mercoledì 30 novembre 2011

Transavanguardia al Castello di Rivoli




Comunicato stampa evento: ACHILLE BONITO OLIVA AL CASTELLO DI RIVOLI

vai alla pagina ACHILLE BONITO OLIVA AL CASTELLO DI RIVOLI Dal lunedì 05 dicembre 2011
al lunedì 05 dicembre 2011
NELL’AMBITO DELLE CELEBRAZIONI DELLA TRANSAVANGUARDIA

Lunedì 5 dicembre 2011, ore 18 teatro del Museo, ore 19 Manica Lunga

In occasione delle celebrazioni nazionali dedicate alla Transavanguardia, il Castello di Rivoli – dopo le mostre sull’Arte Povera e Luigi Ontani torna ad essere protagonista con un convegno e un’esposizione dedicata al celebre movimento italiano.
Lunedì 5 dicembre alle ore 18, Achille Bonito Oliva parlerà della Transavanguardia con il filosofo Gianni Vattimo, lo storico dell’arte Francesco Poli e il direttore della GAM Danilo Eccher. L’incontro si terrà nel teatro del museo e durerà circa un’ora. Alle 19 il pubblico sarà invitato a seguire nella Manica Lunga Achille Bonito Oliva che illustrerà alcuni celebri capolavori di Nicola De Maria, Francesco Clemente, Sandro Chia, Enzo Cucchi e Mimmo Paladino.
Questo importante tributo al celebre movimento italiano rientra nel progetto Le Scatole Viventi / The Living Boxes a cura di Andrea Bellini.
TRANSAVANGUARDIA
Corrente pittorica emersa in Italia intorno al 1980 che, come analoghe esperienze tedesche e statunitensi contemporanee, si è proposta di superare il linguaggio astratto-concettuale delle neoavanguardie attraverso un ritorno a materiali e tecniche pittoriche tradizionali e una figurazione dai tratti espressionisti, e talvolta con un recupero di motivi e forme del passato. Esponenti della transavanguardia – sostenuta dal critico A. Bonito Oliva, cui si deve il neologismo – sono S. Chia, M. Paladino, E. Cucchi, F. Clemente, N. De Maria, presentati per la prima volta alla Biennale di Venezia del 1980.
(Enciclopedia Treccani)
Achille Bonito Oliva
“L’area culturale in cui opera l’arte degli anni Ottanta è quella della transavanguardia, che considera il linguaggio come uno strumento di transizione, di passaggio da un’opera all’altra, da uno stile all’altro. L’avanguardia, in tutte le sue varianti del secondo dopoguerra, si sviluppava secondo l’idea evoluzionistica del darwinismo linguistico che trovava i suoi antenati fissi nelle avanguardie storiche e in una visione anche essa lineare della storia come progresso e superamento delle antinomie. La transavanguardia invece opera fuori da queste coordinate obbligate, seguendo un atteggiamento nomade di reversibilità di tutti i linguaggi del passato, assecondata da una nuova nozione di storia ribaltata in post-storia non garantita da alcun sistema di previsione. (…) L’arte nasce da radici ramificate ed elastiche che permettono all’artista di uscire dal territorio antropologico inizialmente abitato e di partecipare in tal modo a un fenomeno di meticciato culturale senza precedenti. In un’epoca di crisi come la nostra, nella seconda decade del XXI secolo tutto questo ci permette di affermare un nomadismo culturale e la coesistenza delle differenze. Questo è l’indispensabile valore che le transavanguardie, ormai transcontinentali, trasmettono e sembrano venire in soccorso di una società globale sempre più sottoposta ai colpi di una crisi epistemologica, finanziaria, politica e morale.”
(Estratto dal saggio di Achille Bonito Oliva pubblicato nel catalogo “La Transavanguardia Italiana”, Skira, 2011).
Considerato il grande successo di pubblico, la mostra Luigi Ontani. RivoltArteAltrove è stata prorogata al 15 gennaio 2012.

REGIONE PIEMONTE - FONDAZIONE CRT - CAMERA DI COMMERCIO INDUSTRIA ARTIGIANATO E AGRICOLTURA DI TORINO - CITTA’ DI TORINO - UNICREDIT

Castello di Rivoli

Sede Piazza Mafalda di Savoia, Rivoli 10098 -  Mappa
Informazioni Tel +39 011 9565222 | info@castellodirivoli.org | http://www.castellodirivoli.org/

Un Audit sul debito anche in Italia

Riporto qui, sostenendo anch'io l'appello lanciato in Francia per un Audit pubblico sul tema del debito, un articolo di Salvatore Cannavò pubblicato sul blog de Il Fatto Quotidiano in data odierna.

Un Audit sul debito anche in Italia
di Salvatore Cannavò
Il Fatto Quotidiano, 30 novembre 2011

Se si guardano i presidenti del Consiglio degli anni di maggior picco nella formazione del debito pubblico italiano, i responsabili della situazione hanno il nome e cognome degli uomini della nomenklatura democristiana, e poi socialista, che ha retto il paese per circa cinquant’anni. E che il debito pubblico abbia radici clientelari e truffaldine è indubbio. Ma la dilatazione dei debiti è stata anche una precisa scelta delle politiche compiute in Europa negli ultimi dieci-quindici anni che hanno visto l’applicazione di politiche neoliberiste basate su ipotesi di riduzione della pressione fiscale con la diminuzione delle tasse verso gli strati più alti della società o verso le società private.

La spesa sociale in rapporto al Pil, infatti, in Italia è in linea con le entrate fiscali tra il 1980 e il 1990 e poi addirittura si riduce. Se nel 1960 la spesa per sanità era il 10,5 del Pil nel 1994 sale al 10,7, cioè resta ferma. La spesa per Istruzione scende dal 10,9 al 9 per cento mentre la famigerata spesa pensionistica passa dal 32,9 per cento del 1960 al 33,6 per cento del ’94. Se si fa la somma dalle manovra varate dal governo Amato del 1992 in poi, si supera la soglia dei 500 miliardi di euro. Di tagli e “sacrifici”.

