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giovedì 29 dicembre 2011

Gli economisti di Torino contro la manovra

Crisi: cresce il "partito" degli economisti che bocciano Monti

(AGI) - Roma, 26 dic. - Si infoltisce la schiera degli economisti che bocciano la manovra del governo Monti e chiedono, per uscire dalla crisi, misure per favorire la crescita. Decine di adesioni nel mondo accademico alla lettera-appello al premier Monti promossa dal professor Gustavo Piga, dell'Università di Roma Tor Vergata, che tra le pieghe delle norme europee ha trovato un riferimento preciso per cui per l'Italia oggi in recessione, "raggiungere il bilancio in pareggio nel 2013 - che peggiora la recessione e non ci aiuta con i mercati e con gli spread - non è più necessario. Monti si appelli alla normativa per negoziare con Bruxelles e con il Consiglio Europeo una politica fiscale meno recessiva", in modo tale che al nostro paese, "a causa di una grave recessione economica", venga riconosciuta "la possibilità di superare il valore di riferimento del rapporto disavanzo pubblico-PIL in via eccezionale e temporanea, restando il rapporto vicino al valore di riferimento". Anche per il sito Sbilanciamoci, che nelle passate settimane ha proposto una 'controFinanziaria', "è un'altra manovra quella di cui ha bisogno il nostro paese: è necessario ridurre le spese militari e cancellare le grandi opere; bisogna inserire la tassazione dei patrimoni e delle rendite. Con i soldi raccolti - oltre che ridurre il debito - bisogna salvaguardare i redditi, le pensioni, i risparmi; bisogna investire nell'economia verde e nelle 'piccole opere'; è necessario mettere in campo un piano straordinario per il welfare in cui ci siano gli ammortizzatori sociali per i precari, servizi sociali, interventi per la scuola e l'università. Si tratta di uscire da questa crisi in in un modo diverso da quello con cui ci si era entrati: ecco perché serve una svolta, subito, sia nella richiesta di politiche europee diverse da quelle - restrittive e fatte di soli tagli - sia nella messa in campo di interventi a livello nazionale che costituiscano un vero e proprio piano di investimenti pubblici per un'economia che metta al centro i beni ed i consumi pubblici, la coesione sociale, il sostegno allo sviluppo locale". 
Sulle orme di un'analoga iniziativa lanciata in Francia da Susan George, Francois Chesnais, Etienne Balibar, "Rivolta il Debito" lancia un appello per un "Audit pubblico dei cittadini sul debito. Vogliamo rivedere in profondita' l'entità del debito pubblico italiano per impostare un'altra politica economica alternativa a quella avanzata dai vari governi che si sono succeduti in questi anni e improntata alla redistribuzione della ricchezza, alla valorizzazione dei beni comuni, del lavoro, del welfare, dell'ambiente contro gli interessi del profitto e della speculazione finanziaria". Tra i primi mille firmatari: Fausto Bertinotti, Salvatore Cannavò, Massimo Carlotto, Giulietto Chiesa, Giorgio Cremaschi, Loretta Napoleoni, Giovanni Russo Spena, Gianni Vattimo. In un'altra lettera aperta indirizzata al presidente del Consiglio Monti, venti docenti di economia prevalentemente dell'Università di Torino chiedono perché la ricchezza "liquida - titoli, depositi, investimenti finanziari - sfugga del tutto alla manovra. E' annullata così la pretesa di equità con cui il governo si era presentano agli italiani. In sostanza, ci sembra che ci siano molti argomenti a favore di una tassazione con un'aliquota non predatoria dei grandi patrimoni mobiliari, che non ci siano validi argomenti contrari sul piano dell'efficienza economica e che non vi siano rilevanti ostacoli di natura tecnica tali da impedirne l'adozione".

Qui un articolo (Lo Spiffero) sulla presa di posizione degli economisti torinesi.

mercoledì 30 novembre 2011

Un Audit sul debito anche in Italia

Riporto qui, sostenendo anch'io l'appello lanciato in Francia per un Audit pubblico sul tema del debito, un articolo di Salvatore Cannavò pubblicato sul blog de Il Fatto Quotidiano in data odierna.

Un Audit sul debito anche in Italia
di Salvatore Cannavò
Il Fatto Quotidiano, 30 novembre 2011

Se si guardano i presidenti del Consiglio degli anni di maggior picco nella formazione del debito pubblico italiano, i responsabili della situazione hanno il nome e cognome degli uomini della nomenklatura democristiana, e poi socialista, che ha retto il paese per circa cinquant’anni. E che il debito pubblico abbia radici clientelari e truffaldine è indubbio. Ma la dilatazione dei debiti è stata anche una precisa scelta delle politiche compiute in Europa negli ultimi dieci-quindici anni che hanno visto l’applicazione di politiche neoliberiste basate su ipotesi di riduzione della pressione fiscale con la diminuzione delle tasse verso gli strati più alti della società o verso le società private.

