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venerdì 20 aprile 2012

Da Bush a Monti: fatti o interpretazioni?


Da Bush a Monti: fatti o interpretazioni?
«Alias-D» dell’1 aprile recensiva il libro di Maurizio Ferraris «Manifesto del nuovo realismo» (Laterza), contro gli effetti ubriacanti del pensiero debole e postmoderno. A Ferraris, che propugna un ritorno filosofico (e politico) al mondo dei «fatti», replica qui Gianni Vattimo, con una «lettera aperta» a Umberto Eco, suo interlocutore ideale. Gli risponde Ferraris.

Il Manifesto, 8 aprile 2012

Il ritorno della realtà come ritorno all’ordine – Gianni Vattimo

Caro Umberto, vorrei entrare subito in medias res (ahi!, le cose stesse!) per discutere il tuo saggio sul «realismo negativo». Due cose preliminari. Primo: davvero qualcuno dei nuovi realisti pensa che un postmoderno utilizzi un cacciavite per pulirsi un orecchio o il tavolo su cui scrive per viaggiare da Milano ad Agognate? Spesso gli esempi paradossali finiscono per essere presi troppo sul serio, e diventano caricature delle quali sarebbe meglio sbarazzarsi. Secondo: ricordi Proudhon? In una estate di molti anni fa, nel deserto di temi con cui riempire i giornali, qualcuno tirò fuori Proudhon del tutto a freddo, aprendo un dibattito inconcludente che si trascinò per un po’ e poi svanì nel nulla. Il nuovo realismo mi sembra un fenomeno del tutto simile, anche se minaccia di durare più a lungo, per ragioni che hanno probabilmente da fare con il generale clima di «ritorno all’ordine» di cui è massima espressione il governo dei «tecnici».

Quali sono le ragioni del «ritorno della realtà» contro la «sbornia post-modernista»? A chi importa «tornare alla realtà» e respingere la tesi di Nietzsche secondo cui «non ci sono fatti, solo interpretazioni, e anche questa è un’interpretazione»? Certo, tu risponderai subito che questa domanda è impropria: è la verità o falsità della tesi che ci deve interessare, non a chi piacciano o dispiacciano. Ma dovresti anche ammettere che così costringi subito Nietzsche ad accettare che ci sia quella famosa verità oggettiva di cui si sta discutendo. Così, verità oggettiva sembra essere, per i nuovi realisti, il «fatto» che «il postmoderno è fallito». Davvero questo fallimento è un fatto e non un’interpretazione? La forza della tesi di Nietzsche, anche e soprattutto per chi non vuole prostrarsi davanti al mondo com’è e identificare senz’altro l’esser-così-delle-cose con il bene e la norma da «rispettare», sta tutta nel domandare, ad ogni enunciazione, «chi lo dice?». Il concetto di ideologia di Marx, ma tutta la cosiddetta scuola del sospetto (Marx, Nietzsche, Freud), dovrebbe averci insegnato qualcosa. Già, dirai, però Marx smascherava l’ideologia proprio in nome della verità oggettiva. Ma questa per lui era il patrimonio del proletariato («chi lo dice?»), non l’essere stesso identificato con ciò di cui non si può assolutamente pensare il contrario, cioè quello che tu chiami «il mondo» con i suoi «fatti». I «fatti» non parlano da sé, anche indicarli semplicemente con un dito è già un atto linguistico. Il realismo (vecchio, credo; perché sarebbe nuovo?) si è sempre fatto forte del «fatto» che ci deve essere qualcosa, il «dato», che limita l’interpretazione, come dici tu, e che non dipende dall’interprete. Neanche il più fanatico postmodernista assume semplicemente che le «cose» siano create da chi le vede. Se piove mi bagno, se sbatto in un muro mi faccio male al naso. E allora? Lo zoccolo duro dell’essere sarebbe questo? Heidegger ha costruito tutta una filosofia a partire dall’insoddisfazione per la «metafisica», cioè per quel pensiero che identifica l’essere con questo zoccolo. E l’insoddisfazione era fondata non sulla scoperta che l’essere non è «zoccolo» ma, poniamo, pantofola o aria; bensì sulla impossibilità di prender sul serio la libertà, in un mondo fatto di durezze e di zoccoli identificati semplicemente con l’essere stesso… 
 
John Searle
La domanda «chi lo dice?», ha anche una ovvia portata etico-politica. I nuovi realisti (che sempre mi rinfacciano il nazismo di Heidegger) dovrebbero spiegare perché uno dei loro profeti sia John Searle, onorato da Bush come il massimo filosofo USA. Qualcuno di loro avrà un analogo riconoscimento dal governo Monti-Napolitano? Certo, di fatto (!) i nuovi realisti hanno il massimo ascolto nella opinione pubblica (ossia pubblicata) mainstream, rispondono alla richiesta di restaurare valori «veri» e, in definitiva, disciplina sociale. Anche tu sei preoccupato di trovare «garanzie» per proporre interpretazioni accettabili dagli altri. Appunto, «gli altri». Proprio perché non ci sono fatti, solo interpretazioni, il solo «zoccolo» contro cui urto e di cui devo tener conto, senza garanzie, sono le interpretazioni degli altri. Per convincerli non ho nessun garanzia «oggettiva»: solo certi valori condivisi, certe esperienze comuni, certe letture che abbiamo fatto, persino – ormai ne sono consapevole – certe appartenenze di classe. La pericolosità dell’ermeneutica è tutta qui: insegna che la sola interpretazione sicuramente falsa (limiti dell’interpretazione!) è quella che non riconosce di essere tale, che pretende di parlare dal punto di vista di Dio e dunque rifiuta di negoziare, pensando di possedere la verità vera. Ma anche la verità di una proposizione scientifica è tale solo se gli altri, coloro che ripetono l’esperimento, hanno gli stessi risultati. C’entreranno lo zoccolo e il muro? Ma dove sarebbero, se non in queste interpretazioni?