Contestualmente, abbiamo assistito a una miriade di finanziamenti a pioggia, di incentivi, defiscalizzazioni che Marco Cobianchi nel saggio “Mani bucate” (Chiarelettere, 2011) ha stimato in 30-40 miliardi l’anno. Altro che spesa per le pensioni o per lo stato sociale.

Poi la politica fiscale. Secondo i dati Eurostat, dal 2000 al 2010 la pressione fiscale dell’Europa a 27 è passata dal 44,7 al 37,1 per cento con una riduzione del 7,6 per cento. Le imposte sui redditi delle società sono passate dal 31,9 al 23,2 con una riduzione dell’8,7 per cento. Se la pressione complessiva in Italia è rimasta più o meno stabile, riducendosi solo dello 0,3 per cento in dieci anni – e, comunque, destinata ad aumentare per effetto delle manovre economiche dell’ultimo governo Berlusconi - quella sui redditi delle società è passata dal 41,3 per cento al 31,4 con una riduzione del 9,9 per cento.

E’ giusto quindi chiedere l’annullamento della parte illegittima del debito, cioè quello realizzato per sostenere i profitti, per garantire la speculazione delle grandi banche e per sorreggere un’economia capitalistica in crisi di sbocchi, e quindi di margini di profitto, e bisognosa di una bolla finanziaria in grado di garantire l’attività. Come è giusto contestare la legittimità di un debito contratto per applicare politiche sociali ingiuste, in violazione dei diritti economici, sociali, culturali e civili dei popoli. E’ quanto ha sostenuto per anni il Comitato per l’annullamento del debito del terzo mondo (Cadtm) che ormai si occupa dei debiti del “nord del mondo” e le cui idee sono state pubblicate nel volume “Debitocrazia” in uscita con Alegre.

Dai dati della Banca d’Italia risulta chiaro che il 39.2% del debito pubblico italiano è nelle mani di investitori stranieri, questa percentuale sale al 46.2 se si considerano solo i detentori di titoli di Stato. Ancora nel 1991 i detentori domestici erano pari al 94%. Le famiglie, imprese e altri settori controllano appena un quarto del debito. Il debito, dunque, rappresenta la stratificazione delle politiche economiche fin qui adottate.

Quando si discute dell’intangibilità del diritto dei creditori non si può non tener conto del loro profilo (e andrebbe istituto un albo dei detentori di titoli per supportare l’audit). Un Audit è stato realizzato con successo in Ecuador, che è ovviamente un paese molto più piccolo e semplice dell’Italia ma che costituisce un riferimento possibile per un metodo di lavoro. L’Audit, da realizzare con la partecipazione di associazioni, cittadini, comitati, ecc. serve a radiografare quella cronistoria di cui parlavamo all’inizio, definire responsabilità e indicare vie di uscita possibili (annullamento parziale, rinegoziazione, congelamento interessi, etc.). Certo, non è una soluzione definitiva ma può prevedere soluzioni: controllo sul credito, ruolo pubblico della banca centrale, istituzione di una vera patrimoniale, etc.

Un appello per un Audit pubblico è stato lanciato in Francia da una serie di forze sociali e intellettuali (www.audit-citoyen.org pubblicato in italiano su www.rivoltaildebito.org) e ha già superato le 40 mila adesioni. Tra i promotori forze sindacali come la Cgt, l’Union syndacal Solidaires, Attac, il Cadtm, economisti come François Chesnais (foto qui sopra nel post) e Michel Husson, filosofi come Etienne Balibar, altermondialisti come Susan George. In Italia hanno già aderito personalità come Gianni Vattimo e Massimo Carlotto. Potrebbe diventare un tema di stringente attualità.

lunedì 28 novembre 2011

Sul libro di Cavalletti ("Suggestione. Potenza e limiti del fascino politico")

ISBN: 9788833981055
Editore: Bollati Boringhieri
Ipnosi e potere
L'Espresso, 25 novembre 2011

È possibile l'esistenza di un ordine sociale razionale, che non utilizzi i meccanismi della suggestione emotiva, la manipolazione delle coscienze? Questa è in fondo la questione che ispira il denso libro di Andrea Cavalletti "Suggestione. Potenza e limiti del fascino politico" (Bollati Boringhieri, pp. 175, E 15). Siamo tutti continuamente richiamati a ritrovare i "valori" nella nostra vita collettiva. Ma lo stesso termine valore ha molto a che fare con la condivisione istintiva di visioni del mondo assimilate per tradizione o per imitazione.

Cavalletti si concentra sull'interesse sviluppatosi in Europa alla fine dell'Ottocento, ma già dal tardo Settecento, per il mesmerismo, l'ipnosi, l'elettricità: quelle forze che più sembravano difficili da calcolare con i criteri materialistici cari al positivismo. Proprio con la scoperta che il mesmerismo e l'idea di un fluido trasmesso invisibilmente non hanno fondamento si comincia a parlare di suggestione, di diffusione di idee per una sorta di contagio prodotto dal potere dell'imitazione.

Il racconto di Thomas Mann "Mario e il mago", a cui Cavalletti dedica una lunga analisi, definisce l'orizzonte del lavoro: magia, ciarlataneria, uso della suggestione da parte di dittatori, e inizio di una psicologia delle folle, crescente consapevolezza critica presso gli intellettuali (Benjamin, Foucault) sono i temi intorno a cui l'autore raccoglie una miriade di preziose osservazioni e richiami a testi non frequentati dalla critica. Sembra che egli riponga una speranza nel fatto che la stessa suggestionabilità su cui contano i ciarlatani disonesti rappresenti un argine di resistenza inerziale al loro potere. 

Gianni Vattimo

martedì 22 novembre 2011

Milano, transavanguardia...

La transavaguardia? L'ha inventata Nietzsche

Giovedì si apre a Milano la kermesse del movimento lanciato nel ’79 da Achille Bonito Oliva. Vattimo ne spiega il contesto

La Stampa, 22 novembre 2011

Come guardare l’arte della transavanguardia? La sua «cornice» storica è quella del post-moderno, di cui è venuto di moda dire che è morto... Ma davvero? Oppure anche qui è stata soffocata, come in tanti altri campi, la possibilità emancipativa che veniva aperta dalle nuove condizioni che facevano e fanno rabbrividire tutte le auctoritates - politiche, religiose, economiche, culturali?

