Corrado Ocone e la filosofia classica tedesca
Restituiteci la filosofia classica tedesca, please
Il vero rimosso della polemica tra neorealisti e postmoderni, è la
dialettica che ci insegna a tenere aperto uno spazio di comunicazione
fra prospettive e idee diverse, ad avere consapevolezza che anche chi
consideriamo in “errore” può essere portatore di qualche elemento di
“verità”.
di Corrado Ocone. Il Riformista, 3 dicembre 2011
L'intervento di Filippo La Porta su Ragioni di domenica scorsa,
nonostante il suggestivo accostamento di democrazia e verità, si presta
ad alcune obiezioni di fondo. Più in generale, è proprio il dibattito
attuale fra neorealisti e postmodernisti che lascia profondamente
insoddisfatti. A ben vedere, in entrambi gli schieramenti c’è un
rimosso, un macigno che ostruisce la strada e che non può semplicemente
essere scansato deviando. Il rischio è che ci si perda per davvero. Per
chiarirmi io stesso e per chiarire a voi il senso di questa
insoddisfazione e anche la natura del grande rimosso, propongo in questa
sede un itinerario in tre tappe, che vanno a ritroso nel tempo, e una
conclusione.
Prima tappa: estate 2011. Che un’epoca della storia
delle idee fosse finita lo avevamo capito da un po’. Quest’estate però
la conferma ci è arrivata dal mensile inglese Prospect che ha pubblicato
un lungo e persuasivo articolo del critico letterario Edward Docx con
un titolo che era una campana a morto: «Il postmodernismo è finito». Lo
spunto era una esposizione che è tuttora in corso al Royal and Albert
Museum di Londra e che permette di storicizzare un’epoca, gli ultimi
trent’anni approssimativamente, in cui non solo le arti, ma anche la
filosofia, i comportamenti, gli stili di vita hanno assunto un tono ben
determinato.
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Jean-François Lyotard |
Del postmoderno anzi, a ben vedere, si può addirittura
fissare una data di nascita, un momento in cui giunge a consapevolezza. È
il 1979, l’anno in cui cioè il sociologo Jean Francois Lyotard pubblica
con il titolo La condition postmoderne un agile rapporto sullo stato
del sapere nel mondo contemporaneo che gli è stato commissionato
dall’Unesco
In esso egli parla di fine delle metanarrazioni, cioè
della crisi irreversibile di quelle dottrine che avevano fino allora
preteso di dare un senso unitario alla realtà: l’illuminismo,
l’idealismo, il marxismo. Al loro posto, Lyotard vede all’opera una
positiva pluralità di linguaggi e di saperi, una frammentazione e una
dispersione del senso che, a suo dire, può coincidere con
l’emancipazione umana, con la libertà da ogni costrizione di vita e di
pensiero. È l’immagine gioiosa di Zarathustra che danza. E comunque un
richiamo a quel prospettivismo che aveva portato Nietzsche a dire che
«non ci sono fatti ma solo interpretazioni».
Come sia andata a
finire, è dato sapere. Come ammette lo stesso Vattimo, che con il
filosofo americano Richard Rorty e altri tentò di dare una base
filosofica al nuovo “spirito dei tempo”, non fu previsto che, nel
deserto delle ideologie, una sarebbe tuttavia sopravvissuta e avrebbe
soppiantato ogni altra. Più pericolosa delle altre, perché si sarebbe
presentata come una non ideologia. Non è un caso che il trentennio del
postmoderno abbia coinciso con quello del neoliberismo, cioè con il
tracimare in una mistica dell’idea di Mercato. E non è un caso che oggi
anch’essa sembra finita, almeno da un punto di vista teorico: la crisi
finanziaria del 2008, che ancora tutti ci avvolge, ne ha mostrato fin
troppo bene i vizi e i limiti.
Seconda tappa: ottobre 2010. Fra i
critici più eminenti del postmoderno in Italia si segnala Maurizio
Ferraris, con le cui posizioni La Porta si mostra particolarmente
simpatetico. Allievo di Vattimo, autore di una importante Storia
dell’ermeneutica (1988) tradotta in più lingue, Ferraris, a partire
dall’inizio degli anni Novanta, matura una svolta radicale del suo
pensiero: uccide metaforicamente il proprio Padre-Maestro e va
elaborando una sua autonoma prospettiva realista o neo-realista.