lunedì 26 dicembre 2011

Intervista sul realismo

«È la dittatura del mainstream mascherato da tecnica»  

Liberazione, 23 dicembre 2011. Di Tonino Bucci


Sono passati più di vent’anni da quando Gianni Vattimo, il teorico del pensiero debole, scrisse La società trasparente, un saggio, poi ripubblicato nel 2000, nel quale riservava ai mass media un ruolo tutto sommato positivo. L’idea era che i mezzi di comunicazione avrebbero decretato la fine dei pensieri “forti” e del dogmatismo – del pensiero unico, diremmo oggi – e contribuito alla proliferazione di tante immagini del mondo. «Ciò che intendo sostenere è: che nella nascita di una società postmoderna un ruolo determinante è esercitato dai mass media; che essi caratterizzano questa società non come una società più “trasparente”, più consapevole di sé, più “illuminata”, ma come una società più complessa, persino caotica; e infine che proprio in questo relativo “caos” risiedono le nostre speranze di emancipazione». Ai media sarebbe dovuto spettare il compito di annullare il senso di «realtà», nel senso della credenza in un ordine immutabile e gerarchico delle cose, nel quale a ognuno compete un ruolo immodificabile – credenza alla quale tutte le metafisiche si sono appoggiate. Vale ancora questo discorso? Il legame tra mezzi di comunicazione e poteri forti non finisce per impedire la proliferazione di tante immagini del mondo e favorire, invece, il rafforzamento di un pensiero unico? Lo chiediamo allo stesso Gianni Vattimo.

Viviamo nella società della comunicazione generalizzata. In teoria i mass media dovrebbero garantire una situazione antidogmatica e concorrere a formare non una, ma tante immagini del mondo. Ma che ne è di questa funzione se oggi a fare informazione rimangono solo i potentati economici?
Sono persino più pessimista. Vedo un futuro di integrazione e di controllo esteso a tutta la società. Il controllo si estende a tutta l’informazione. I giornali che circolano sono quelli del mainstream e il mainstream ricalca il punto di vista dominante del capitale. E’ giusto difendere gli spazi democratici che ci sono e battersi fino all’ultimo per il pluralismo dell’informazione. Non è che finché non c’è la rivoluzione si deve rinunciare a fare qualsiasi cosa. Anche se riusciamo a difendere lo statuto dei lavoratori sarebbe già qualcosa vista l’aria che tira. Oggi provano a revocare tutte le conquiste ottenute in passato. Sono terrorizzato e pessimista. Non vedo alternative se non impegnarsi in un microconflitto continuo. Per quel che riguarda l’informazione, si può provare a usare internet. Credo che sono più letto sul mio blog che non quando scrivevo sulla Stampa. Da tempo non scrivo più sui giornali, potrei solo tentare di tenere una rubrica dal titolo “il coglione sinistro”, ma nessuno me la fa fare.

Mai mettere limiti alla provvidenza. Se Liberazione dovesse farcela, perché no?
D’accordo.

Nella scorsa estate c’è stato un dibattito sulla crisi del pensiero debole. C’è chi, Maurizio Ferraris in prima fila, sostiene il ritorno ai fatti e al realismo filosofico. Ma si commette un errore di ingenuità nel presupporre fatti neutri in una società che vive immersa nel simulacro della comunicazione?
Dirò di più, io non posso rivendicare una verità esterna contro questa informazione. Io rivendico un programma di classe. Io mi fido solo delle informazioni che vengono da una parte, da una certa zona. Non ho mai creduto nell’informazione oggettiva, figuriamoci se ci credo adesso. Il realismo, oggi, è il realismo delle banche, delle multinazionali, il realismo di Monti. Anche dal punto di vista filosofico tutti questi realismi sono figli di buona donna.

John R. Searle
John R. Searle Anche l’informazione risente di questa tecnocrazia installata al governo della società, che pretende di imporre il proprio punto di vista come unico, oggettivo, neutrale e incontrovertibile. E’ la dittatura della tecnica, non crede?
Uno dei riferimenti di questi realisti italiani è John Searle, un filosofo americano premiato, non a caso, da Bush con la medaglia del presidente. Una cosa al di là del bene e del male. Non se ne parla nemmeno. L’unico realismo vero, a mio parere, è rendersi conto dei giochi di stanno alla base dell’informazione e dei rapporti di proprietà. Il guaio del pensiero del realismo è che non puoi neppure fare proposte alternativa. E’ come la manovra di Monti. Se vuoi proporre qualche miglioramento devi essere d’accordo, altrimenti non ti ascoltano neanche. Fai parte di una minoranza poco raccomandabile, sei relegato in un angolo. Io faccio il deputato europeo ma questa è la mia impressione. Cerco di limitare i danni. Punto. Purtroppo voi di Liberazione cadete male.
Non starà dicendo che dobbiamo rassegnarci al pensiero unico? La maggior parte dei giornali ricalca lo stile cortese ma in fondo in fondo autoritario e gerarchico dei tecnocrati. Zitti, che ora ve la spieghiamo noi…
Perfettamente d’accordo. La penso anch’io così. E che siamo in due è già qualcosa. Sottoscrivo qualunque cosa che vada contro questa struttura.