Niente di meglio, per immaginare le condizioni di esistenza del ventunesimo secolo, che riferirsi a un pensatore ottocentesco che si sentiva e dichiarava «inattuale», Friedrich Nietzsche. L’insieme delle sue dottrine resta per molti aspetti un puzzle, ma almeno per alcuni elementi egli ha intravisto qualcosa che oggi si sta realizzando sotto i nostri occhi. Il fattore determinante delle nuove condizioni di esistenza, che alcuni pensatori hanno chiamato postmoderno, è la comunicazione: dalla facilità e velocità dei trasporti alle reti televisive alle autostrade informatiche. Non solo la storia contemporanea diventa sempre più cronaca - nel senso che gli eventi che accadono in ogni parte del mondo, almeno in linea di principio, possono essere, e spesso sono di fatto, conosciuti «in tempo reale». Sia i viaggi rapidi e frequenti, sia la trasmissione di informazioni rendono vicine e accessibili culture che in altri tempi di potevano accostare solo attraverso un lungo percorso, spaziale e di iniziazione ideale.

Spazio e tempo non sono due dimensioni davvero separate: per qualche ragione di cui il mondo dell’informazione ci dà continui esempi, nella società delle comunicazioni intensificate anche le culture e le memorie del passato diventano più vicine: chi guarda la televisione ha continuamente sotto gli occhi tutta la storia del cinema (riprese, ripetizioni, ritorno di mode di altri tempi) e, dato il bisogno onnivoro del mezzo di offrire agli spettatori cose «nuove», inedite, anche notizie su grandi porzioni della storia passata. L’architettura che si è chiamata post-moderna è un altro esempio di questa stessa tendenza: i casinò di Atlanta e di Las Vegas che imitano la forma di edifici greci, egizi, romani, sono solo il culmine di una tendenza generale ad attingere nel repertorio delle forme e degli stili del passato immagini capaci di intensificare la nostra esperienza del presente, conferendo alle costruzioni di oggi significati ornamentali che si realizzano proprio con l’evocazione di monumenti di altri tempi.

L’idea di Nietzsche, esposta appunto in una delle sue Considerazioni inattuali, secondo cui l’uomo di oggi si aggira nel giardino della storia come in un deposito di maschere teatrali, scegliendo liberamente questo o quello stile storico per darsi una forma e una identità, descrive il carattere di base di questa condizione. È ciò che si realizza, in termini molto banali, nella disponibilità di cucine «etniche» che ormai è diffusa in tutte le metropoli del mondo industriale. Ma, a livelli più alti o meno banali, succede lo stesso nel mondo dei valori spirituali: qualche sociologo delle religioni parla oggi, spesso con disprezzo, di «religioni à la carte», anche per stigmatizzare negativamente il carattere sempre meno rigoroso delle dottrine e delle prescrizioni etiche che le religioni portano con sé la tendenza al sincretismo, la ricerca di un rapporto semplicemente sentimentale con la trascendenza.

Il mondo post-moderno, per queste e altre ragioni (le migrazioni massicce, la fine degli imperi coloniali tradizionali e la conseguente caduta della differenza «gerarchica» tra mondo «civilizzato» e culture «primitive»; da ultimo, la fine della divisione del mondo in due blocchi rigidamente contrapposti), appare e viene vissuto sempre più come una Babele di linguaggi, stili di vita, visioni del mondo diverse. Nietzsche aveva immaginato che l’individuo capace di vivere in un mondo come questo, godendone come di una possibilità di libertà e non lasciandosene schiacciare e distruggere, dovesse essere un Overman (tedesco Uebermensch), un superuomo. Ben al di là di quello che immaginava Nietzsche, la società che si prepara per il prossimo secolo si può unicamente pensare come una società di superuomini: senza nessun tratto aristocratico e nemmeno violento, ma come un insieme di individui «obbligati» a interpretare personalmente il flusso di informazioni nel quale, lo vogliano o no, sono immersi.

Ciò che fa di questa condizione post-moderna la cornice ideale della transavanguardia è la dissoluzione, vissuta ormai a tutti i livelli, di ogni nozione di progresso lineare. E dunque anche di ogni immagine dell’avanguardia. La molteplicità di forme testimoniata dalle opere degli artisti della Transavanguardia - forse non solo documentata storicamente e criticamente, da Achille Bonito Oliva, ma in molti sensi anche ispirata dalla sua riflessione di critico e dalla sua attività di organizzatore di mostre e di eventi - è un effetto della libertà nei confronti della storia, e della «realtà» che la postmodernità ha reso possibile. Transavanguardia non significa affatto anarchia e arbitrio. Ciò che in essa testimonia questo nuovo spirito di libertà è piuttosto una sorta di amichevolezza verso il mondo, e dunque anche verso il visibile incontrato senza l’intenzione polemica, e dunque anche inimichevole, che caratterizzò tanti prodotti della pop art. Succede nella transavanguardia qualcosa di analogo a quello che si verifica nella filosofia una volta che si sia liberata dal fantasma della verità assoluta - quella che ha sempre legittimato l’intolleranza dei dogmatici - amicus Plato sed magis amica veritas. Se non siamo più sotto il dominio cupo, rassicurante ma anche fatalmente punitivo, della verita, siamo finalmente liberi di praticare la carità. Non ci sarà anche un po’ di questo nelle opere della transavanguardia? 


Sulla kermesse e i relativi incontri (io stesso sarò al Castello di Rivoli il 5 dicembre), cfr. il sito de La Stampa.

domenica 20 novembre 2011

Nine Eleven, la nostra conferenza

Ecco un bel resoconto della conferenza stampa convocata il 3 novembre da Giulietto Chiesa, Fernando Rossi e dal sottoscritto sui fatti dell'11 settembre, scritto da Valerio Spositi per berlinguer.it. Buona lettura.

