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giovedì 5 aprile 2012

«Sono suicidi di Stato»

Vattimo e Bonomi sui gesti disperati di operai e imprenditori
Lettera43 29 marzo 2012
di Antonietta Demurtas

Come una Cassandra, il sociologo Aldo Bonomi lo va dicendo da mesi: «State attenti che i lavoratori, soprattutto i piccoli imprenditori che non riescono ad attraversare questa crisi, vedono rotta la simbiosi con l'impresa, che per loro è un progetto di vita». Una rottura davanti alla quale non resta più nulla se non «la paura, la vergogna del fallimento, la disperazione», dice a Lettera43.it.
SOS INASCOLTATO DEI LAVORATORI. Ma a quell'Sos nessuno sembra aver prestato troppa attenzione. E così davanti all'ennesimo gesto disperato di un operaio edile di origine marocchina che il 29 marzo si è dato fuoco davanti al municipio di Verona perché senza stipendio da mesi, l'ottimismo manifestato solo il giorno prima dal presidente della Repubblica grida vendetta.
IL GESTO DISPERATO DI BOLOGNA. Proprio mentre Giorgio Napolitano diceva: «Credo ci sia una straordinaria consapevolezza tra gli italiani, non vedo esasperazione cieca e ho molta fiducia sulla capacità di comprensione di un momento difficile», un artigiano bolognese si dava fuoco all'interno della sua macchina davanti alla sede dell'Agenzia delle Entrate. «Pago le tasse, ora non ce la faccio più...», ha scritto in una delle lettere d'addio.
«NAPOLITANO SI AFFACCI ALLA FINESTRA». Parole davanti alle quali il filosofo Gianni Vattimo si chiede: «Se non sono suicidi di Stato questi cosa sono?». E invita Napolitano «ad affacciarsi alla finestra del Quirinale per vedere se davvero non ci sono italiani esasperati».
«C'è una differenza tra esasperati e disperati», continua il filosofo torinese. «Forse Napolitano e Monti non considerano i disperati perché tanto quelli si tolgono di mezzo da soli, invece gli esasperati possono protestare e ribellarsi».

Vattimo: «Indignato dall'indifferenza di questa classe dirigente»

Gianni Vattimo.
(© La Presse) Gianni Vattimo.

Vattimo è esasperato, e questa volta non ci sta ad accettare che i problemi vengano sottovalutati. «Sono indignato dall'indifferenza di questa classe dirigente», spiega, «stanno facendo di tutto per stimolare ogni genere di rivolta».
Ma per ora le forze sembrano mancare. E così non resta che l'autolesionismo: «Queste persone hanno perso la fiducia, non vedono nessuno che possa portare la bandiera per loro, hanno perso tutto». E basta guardare le cause che hanno portato a gesti così estremi «per capire di chi sono le responsabilità».
«STRETTI TRA TASSE E STIPENDI RIDICOLI». «Tasse, stipendi ridicoli, stretta creditizia, tutto scaricato sulle spalle degli operai e dei piccoli imprenditori», denuncia Vattimo.
«Su cui si aggiungono le ganasce di Equitalia, l'impossibilità di pagare i propri dipendenti e l'imposizione fiscale», osserva Bonomi. «Per questo spero che questi problemi entrino nell'agenda della politica, delle istituzioni, dell'Agenzia delle Entrate. Ma ne dubito».
LO SPETTRO DEGLI ANNI 70. In fondo, ricorda il sociologo, «già negli Anni 70 avevamo conosciuto questo fenomeno dei suicidi tra i cassintegrati della Fiat che avevano perso il lavoro e con esso il loro luogo di appartenenza». Ma ovviamente anche allora «tutto fu nascosto come la polvere sotto il tappeto».
DAGLI OPERAI AI PICCOLI IMPRENDITORI. Da allora i cambiamenti sono stati pochi. Prima i protagonisti di questa strage silenziosa «erano soprattutto gli operai. Poi è emerso il capitalismo molecolare e il fenomeno ha iniziato a riguardare anche i piccoli imprenditori», spiega Bonomi.
«L'ASSENZA DELLA POLITICA». Una situazione talmente drammatica, «che mi stupisce che ne muoiono ancora così pochi. Forse gli altri moriranno di fame», dice Vattimo, «ma anche allora la politica farà finta di nulla, per paura di esasperare un clima già asfissiante. Per non riconoscere questi suicidi di Stato».
«Non dimentichiamo», ricorda Bonomi, «che spesso sono proprio le istituzioni a non pagare le fatture e a mettere in difficoltà i piccoli imprenditori e i loro dipendenti». Lo dimostrano i dati della Cgia di Mestre, secondo cui gli imprenditori italiani sono creditori dello Stato per oltre 70 miliardi di euro.

