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lunedì 22 novembre 2010

Teheran parte seconda


Altro post sul blog de Il Fatto quotidiano, 21 novembre 2010

Teheran, parte seconda


Ho letto i tanti commenti giunti sul blog al mio post sul World Philosophy Day (WPD) a Tehran. In molti mi chiedevano di specificare cosa avrei detto al congresso. Su La Stampa di ieri, è riportata una parte – quella più strettamente filosofica – del mio intervento. Trascrivo qui di seguito per i lettori de Il Fatto Quotidiano l’introduzione, di natura politica, che farò precedere al mio discorso, intitolato “Universalismo, verità, tolleranza”. Lo faccio nella speranza di suscitare reazioni sul merito della riflessione e sulla proposta politica in essa contenuta (come avvenuto ad esempio in una discussione con Eco su queste tematiche), anziché commenti ispirati all’insensata equiparazione della critica delle politiche del governo israeliano e del sionismo all’antisemitismo, magari conditi da attacchi al sottoscritto (si veda, se proprio necessario, la reazione di Volli al mio post su ilfattoquotidiano.it). Sono certo consapevole della contraddizione, che in molti hanno notato, tra l’accettazione dell’invito di Tehran e il boicottaggio della kermesse israeliana (prima, ed egiziana poi) al Salone del Libro di Torino. Ma è poi tale? Forse no. Entrambe le questioni sono non solo culturali, ma anche politiche. E nel caso del Salone del Libro, che i paesi occidentali (l’Italia, poi…) – e non i loro intellettuali – non perdano occasione per ribadire il proprio sostegno alle decennali pratiche imperialistiche del governo israeliano, prendendo accordi con quest’ultimo per organizzare un evento – in Occidente, non a Tel Aviv – che inevitabilmente finisce per mortificare la causa legittima e colpevolmente trascurata dei Palestinesi, è a mio parere poco accettabile. O comunque, sembra imporsi una scelta, quella che appunto descrivo qui sotto. Un mondo multipolare ha le sue esigenze.


Universalismo, verità, tolleranza

Sono pienamente consapevole dell’onore che mi avete tributato invitandomi al World Philosophy Day. Sono già stato a Teheran anni fa, quando il presidente Katami invitò l’Accademia della Latinità, della quale sono uno dei due vicepresidenti. Oggi sono qui in altra veste: quella di filosofo, e quella di deputato del Parlamento europeo. Sono essenzialmente due le ragioni per le quali ho deciso di accettare l’invito a Teheran: il mio impegno professionale per la filosofia, e il mio impegno politico per promuovere la causa della rivolta internazionale contro l’imperialismo statunitense. Il conflitto fondamentale che caratterizza il mondo odierno è di duplice natura, filosofica e politica, e riguarda le politiche di una potenza economica e militare che pretende anche di rappresentare la ragione e i diritti umani, agitati in nome di una sorta di missione divina. Sapete perfettamente cosa questa pretesa significhi in termini di oppressione di popoli e interventi offensivi nei domini riservati degli stati. Benché non possa dire di condividere, filosoficamente e politicamente, le posizioni ufficiali del governo iraniano e di molti intellettuali del vostro paese, ho deciso di schierarmi in favore della lotta dei tanti popoli che, come quello iraniano, e quelli di paesi latino-americani come il Venezuela, Cuba, la Bolivia e il Brasile, si stanno ribellando al potere della polizia internazionale capeggiata dagli Stati Uniti. Posso ovviamente esprimere le più ampie riserve su molte posizioni ufficiali del governo iraniano: la pena di morte (che è tuttavia pratica corrente nella cosiddetta capitale della democrazia, gli Stati Uniti), ma anche (quella che a me appare come) la forte commistione tra la religione ufficiale dello stato e il diritto civile, che invece dovrebbe a parer mio garantire tutte le scelte morali e filosofiche dei cittadini, e tra queste una maggiore libertà d’insegnamento nelle scuole e nelle università, ma anche l’assenza di persecuzioni nei confronti dell’omosessualità e in generale di tutti gli orientamenti sessuali. Potrei ricordare molti altri punti di dissenso che sono propri anche dell’opinione pubblica occidentale, sebbene quest’ultima sia fortemente influenzata dalla propaganda imperialista e persino sionista. Ciononostante, in nome della causa comune contro l’imposizione soffocante del consenso di Washington, scelgo volutamente di rimandare l’esame delle tante questioni di libertà appena ricordate. Ben sapendo che anche nel mio “mondo libero”, molte delle libertà che spesso invochiamo per i cittadini iraniani non sono rispettate. Quello che mi ripropongo di fare, d’ora in poi, è contribuire, per quanto mi è possibile, alla lotta per realizzare queste libertà sia nel mio mondo occidentale sia nel vostro, ben consapevole del fatto che molti di coloro che in Occidente pretendono di difendere e affermare i diritti umani sono in realtà alleati dell’oppressore. Menziono per tutti gli pseudo-democratici sostenitori dello stato d’Israele, che è oggi uno dei più orribili esempi, ipocrita, di aggressione militare contro quegli stessi diritti.