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Richard Rorty |
Un
anno fa ho avuto l’onore di essere invitato a Napoli da Ferraris ad un
seminario in cui ha presentato a un ristretto numero di studiosi la sua
critica del postmoderno. L’ho trovato molto persuasiva. In modo
inconsueto per un filosofo, Ferraris ha proiettato delle diapositive
illustrative. In una c’era una foto di Rorty accompagnata da tre
icastiche affermazioni, che cito a mente: 1) la verità e la realtà sono
concetti violenti, dispotici, vanno eliminati; 2) bisogna essere
“teorici ironici”, cioè non prendersi sul serio e non credere fino in
fondo a se stessi e a quanto si dice; 3) bisogna promuovere una
“rivoluzione desiderante”. Dopo aver commentato, Ferraris ha cambiato
diapositiva: nella successiva le tre frasi restavano le stesse, ma al
posto di Rorty compariva la foto di Berlusconi. Più chiaro di così?
Terza
tappa: 2009. I problemi per me sorgono quando Ferraris illustra la pars
construens del suo pensiero, quando spiega in che senso e in che modo
egli vuole ristabilire l’idea di realtà e il concetto della verità. Qui
il riferimento d’obbligo è al suo libro di maggior impegno fra gli
ultimi pubblicati, quello con intento sistematico: Documentalità, uscito
da Laterza nel 2009. In esso Ferraris ci offre un “catalogo del mondo”,
che per lui è un mondo di oggetti, fatti bruti, tutti ben distinti e
separati: oggetti naturali, ideali, sociali, secondo la sua
classificazione. Il rapporto fra oggetti e mondo è quello fra contenuto e
contenitore. Con un gusto oserei dire quasi snobistico, egli butta al
mare tutto il pensiero moderno successivo a Kant, recuperando un
concetto di “natura” alquanto astratto: fra i razionalisti cartesiani da
una parte e i teorici della decostruzione e del postmoderno dall’altra è
come se, per lui, non ci fosse proprio nulla. La sua prospettiva è
quella che in linguaggio tecnico si chiama “realismo ingenuo” in quanto
non tiene conto della svolta che la filosofia ha subìto con la
“rivoluzione copernicana” di Kant: quella “svolta trascendentale” che ci
porta ad affermare che non esiste o non ci è dato attingere una “realtà
in sé” con la ragione, perché la realtà è sempre mediata nella
conoscenza dai nostri schemi concettuali. In questo senso si parla di
“presupposto oggettivante” come di un pre-giudizio che non regge ad una
attenta riflessione.
Immediate conseguenze del modo di pensare di
Ferraris sono due: la logica può essere solo quella formale delle
scienze; la verità non è altro che la vecchia adaequatio rei et
intellecctus, quella “corrispondenza” perfetta che in San Tommaso aveva
correttamente un garante di ultima istanza nel Padreterno.
Ricapitolando:
per Ferraris la realtà e la verità esistono, ma come mondo di oggetti
già dato e come “esattezza” di tipo matematico del discorso. Non come
storia e come articolazione razionale di un discorso su di essa.
Ulteriore e non inessenziale conseguenza: il mondo dei sentimenti, delle
passioni, dell’immaginazione, dell’intuizione, non può avere nessuna
virtù conoscitiva.
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Maurizio Ferraris |
Una conclusione. Ecco allora chiarito il motivo
della mia insoddisfazione. Il dibattito fra neorealisti e postmoderni
tiene fuori tutta la filosofia classica tedesca. E tiene in conseguenza
fuori anche la tradizione italiana che in modo sempre critico e autonomo
su quelle basi si era fondata. È un problema solo teorico? Non credo.
Come Ferraris ci ha mostrato con il gioco delle diapositive, ogni scelta
teorica ha un correlato pratico. Il pensiero non è mai innocente.
L’autore
che non è assolutamente tenuto presente o quanto meno non è preso sul
serio in tutta la sua forza e vigore speculativo è Hegel, il pensatore
che ci ha mostrato come la realtà e la verità esistono, ma anche come
non siano delle cose pallide ed esangui, degli oggetti separati che
stanno lì fuori ad aspettare che noi li incrociamo e “rispecchiamo”.