Bonomi: «Non collegare direttamente il Noi e i traumi dell'Io»

Un tema delicato che Bonomi rimanda a quel complesso intreccio «tra i fenomeni che riguardano il Noi e i traumi dell'Io». E su cui, avverte, è sempre «problematico fare un link automatico».  Non c'è però dubbio che «tra i drammi collettivi come la crisi economica e il dramma personale di chi sceglie di compiere un gesto estremo esiste un collegamento».
LE RESPONSABILITÀ DELLA STAMPA. E, secondo Vattimo, la responsabilità è anche di «quella stampa “indipendente” che ha pompato Mario Monti come il salvatore e invece ora anziché ricredersi continua a non collegare i fatti».
E i fatti raccontano di «piccoli imprenditori abbandonati dallo Stato che vedono come unica soluzione ai loro problemi il suicidio». Un gesto che «di certo non sta meditando di compiere Sergio Marchionne», aggiunge Vattimo.
LA MORIA DI AZIENDE. Perché ancora una volta i più deboli cadono sotto i colpi dei grandi. «In Piemonte», fa notare il filosofo, «vedo ogni giorno centinaia di piccole aziende che chiudono nel silenzio generale».
E così un pensiero assilla Vattimo: «Chissà quando inizieremo a contare anche i suicidi degli esodati. E chissà se anche allora chi sta al potere non sentirà sulle proprie spalle il peso di quelle morti».

Protesta contro il governo Milano blinda Piazza Affari

In corteo dalle 14 i No Debito di Cremaschi, i No Tav, Rifondazione comunista e anche alcuni gruppi di destra.   
Fra le adesioni ci sono quelle di Moni Ovadia e Gianni Vattimo

La Repubblica - Milano, 31 marzo 2012, di Ilaria Carra

Contro la crisi. E contro «le misure lacrime e sangue e la macelleria sociale del governo MontiBce». È dal sindacalismo di base, dalla sinistra alternativa, dai movimenti “no debito” e dagli antagonisti dei centri sociali che nasce “Occupyamo Piazza Affari”, la manifestazione nazionale prevista oggi a Milano nella piazza «simbolo della finanza e del capitalismo». Il centro sarà quindi blindato. Una protesta contro le politiche e le riforme del governo Monti, per il no alla Tav e alle modifiche dell’articolo 18. La mobilitazione ingloba varie tematiche. E una miriade di sigle di associazioni, alcune tra gli organizzatori della manifestazione dello scorso ottobre a Roma, guastata anche da episodi di guerriglia. Motivo per cui l’appuntamento desta non poca apprensione tra le forze dell’ordine, che presidieranno massicciamente la marcia e la stessa piazza Affari.

Partenza alle 14 da piazzale Medaglie d’Oro, corteo lungo corso di Porta Romana, via Santa Sofia, Molino delle Armi, via De Amicis, via Torino, via Cordusio, fino alla Borsa. «Bisogna creare uno spazio politico alternativo, fondato su radici sociali reali e notevoli — commenta il leader del coordinamento No Debito, Giorgio Cremaschi — un’alternativa rispetto a questo modello di potere, al contrario delle illusioni del Pd o di Vendola». In piazza anche Rifondazione Comunista «contro il governo Monti, lo strapotere delle banche e degli speculatori», attacca il segretario nazionale Paolo Ferrero. In piazza sono annunciati anche personaggi della cultura, da Moni Ovadia a Gianni Vattimo. Vittorio Agnoletto, già esponente del movimento dei social forum, apre poi le porte a quelle formazioni che «per ora non hanno ritenuto di aderire ufficialmente, pur sapendo che molti dei loro iscritti non vedono l’ora di mandare a casa Monti».

