.

Anateismo è l’atteggiamento religioso che Kearney sostiene e raccomanda per la spiritualità del nostro tempo. [...]

Il prefisso greco ana-, che a prima vista potrebbe essere inteso in senso negativo (come se si trattasse di negare l’a-teismo, pensate al termine an-alcolico…), significa invece, oltre che «salita», anche «ritorno». Due sensi che Kearney non sottolinea insieme, preferendo il secondo senso, il ritorno; non direi però che il primo senso, la salita, sia del tutto scomparso, giacché il ritorno implica sempre per Kearney un qualche momento di illuminazione piena, diremmo di arrivo alla cima, che coincide bensì, nella mistica, con la notte oscura di cui tanti mistici ci parlano, ma che ha comunque il carattere di un momento decisivo - una sorta di evidenza che Kearney pensa sempre in base all’eredità della fenomenologia assimilata attraverso il suo maestro Ricœur. Il senso del prefisso ana-, dunque, non è solo una questione di filologia, segna anche, pare a me, la differenza - leggera ma non insignificante - attraverso cui io mi introduco nel discorso di Kearney, e perciò la via che, solo, posso indicare ai lettori.

Dunque: la cultura dentro la quale ci capita di vivere è orientata a considerarsi il punto di arrivo di uno svolgimento che, negli schemi filosofici dominanti, di origine hegeliana, ma anche genericamente illuministici e positivistici, si pensa come proveniente da fasi primitive teistiche, caratterizzate da una religiosità non di rado superstiziosa, che poi, attraverso scienza e tecnica, si evolve progressivamente verso quella che Nietzsche chiamerà la «morte di Dio» (il quale per lui si rivela una menzogna non più necessaria all’uomo tecno-scientificamente evoluto), e cioè verso un ateismo teorico-pratico sempre più generalizzato. Questo schema illuministico-storicistico è quello da cui Kearney parte per negarne la validità, alla luce non solo della propria esperienza personale, ma di quella che gli sembra, giustamente, una diffusa ripresa, o sopravvivenza, del problema di Dio al di là di ogni approdo ateistico. Non solo a causa di quelle che si potrebbero chiamare le autocontraddizioni performative del «progresso» (dalla bomba atomica all’Olocausto), ma per l’incertezza e l’esperienza di finitezza che il nostro mondo conosce e che lo richiamano, appunto, a quel senso di vuoto e di sospensione di ogni certezza che l’autore chiama anateismo.

Ancora in armonia con la propria formazione fenomenologica, Kearney pensa a questo stato d’animo come all’epoché husserliana, quella sospensione dell’atteggiamento «naturale» nei confronti delle cose che permette di elevarsi alla visione delle essenze. Si va oltre l’ateismo «naturale» del nostro mondo quando facciamo esperienza di questo vuoto che è anche l’apertura a una epifania, a una illuminazione, che ci riapre all’esperienza di Dio. Qualunque Dio esso sia. Nel vuoto e nell’incertezza che ci apre all’anateismo e a un nuovo possibile incontro con Dio entra anche la consapevolezza moderna e tardo-moderna della pluralità delle religioni, dunque il problema del dialogo interreligioso e delle molteplici vie che in esso si confrontano e spesso si scontrano. L’anateista di Kearney è inoltre un uomo del dialogo con gli dèi stranieri. La religiosità ritrovata nella sospensione degli assoluti sia teistici sia ateistici è anche caratterizzata da una apertura all’altro che è sempre stata preclusa alle fedi non passate attraverso la notte oscura - non solo mistica, ma culturale - di cui noi moderni siamo figli e prodotti.

Kearney, nelle non rare digressioni autobiografiche del libro, ricorda anche di aver a lungo lottato contro l’autoritarismo della sua Chiesa e poi delle Chiese e sette che ha incrociato. Di modo che l’anateismo non è solo, in definitiva, il momento di sospensione e di vuoto destinato a trovare «di nuovo» una fede «piena» più o meno affine alle fedi tradizionali, ma un atteggiamento che deve accompagnare (sembra di parlare dell’«io penso» kantiano!) ogni fede ritrovata. Di ogni fede comunque ritrovata deve far parte la preghiera che domanda di essere aiutati a credere: Signore, credo, aiuta la mia incredulità. Che era anche la preghiera persino di Madre Teresa, come ricorda Kearney. Ma potremmo pensare a Pascal, che consigliava ai non credenti di pregare per ottenere la fede.