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venerdì 26 aprile 2013

Governo Letta, Italia divisa

Il video della trasmissione di La7 "Otto e Mezzo" del 25 aprile. Ospiti: Gianni Vattimo, Alessandro Sallusti e Beppe Severgnini. Conduce Lilli Gruber.

                                                    Fonte: YouTube/La7

giovedì 5 aprile 2012

Protesta contro il governo Milano blinda Piazza Affari

In corteo dalle 14 i No Debito di Cremaschi, i No Tav, Rifondazione comunista e anche alcuni gruppi di destra.   
Fra le adesioni ci sono quelle di Moni Ovadia e Gianni Vattimo

La Repubblica - Milano, 31 marzo 2012, di Ilaria Carra

Contro la crisi. E contro «le misure lacrime e sangue e la macelleria sociale del governo MontiBce». È dal sindacalismo di base, dalla sinistra alternativa, dai movimenti “no debito” e dagli antagonisti dei centri sociali che nasce “Occupyamo Piazza Affari”, la manifestazione nazionale prevista oggi a Milano nella piazza «simbolo della finanza e del capitalismo». Il centro sarà quindi blindato. Una protesta contro le politiche e le riforme del governo Monti, per il no alla Tav e alle modifiche dell’articolo 18. La mobilitazione ingloba varie tematiche. E una miriade di sigle di associazioni, alcune tra gli organizzatori della manifestazione dello scorso ottobre a Roma, guastata anche da episodi di guerriglia. Motivo per cui l’appuntamento desta non poca apprensione tra le forze dell’ordine, che presidieranno massicciamente la marcia e la stessa piazza Affari.

Partenza alle 14 da piazzale Medaglie d’Oro, corteo lungo corso di Porta Romana, via Santa Sofia, Molino delle Armi, via De Amicis, via Torino, via Cordusio, fino alla Borsa. «Bisogna creare uno spazio politico alternativo, fondato su radici sociali reali e notevoli — commenta il leader del coordinamento No Debito, Giorgio Cremaschi — un’alternativa rispetto a questo modello di potere, al contrario delle illusioni del Pd o di Vendola». In piazza anche Rifondazione Comunista «contro il governo Monti, lo strapotere delle banche e degli speculatori», attacca il segretario nazionale Paolo Ferrero. In piazza sono annunciati anche personaggi della cultura, da Moni Ovadia a Gianni Vattimo. Vittorio Agnoletto, già esponente del movimento dei social forum, apre poi le porte a quelle formazioni che «per ora non hanno ritenuto di aderire ufficialmente, pur sapendo che molti dei loro iscritti non vedono l’ora di mandare a casa Monti».

Promette poi di esserci, all’evento, anche la destra. Destra per Milano, Destra sociale, Progetto nazionale e Unione patriottica, oltre al sindacato Ugl, sono le sigle che alla vigilia hanno detto sì. «Una battaglia che vogliamo sostenere — spiega Roberto Jonghi Lavarini, esponente dell’estrema destra milanese — Andremo senza segni di riconoscimento per evitare frizioni, al massimo porteremo dei tricolori. Sono finiti gli schieramenti ideologici: se giuste, le battaglie vanno fatte insieme». 

lunedì 10 ottobre 2011

In merito all'incontro su Furio Jesi

Un articolo de Il giornale sull'incontro di ieri (Portici di carta, Torino, con Giovanni De Luna e il sottoscritto), 9 ottobre, in merito a Furio Jesi e alla cultura di destra. 