In via IV Novembre, sede del Parlamento Europeo a Roma, si è tenuta ieri mattina una conferenza alla quale hanno partecipato Giulietto Chiesa, Ferdinando Imposimato, Mike Gravel (senatore USA) e Gianni Vattimo. Conferenza inerente alle tematiche dell’11/9/2001, la cui verità ufficiale crolla giorno dopo giorno sotto il peso delle domande che, a tutt’oggi, non hanno avuto risposta.
Ad aprire la conferenza è Giulietto Chiesa, Presidente e fondatore di Alternativa nonchè giornalista di fama internazionale. “Questo è un evento eccezionale – dice – perchè abbiamo qui con noi due oratori molto importanti che non possono essere tacciati di complottismo. Sono esperti indiscussi e sono il giudice Ferdinando Imposimato, Presidente Onorario aggiunto della Suprema Corte di Cassazione, e il Senatore americano Mike Gravel”.
Chiesa da la parola al Senatore il quale esordisce dicendo che vuole instaurare una Commissione ufficiale d’Inchiesta sull’11/9. Gravel parla della sua esperienza passata “nell’intelligence, quindi so come funzionano tali sistemi ed essendo anche Senatore, ho compreso anche come funzionano i meccanismi governativi”. Fatta questa premessa, inizia a parlare dell’11/9: “mi è molto piaciuto il film di Chiesa “Zero” che ha messo completamente in imbarazzo gli Stati Uniti. Ma io avevo già capito dall’inizio cosa poteva essere accaduto quell’11 di Settembre”. Quella del Senatore Gravel è una presa di posizione chiara contro l’amministrazione USA e rimanda al mittente le accuse di cospirazione: “l’unica vera cospirazione è quella degli Stati Uniti per impedire di arrivare alla verità, marginalizzando le voci contrarie. Non facendo nessuna indagine sull’11/9 questo governo sta coprendo ugualmente a quello precedente la verità. Infatti Obama quando venne eletto disse di andare avanti, non indietro”. Il senatore chiude con un attacco ai governi americani poichè “come puoi credere che un governo uccida la sua gente? Ebbene è il governo che vuole uccidere il suo popolo mandandolo in guerra a morire invano”.
Il padrone di casa, per così dire, l’Europarlamentare Gianni Vattimo, prende la parola per dire semplicemente poche cose, ma significative: “cosa significa oggi non sapere la verità sull’11/9? Significa continuare ad essere dipendenti da questo sistema fondato sulle corporations. Gli americani hanno fatto esperimenti sul proprio popolo!”.
E’ il turno ora di Ferdinando Imposimato, il giudice istruttore occupatosi dell’omicidio di Aldo Moro, dell’attentato a Papa Giovanni Paolo II ma anche di mafia, camorra e terrorismo.
Imposimato ha deciso di denunciare alla Corte Internazionale dell’Aja i vertici degli Stati Uniti d’America perchè sapevano e non hanno fatto nulla per impedire la tragedia dell’11/9.
Imposimato inizia in maniera dirompente: “quei fatti hanno avuto ripercussioni gravissime sul nostro destino. Il mio lavoro mi obbliga ad avere elementi concreti per accusare. Ma non voglio far questo – dice Imposimato – voglio invece esporre i fatti, provati.”
Ed eccoli qui, alcuni di essi: “l’11/9 era prevedibile! Io scrissi 4 articoli a riguardo prima che avvenisse l’attentato. Invece gli americani cosa dicono? Che sono stati completamente colti di sorpresa! Io ho studiato a fondo questa vicenda e mi sono trovato di fronte una valanga di prove che la CIA sapeva dell’attacco alle Twin Towers e non fece nulla per evitarlo.”
Il giudice Imposimato inizia ora la stesura delle prove per dimostrare tali accuse:
Mohamed Atta, uno dei 4 uomini del commando dell’11/9 ebbe numerosi contatti con altri terroristi e disse apertamente che avrebbe attaccato gli USA. I servizi americani sapevano tutto ciò, poichè lo pedinavano. Nel 2000 Atta va in Florida ad addestrarsi per pilotare gli aerei ma vi arriva con un visto irregolare, ottenuto a Jeddah, in Arabia Saudita. Su questa vicenda c’è la testimonianza di un funzionario della CIA il quale ha detto che era proprio la CIA che rilasciava tali visti. Ed il consolato americano, in Arabia Saudita, era sempre controllato dalla CIA! Praticamente Mohamed Atta entrava e usciva dall’America con un visto irregolare e ricordo che era sempre sorvegliato dalla CIA”
. Imposimato ora passa ad un particolare più delicato della vicenda, riguardante un passaggio di denaro: “Atta riceve 109.000 dollari da uno sceicco inglese di origine Pakistana, per pagare l’addestramento in Florida dei terroristi. Ma chi diede l’input per dare questi soldi ad Atta? Secondo 4 agenzie di stampa (mai smentite) fu il capo dell’ISI che era un uomo della CIA! Quindi perchè questi signori non sono stati arrestati? Semplicemente perchè sia il capo della CIA che il capo dell’ISI, sapevano tutto della complicità dei vertici USA. E, se non bastasse, pochi mesi prima dell’attentato alle Twin Towers, un’agente della CIA incontrò proprio Osama Bin Laden”
(Maggiori informazioni sono contenute nel libro “ZERO²” di Giulietto Chiesa)
Prima di porre fine al convegno, Giulietto Chiesa tiene a precisare che “noi abbiamo invitato a questa iniziativa tutti i giornalisti italiani ed esteri presenti in Italia, tutti i parlamentari italiani ed europei. Come vedete non ce n’è nemmeno uno perchè hanno paura di ciò che oggi avete ascoltato.”