Promette poi di esserci, all’evento, anche la destra. Destra per Milano, Destra sociale, Progetto nazionale e Unione patriottica, oltre al sindacato Ugl, sono le sigle che alla vigilia hanno detto sì. «Una battaglia che vogliamo sostenere — spiega Roberto Jonghi Lavarini, esponente dell’estrema destra milanese — Andremo senza segni di riconoscimento per evitare frizioni, al massimo porteremo dei tricolori. Sono finiti gli schieramenti ideologici: se giuste, le battaglie vanno fatte insieme». 

mercoledì 4 aprile 2012

Gianni Vattimo a "Un giorno da pecora"

Il Podcast – La Puntata con Vattimo

Gianni Vattimo dice che al Governo Tecnico darebbe botte da orbi, Albertini dice che non ci sono donne in grado di andare al Quirinale, Mario Mauro stima il Vattimo filosofo, Eva Lichtemberg parla delle ”palle di Mozart”…

Scaricate il podcast
 

lunedì 20 febbraio 2012

La questione gay e il disciplinamento ai tempi dei governi tecnici


Ordine innaturale
L'Espresso, 17 febbraio 2012

La questione gay come l’articolo 18? Cioè, come una bomba tenuta in riserva dai politici che possono innescarla a piacere, anche in assenza di vere motivazioni economiche, sia per aumentare al bisogno la tensione sociale, sia per farne un concreto strumento di pressione per ridurre i diritti di ogni tipo, da quelli salariali a quelli civili in senso generale? Questa è l’impressione che si ricava dal libro di Paolo Rigliano e dei suoi colleghi: al momento, sembra che la questione sia di attualità solo negli Stati Uniti – una società la cui barbarie e arretratezza non cessano di stupirci, a cominciare dalla interpretazione letterale della Bibbia che ispira la legislazione di tanti Stati, giù giù fino al divieto di insegnare Darwin, alla fanatica difesa del “disegno intelligente”, ai monumenti pubblici in onore del Decalogo mosaico. Noi pensiamo, con qualche ragione, di essere immuni da simili ingenuità. Ma non possiamo mai dimenticare che la difesa dell’ordine “naturale” è sempre in agguato anche da noi: con le leggi contro la fecondazione assistita, contro l’interruzione di gravidanza e la pillola RU 486, con il silenzio imposto a ogni discussione sull’eutanasia e cioè sul diritto di disporre della propria vita. Volete che la normalizzazione messa in atto dal governo tecnico che ci terremo probabilmente per anni non arrivi prima o poi anche a disciplinare “secondo natura” la nostra vita privata? Possiamo fidarci che la “scienza”, quella che ispira le “terapie”popolari negli Usa, sia capace di riconoscere i propri errori? La storia del nucleare e i disastri ambientali legittimano molti dubbi anche a proposito di questo. Forse l’Europa dei banchieri non ci imporrà, per ora, di costituzionalizzare l’obbligo del matrimonio eterosessuale come ha fatto con il pareggio del bilancio, ma il fatto che si riparli di curare i gay esprime purtroppo assai bene la tendenza al disciplinamento che si sta diffondendo in tutti i campi della nostra esistenza al tempo dei governi tecnici.
Gianni Vattimo


RIGLIANO P. , CILIBERTO J. , FERRARI F.
Raffaello Cortina Editore, 2012
ISBN: 9788860304506
Pagine: 265

mercoledì 1 febbraio 2012

Governo Monti, danni collaterali

Dal mio blog su Il Fatto Quotidiano, 29 gennaio 2012

I danni collaterali del governo tecnico

Non so se stia davvero crescendo la nostalgia per Berlusconi, certo aumenta vistosamente l’insofferenza verso il governo Monti, e anche verso chi, come il Pd, se ne è fatto sostenitore senza se e senza ma. Il sospetto niente affatto inverosimile è che tutto sia un gioco delle parti, quale che sia la consapevolezza degli attori.

La destra maledice Monti, e proprio per questo la cosiddetta sinistra lo difende. In termini elettorali (prima o poi si dovrà pure andare a votare) chi paga il prezzo di questo governo del rigore bancario-fondomonetarista, è il Pd, che finirà per dissanguarsi e per scoraggiare definitivamente il suo elettorato. Il quale ha sopportato finora solo perché terrorizzato dalla grande stampa “indipendente”: se va male alle banche va malissimo a tutti. E così via.