Ricordando Furio Jesi, la cultura di destra che piace a sinistra 

Il giornale, 9 ottobre 2011; di Stefania Vitulli


«Sarebbe stato bello discuterne anche con un intellettuale di destra: Marcello Veneziani, o Marco Tarchi, di cui leggo con attenzione Diorama Letterario. O Massimo Fini, che si spaccia per uno di destra e, se questa è la destra, ce ne fossero... O Franco Cardini. Anche se, settariamente, sono convinto che una cultura di destra non sia esistita per anni, in Italia. Colpa degli editori come Einaudi? E chi sono i pensatori di destra? Il rivoluzionario Nietzsche, che io ho studiato per anni? Ed esiste una rivoluzionarietà di destra?». Così Gianni Vattimo ieri a Torino, all’incontro «La cultura di destra. Secondo Furio Jesi, a settant’anni dalla nascita», in occasione di «Portici di carta» (a cura del Salone del Libro) e della riedizione del celebre saggio di Jesi del ’79 Cultura di destra (Nottetempo). Incontro di cui Vattimo è stato relatore insieme a Giovanni De Luna.
Germanista, ebreo, autodidatta, Jesi pubblicò il volume poco prima di morire, a 39 anni, in un momento in cui in Italia parlare di cultura di destra era un tabù, individuando il motore del pensiero di destra in una «macchina mitologica» produttrice di idee senza parole e valori indicati sempre in maiuscolo come Tradizione, Passato, Razza, Origine, Sacro. Spengler, Frobenius, Eliade, Pirandello, Bachofen, D’Annunzio, Evola, ma anche Salvator Gotta e Liala spremuti in modo «trasversale» alla ricerca di nuclei, costanti e ricorrenze, su tutti l’esoterismo e il lusso. «Il libro - spiega De Luna - risente molto del clima culturale dell’Italia anni ’70. A partire dall’intenzione di distinguere tra il fascismo mussoliniano, pregno di romanità, glorie patrie e Risorgimento, e neofascismo, secondo Jesi una formidabile macchina linguistica produttrice di stereotipi, radicata nel mito, nella dimensione spirituale alla Evola».
«I meccanismi culturali individuati da Jesi resistono - dice Vattimo -. Oggi, quando Bossi va al Monviso a prendere l’acqua del dio Po enfatizza una mitologia per servirsene a scopi politici, altro che etichettarla come fesseria. Così come la risalita del nazionalismo o delle radici, come accade con la Padania, ma non solo». Secondo De Luna il libro di Jesi ha passi profetici: «Nella descrizione del tramonto del lusso eroico a favore di quello materiale, dell’emergere di un consumismo destrorso, dell’appiattimento della cultura di destra su mercato e filosofie aziendali». Ma anche paradossali: «Jesi vide in Montezemolo, che chiama il “marchesino della Ferrari”, un emblema della politica di destra...».

venerdì 7 ottobre 2011

Discriminazione e persecuzione dei Rom nell'UE, interrogazione parlamentare


Interrogazione con richiesta di risposta scritta E-008846/2011
alla Commissione
Articolo 117 del regolamento
Renate Weber (ALDE), Sophia in 't Veld (ALDE), Gianni Vattimo (ALDE) e Sonia Alfano (ALDE)
Oggetto:       Discriminazione e persecuzione dei Rom negli Stati membri dell'UE e strategia-quadro, orientamenti e azioni dell'UE
Gli orientamenti pubblicati dalla Commissione e destinati agli Stati membri per la formulazione di strategie nazionali per l'integrazione dei Rom non bastano a evitare che essi siano vittime di fenomeni di discriminazione e persecuzione nell'UE e negli Stati membri.
In Ungheria, un piano approvato dal parlamento ungherese lo scorso luglio prevede che chiunque riceva un sussidio sociale debba lavorare presso cantieri, pulire le strade o provvedere alla manutenzione di parchi e foreste. Un eventuale rifiuto comporterebbe l'interruzione dell'erogazione dei sussidi. Chi lavora nell'ambito del programma riceve EUR 200 al mese, spesso in circostanze degradanti, ad esempio impegnato nella raccolta di legna morta in una foresta per giorni a Gyöngyöspata, un lavoro che, usando un trattore, si potrebbe svolgere in poche ore[1]. Questa misura è stata aspramente criticata poiché colpisce eccessivamente i Rom.
Da qualche settimana, la repubblica ceca è teatro di sommosse (simili a veri e propri pogrom), che vedono contrapporsi gli estremisti di destra e i Rom di recente insediamento nella Boemia settentrionale[2]. Il senato ceco d'altrocanto ha affermato che la Repubblica Ceca non dovrebbe partecipare alla strategia europea sui Rom.
Nel Regno Unito, 86 famiglie di Rom di nazionalità irlandese rischiano di essere espulse da Dale Farm in località Basildon, Essex, una decisione che è stata criticata dal comitato contro la discriminazione razziale delle Nazioni Unite[3].
Espulsioni di Rom continuano a verificarsi a Roma (Italia), Parigi (Francia) e Baia Mare (Romania), spingendo le ONG a invitare le autorità e la Commissione europea a intervenire con urgenza.
Può la Commissione spiegare perché gli orientamenti forniti non includono i diritti umani e delle misure antidiscriminazione, contrariamente a quanto richiesto dal Parlamento nella sua relazione sui Rom? Può la Commissione illustrare quali azioni ha intrapreso o intende intraprendere per garantire la cessazione delle politiche e delle leggi discriminatorie e delle violazioni dei diritti umani sopra indicate? Può la Commissione illustrare come garantirà che gli Stati membri rispettino i diritti umani e le norme antidiscriminazione in relazione ai Rom?


