giovedì 12 settembre 2013
Zitto e taci. È la procedura
martedì 12 marzo 2013
A proposito di Chavez e di muri
Chavez. Viale: parole di Vattimo
inqualificabili. Folla oceanica dietro la bara? Anche Mussolini l'avrebbe avuta.
Crollerà il muro anche in Venezuela
dal sito dei Radicali Italianigiovedì 7 marzo 2013
Ecco perché Chavez mi ha affascinato
giovedì 29 novembre 2012
"Sólo un comunismo débil puede salvarnos"
La Vanguardia, 29 novembre 2012
Intervista a Gianni Vattimo
di Vìctor-M. Amela
De verdad es comunista?
¿Qué otra cosa se puede ser, tal como van las cosas?
El comunismo dejó 70 millones de muertos...
No fue el comunismo.
¿Qué, entonces?
El industrialismo. Lenin propuso electrificación más sóviets, es decir, control popular..., ¡pero el control popular se esfumó!
¿Y qué quedó?
El industrialismo: Stalin impuso el desarrollo de la industria pesada contra el agro, y de ahí los desplazamientos de poblaciones, los sacrificios, muertes... ¡Un sueño loco!
Un horror.
Pero... sin aquella fuerza industrial estalinista, ¡los nazis hubiesen ganado!
lunedì 11 giugno 2012
Feria del libro de Madrid
Gianni Vattimo inaugura el especial de EL PAIS: "Solo una guerra o revolución podrían cambiar la clase política"
El filósofo italiano Gianni Vattimo ha inaugurado esta mañana la cobertura especial que hará EL PAÍS de la 71ª Feria del Libro de Madrid. Lo ha hehoc a través de un chat con los lectores, en un homenaje a Italia como país invitado a la cita madrileña.
profespa
Juan C. Santos
Michel Lugo
alexanxo
Magaly
ALS
José Manuel López García.
Mensaje de despedida
sabato 10 settembre 2011
Dobbiamo fermarli!
E’ da più di un anno che in Italia cresce un movimento di lotta diffuso. Dagli operai di Pomigliano e Mirafiori agli studenti, ai precari della conoscenza, a coloro che lottano per la casa, alla mobilitazione delle donne, al popolo dell’acqua bene comune, ai movimenti civili e democratici contro la corruzione e il berlusconismo, una vasta e convinta mobilitazione ha cominciato a cambiare le cose. E’ andato in crisi totalmente il blocco sociale e politico e l’egemonia culturale che ha sostenuto i governi di destra e di Berlusconi. La schiacciante vittoria del sì ai referendum è stata la sanzione di questo processo e ha mostrato che la domanda di cambiamento sociale, democrazia e di un nuovo modello di sviluppo economico, ha raggiunto la maggioranza del Paese.
A questo punto la risposta del palazzo è stata di chiusura
totale. Mentre si aggrava e si attorciglia su se stessa la crisi della
destra e del suo governo, il centrosinistra non propone reali
alternative e così le risposte date ai movimenti sono tutte di segno
negativo e restauratore. In Val Susa un’occupazione militare senza
precedenti, sostenuta da gran parte del centrodestra come del
centrosinistra, ha risposto alle legittime rivendicazioni democratiche
delle popolazioni. Le principali confederazioni sindacali e la
Confindustria hanno sottoscritto un accordo che riduce drasticamente i
diritti e le libertà dei lavoratori, colpisce il contratto nazionale,
rappresenta un’esplicita sconfessione delle lotte di questi mesi e in
particolare di quelle della Fiom e dei sindacati di base. Infine le
cosiddette “parti sociali” chiedono un patto per la crescita, che
riproponga la stangata del 1992. Si riducono sempre di più gli spazi
democratici e così la devastante manovra economica decisa dal governo
sull’onda della speculazione internazionale, è stata imposta e votata
come uno stato di necessità.Siamo quindi di fronte a un passaggio drammatico della vita sociale e politica del nostro Paese. Le grandi domande e le grandi speranze delle lotte e dei movimenti di questi ultimi tempi rischiano di infrangersi non solo per il permanere del governo della destra, ma anche di fronte al muro del potere economico e finanziario che, magari cambiando cavallo e affidando al centrosinistra la difesa dei suoi interessi, intende far pagare a noi tutti i costi della crisi.
Nell’Unione europea la costruzione dell’euro e i patti di stabilità ad esso collegati, hanno prodotto una dittatura di banche e finanza che sta distruggendo ogni diritto sociale e civile. La democrazia viene cancellata da questa dittatura perché tutti i governi, quale che sia la loro collocazione politica, devono obbedire ai suoi dettati. La punizione dei popoli e dei lavoratori europei si è scatenata in Grecia e poi sta dilagando ovunque. La più importante conquista del continente, frutto della sconfitta del fascismo e della dura lotta per la democrazia e i diritti sociali del lavoro, lo stato sociale, oggi viene venduta all’incanto per pagare gli interessi del debito pubblico che, a loro volta, servono a pagare i profitti delle banche. Di quelle banche che hanno ricevuto aiuti e finanziamenti pubblici dieci volte superiori a quelli che oggi si discutono per la Grecia.