Ma fino a quando durerà questa sopportazione?
In giro per l’Italia ci sono scioperi e agitazioni sociali di vario tipo. Non basta stimolare l’odio per i camionisti e i forconi “infiltrati” dalla mafia, o contro i parlamentari e i loro privilegi. Presto o tardi, anzi già ora, la protesta sociale di padroncini, famiglie monoreddito, mamme che devono badare ai bambini cacciati anzitempo dalle scuole, anziani lasciati senza assistenza sociale, pensionati ridotti a rubare nei supermercati, si farà sentire in modi meno soft.

Quando Di Pietro dice, come qualche tempo fa, che prima o poi ci scappa il morto lo si copre di insulti come se fosse un terrorista; ma intanto il morto ai blocchi stradali dei camionisti ci è scappato, e i pacchi esplosivi alle agenzie delle tasse sono arrivati. I sacrifici che Monti (e Napolitano, e il potere bancario) chiede agli italiani non possono più essere sopportati in nome del governo “tecnico”. O si va a elezioni subito o la situazione sociale non farà che peggiorare. Non è la marcia su Roma, certo; o non ancora. Ma un governo tecnico messo di fronte a tensioni sociali crescenti non diventerà prima o poi, per ragioni puramente “tecniche”, un governo autoritario?

Sono solo ragioni “tecniche” quelle che hanno ispirato l’ondata di arresti di No-Tav ordinata da un magistrato sicuramente democratico come Giancarlo Caselli: non poteva fare diversamente di fronte all’evidenza di azioni violente perpetrate in Val di Susa nell’estate scorsa. Inutile dire che dei gas illegali sparati dalla polizia contro i manifestanti anti-Tav non si sa più nulla; e della illegalità permanente in cui hanno proceduto finora i lavori per la nuova ferrovia – dalla mancata consultazione delle comunità territoriali interessate, alle menzogne spacciate all’Unione Europea per spremerne i fondi, alla militarizzazione della Valle e alla sordità rispetto a tutti i pareri tecnici contrari all’opera – non vi è traccia nei mandati di arresto caselliani. Tutto questo, del resto, è politica, non tecnica, e va tenuto lontano.

Il fatto – non solo questo fatto specifico dei No-Tav, ma del governo tecnico in generale – è che, come si è detto spesso, sbagliando, del fascismo italiano rispetto a quello tedesco, Berlusconi era meglio perché era meno serio. Monti è un rigoroso – anche perché apolitico – esecutore delle regole del sistema. Non per niente il Financial Times lo considera la colonna portante dell’Europa; e Obama lo vede tanto di buon occhio. Miseria, disoccupazione, infelicità crescente in tutti i livelli della società? Danni collaterali.

domenica 22 gennaio 2012

Tecnici, sinistra, democrazia

"I tecnici uccidono la democrazia e gli ex comunisti li benedicono"
Il filosofo Gianni Vattimo: «Perché mai il Pd è diventato così reazionario da accettare Monti & C?»
 Il Secolo d'Italia, 21 gennaio 2012
di Federico Callegaro

Se provassimo a domandare a qualcuno «chi governa oggi l'Italia?», con molte probabilità ci sentiremmo rispondere "i tecnici" ma questo termine, che oramai pare essere diventato familiare a tutti, nasconde in realtà un modo tutto particolare di essere intesi e di intendere lo Stato, un modo decisamente diverso da quello che siamo abituati a conoscere. Chi siano quindi questi tecnici e cosa possa rappresentare la loro comparsa nel nostro orizzonte politico è ciò che abbiamo voluto chiedere al padre del "pensiero debole", il filosofo e l'eurodeputato dell'Italia dei valori Gianni Vattimo.

L'occidente è stato investito da una gigantesca crisi finanziaria ma la finanza, anziché ridimensionare il suo potere, ha iniziato a esercitare un ruolo ancora più centrale e diretto. Che idea ha di ciò che sta accadendo? 