venerdì 19 novembre 2010

Contro i danni dell'imperialismo


Quello che segue è uno stralcio del mio intervento al World Philosophy Day a Tehran, 21-23 novembre, pubblicato oggi su La Stampa, con il titolo "Contro i danni dell'imperialismo". Ho già descritto le ragioni che mi spingono a parteciparvi, nonostante le polemiche (si veda l'articolo di Maurizio Assalto questa mattina su La Stampa), in un precedente post su questo blog.


Universalismo, verità, tolleranza

Il punto che intendo proporre oggi qui, sapendo che è di intensa attualità per la filosofia e la politica che ci riguardano tutti, è che la questione dell’universalismo e della verità non può essere risolta da un punto di vista esclusivamente teoretico. Il terzo termine del titolo del mio intervento si riferisce proprio a questo. In un saggio che io qui assumerò come guida per la mia discussione (Solidarietà o oggettività?), Richard Rorty ha tentato di rintracciare le origini dell’universalismo filosofico in un preciso momento della storia del pensiero greco, quando cioè la polis aveva cominciato a espandere i propri commerci al di là dei confini in cui prima era abituata a svolgerli. In questo momento la filosofia greca iniziò a interessarsi del problema di come esprimere posizioni capaci di ottenere il consenso anche di coloro che non erano cittadini delle poleis greche, cercando dunque di porre le basi di una sorta di dominio non violento su tali popoli.

Senza discutere qui della validità di questa ipotesi di Rorty, dobbiamo ricordare che tutti noi cultori di filosofia ci siamo abituati a considerare questa “scoperta” dell’universalità come una tappa positiva nel progresso verso la civilizzazione e l’umanizzazione. Ancora oggi, pensatori di tutto rispetto come Apel o Habermas, ritengono che non sia possibile fare una qualche affermazione vera senza rivendicare, almeno implicitamente, la sua validità erga omnes. E questo omnes si riferisce non solo a coloro che giocano il nostro gioco linguisico o ai nostri concittadini: ma all’umanità in generale, rispetto alla quale la nostra affermazione rivendica la propria validità in nome della ragione stessa.