[1]     http://www.euractiv.com/socialeurope/hungary-puts-roma-work-news-507804
[2]     http://www.spiegel.de/international/europe/0,1518,786495,00.html
[3] http://www.washingtonpost.com/world/europe/irish-travelers-build-barricades-say-they-will-fight-eviction-in-eastern-england/2011/09/19/gIQAfeCbeK_story.html

martedì 12 ottobre 2010

L'Europa? In fondo a destra


Post dal mio blog su Il Fatto Quotidiano, 11 ottobre 2010

L'Europa? In fondo a destra

L’ultima doccia fredda è stata la notizia dell’ingresso dell’estrema destra nel Parlamento svedese. Che non significa la conquista della maggioranza, ma certo un passaggio significativo, per un paese che era stato il modello della socialdemocrazia europea per molti decenni. Ma questo, come ho detto, è solo l’ultimo fatto emblematico di una situazione europea nella quale i governi di destra – che pudicamente si definiscono di centro-destra – sono ogni giorno più numerosi. Del resto il Parlamento europeo, per quanto questo dato può valere, ha una maggioranza di destra, e solo molto di rado le sinistre – liberali, socialisti, verdi – ottengono qualche risultato, che peraltro deve sempre affrontare ancora l’approvazione del Consiglio Europeo, quella sorta di Camera Alta dell’Unione che rappresenta i governi dei vari stati. Ma non c’è dubbio che, a parte questi meccanismi istituzionali, l’Europa ha oggi una faccia politicamente moderata, che tende continuamente a diventare francamente di destra e che, come si vede dalle recenti leggi xenofobe che si è data la Francia (seguendo, a quanto sembra, l’esempio dell’Italia di Berlusconi!), fa ogni giorno un passo di più verso il fascismo; un fascismo per ora molto soft, ma che promette di irrigidirsi in forme sempre meno conformi alla tradizione liberale e democratica del continente.

Perché siamo improvvisamente (non proprio; ma dopo la fine del nazismo non si era mai visto un fenomeno così generalizzato; possiamo parlare di un clima, di una atmosfera, ormai) diventati conservatori, e spesso decisamente razzisti? Chi si è sempre richiamato agli ideali della sinistra stenta a spiegarsi questo fenomeno, e non è detto che anche le ipotesi che qui presento colgano nel segno. Paradossalmente, la visione del mondo della sinistra, in Europa, si è sempre fondata su presupposti filosofici della tradizione storicistica, che è stata anche l’ideologia del colonialismo: quella per la quale c’è un corso unitario della storia umana che procede verso una sempre più completa civilizzazione. La punta di questo corso, che ha anche il diritto storico di guidarlo, è l’Europa, la quale si espande nel mondo “portando la civiltà” ai popoli che ancora sono “sottosviluppati”. Quando, con la ribellione dei popoli ex-coloniali, questo schema storicistico è diventato anche filosoficamente insostenibile, la fede nel progresso del mondo verso la democrazia e il socialismo, e dunque la sinistra stessa hanno subito una crisi di fiducia. È accaduto, sul piano delle convinzioni e dell’impegno politico collettivo, qualcosa di simile alla caduta del muro di Berlino. Ancora oggi la sinistra si sente orfana e priva di forti orientamenti ideali. Se il comunismo si è rivelato impossibile, per che cosa si dovrebbe ancora lottare?

Naturalmente, questa vicenda ideologica non coinvolge davvero i milioni di elettori che in varie parti d’Europa abbandonano i partiti di sinistra per passare ai conservatori, oppure, come sempre più spesso accade, per rifugiarsi nell’astensionismo.
Questa considerazione risente certo del mio punto di vista italiano; ma il fenomeno è generale, riguarda il socialismo francese, i laburisti inglesi, persino il socialismo spagnolo. Insieme e più ancora che la caduta di tensione ideologica che identifichiamo emblematicamente con la caduta del muro di Berlino, un’altra tappa finora decisiva per lo stabilirsi di una clima di destra in Europa è stato, probabilmente, l’11 settembre, e l’inizio della guerra americana al “terrorismo internazionale”. Da dieci anni a questa parte il leit motiv della politica conservatrice è la lotta al terrorismo; una lotta che, a propria volta, è essenzialmente terroristica, ha bisogno, cioè, di coltivare un sentimento di paura costante. Quel che era ai tempi della guerra fredda la minaccia del comunismo sovietico, oggi è la paura generalizzata; non solo degli attacchi terroristici, ma molto più, di recente, la paura della perdita del posto di lavoro, di quel poco o tanto che il capitalismo mondiale continua ad assicurare ai cittadini della metropoli.