Prima di tutto la realtà è un processo e non un risultato. Poi è un
insieme interrelato di forze concrete, reali, storiche, in tensione
dialettica tra loro. “Il vero è l’intero” e questo intero è “totalità
organica”: non un semplice aggregato di oggetti, ma un insieme di
elementi storici in progresso e interdipendenti. Confacente alla realtà è
una logica che non si limiti a separare astrattamente gli elementi, ma
sappia vederne anche le intercorrelazioni reciproche: che sia confacente
nel pensiero al movimento dialettico o storico del reale. In
definitiva, è la dialettica il vero rimosso di questa polemica e anche
del pensiero italiano degli ultimi anni. È come se, a un certo punto, si
sia voluto buttare via con l’acqua sporca dell’utopismo marxista anche
il bambino del suo canone di interpretazione storica.
|
Benedetto Croce |
Ovviamente da
integrare con altri canoni, come ci ha insegnato Croce, ma comunque
assolutamente da non ignorare. Anche perché la dialettica ci insegna a
tenere aperto uno spazio di comunicazione fra prospettive e idee
diverse, ad avere consapevolezza che anche chi consideriamo in “errore”
può essere portatore di qualche elemento di “verità”, a non opporci in
modo astratto a chi la pensa diversamente da noi ma a cercare di mediare
e integrare le loro posizioni nelle nostre perché la verità esiste ma
non è monopolio di nessuno.
Lo stesso Croce, il punto più alto della
nostra tradizione filosofica e storicistica, mostrò come sia in Hegel
sia in Marx ci fosse un momento in cui la dialettica si contraddiceva e
si chiudeva: lo Spirito assoluto nel primo, la futura società comunista
nel secondo. Ma le contraddizioni dei grandi dovrebbero essere
smascherate, non dovrebbero servire per occultare le loro conquiste.
E
come dimenticare che ci fu anche chi come Guido De Ruggiero, a mio
avviso non a torto, individuò in Hegel, nella sua idea di conflittualità
produttiva emergente dall’analisi del rapporto servo-padrone,
addirittura un padre del liberalismo? E finì per dedicargli un capitolo
centrale della sua Storia del liberalismo europeo, un volume che, a
dimostrazione del carattere cosmopolita di quella nostra cultura, fu
subito tradotto dal grande “crociano” di Oxford Collingwood per i tipi
della Cambridge University Press, avendo una diffusione enorme e
comparendo per molto tempo nelle bibliografie sul tema. Lo stesso
marxismo italiano, pur con tutti i suoi limiti, grazie soprattutto a
Gramsci, si era costruito su una solida base storicistica, in una linea
di continuità di pensiero che da Machiavelli e De Sanctis giungeva a
Labriola e Croce.
Siamo sicuri che tutto questo sia un passato da
dimenticare? Come non vederne la solidità e il rigore di pensiero e
azione? A mio modo di vedere non si può cambiare, né andare incontro al
futuro, se non ci si confronta con questa nostra identità, se non si ha
il coraggio di superarla anche ma comunque restando alla sua altezza.
9 commenti:
Salve, non parlo e non scrivo da "addetta ai lavori" del dibattito in questione, ma da appassionata di filosofia di livello amatoriale. Sento comunque l'esigenza di intervenire, anche perche il "rimosso" più che la filosofia strictu sensu ha a che fare con la formazione che mi è più propria. La rimozione della dialettica in tutte le sue forme, di cui si parla nell'articolo di Ocone, a mio avviso si avverte sul solo versante del New Realism e non vedo come potrebbe essere altrimenti: in una concezione del rapporto uomo-mondo ingenuamente corrispondentista è difficile che possa trovare spazio la dialettica che è essenzialmente "movimento", nel pensiero e nella prassi: che senso e che ragion d'essere rimane all'antitesi, alla sintesi, al superamento, se sono tornati a pensare un soggetto puro che se ne sta davanti agli oggetti e li guarda, e li vede così come sono? Sul versante della Postmodernità non credo si possa parlare parimenti di "rimozione" della tradizione dialettica, quanto di suo superamento che diviene declinazione-distorcimento (verwindung heideggeriana). Dal punto di vista della dialettica servo-padrone, dire che il vero è l'intero e la fase emancipatoria la ria-appropriazione, per usare un riferimento Beckettiano equivale a dire che Pozzo e Lucky si scambiano di posto, ma non recidono mai la catna che li lega. Il valore e la ricchezza della tradizione dialettica -Hegeliana così come Marxista - non è rimosso nel pensiero della Postmodernita, ma "vive e respira" nelle sue fibre, fa parte di quei "miti che si ereditano" e si superano, senza però rinnegarli, si trasformano in qualcosa d'altro: per esempio l'essere che da presenza si fa evento, invio, rammemorazione del già andato.