La spesa sociale in rapporto al Pil, infatti, in Italia è in linea con le entrate fiscali tra il 1980 e il 1990 e poi addirittura si riduce. Se nel 1960 la spesa per sanità era il 10,5 del Pil nel 1994 sale al 10,7, cioè resta ferma. La spesa per Istruzione scende dal 10,9 al 9 per cento mentre la famigerata spesa pensionistica passa dal 32,9 per cento del 1960 al 33,6 per cento del ’94. Se si fa la somma dalle manovra varate dal governo Amato del 1992 in poi, si supera la soglia dei 500 miliardi di euro. Di tagli e “sacrifici”.

Contestualmente, abbiamo assistito a una miriade di finanziamenti a pioggia, di incentivi, defiscalizzazioni che Marco Cobianchi nel saggio “Mani bucate” (Chiarelettere, 2011) ha stimato in 30-40 miliardi l’anno. Altro che spesa per le pensioni o per lo stato sociale.

Poi la politica fiscale. Secondo i dati Eurostat, dal 2000 al 2010 la pressione fiscale dell’Europa a 27 è passata dal 44,7 al 37,1 per cento con una riduzione del 7,6 per cento. Le imposte sui redditi delle società sono passate dal 31,9 al 23,2 con una riduzione dell’8,7 per cento. Se la pressione complessiva in Italia è rimasta più o meno stabile, riducendosi solo dello 0,3 per cento in dieci anni – e, comunque, destinata ad aumentare per effetto delle manovre economiche dell’ultimo governo Berlusconi - quella sui redditi delle società è passata dal 41,3 per cento al 31,4 con una riduzione del 9,9 per cento.

E’ giusto quindi chiedere l’annullamento della parte illegittima del debito, cioè quello realizzato per sostenere i profitti, per garantire la speculazione delle grandi banche e per sorreggere un’economia capitalistica in crisi di sbocchi, e quindi di margini di profitto, e bisognosa di una bolla finanziaria in grado di garantire l’attività. Come è giusto contestare la legittimità di un debito contratto per applicare politiche sociali ingiuste, in violazione dei diritti economici, sociali, culturali e civili dei popoli. E’ quanto ha sostenuto per anni il Comitato per l’annullamento del debito del terzo mondo (Cadtm) che ormai si occupa dei debiti del “nord del mondo” e le cui idee sono state pubblicate nel volume “Debitocrazia” in uscita con Alegre.

Dai dati della Banca d’Italia risulta chiaro che il 39.2% del debito pubblico italiano è nelle mani di investitori stranieri, questa percentuale sale al 46.2 se si considerano solo i detentori di titoli di Stato. Ancora nel 1991 i detentori domestici erano pari al 94%. Le famiglie, imprese e altri settori controllano appena un quarto del debito. Il debito, dunque, rappresenta la stratificazione delle politiche economiche fin qui adottate.

Quando si discute dell’intangibilità del diritto dei creditori non si può non tener conto del loro profilo (e andrebbe istituto un albo dei detentori di titoli per supportare l’audit). Un Audit è stato realizzato con successo in Ecuador, che è ovviamente un paese molto più piccolo e semplice dell’Italia ma che costituisce un riferimento possibile per un metodo di lavoro. L’Audit, da realizzare con la partecipazione di associazioni, cittadini, comitati, ecc. serve a radiografare quella cronistoria di cui parlavamo all’inizio, definire responsabilità e indicare vie di uscita possibili (annullamento parziale, rinegoziazione, congelamento interessi, etc.). Certo, non è una soluzione definitiva ma può prevedere soluzioni: controllo sul credito, ruolo pubblico della banca centrale, istituzione di una vera patrimoniale, etc.

Un appello per un Audit pubblico è stato lanciato in Francia da una serie di forze sociali e intellettuali (www.audit-citoyen.org pubblicato in italiano su www.rivoltaildebito.org) e ha già superato le 40 mila adesioni. Tra i promotori forze sindacali come la Cgt, l’Union syndacal Solidaires, Attac, il Cadtm, economisti come François Chesnais (foto qui sopra nel post) e Michel Husson, filosofi come Etienne Balibar, altermondialisti come Susan George. In Italia hanno già aderito personalità come Gianni Vattimo e Massimo Carlotto. Potrebbe diventare un tema di stringente attualità.