Il successo della destra, in Italia come in Francia come in Olanda come in Svezia, è fondato sulla paura, della perdita del lavoro e soprattutto dell’immigrazione. I rom sono solo l’obiettivo più recente; ma da anni, ormai, i paesi “di confine”, come l’Italia, la Spagna, la Francia, sono dominati da un’ossessione difensiva, che prevale, in larghe parti della società, sulla difesa della libertà, della privacy, delle stesse istituzioni democratiche. È sempre la paura di perdere stabilità, tranquillità, privilegi, quello che impedisce anche la realizzazione di un’Europa più autenticamente federale, e perciò anche più forte e capace di gestire il rapporto con i mondi che premono ai suoi confini. Il governo Berlusconi, per esempio, sostenuto in modo determinante da un partito sempre più esplicitamente razzista e cripto-nazista come la Lega Nord, si accorda con il dittatore libico Gheddafi a cui affida il compito di pattugliare il Mediterraneo, senza troppi scrupoli di legalità e rispetto dei diritti umani, impedendo l’immigrazione clandestina di cittadini africani spesso in cerca solo di asilo politico. Quello che fa Gheddafi per respingere gli immigranti clandestini, lo fa, nei confronti del problema del lavoro, la minaccia continua delle delocalizzazioni delle industrie. Così, da ultimo, gli operai della Fiat di Pomigliano sono stati messi di fronte alla scelta tra accettare una forte (e anticostituzionale) limitazione dei loro diritti sindacali oppure perdere il lavoro per la chiusura e il trasferimento della fabbrica in Serbia. Inutile dire che anche qui la paura ha trionfato, il referendum indetto tra gli operai ha dato ragione all’azienda. Più in generale, statistiche neutrali dicono che vari punti percentuali di PIL sono passati, negli ultimi quindici anni, dai salari ai profitti; i ricchi sempre più ricchi, i lavoratori sempre più sfruttati. Anche di squilibri come questo è fatta la disperazione che alimenta le vittorie della destra in Europa.

mercoledì 22 luglio 2009

Europa al bivio

Un articolo di Famiglia Cristiana (26 luglio, http://www.stpauls.it/fc/0930fc/0930fc26.htm, di Roberto Zichittella) sull'insediamento del Parlamento europeo. Come vedete, Verhofstadt si è subito fatto sentire!

È la legislatura della svolta. In attesa di avere maggiori poteri reali, previsti dal Trattato di Lisbona, ha rimandato a settembre Barroso. Che dovrà sudarsi la rielezione.