Paola Trombetti
Sì, condivido. Anche se devo riconoscere che si tratta di una posizione non maggioritaria nelle tradizioni a cui si riferisce. Si può essere postmodernisti, per così dire, senza essere marxisti. E naturalmente viceversa.
Forse ho dato adito ad un fraintendimento: concordo infatti con lei nel pensare che non tutti i postmodernisti sono marxisti, e viceversa. Con il mio precedente commento volevo solo dissentire dall'accusa di rimozione della dialettica (in tutte le sue forme e non solo in quella di estrazione marxista), che veniva mossa senza alcuna distinzione nei confronti del pensiero postmoderno, così come di quell'"ultima moda" del pensiero che con un orrido anglicismo risponde al nome di new realism, nei confronti della quale l'accusa non è poi tanto infondata.
Raccomando il lettore di avere la pazienza di arrivare tranquillamente fino in fondo se vuol capire realmente il mio pensiero.
Relativismo, prospettivismo... Io ci aggiungerei un contestualismo.
Il Pensiero Debole, pars destruens, il New Realism, par costruens. Tutto starebbe a capire se i due sono davvero in relazione, se c'è davvero un solo contesto o più contesti, sovrapposti o addirittura solo confinanti... Mi spiego.
Non c'è dubbio che il debolismo abbia svolto una funzione di emancipazione. Tuttavia non lo trovo davvero universale, o perlomeno non mi pare che il suo universo di riferimento sia grande tanto quanto apparirebbe. Esso demolisce il pregiudizio che l'assoluto sia qualcosa di possedibile, di raggiungibile, afferrabile. Tuttavia non può certo porsi in polemica con una concezione differente dell'assoluto. Kierkegaard teneva a indicare nel rapporto assoluto dell'individuo con l'Assoluto l'unica strada possibile, ma il porsi dell'individuo era in un rapporto realizzato dall'Assoluto stesso. Che cosa avrebbe da ridire un relativista su un'affermazione così? Anzi, direi che se tutto fosse relativo, il relativo stesso sarebbe l'assoluto; come allora evitare il riferimento a un'alterità, a un'assolutezza? Tutto sta a non ricadere nella pretesa della verità assoluta contentandosi della verità dell'assoluto. E poi, al di fuori di questo mondo?
Si pensa all'ingenuità antica per mezzo di luoghi comuni troppo scontati. Eppure il geocentrismo funziona bene quanto l'eliocentrismo se ci si pensa bene. Gli antichi generalmente si limitavano a riferirsi alle apparizioni celesti, non ai pianeti, che semplicemente non conoscevano. Il mondo celeste veniva considerato divino, ma secondo religioni della natura, che cioè vedevano il divino nella natura (parlo dei politeismi antichi). Tutti sapevano che la luna non era una donna e il sole non era un uomo, pur raffigurandoli antropomorficamente. Non credo poi che l'eternità delle sfere celesti venisse confusa con una presunta eternità degli astri. Mi chiedo cosa ci sia di diverso tra il principio di Archimede e la teoria della gravitazione universale. I romantici vedevano nella locomotiva il progresso, forse qualche greco lo vedeva in un meccanismo di leve. Parlo della scienza perché pare esser stata la separazione tra la scienza antica e quella moderna a generare tante fratture filosofiche.
Marco Aurelio parlava di un'anima, o meglio forse animo, che considerava come elemento etereo, aereo, destinato a durare oltre la morte e poi a dissolversi anch'esso: ma anche di qualcos'altro, un principio eterno, che prima si riduceva allo stato di "seme", poi faceva rinascere il vecchio essere. Cosa ne sa l'uomo convenzionato di questi discorsi, legato ai luoghi comuni e alle interpretazioni dominanti? Dall'Apocatastasi alla Bibbia! La contrapposizione paolina spirito/carne viene attualmente confusa con l'altra anima/corpo. Eppure io direi che si tratta di due cose differenti. Mettere in relazione "carne" con la corporalità lo trovo assurdo, ancor meno "spirito" con l'animalità... Tanto è vero che l'Incarnazione in Giovanni non è la discesa dell'anima in un corpo, bensì l'unione umano-divina. Eppure tutto questo non è compreso.
