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domenica 11 aprile 2010

L’anima violenta della non violenza

L’anima violenta della non violenza
Quale pacifismo? Teorie e pratiche, dalla kantiana pace
perpetua a Gandhi e Luther King, in un saggio di Losurdo

La Stampa - TuttoLibri, 10 aprile 2010

Se il tratto specifico del pensiero critico è la messa in discussione delle mitologie che condizionano le opinioni correnti, i libri recenti di Domenico Losurdo sono certamente un ottimo esempio di questo tipo di pensiero. Losurdo, che è professore di filosofia all'università di Urbino, ha pubblicato nel 2008 per Carocci un illuminante libro sulla «leggenda nera» di Stalin decostruendo con larghissima informazione storica gran parte degli elementi che hanno dominato la nostra storiografia sul periodo staliniano e sulla figura di Stalin. E proponendo la tesi (ragionevole) che Stalin per gran parte della sua vita di statista - che comprende gli anni della lotta decisiva contro il nazismo, della quale l'Occidente deve essergli grato - praticò la violenza in modi non molto diversi, eticamente, da quelli propri degli altri stati della sua epoca.

Ora Losurdo, in un nuovo saggio per Laterza, si dedica alla decostruzione – mai pregiudizialmente ostile ma anzi piena di autentica simpatia per il nocciolo essenziale – della non violenza. Per far questo fornisce una storia dettagliata delle teorie e pratiche pacifiste e non violente, a cominciare dalle origini nella idea kantiana della pace perpetua, e dai primi movimenti pacifista sorti nel Nordamerica ottocentesco intriso di fondamentalismo biblico, della eredità puritana e degli ideali della rivoluzione anti-inglese del 1776.
E' in questo ambiente che, intrecciato con la questione della schiavitù, si afferma un vasto movimento non violento, con la fondazione nel 1828 di una American Peace Society, che ha una consorella a Londra. Prima ancora della guerra di secessione in Nordamerica tra il Sud schiavista e il Nord abolizionista (1861-1865), il pacifismo inglese e americano si confronta con varie altre rivolte anticoloniali, come quella, nel 1857, dei soldati indiani arruolati nell'esercito inglese. Si tratta di decidere se la violenza dei ribelli è legittima o se hanno ragione gli inglesi a reprimerla con la forza, giustificando l'azione come repressione di criminali comuni. Dilemmi analoghi, sia pure in termini diversi, si troveranno di fronte i non violenti nordamericani in occasione della guerra di secessione.

Gli schiavi hanno ragione a volersi liberare; possono farlo con la violenza? Uno degli esponenti storici del pacifismo, Charles Stearns, ritiene che non si possa assistere inerti alle violenze degli schiavisti. E si risolve a giustificare l'uso della violenza contro di loro considerando che l'ideale della non violenza proibisce solo di togliere la vita ad altri esseri umani, mentre questi non sono umani e dunque possono essere combattuti e uccisi. Siamo nell'anno 1856, quando ormai il conflitto armato tra il Nord e il Sud si avvicina. L'attacco che John Brown compie in Virginia, nel 1859, contro un deposito di munizioni del governo, sperando di innescare così una ampia rivolta di schiavi, determina vaste discussioni nel movimento pacifista, che è anche, da sempre, abolizionista e perciò incline a sostenere la lotta anche armata degli schiavi. Anche Henri De Thoreau ammette che si possa ricorrere alle armi quando ogni altro mezzo per far valere il diritto si sia rivelato inutilizzabile.

Naturalmente, un'ampia parte del libro di Losurdo è dedicata allo studio dei grandi classici della non violenza, come Gandhi e Tolstoi, giù giù fino a Capitini e Martin Luther King. Con le loro contraddizioni spesso dimenticate: soprattutto quelle di Gandhi, che sia ai tempi del soggiorno in SudAfrica e della guerra dei Boeri, sia negli anni della prima e della seconda guerra mondiale si impegna in varie forme nel sostegno dell'azione, anche bellica, della parte che ritiene più «giusta e meno violenta». Non senza qualche cedimento alla retorica della «virilità» e della forza di carattere che, come in molta ideologia militarista europea degli stessi anni, sarebbero sviluppate proprio dalla guerra e dalla vita militare.

Molta attenzione Losurdo dedica alla relazione tra ideali della non violenza e movimento socialista. Mentre Gandhi predica una sorta di disposizione al martirio (resistenza passiva, digiuno), nei socialisti come Lenin la vocazione all'eroismo si accompagna a un forte senso realistico e storicistico. Che evita al pensiero socialista le acrobazie a cui i non violenti motivati religiosamente sono costretti per giustificare qualunque uso della forza, come accadeva appunto nel caso archetipico dell'abolizionismo nordamericano.

