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domenica 31 maggio 2009

Risposta giovane all’astensionismo

In questi giorni di giri per mercati, mi accorgo che l’astensionismo è probabilmente persino più elevato di quanto non vogliano farci credere sondaggi, statistiche e conta stessa dei voti. Che ci si presenti con le tipiche frasi, “Sono Gianni Vattimo, candidato per l’Italia dei Valori al Parlamento europeo”, o che s’interpelli il potenziale elettore con il più aggressivo: “Vogliamo cacciare Berlusconi dall’Italia e dall’Europa?”, la reazione è spesso di totale indifferenza, quando non di fastidio. In quest’ultimo caso, l’elettore spiega di non poterne più, di quei soliti politici che promettono ma non fanno nulla, che sono lì solo per intascare, che sono tutti uguali; quei politici che “ho votato per trent’anni, e nulla è cambiato”. Certo, è vero che nel tentare di passare oltre e non essere disturbati, gli elettori spesso finiscono comunque per guardare il santino, e vedono il simbolo dell’Italia dei Valori. Un barlume di speranza improvvisamente s’accende e l’elettore si ferma, per prendere il santino e magari spendere qualche parola col candidato. Come se Di Pietro facesse breccia – e ciò è un bene di per sé, al di là della preferenza per quel partito – tra elettori stanchi e delusi.
Ma la sensazione di sconforto resta. E allora cosa? Quando osservo i giovani che distribuiscono la mia faccia ai mercati insieme a me, mi capita di pensare che in fondo una risposta all’astensionismo c’è, seppure debole (ma fino a che punto? Forse è meno debole di quanto si pensi). L’elettore, come detto, urla la sua protesta: li ho votati per trent’anni, e non è successo nulla. Già, ma i giovani possono rispondere: “E io?”. Loro non possono dire altrettanto. Non hanno votato “inutilmente” per trent’anni: devono necessariamente trovare una risposta diversa. Quando i giovani rispondono “e io?”, l’elettore si ferma forse imbarazzato, giustificando la rassegnazione: “ne ho viste più di te”, ecc. Ma il giovane non può che ribattere, “io ci sto provando. In gioco c’è il mio futuro, oltre al vostro”. L’elettore tenta allora di spostare l’oggetto: “infatti, siete voi che dovete cambiare le cose”. Sì, risponde il giovane, ma se non riesco a coinvolgere le persone che votano da trent’anni, non potrò mai cambiare nulla, né spingere i giovani astensionisti a ripensare all’occasione perduta: molti di loro, lo dico per esperienza personale (avendo osservato come i ragazzi che sostengono la mia candidatura tentino di persuadere i loro coetanei astensionisti a votare), non attendono altro che un altro giovane disposto a discutere, faccia contro faccia, le ragioni della sua passione politica. I “vecchi” elettori tornano allora con la mente a quando stavano dall’altra parte. E magari ripensano a quanto appena detto. Se anche non è cambiato nulla per loro (ma è poi vero?), questo non è un buon motivo per spegnere le speranze dei giovani.