Strasburgo
Il portoghese José Manuel Barroso, presidente della Commissione europea, passerà l’estate a studiare. Il Parlamento europeo di Strasburgo ha deciso di "rimandarlo" a settembre prima di decidere se concedergli un secondo incarico alla guida della Commissione di Bruxelles. E per lui non sarà un esame facile. Dovrà portarsi sotto l’ombrellone molti dossier: dovrà mostrare tutte le sue capacità di persuasione per convincere gli europarlamentari, ora più perplessi che entusiasti rispetto a una sua possibile rielezione.
A Barroso viene rimproverata un’eccessiva sudditanza verso i 27 Governi dell’Ue. Secondo molti eurodeputati, inoltre, la Commissione non ha saputo affrontare in modo adeguato la crisi economico-finanziaria. «Ha cessato di essere il motore dell’integrazione europea», spiega l’ex premier belga Guy Verhofstadt, presidente dell’Alleanza dei democratici e dei liberali per l’Europa.
Così, nella sua prima sessione dopo le elezioni di giugno, il nuovo Parlamento europeo ha sùbito alzato la testa e picchiato i pugni sul tavolo. Vuole dire la sua, fissare l’agenda e rivendicare i propri poteri di fronte agli Stati membri e alla Commissione. L’attenzione dell’Europarlamento è fissata sulla data del 2 ottobre, quando i cittadini irlandesi torneranno a esprimersi con un referendum sul Trattato di Lisbona. Bocciato in un primo referendum, questa volta il Trattato potrebbe avere luce verde. Con la sua entrata in vigore, il Parlamento acquisirà maggiori poteri decisionali in molti campi quali gli affari interni, l’agricoltura e il bilancio, nonché per la nomina delle alte cariche delle istituzioni europee.
Barroso sarebbe il candidato forte del Partito popolare europeo, uscito vincitore dal voto di giugno. Ma il Ppe, con 265 eletti, non ha la maggioranza assoluta (369 voti), indispensabile per riconfermarlo. E anche all’interno del Ppe non tutti sono convinti dai risultati ottenuti dall’ex primo ministro portoghese «Vincere le elezioni non basta a fare una politica», osserva David Sassoli, eletto a Strasburgo per il Pd e confluito nel gruppo dell’Alleanza progressista dei socialisti e dei democratici (S&D).
Per essere rieletto, Barroso deve contare su un’alleanza fra il Ppe, i socialisti, l’Alleanza dei democratici e liberali. Serve cioè un compromesso. Simile a quello che ha portato il polacco Jerzy Buzek alla presidenza dell’Europarlamento. Buzek (Ppe) resterà in carica per la prima parte della legislatura, ma dopo due anni e mezzo cederà la poltrona a un esponente socialista, probabilmente il tedesco Martin Schultz, il politico a cui Berlusconi diede del "kapò".
«Il Parlamento europeo è sempre stato un luogo di grandi compromessi, ma credo sia normale quando si rappresentano quasi 500 milioni di cittadini e 27 Paesi. Il problema è che spesso la mediazione porta a fare la metà di quello che serve fare», fa notare Gabriele Albertini, l’ex sindaco di Milano al suo secondo mandato a Strasburgo.

Euroscetticismo e destra razzista
Nel nuovo Europarlamento forze politiche di orientamento diverso sono spinte al compromesso e alla mediazione anche per arginare gli euroscettici (senza contare i gruppi apertamente antieuropei e razzisti) che hanno conquistato un seggio. Sono politici, come il francese Le Pen e i leghisti italiani, sempre pronti a scagliarsi contro "i burocrati di Bruxelles", ai loro occhi colpevoli di sottrarre la sovranità ai popoli. Ma gli euroscettici sono tanti, quasi in ogni nazione rappresentata all’Europarlamento.
«Bisogna impegnarci contro le forze politiche che vogliono tirare giù la saracinesca dell’Europa», assicura Pier Antonio Panzeri, ex segretario generale della Camera del lavoro di Milano, eletto per il Pd.
«Attenti a non demonizzare i nemici dell’Europa, perché rappresentano una parte dell’opinione pubblica che non possiamo trascurare. Piuttosto che isolarli dobbiamo convincerli», mette in guardia Rachida Dati, ex ministra del Governo francese. Pur convinto delle necessità di fare argine contro i nemici dell’Europa presenti a Strasburgo il filosofo Gianni Vattimo (Italia dei Valori) ha un timore: «Non vorrei che il giusto desiderio di fare blocco contro gli antieuropei porti agli estremi il compromesso, creando una melassa indistinta nella quale si annullano le differenze fra i vari gruppi. Un po’ di sano estremismo ci vuole». Di sicuro non è sano l’estremismo di gruppi come il British national party, un gruppo di ispirazione fascista rappresentato a Strasburgo dal suo leader Nick Griffin. Tronfio, tarchiato e con il ghigno da squalo, Griffin dice e ripete (lo ha fatto anche davanti ai nostri occhi) che bisognerebbe affondare i barconi carichi di disperati che attraversano il Mediterraneo diretti verso le coste meridionali dell’Europa.
Queste parole fanno rabbrividire Rita Borsellino. Nel suo primo giorno da europarlamentare, la sorella del giudice Paolo, assassinato a Palermo nel 1992, ha presentato un’interrogazione perché l’Europa presti attenzione al decreto sulla sicurezza voluto dal Governo italiano. «Nella mia vita», afferma la Borsellino (S&D), «credo di aver dimostrato di non temere le sfide. Non ho paura a confrontarmi, con asprezza, se necessario, con chi ha posizioni opposte alle mie. Non ho paura anche perché credo che la difesa dei diritti dell’uomo e la salvaguardia dei più deboli sia una linea assoluta e universale, che nessuno può mettere in discussione».