A seguire l’intervista rilasciata da Ferdinando Imposimato a Giulietto Chiesa:

sabato 19 novembre 2011

Un articolo sulla conferenza di San Sebastián

Ampliar la humanidad. El filosófo Vattimo y la crisis
Universidad de Deusto, por Andrés Ortiz-Osés - Lunes, 14 de Noviembre de 2011 - Actualizado a las 01:50h 

Gianni Vattimo es el pensador más interesante de la actualidad. Fundador de la posmodernidad filosófica y maestro del "pensamiento débil", es profesor de la Universidad de Turín y parlamentario europeo en Estrasburgo. Heredero de Heidegger y Nietzsche, concibe su "pensamiento débil" como un pensamiento debilitador de todo poder violento. Por lo tanto, el pensamiento débil es el pensamiento de los débiles y en favor de los débiles, los desposeídos y emergentes, así como los "indignados" europeos, árabes o (latino)americanos. En este contexto, caracteriza al famoso filósofo italiano una simpatía humana que sin duda promana de su empatía personal, social y cultural. Se nota que aprecia a la gente, y por eso también es apreciado por la gente.
En su visita a la Universidad de Deusto en San Sebastián, con motivo del 125 aniversario de su fundación, nuestro filósofo impartió una conferencia sobre su filosofía, en la que realizó una crítica de la realidad establecida oficialmente, en nombre de un pensamiento que, con W. Benjamín, se reclama de las víctimas del sistema capitalista y su violentación económico-social. Se trataría de sobrepasar esa violencia instituida aunque sin añadir aún más violencia institucional, buscando lo que podríamos llamar nuevas clases de lucha cultural, política y social. Creo que la revolución aún pendiente sería de signo anarcoidal/anarcordial, aunque no anárquica ni anarquista. Y ello con el obvio fin de desmontar la verdad oficial impuesta de arriba abajo, en nombre de un movimiento de abajo arriba o transversal, basado no ya en la razón pura o puritana, especulativa, sino en la razón humana encarnada o humanada, práctica y ética.
Para G. Vattimo, filósofo de origen católico e inspiración marxiana, la verdad instituida debe deconstruirse por la caridad instituyente, es decir, por el acuerdo y la solidaridad, articulando inmanentemente las diferencias en un acuerdo o acorde siquiera plural, así pues en un interlenguaje presidido por Hermes, el dios hermenéutico de la mediación de los contrarios (diría yo). El caso es que nos rigen leyes económicas trascendentes e impersonales, inhumanas, propias de un capitalismo que hace capital abstracción de nuestra convivencia y coexistencia. De ahí que nuestro filósofo propugne la solución disolutora de un mundo dominado por el mecanismo despiadado del mercado presidido por Mercurio como deidad absoluta. Se trataría de humanizar este mundo dominado por la inhumanidad, así como de ampliar o amplificar lo humano: una lucha por ampliar la humanidad no solo a la mujer y al homosexual, al negro y al inmigrante, al pobre y desposeído, sino también a favor de la dignidad de la vida y de la muerte (con el tema candente y concomitante de una eutanasia socrática e incluso cristiana).
En este contexto, la presencia de G. Vattimo representa una voz que denuncia nuestro atraso mental y nuestra cerrazón cultural, propugnando una apertura radical. A este respecto, no se puede definir al hombre narcisistamente como homo sapiens u hombre sapiente, sino como homo insipiens u hombre insipiente/insapiente. Pues el hombre es un homo incipiens o incipiente, un hombre que apenas sabe de algunas cosas pero que cree saberlo casi todo suprahumanamente, proyectando visiones abstractas o abstraccionistas. Esta revisión autocrítica nos haría más conscientes de la negatividad que nos rodea, tratando de asumirla críticamente, o sea, tratando de remediarla humanamente entre todos. Pues todo hombre está necesitado de todo otro hombre para serlo.
Ya se sabe, hay personas que viven intensamente, y hay personas que viven intensamente. Gianni Vattimo es una persona que ha vivido intensamente en lo personal y social, en lo cultural y político, aunque a veces se hace el intonso o tonto.
A pesar de sus 75 años cumplidos, su agenda internacional sigue en activo. Es un tipo majo, de una elegancia pop o popular, que no rehuye hablar de nada en un tono afectivo e irónico. He verificado que no se interesa mucho por la naturaleza ni por los monumentos, sino por el hombre y su humanidad.
Por eso encontramos finalmente la verdad en Donosti en torno a un vino blanco (francés), una verdad encarnada y no encarnizada, compartida y departida al anochecer. O la caridad como fundamento no fundamentalista de una realidad no impositiva o impuesta.

Interrogazione parlamentare sull'attività di Tony Blair in qualità d'inviato speciale del Quartetto per il Medio Oriente

Interrogazioni parlamentari
11 novembre 2011
E-010298/2011
Interrogazione con richiesta di risposta scritta
alla Commissione

Articolo 117 del regolamento
Gianni Vattimo (ALDE)