Ma nella condizione attuale che Heidegger ci ha insegnato a chiamare la fine della metafisica e che Nietzsche descrive come l’avvento del nichilismo, proprio questo appello alla validità universale è diventato sommamente sospetto. Abbiamo imparato a domandare chi è che parla, senza lasciarci spaventare dalla pretese che sia la ragione stessa. Nel mondo della fine del metafisica, ogni pretesa di universalismo deve fare i conti con il fenomeno della globalizzazione, che i filosofi non possono limitarsi a osservare da fuori: e ciò perché la storia e la crisi dell’imperialismo e del colonialismo occidentale hanno oggi una rilevanza filosofica decisiva. Non esageriamo se pensiamo che anche l’universalismo delle filosofie, anche di quelle che sorgono e si affermano al di fuori della tradizione europea, è uno dei danni collaterali prodotti dall’imperialismo occidentale. È come se l’Occidente, con la sua pretesa di parlare in nome della Ragione stessa, avesse contaminato anche altre culture, spianando la strada a una lotta tra diverse pretese di verità assoluta. In Italia abbiamo a tal riguardo un motto paradossale ma non troppo: “grazie a Dio, sono ateo”. Che potrei tradurre così: proprio perché sono cristiano non credo alla verità. La sola verità universale che la filosofia ha da offrire al mondo è quella che si incontra nel Vangelo, là dove Gesù, interrogato su come riconoscere il Messia al momento del suo ritorno alla fine dei tempi, risponde esortando a non credere a chi dice eccolo qui, eccolo là; senza dare alcuna altra indicazione positiva. Non è molto, ma può avere un decisivo significato liberante.

Gianni Vattimo

domenica 14 novembre 2010

Giornata Mondiale della Filosofia a Tehran

Giornata Mondiale della Filosofia a Tehran

Lo confesso: sono uno dei filosofi invitati alla Giornata mondiale della Filosofia che annualmente si celebra per iniziativa dell’Unesco, e che quest’anno si svolge, oltre che in alcune altre capitali, in Iran, nelle giornate comprese tra il 21 e il 24 novembre. Circola intanto sul web una notizia secondo cui l’Unesco avrebbe ritirato la sua adesione alla giornata, con l’oscura ragione che, al momento della decisione di tenerla nella capitale iraniana, non sarebbero state fornite dal governo di Tehran sufficienti informazioni su tutti i particolari organizzativi. Ma, come si vede esplorando i vari siti relativi al “World Philosophy Day 2010”, la decisione, se tale è, di ritirarsi, l’Unesco l’ha presa solo sotto la pressione dei soliti paladini del “mondo libero”.

In Italia, è stata lanciato, pare da Reset (Bosetti, Amato), un boicottaggio della giornata di Tehran. Le solite ragioni, da ultimo anche la povera Sakineh; che è stata bensì condannata a morte, per l’assassinio del marito, ma che è ancora viva, mentre la povera disabile americana il cui caso è stato accostato a quello della signora iraniana, è stata democraticamente giustiziata pochi giorni fa senza che alcun sindaco di capitale occidentale abbia sentito il bisogno di affiggere su qualche Colosseo locale il suo ritratto in formato gigante. E intanto, chi difende e commenta enfaticamente la decisione del’Unesco di ritirarsi da Tehran è il cosiddetto filosofo Bernard Henri-Lévy, una specie di Fiamma Nirenstein (o Daniela Santanché? È pure bello) francese, apologeta a tutti i costi anche delle più criminali decisioni dello stato di Israele.

Riconosco nel cosiddetto imbarazzo dell’Unesco di fronte a una giornata di filosofia in Iran nulla più che la eco delle pressioni della Cia e del colonialismo sfrontato di Israele, che mentre stigmatizza Amadinejahd e vuole impedire ai filosofi di tutto il mondo di incontrarsi a Tehran con i colleghi iraniani, continua a calpestare senza scrupoli i diritti dei Palestinesi e tutte le delibere dell’Onu e di quella “comunità internazionale” di cui Bosetti e compagni pretendono di essere i portavoce. Anche per queste ragioni, per manifestare una volta di più lo sdegno e la rivolta contro l’ipocrita osservanza della disciplina poliziesca imposta dagli Stati Uniti e dai loro alleati (anche l’Italia di Berlusconi!), sarò a Tehran per il World Philosophy Day e mi auguro che i colleghi filosofi invitati abbiano la dignità di respingere il ricatto a cui qualcuno oggi cerca di sottoporli.

Gianni Vattimo