E' una contradddizione che non si lascia mai risolvere teoricamente, almeno secondo Losurdo. E che si rinnova ogni volta che, come anche oggi, il metodo della non violenza sembra imporsi non solo per motivi etici, ma anche per considerazioni tattiche: difficile che oggi una rivoluzione abbia successo se pensa di misurarsi con la violenza soverchiante della conservazione. Su questo, sia pure solo per prudenza tattica, anche Lenin sarebbe
gandhiano.
Gianni Vattimo

Domenico Losurdo
LA NON VIOLENZA
Una storia fuori dal mito
Laterza, pp. 286, euro 22

venerdì 12 marzo 2010

Appello - Fermare l'aggressione all'Iran!

Pubblichiamo di seguito questo importante appello che vuole chiamare alla mobilitazione contro l'aggressione all'Iran. E' possibile inviare la propria adesione scrivendo a
giulemanidalliran@alice.it

Fermare l’aggressione all’Iran! Denuclearizzare l’intero Medio Oriente! Porre fine all’assedio di Gaza e al martirio del popolo palestinese!
Sin da quando G.W. Bush definì l’Iran uno “Stato canaglia” è in corso contro questo paese dalla storia plurimillenaria e il suo governo una brutale campagna di demonizzazione; una campagna fondata sulla menzogna che con tutta evidenza serve a spianare la strada all’aggressione militare.
Tutti ricordiamo come fu preparata la guerra all’Iraq. Mentre le sanzioni e l’embargo provocavano mezzo milione di morti (anzitutto bambini, a causa dell’assenza di medicinali, latte e beni di prima necessità), l’Iraq era accusato di accumulare “armi di distruzione di massa”. Come dimenticare la grande messa in scena con cui Colin Powell, per giustificare quella che sarà la più grande carneficina dopo il Vietnam, giunse a ingannare l’assemblea dell’ONU mostrando la famigerata “pistola fumante”? Gli Stati Uniti, che difendono la loro supremazia mondiale con migliaia e migliaia di testate nucleari e la più imponente macchina bellica di tutti i tempi, giustificano le terribili sanzioni da imporre all’Iran e l’eventuale attacco militare con l’argomento secondo cui la Repubblica islamica cercherebbe di dotarsi della bomba atomica per poter attaccare Israele. L’accusa è sdegnosamente respinta da Tehran, e comunque ancora una volta la Casa Bianca usa due pesi e due misure. E’ infatti noto che Israele possiede centinaia di testate nucleari, buona parte delle quali puntate sull’Iran e ognuna delle quali potrebbe radere al suolo Tehran.
I nemici dichiarati dell’Iran (anzitutto Israele e Stati Uniti, a cui si accoda l’Unione Europea), nel tentativo di ingannare l’opinione pubblica e compattare il loro fronte interno, indossano la solita maschera, quella di paladini della libertà, della democrazia e della non-violenza. In particolare, essi contestano al governo di Tehran la dura repressione delle proteste. I sottoscritti non amano né le dittature, né la sospensione dei diritti di libertà, ovunque questo avvenga, ma prima di dare lezioni di democrazia i nemici dell’Iran dovrebbero porre fine allo Stato d’assedio e alla minaccia militare a cui sottopongono questo paese, visto che la guerra, come la storia insegna, è il più grave ostacolo alla libertà. In ogni caso, non possono ergersi a campioni dei diritti dell’uomo quegli stessi paesi, le cui truppe compiono massacri in Afghanistan o in Palestina, che sostengono colpi di stato per rovesciare governi ostili (Honduras), che non esitano a ricorrere agli attentati terroristici o all’«eliminazione mirata» di esponenti politici o scienziati considerati pericolosi.
Mentre si aggravano i pericoli di guerra esprimiamo il nostro sdegno per le affermazioni rilasciate da Berlusconi nel corso del suo viaggio in Israele. Non solo egli ha giustificato i massacri indiscriminati contro i palestinesi di Gaza, non solo ha difeso l’idea razzista e segregazionista di Israele quale stato puramente ebraico (con la sostanziale esclusione della popolazione araba dal godimento dei diritti politici). Calpestando i sentimenti di pace del popolo italiano e danneggiando gli stessi interessi nazionali, Berlusconi ha assicurato agli israeliani che l’Italia interromperà le relazioni economiche con l’Iran e sosterrà in ogni sede la richiesta di durissime sanzioni. In altre parole Berlusconi ha dato man forte ai falchi israeliani, i quali sono pronti, una volta ottenuto il semaforo verde da Obama, a rovesciare sull’Iran un devastante bombardamento, senza escludere il ricorso all’arma atomica.
Occorre fermare l’escalation anti-iraniana e smantellare l’arsenale atomico israeliano per denuclearizzare il Medio oriente. L’assedio israeliano di Gaza deve finire ed il popolo palestinese deve vedere finalmente riconosciuti i suoi diritti.