 Oggetto: Attività di Tony Blair nel ruolo di inviato speciale del Quartetto per il Medio Oriente
L'ex primo ministro britannico Tony Blair dal 2007 è l'inviato speciale del Quartetto per il Medio Oriente, che comprende le Nazioni Unite, gli Stati Uniti, l'Unione europea e la Russia. Secondo i media britannici, Blair si sarebbe servito della rete di contatti creata attraverso la sua posizione di inviato speciale per procurare alla sua società di consulenza affari in Medio Oriente per milioni di dollari. Nell'ottobre del 2011 i media hanno riferito che Blair guadagnerà milioni di dollari fornendo consulenza al presidente kazako Nursultan Nazarbayev, per la precisione 12,7 milioni di dollari all'anno per fornire la sua opinione su questioni economiche. Nazarbayev ha governato il Kazakstan dalla sua nascita come Stato indipendente nel 1990 anche ricorrendo a metodi autoritari ed è stato criticato da ONG per i diritti umani per aver violato i diritti fondamentali e represso brutalmente il dissenso. Cabli USA svelati da Wikileaks riferivano di «Gravi limiti nell'abilità di cambiare il proprio governo; tortura di detenuti e prigionieri e altri abusi; prigionieri in condizioni insalubri; arresti e detenzioni arbitrari; mancanza di un sistema giudiziario indipendente; restrizioni alla libertà di parola; corruzione dilagante, soprattutto nell'applicazione della legge e nel sistema giudiziario; discriminazione e violenza contro le donne; traffico di esseri umani»(1). Tuttavia, un portavoce del governo kazako ha dichiarato che Blair e Nazarbayev «si conoscevano e si apprezzavano da anni»(2). I media riportano che, secondo alcuni analisti politici kazaki, Nazabeyev ha assunto Blair perché agisca da rappresentante internazionale di alto livello per il regime. Blair lavora già per diversi governi e organizzazioni di alto profilo, tra cui i sovrani del Kuwait, la banca JPMorgan Chase e la società petrolifera sudcoreana UI Energy Corporation, e si ritiene che abbia guadagnato oltre 20 milioni di sterline da quando ha lasciato l'incarico.
Può la Commissione far sapere se è a conoscenza di questi fatti? Concorda la Commissione che l'inviato speciale non dovrebbe svolgere attività come quelle sopra descritte, per evitare conflitti di interesse e per non gettare una luce negativa sul ruolo dell'inviato speciale e del Quartetto, compromettendone così gli obiettivi? Può la Commissione far sapere se l'UE contribuisce, direttamente o indirettamente, al finanziamento della missione di Tony Blair quale inviato speciale e se intende esprimere la sua preoccupazione in merito ai fatti sopra descritti? Può la Commissione indicare quale tipo di contatti intrattiene l'UE con Tony Blair e in che modo il suo operato è sottoposto a controllo democratico e giurisdizionale?

(1)http://www.telegraph.co.uk/news/worldnews/asia/kazakhstan/8843027/Tony-Blair-helps-Kazakhstan-boosts-its-image-in-West.html.
(2)http://futures.tradingcharts.com/news/futures/Tony_Blair_to_earn_millions_as_Kazakhstan_economic_consultant_167127004.html.

Nietzsche, ultime lettere prima dell'abisso

Esce da Adelphi il volume conclusivo dell'epistolario
La Stampa - TuttoLibri, 18 novembre 2011

Una leggenda metropolitana transoceanica racconta che Arnold Schoenberg, incontrando (si dice in un supermercato) Thomas Mann, come lui riparato in America, a Santa Monica, durante la seconda guerra mondiale, gli gridasse furioso: «Ma io non sono sifilitico». Di questa malattia era vittima il protagonista del Doctor Faustus , il romanzo allora pubblicato in cui Mann raccontava la storia della nascita della musica dodecafonica e dunque di Schoenberg. Mann non pensava soltanto a Schoenberg, nel creare il suo romanzo, ma anche a Nietzsche. Che di sifilide era malato davvero, tanto che la pazzia in cui precipitò alla fine, nei giorni drammatici del gennaio 1889, a Torino, fu proprio l’esito fatale di questa infermità.

Ricordiamo queste cose perché l’ultimo volume dell’epistolario nietzschiano, che l’editore Adelphi manda in libreria in questi giorni, raccoglie e traduce per la prima volta integralmente in italiano le lettere del periodo finale della vita cosciente di Nietzsche, culminando con l’ultimo biglietto scritto a Jacob Burckhardt, suo antico collega di Basilea, che manifesta ormai la pazzia conclamata, e in seguito al quale l’altro amico di Basilea, Franz Overbeck, si precipita a Torino per riportarlo in Germania presso la madre. Il biglietto a Burckhardt, datato 6 gennaio 1889, è quello meritatamente famoso in cui egli scrive: «Caro signor professore, alla fin fine avrei preferito essere professore a Basilea piuttosto che essere Dio; ma non ho potuto anteporre il mio comodo privato al compito di creare un mondo».

Già chiaramente pazzo, soprattutto perché questa lettera viene dopo una serie di altre indirizzate ad amici e conoscenti, oltre che a personaggi che non ha mai conosciuto (Carducci, Ruggeri Bonghi), dignitari (il cardinale Mariani) e monarchi (Umberto I re d’Italia), alla casata del Baden, agli illustri polacchi. Firmate «Il Crocifisso», sempre Dio cioè ma stavolta nella sua incarnazione cristiana… Fermarsi a segnalare queste follie è indiscreto e crudele, come sarebbe indiscreto domandarsi - lo hanno fatto vari biografi - dove e quando Nietzsche si fosse preso la sua malattia, data la sua notoria propensione a una vita quasi monacale fin dai tempi degli studi universitari. Uno dei suoi più vecchi amici, Paul Deussen, che è anche tra i destinatari delle ultime lettere, racconta che negli anni della giovinezza Nietzsche non sembrò mai nutrire interesse sessuale per le donne, tanto che in un libro sul Segreto di Zarathustra , uno studioso ha avanzato anni fa l’ipotesi che il tormento intimo di Nietzsche fosse una mai riconosciuta omosessualità.

La curiosità circa questi aspetti privati della sua vita è legittima e inevitabile per il lettore di queste lettere più ancora che di altri suoi testi: vi si parla infatti di una sofferenza continua che non è solo strettamente fisica ma, noi diremmo, esistenziale. Sembrerebbe che Nietzsche soffra a causa del tempo: atmosferico, anzitutto, perché è sempre alla ricerca di un clima che si confaccia alla sua salute. Ma soffre anche del «tempo» storico in cui si trova a vivere, e in questo la sua vicenda merita davvero di essere raccontata come quella del Doctor Faustus di Mann: è la storia per tanti versi esemplare di un intellettuale che vive profondamente la propria epoca, nella quale (e pensiamo alla sua giovanile Seconda considerazione inattuale, un testo in cui Nietzsche si mostra già ben consapevole dei rischi a cui va incontro la società della incipiente massificazione) sembra trionfare una sorta di rassegnazione alla mediocrità, al sentimentalismo di un cristianesimo imbastardito.