È finita un'epoca di dominio imperialistico tradizionale e si è stabilito una sorta di governo mondiale di tipo tecnico in cui non si capisce bene chi sia a comandare. Un tempo si poteva dire "sparate sui padroni" ma ora come li si individua? Questa è una forma di realizzazione della neutralizzazione di cui parlava Carl Schmitt. Non c'è uno che sia amico o nemico ma c'è un sistema che si autoregola a seconda di norme che sono quelle dei bilanci. Ho anche l'impressione che ci si trovi in una situazione che sfugge al controllo democratico. È vero che i capi carismatici e i politici possano far ridere ma almeno con loro si sa con chi prendersela, invece adesso ci troviamo di fronte ad un'entità e la cosa ci riguarda come cittadini perché ci sfugge sempre di più la possibilità di determinare un controllo.
Nel novero di queste "entità" può rientrare anche l'Unione europea? 

L'Europa è una di questi enti astratti che approva o non approva il nostro bilancio e si noti che c'è pure il sospetto che dietro di lei si nascondano solo alcune potenze più potenti di altre come Francia o Germania. La tendenza globale, che riguarda anche tutti questi organi, va verso l'idea di tecnicizzare sempre di più i meccanismi in modo che non si debba valutare contro chi o in favore di chi ma semplicemente si badi al funzionamento dei meccanismi stessi. Personalmente come cittadino ma anche come filosofo sono turbato perché mi sembra di vedere ciò che Heidegger aveva descritto come Gestell, come tutto l'insieme del funzionamento in cui non si capisce chi fa funzionare cosa e soprattutto perché.
Se il tecnico è soltanto il meccanico del sistema c'è possibilità che riesca a dialogare con le parti sociali? 

Il tecnico nasce proprio per sottrarsi al dialogo. L'idea dei tecnici è questa: togliamo il peso delle logiche elettorali dal funzionamento perché con esse non si riesce a fare un ragionamento a lunga scadenza. Se in passato la figura del tecnico compariva solo nei periodi di emergenza, adesso sta diventando un qualcosa di accettato con normalità.
Nonostante quanto detto, sembrerebbe che i cittadini percepiscano i tecnici come un male minore. Come mai?

 Basti pensare a cosa è stato detto durante tutta questa crisi: se le banche falliscono anche tutti i nostri risparmi vanno persi, non si riusciranno più a pagare gli stipendi e via dicendo. In questo modo siamo stati tutti coinvolti nel funzionamento del meccanismo, che è tanto più potente quanto più è integrato. Siamo tutti sulla stessa barca e diventa difficile ribellarsi.
E il ruolo dei partiti in tutto ciò?

 Perché i partiti sono diventati così remissivi nei confronti dei tecnici? Perché il Pd non fa opposizione e sostanzialmente non chiede nemmeno nuove elezioni? Perché mai gente che ha militato nel Pci è diventata così reazionaria da accettare certe logiche? Secondo me perché non sono manipolatori dell'opinione pubblica ma sono anche loro manipolati. Credo che si sia tutti vittime del terrorismo mondiale. Non quello bombarolo ma quello mediatico...
Non c'è rischio di uno scoramento progressivo dei cittadini nei confronti della democrazia? 

Certo, questo è un naturale portato di una situazione del genere. Ma mi chiedo, la democrazia è un regime eterno? Io ci credo sempre di meno. D'altronde una democrazia in cui se non hai mezzo miliardo non riesci a farti eleggere, che democrazia è?
Se le maglie del sistema sono così strette e chi lo guida è sordo per definizione, cosa resta da fare ai cittadini? 

"Che fare?", diceva Lenin. Io ho l'impressione che convenga fare gesti vitali di piccole resistenze marginali. Questo perché la stessa idea di un sistema universale di trasformazione, una rivoluzione mondiale, non viene in mente a nessuno. Oggi non siamo nelle condizioni del proletariato di Marx che non aveva nulla da perdere. Coltivo l'illusione No Tav, una forma di anarchismo diffuso che non cambia il sistema ma che lo umanizza rendendolo lottabile. Si tratta di ritrovare uno spirito esistenzialistico che ci può rendere autentici in questo mondo e che non ci faccia vivere come delle pietre. D'altronde sollevare vuole dire anche sollevarsi.
Qual è il compito di un intellettuale in un mondo di tecnici?

 Sono convinto che come intellettuale debba predicare il conflitto in tutti i momenti possibili, alla faccia della pace ma d'altronde "la pace è la tranquillità dell'ordine". Poi, forse per l'età, non riesco a vedere un futuro ma solo un dovere a breve scadenza, quello di configgere e stimolare il conflitto. Questo lo si deve fare per respirare.