Quindi io ci andrei cauti.
Perché non riflettete sul concetto heideggeriano di sradicamento?
Il New Realism pare un pensiero progressivo, ancor a maggior rischio sradicamento. Attuali ad ogni costo? ma di quale atto si sta, si vuol, si deve parlare?
Saluti diversi.
MAURO PASTORE
Son passati alcuni anni dal mio commento qui su; nel frattempo anche per aver notato io che da molti troppi si cercava decontestualismi a altri contesti antifilosofici, scrissi altrove per farne notare. Anche per questo, ho scritto ultimamente commenti a recensioni filosofiche, su sito siglato ReF, cui modulo di ricerca più generale risultami odiernamente fuori uso purtroppo e sul quale a volte son sparite precisazioni verbali inviate o interi messaggi... Logica delle sparizioni in accordo a convenzionalità che è diventata del tutto contro destini di filosofia e di politica.
Mentre in Occidente domina una estranea ed intromessa cernita, in particolare contro musicologie ed estetiche rigorose, cernita cui aderisce maggioranza o tutta l'editoria che ne sarebbe dovuta essere referente ed invece fa da censura in accordo a veti sociali imposti criminosamente, dei quali ultima istanza sono di moltitudini che non solo rifiutano musicalità occidentale ma la avversano, avversando pure tradizioni popolari comuni euroasiatiche musicali, ...mentre accade ancora tutto questo che purtroppo si avvale delle requisitorie e dei sequestri e delle vessazioni e dei tormenti manicomaniali nosocomiali della malasanità, si tenta da chi sconfitto o non abbastanza vincente nella Guerra Fredda e da impolitiche antipolitiche di Meridioni del Mondo di togliere alla filosofia i contesti necessari a sua prosecuzione... Ciò accadendo anche con retrività che da cattolica excattolica oramai cattolicista cattolicistica...
Questa ultima agisce per mezzo di soprusi che si posson descrivere per figurazioni:
"le mamme continenza" in realtà rapitrici repressitrici di orfani o altro non diverso;
"i ragionieri dei ravvedimenti" in realtà volontari omettenti, spesso commercialisti, disinformanti che tentano di sollevare il Fisco contro chi vuol esser scrupoloso;
"i ragazzi e le ragazze della disinibizione", moltitudini in delitto contro culture naturali cui grecità intrinsecamente appartiene ovunque essa sia, non solo quella politica dello Stato greco della Ellade;
"gli agenti e i magistrati e i rappresentanti della omografe" che gestiscono tempi non più veri e dai quali sono ordinati tormenti e impedimenti contro la vitalità esuberante;
"la gente dell'ordine migliore" che occupa strade per impedire gli spostamenti più necessari specialmente mettendosi contro quelli a scopo realmente sessuale...
ma anche i
"padri punitori" e i "compagni estromettenti"...
Tutta questa contrarietà antivitale anche antiintellettuale si è palesata involontariamente scambiando essa stessa parzialità soggettiva di suo problema con biologie sinologiche per totalità oggettiva e con tale scambio si è posta una condizione evidente di ancor maggiore debolezza senza saggezza. Quanto di arbitrario ed eccedente in relatività intellettuale, cui relazioni democratiche distinte e cui obiettivo relativismo solo in parte afferente parte di "pensiero debole", è stata sfruttata da moltitudini in volontà antioccidentale sempre più intromessa ed anche antiorientale; e proprio troppi ancora tentano di sottrarre i contesti al procedere della filosofia, spesso fingendone estraneità a poesia!
MAURO PASTORE
E' evidente che del rifiuto contro conoscenza di filosofia classica tedesca vanno specificati i contesti antifilosofici anziché contribuire all'oscurantismo anticulturale e subculturale.
Non tanto evidente è che l'appello alla dialettica hegeliana non basta e se usato per ostracizzare la dialettica platonica esso è disastroso perché aliena dalla saggezza occidentale e filosofica del disinganno.