Anche la continua polemica contro Wagner, che era stato un suo idolo giovanile e con cui aveva pensato di produrre una rinascita della cultura tragica, è ispirata alla diffidenza per un’arte, in questo caso l’opera wagneriana, pronta a fornire spettacolo e fantasmagoria (lo dirà più tardi Adorno) per la sensibilità ottusa di una borghesia che è sempre più classe «media» in ogni senso. Già, ma la rivoluzione di cui si sentiva portatore? Nelle lettere ora tradotte ci sono tanti spunti e riferimenti alle opere degli stessi anni, che inizialmente Nietzsche aveva pensato di raccogliere in un unico monumentale Hauptwerk a cui poi rinunciò, e che divennero in seguito Il crepuscolo degli idoli , L’Anticristo e tanti frammenti rimasti inediti dapprima pubblicati arbitrariamente (dagli eredi) come La volontà di potenza e oggi più giustamente raccolti nei volumi dei frammenti postumi curati da Colli e Montinari.

Le firme che ricorrono di più nelle ultime lettere sono quelle di Dioniso e del Crocifisso. La trasvalutazione di tutti i valori che Nietzsche progettava era forse il sogno di una riconciliazione tra la tradizione cristiana e quella preclassica greca. Un sogno da «professore di greco a Basilea». Ma la sua opera, bene o male, ha anche contribuito a «creare un mondo», che non cessa di suscitare sempre nuove interpretazioni.

Gianni Vattimo

martedì 8 novembre 2011

Dibattito tra pensiero debole e new realism: intervista a Gianni Vattimo


Il Mattino, lunedì 7 novembre 2011


Vattimo: “Il postmoderno? Sconfitto ma non fallito”
di Corrado Ocone

Si discute molto in queste settimane sul postmoderno, anche perché una mostra londinese (è al Royal and Albert Museum) ne ha decretato la fine. Ma cosa è il postmoderno? Quale è stato il tempo del suo dominio? Esprimeva un’esigenza ancora viva o appartiene inesorabilmente a un tempo che non è più? Per affrontare queste e altre questioni, un colloquio con Gianni Vattimo, che del movimento è stato uno dei più importanti rappresentanti a livello mondiale, è quanto mai opportuno. A maggior ragione considerando il fatto che Garzanti proprio in questi giorni manda in libreria una nuova edizione de La fine della modernità (192 pagine, 11 euro), l’opera in cui Vattimo nel 1985 illustrava la sua versione di postmoderno: il cosiddetto “pensiero debole” 

“Di postmoderno in verità - osserva Vattimo - si cominciò a parlare in un vasto ambito, dalle arti alla società, alla filosofia, da quando nel 1979 uscì un fortunato pamphlet di Lyotard intitolato La condition postmoderne.”

Quale era la tesi?
“Quello di Lyotard era un rapporto sul sapere contemporaneo. In esso si prendeva atto della fine delle metanarrazioni, cioè della crisi delle dottrine che avevano cercato di affermare una visione unitaria della realtà, soprattutto l’illuminismo, l’idealismo e il marxismo. Di fronte alla frammentazione e alla pluralità dei linguaggi e dei saperi che ne scaturiva il suo atteggiamento era positivo, non di chiusura.”

E lei accettò subito questa impostazione
“Non solo. In linea con le mie ricerche cercai di dare uno sfondo filosofico, o meglio storico-ontologico, a questa situazione, soprattutto mostrando come la mia interpretazione di Nietzsche e Heidegger fosse solidale con il nuovo orizzonte. Già nel ‘36 Heidegger aveva definito il nostro tempo 'l’epoca delle immagini del mondo'. E altrettanto nota è l’affermazione nietzschiana che “non esistono fatti, ma solo interpretazioni.”

Qualcuno come Maurizio Ferraris, che è stato suo allievo ma poi ha elaborato una visione neorealista, osserva che senza ancoraggio ad in’idea forte di realtà e verità, anche in politica, si può dire ogni cosa senza darne conto a nessuno. Cosa risponde?
“Rivoltando l’argomento. Se io credo che la realtà sia scritta da sempre in un linguaggio determinato e che nostro compito sia solo quello di individuare la grammatica del mondo e analizzare i linguaggi quotidiani per chiarificarli e riportarli all’ordine dato, non posso pormi nemmeno il problema di cambiare la realtà e umanizzarla. Devo accettarla e basta.”

Ammetterà però che, lungi dal verificarsi una crescita delle possibilità di emancipazione e degli spazi di libertà, in questi anni si sia assistito al trionfo selvaggio del neoliberismo?
“In effetti, noi ci eravamo illusi che fossero finite le metanarrazioni, ma non avevamo considerato che quella basata sugli interessi proprietari, e quindi sul consumismo e l’omologazione dei mercati,  sarebbe sopravvissuta e avrebbe trovato il campo libero per dominare in modo assoluto. Anche se, da questo punto di vista, devo dire che già un critico molto fine come Jameson, che aveva definito il postmoderno la cultura del tardo capitalismo, ci aveva avvertito.”

Anche Habermas aveva criticato il postmoderno e lo avevo visto come una sorta di resa della ragione al presente, riproponendo il “progetto incompiuto della modernità”
“Con un rischio però, di costruire una nuova metafisica o metanarrazione, quella dei diritti umani. I quali, come molti casi concreti di giustizia internazionale o di cosiddetti interventi umanitari stanno a dimostrarci, può diventare a sua volta causa di nuove discriminazioni, neocolonialismo e imperialismo occidentale.”

Crede oggi che il postmoderno sia fallito?
“No, non lo credo affatto: semplicemente non è riuscito, non ha funzionato. La liberazione della comunicazione che auspicavamo, ad esempio, è stata ostacolata. La liberazione è qualcosa che si può fare, anche se c’è qualcosa che resiste.”

Oggi lei si è riavvicinato a Marx e al comunismo? Non è un ritorno ad una concezione forte?
“Il mio è un rivoluzionarismo anarchico. Non credo affatto nel comunismo interpretato in modo rigido come una concezione generale del corso storico, come una meta da realizzare che un giorno ci renderà tutti felici. La riconciliazione non ci sarà mai, ma ad essa bisogna tendere. Credo in una sorta di rivoluzione permanente.”

