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lunedì 24 agosto 2009

Chi ci fa la morale?

Un articolo di Mattia Feltri su La Stampa, 12 agosto.

Chi ci fa la morale?
Come decidere cosa è beneo male per la società
MATTIA FELTRI

ROMA. Non è l’opinione pubblica a scegliere che cosa è morale o immorale», ha detto il cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Conferenza episcopale italiana. Il bene e il male non siano decisi dalle convinzioni della maggioranza o, come ha già sostenuto l’arcivescovo emerito di Bologna, Giacomo Biffi, «la verità non si stabilisce per alzata di mano». E, dunque, la morale non può combaciare con le consuetudini di una società, nemmeno se - proprio come scriveva ieri sul Corriere della Sera il filosofo Remo Bodei - «nella sfera sessuale l’uso dei contraccettivi (...) rende donne e uomini più propensi alle avventure, alle trasgressioni e all’eros fine a se stesso, in comportamenti fortemente biasimati dalla morale ereditata e dalle chiese non solo cristiane».
Per combinazione, sempre ieri, ma sulla Repubblica e affrontando il parallelo offerto da Benedetto XVI fra il nazismo e il nichilismo, Adriano Sofri ha ricordato che «la Chiesa cattolica non ha il monopolio della conoscenza (e tanto meno della pratica) del bene, così come non ne è esclusa. La strada è difficile, per ciascuno. Le fede religiosa non può essere una compagnia di assicurazione, né pubblica né privata». L’articolo di Bodei - titolato «La dittatura dei desideri» - sembra andare incontro alle tesi di Bagnasco, e all’opposto pare dirigersi Sofri. Chi stabilisce che cosa è morale? La prassi di una comunità oppure il diritto naturale cui si è richiamato il direttore dell’Osservatore Romano, Gian Maria Vian? E’ morale ciò che la maggioranza considera accettabile o ci sono valori - per usare un’espressione cara alla dottrina cattolica - non negoziabili? Lo storico del cristianesimo Alberto Melloni vuole intanto evitare fraintendimenti: «Il cardinale Bagnasco non sostiene che la morale cattolica debba essere imposta: è soltanto proposta». La morale, lo dice Melloni, lo aveva detto martedì Bagnasco, lo ripete Rocco Buttiglione, è «della coscienza».
Il problema, dunque, lo sottolinea Gianni Vattimo: «Se uno è credente ritiene che la morale abbia una derivazione divina. Se uno è kantiano ubbidisce a un imperativo categorico della ragione e ritiene di esercitare la morale in proprio, e non riconosce autorità esterna. Non è facile. Il guaio sorge quando la morale deve tradursi in legge e lì, è scontato, comanda la maggioranza». La considerazione è condivisa. Buttiglione però rifiuta decisamente che la maggioranza sia per forza nel giusto: «Anzi, che abbia spesso torto lo sappiamo dai tempi di Socrate, condannato da una maggioranza. E gli evangelisti non mettono in dubbio che fu una maggioranza a salvare Barabba e a mandare a morte Gesù». E allora? E allora, continua Buttiglione, «bisogna affidarsi a Machiavelli: il popolo fa sempre la cosa giusta se gli vengono forniti gli strumenti adeguati alla valutazione».
Insomma, l’intervento di Bagnasco sarebbe semplicemente diretto al popolo credente, ad incitarlo anche se si ritrova in minoranza su buona parte dei temi bioetici, a non avere paura di essere fuori dal mucchio, come sovente ha ammonito Joseph Ratzinger. Buttiglione ci sta, e rimarca: «L’idea di Bagnasco, di tutta la Chiesa, è l’idea di Platone su cui si basa la cultura occidentale: la democrazia non produce la verità ma produce delle leggi e sono leggi che hanno sempre la possibilità di appello. Se oggi esistono leggi contrarie alle leggi della Chiesa, significa che ci siamo spiegati male, e che dobbiamo chiederci dove abbiamo sbagliato per porvi rimedio». Per esempio, dice, un giorno o l’altro - fra un anno, fra un secolo - la morale cattolica e la legge coincideranno, e l’aborto sarà unanimemente rifiutato. «Purché - obietta l’ex presidente della Corte costituzionale, Giovanni Maria Flick - si obbedisca al concetto di legge permissiva che ho imparato da un cattolico adulto come Leopoldo Elia».
Flick, che si definisce un cattolico vecchio, un giuspositivista costituzionale, si richiama a Elia perché «ha ragione Bagnasco: se è l’opinione pubblica a stabilire la morale si va incontro alla dittatura della maggioranza. Ma i valori non possono essere imposti: se c’è una minoranza che vuole usare il preservativo o ricorrere all’aborto, deve avere la libertà di farlo». E quindi, un cattolico non può praticare l’aborto ma nemmeno può impedirne la pratica ad altri, purché vengano rispettati i valori costituzionali: «Ecco perché la morale e la legge non confliggono. Io ho due vangeli, quello rivelato e quello laico, che è la Costituzione. Anche la Costituzione ha valori non negoziabili, e sono valori spesso coincidenti con quelli propugnati dal Vangelo. Quando il Papa andò in Parlamento a invocare un atto di clemenza per i carcerati, non faceva altro che ripetere l’articolo 27 della Carta, secondo cui le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato».
Eppure Vattimo conserva un dubbio: «Quando la Chiesa dice che la maggioranza non esprime la morale dice un’ovvietà, ma mi rimane il sospetto che nell’affermare così fortemente la sua morale, la sua morale di minoranza, cerchi il modo di farla valere per tutti. Oggi Ratzinger e i suoi dicono di interpretare il vero senso della sessualità, ma della sessualità hanno sempre fatto carne di porco. E l’espressione mi sembra calzante». E’ un punto di vista rifiutato da Melloni per il quale, fra l’altro, l’appello di Bagnasco era rivolto non tanto alle questioni sessuali e bioetiche («su cui il Vaticano si è pronunciato diffusamente e fortemente»), quando alle politiche della sicurezza, al diffondersi delle ronde, «alle quali si affida l’educazione dei diciottenni, cresciuti secondo precetti di odio e paura». E’ insomma una Chiesa, dice Melloni, che non si arrende allo spirito dei tempi, e vuole partecipare alla costruzione della città, della civitas. Lo fa attraverso i suoi valori irrinunciabili così come Flick («almeno finché l’Italia è repubblicana») non rinuncia al valore irrinunciabile e costituzionale della laicità. «E la democrazia vive», e vive la laicità, «finché alle minoranze resta il diritto di non sentirsi nel torto», chiosa Buttiglione.