In tal ultimo senso si può constare che molti troppi cercano decontestualismi ed altri contesti antifilosofici; anche di ciò io scrissi ed ho scritto altrove per farne notare (avendo dovuto e dovendo io affrontare insidie direttamente al presente dello stesso scrivere, da intromissioni antioccidentali pseudocattoliche e invasioni antisettentrionali, spesso anagraficamente "insospettabili").
Marxismo e sua dialettica, ai margini talora furono non inaccettabili moderazioni per antifilosofie che sottraevano destini peggiori alla filosofia; ma ora sono evento che non esiste più autenticamente...
Se antifilosofia con scopo di evitare che saggezza sia sempre ed antivitalmente in ricercare, allora antifilosofia sarebbe non in se stessa tale e servirebbe pure causa stessa di efficacia filosofica; ma restante di essa e di essa stessa è e sarà contro opportunità politiche ecologicamente del tutto necessarie.
Relatività autentica, sia forte che debole, sia debole che forte, (...!) è pensiero filosofico politico in democrazia necessario a medietà di stessa democraticità.
Però ragioni di Interezze, sia comuni che non comuni, sono più gravi e sovraordinate alle ragioni molteplici comuni - e unità comunista non ha senso per Italia neppure per totalità occidentale.
Emotività cui ragioni stesse ovviamente ne è origine non contrarietà, anche in sospender ragione stessa qualora pura decisione vitale unica possibile.
Acciò, appello a classicità filosofica tedesca non fa da prospetto utile e non è contesto sufficientemente favorevole poiché tale classicità offriva quadro di completezza emotiva-logica diacronicamente non sincronicamente e lasciando sincrono in culture linguistiche teutoniche solamente.
MAURO PASTORE
In mio ultimo messaggio:
'si può constare'
sta per:
si può constatare.
Reinvierò.
MAURO PASTORE
E' evidente che del rifiuto contro conoscenza di filosofia classica tedesca vanno specificati i contesti antifilosofici anziché contribuire all'oscurantismo anticulturale e subculturale.
Non tanto evidente è che l'appello alla dialettica hegeliana non basta e se usato per ostracizzare la dialettica platonica esso è disastroso perché aliena dalla saggezza occidentale e filosofica del disinganno.
In tal ultimo senso si può constatare che molti troppi cercano decontestualismi ed altri contesti antifilosofici; anche di ciò io scrissi ed ho scritto altrove per farne notare (avendo dovuto e dovendo io affrontare insidie direttamente al presente dello stesso scrivere, da intromissioni antioccidentali pseudocattoliche e invasioni antisettentrionali, spesso anagraficamente "insospettabili").
Marxismo e sua dialettica, ai margini talora furono non inaccettabili moderazioni per antifilosofie che sottraevano destini peggiori alla filosofia; ma ora sono evento che non esiste più autenticamente...
Se antifilosofia con scopo di evitare che saggezza sia sempre ed antivitalmente in ricercare, allora antifilosofia sarebbe non in se stessa tale e servirebbe pure causa stessa di efficacia filosofica; ma restante di essa e di essa stessa è e sarà contro opportunità politiche ecologicamente del tutto necessarie.
Relatività autentica, sia forte che debole, sia debole che forte, (...!) è pensiero filosofico politico in democrazia necessario a medietà di stessa democraticità.
Però ragioni di Interezze, sia comuni che non comuni, sono più gravi e sovraordinate alle ragioni molteplici comuni - e unità comunista non ha senso per Italia neppure per totalità occidentale.
Emotività cui ragioni stesse ovviamente ne è origine non contrarietà, anche in sospender ragione stessa qualora pura decisione vitale unica possibile.
Acciò, appello a classicità filosofica tedesca non fa da prospetto utile e non è contesto sufficientemente favorevole poiché tale classicità offriva quadro di completezza emotiva-logica diacronicamente non sincronicamente e lasciando sincrono in culture linguistiche teutoniche solamente.
MAURO PASTORE
Ciò che ha fatto constare una giusta e necessaria opposizione debole a una ingiusta e superflua forza anticomunitaria, non sempre è stato restante e non totalitario comunismo, datoché non solo comunisti anche comunardi in panorama politico e filosofico attuale ed anche italiano.
Non entro comunismo miei messaggi a questo sito consistono.
Inoltre faccio presente che lettura di questo sito non è di circolo comunista.
MAURO PASTORE
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