Nella polemica fra neorealisti e postmodernisti mi ha impressionato il fatto che sia lei sia Ferraris avete saltato del tutto la tradizione dell’idealismo: come se questo momento del pensiero non ci fosse mai stato.
“Da parte mia non c’è stato dolo. Anzi le dirò di più: oggi mi sento particolarmente vicino alle posizioni di Benedetto Croce. D’altronde, l’ho detto più volte anche a proposito dell’affermazione “non ci sono fatti ma solo interpretazioni”: per capirne il senso bisogna pensare allo ‘spirito oggettivo’ di Hegel. Quella che chiamiamo realtà non è affatto qualcosa di inesistente, ma è la trama delle culture, delle tradizioni e dei sistemi di pensiero e di linguaggio ereditate. Una trama frutto delle azioni dei tanti individui che ci hanno preceduto e che cambierà ulteriormente con le nostre nuove azioni. Non era stato forse il filosofo vostro concittadino a dire che lo spirito assoluto era ciò che è morto, mentre quello oggettivo era ciò che rimaneva vivo in Hegel?”

sabato 5 novembre 2011

Dibattito pensiero debole-new realism: Sull'autenticità della decisione


Realisti o postmodernisti? Meglio l'autenticità della decisione 
Giacomo Pisani
GoBari.it, 3 novembre 2011 

Il dibattito filosofico fra “pensiero debole” e “nuovo realismo”, inaugurato la scorsa estate da Gianni Vattimo e Maurizio Ferraris, ha chiamato in causa alcuni dei più grandi filosofi italiani. Alcuni di questi hanno trovato nuovi spunti all’interno dello spazio teorico aperto dalla riflessione di Costantino Esposito, “E l’esistenza diventa una immensa certezza”, al Meeting di Rimini per l’amicizia tra i popoli, il 23 Agosto 2011, la quale ha fatto scaturire un’interessante discussione sulle pagine de “Il Sussidiario”.

Riprendendo brevemente alcune delle posizioni in gioco, secondo quanto Vattimo sostiene già dagli anni ’80, nella società dei media si diffonde un clima di precarietà, superficialità, che tende ad “erodere” il principio di realtà per fondare una nuova esperienza della verità, basata sulla pluralità, in cui “la realtà si presenta con caratteri più molli e fluidi, e in cui l’esperienza può acquisire i tratti dell’oscillazione, dello spaesamento, del gioco”. E’ questo carattere a far scorgere a Vattimo il potenziale emancipativo della comunicazione generalizzata, che delinea l’impianto strutturale della società postmoderna. A parere di Vattimo, l’ultimo limite alla derealizzazione totale, è costituito dal mercato e dalle “leggi” dell’economia. In essi, “il reale si fa ancora troppo, e indebitamente, valere”.
Ma il disperdersi dell’uomo nelle possibilità che di volta in volta si intrecciano, implicate nella struttura reticolare in cui consiste la società postmoderna, comporta l’adesione del soggetto ad un nuovo “principio di realtà”, quello costituito dall’aspetto pubblico delle cose, dei fatti, degli accadimenti, se non passa attraverso la messa in discussione del proprio stesso orizzonte conoscitivo. L’apertura del soggetto al reale resta fissata nei termini della pubblicità del mondo dei media, e si traduce nella rottura del rapporto che fa cor-rispondere dialetticamente il soggetto alla propria storia. In tal modo, l’uomo postmoderno è escluso da un’autentica decisione sul mondo e sulla propria stessa esistenza, e sprofonda al rango di attivatore neutrale.

Ciò che ci sembra, invece, più di ogni altra cosa, poter rimetter in gioco il soggetto nella sfida col reale, è il rapporto con l’alterità irriducibile, il confronto autentico, in cui l’interesse penetra nelle ragioni dell’altro per rivedervi un gioco di invocazioni e di valutazioni, di sfide e di richiami. Un gioco in cui è egli stesso ad essere coinvolto, quando la certezza ingenua, irriflessa, in cui si sedimenta quell’esposizione costitutiva dell’uomo al reale, si ricama di irrequietudine, cade in preda alla tensione. In tale rapporto, il soggetto ritrova davvero un’immensa certezza: quella di esserci, di poter imprimere al mondo il piglio della propria identità, senza disperderla negli spazi neutri ai margini del mondo, in cui si finisce per vivere comodamente nell’anonimato. L’uomo coglie finalmente il reale stesso come luogo privilegiato non della chiacchiera postmoderna, ripiegata in sé per rassicurarsi e vivere nell’illusione di appartenere solo a se stessa, ma delle scelte. Uno spazio per nulla neutrale, un mondo carico di vita. L’altro, insinuandosi al fondo delle nostre sicurezze, facendole vacillare di fronte alla propria incommensurabilità, apre uno spazio di scelta e ridefinizione, erode piano gli argini del nostro orizzonte culturale non per annullarlo, il che significherebbe trasporre l’adesione conoscitiva del soggetto presso un nuovo assoluto inespugnabile. Piuttosto, ci permette di assumere la storicità del nostro orizzonte culturale, che costituisce la condizione pregiudiziale della sua apertura.

E in tale apertura, il reale torna in questione, come parte costitutiva dell’esistenza. Il rapporto tra soggetto e realtà, dunque, si ricuce nello spazio della decisione e dell’autenticità, già invocate da Corrado Ocone. Ma per autenticità non intendiamo un ritorno nostalgico ad un’aurora originaria, in cui si conserva la natura genuina delle cose, dei fatti, dei fenomeni. Piuttosto, designiamo, in senso heideggeriano, la condizione esistenziale in cui il soggetto torna ad assumere la propria storicità, per sottrarsi all’anonimato a cui è condannato nella società dei media e dei consumi, della neutralità e dell’annullamento dell’identità, per tornare a porre l’accento sull’ “io”. Per non relegare la domanda di senso a quel grido disperato che pervade le possibilità indifferenti del postmoderno, in cui esplode tragicamente quando, ormai mortificata, rifluisce nell’esasperazione, nel disturbo psichico ed esistenziale, e per fare invece di quella stessa domanda la cifra dell’esistenza, il crisma della postmodernità.