PRIMI FIRMATARI
Domenico Losurdo – Università di Urbino
Gianni Vattimo – Filosofo e parlamentare europeo
Danilo Zolo – Università di Firenze
Margherita Hack – Astrofisica
Lucio Manisco – Giornalista, già parlamentare europeo

martedì 9 febbraio 2010

Iran, un appello che alimenta il fuoco di guerra

Iran, un appello che alimenta il fuoco di guerra
di Domenico Losurdo e Gianni Vattimo, «il manifesto» del 9 febbraio, p. 10

«Il manifesto» di sabato 6 febbraio ha pubblicato un Appello «Per la libertà di espressione e la fine della violenza in Iran». A firmarlo, assieme a intellettuali inclini a legittimare o a giustificare tutte le guerre e gli atti di guerra (blocchi e embarghi) scatenate e messi in atto dagli Usa e da Israele, ce ne sono altri che in più occasioni, invece, hanno partecipato attivamente alla lotta per la pace e per la fine dell’interminabile martirio imposto al popolo palestinese. Purtroppo a dare il tono all’Appello sono i primi:
1) Sin dall’inizio si parla di «risultati falsificati dell’elezione presidenziale del 12 giugno 2009» e di «frode elettorale». A mettere in dubbio o a ridicolizzare questa accusa è stato fra gli altri il presidente brasiliano Lula. Perché mai dovremmo prestar fede a coloro che regolarmente, alla vigilia di ogni aggressione militare, fanno ricorso a falsificazioni e manipolazioni di ogni genere? Chi non ricorda le «prove» esibite da Colin Powell e Tony Blair sulle armi di distruzione di massa (chimiche e nucleari) possedute da Saddam Hussein?
2) L’Appello prosegue contrapponendo la violenza del regime iraniano alla «non-violenza» degli oppositori. In realtà vittime si annoverano anche tra le forze di polizia. Ma è soprattutto grave un’altra rimozione: da molti anni l’Iran è il bersaglio di attentati terroristici compiuti sia da certi movimenti di opposizione sia dai servizi segreti statunitensi e israeliani. Per quanto riguarda questi ultimi attentati, ecco cosa scriveva G. Olimpio sul «Corriere della Sera» già nel 2002 (7 giugno): «in perfetta identità di vedute con Washington», i servizi segreti israeliani hanno il compito di «eliminare», assieme ai «capi dei gruppi palestinesi ovunque si trovino», anche gli «scienziati iraniani impegnati nel progetto per la Bomba» e persino coloro che in altri Paesi sono «sospettati di collaborare con l’Iran».
3) L’Appello si sofferma con forza sulla brutalità della repressione in atto in Iran, ma non dice nulla sul fatto che questo paese è sotto la minaccia non solo di aggressione militare, ma di un’aggressione militare che è pronta ad assumere le forme più barbare: sul «Corriere della Sera» del 20 luglio 2008 un illustre storico israeliano (B. Morris) evocava tranquillamente la prospettiva di «un’azione nucleare preventiva da parte di Israele» contro l’Iran. In quale mondo vivono i firmatari dell’Appello: possibile che non abbiano letto negli stessi classici della tradizione liberale (Madison, Hamilton ecc.) che la guerra e la minaccia di guerra costituiscono il più grave ostacolo alla libertà?
Mentre non è stupefacente che a firmare (o a promuovere) l’Appello siano gli ideologi delle guerre scatenate da Washington e Tel Aviv, farebbero bene a riflettere i firmatari di diverso orientamento: l’etica della responsabilità impone a tutti di non contribuire ad alimentare il fuoco di una guerra che minaccia il popolo iraniano nel suo complesso e che, nelle intenzioni di certi suoi promotori, non deve esitare all’occorrenza a far ricorso all’arma nucleare.
L'appello "Per la libertà di espressione e la fine della violenza in Iran", «il manifesto», 6 febbraio 2010