Questo massacro viene condotto in nome di una crescita e di una ripresa che non ci sono e non ci saranno. Intanto si proclamano come vangelo assurdità mostruose: si impone la pensione a 70 anni, quando a 50 si viene cacciati dalle aziende, mentre i giovani diventano sempre più precari. Chi lavora deve lavorare per due e chi non ha il lavoro deve sottomettersi alle più offensive e umilianti aggressioni alla propria dignità. Le donne pagano un prezzo doppio alla crisi, sommando il persistere delle discriminazioni patriarcali con le aggressioni delle ristrutturazioni e del mercato. Tutto il mondo del lavoro, pubblico e privato, è sottoposto a una brutale aggressione che mette in discussione contratti a partire da quello nazionale, diritti e libertà, mentre ovunque si diffondono autoritarismo padronale e manageriale. L’ambiente, la natura, la salute sono sacrificate sull’altare della competitività e della produttività, ogni paese si pone l’obiettivo di importare di meno ed esportare di più, in un gioco stupido che alla fine sta lasciando come vittime intere popolazioni, interi stati. L’Europa reagisce alla crisi anche costruendo un apartheid per i migranti e alimentando razzismo e xenofobia tra i poveri, avendo dimenticato la vergogna di essere stato il continente in cui si è affermato il nazifascismo, che oggi si ripresenta nella forma terribile della strage norvegese.
Il ceto politico, quello italiano in particolare coperto di piccoli e grandi privilegi di casta, pensa di proteggere se stesso facendosi legittimare dai poteri del mercato. Per questo parla di rigore e sacrifici mentre pensa solo a salvare se stesso. Centrodestra e centrosinistra appaiono in radicale conflitto fra loro, ma condividono le scelte di fondo, dalla guerra, alla politica economica liberista, alla flessibilità del lavoro, alle grandi opere.
La coesione nazionale voluta dal Presidente della Repubblica è per noi inaccettabile, non siamo nella stessa barca, c’è chi guadagna ancora oggi dalla crisi e chi viene condannato a una drammatica povertà ed emarginazione sociale.
Per questo è decisivo un autunno di lotte e mobilitazioni. Per il mondo del lavoro questo significa in primo luogo mettere in discussione la politica di patto sociale, nelle sue versioni del 28 giugno e del patto per la crescita. Vanno sostenute tutte le piattaforme e le vertenze incompatibili con quella politica, a partire da quelle per contratti nazionali degni di questo nome e inderogabili, nel privato come nel pubblico.
Tutte e tutti coloro che in questi mesi hanno lottato per un cambiamento sociale, civile e democratico, per difendere l’ambiente e la salute devono trovare la forza di unirsi per costruire un’alternativa fondata sull’indipendenza politica e su un programma chiaramente alternativo a quanto sostenuto oggi sia dal centrodestra, sia dal centrosinistra. Le giornate del decennale del G8 a Genova, hanno di nuovo mostrato che esistono domande e disponibilità per un movimento di lotta unificato.
Per questo vogliamo unirci a tutte e a tutti coloro che oggi, in Italia e in Europa, dicono no al governo unico delle banche e della finanza, alle sue scelte politiche, al massacro sociale e alla devastazione ambientale.
Per questo proponiamo 5 punti prioritari, partendo dai quali costruire l’alternativa e le lotte necessarie a sostenerla:
1. Non pagare il debito. Bisogna colpire a fondo la speculazione finanziaria e il potere bancario. Occorre fermare la voragine degli interessi sul debito con una vera e propria moratoria. Vanno nazionalizzate le principali banche, senza costi per i cittadini, vanno imposte tassazioni sui grandi patrimoni e sulle transazioni finanziarie. La società va liberata dalla dittatura del mercato finanziario e delle sue leggi, per questo il patto di stabilità e l’accordo di Maastricht vanno messi in discussione ora. Bisogna lottare a fondo contro l’evasione fiscale, colpendo ogni tabù, a partire dall’eliminazione dei paradisi fiscali, da Montecarlo a San Marino. Rigorosi vincoli pubblici devono essere posti alle scelte e alle strategie delle multinazionali.
2. Drastico taglio alle spese militari e cessazione di ogni missione di guerra. Dalla Libia all’Afghanistan. Tutta la spesa pubblica risparmiata nelle spese militari va rivolta a finanziare l’istruzione pubblica ai vari livelli. Politica di pace e di accoglienza, apertura a tutti i paesi del Mediterraneo, sostegno politico ed economico alle rivoluzioni del Nord Africa e alla lotta del popolo palestinese per l’indipendenza, contro l’occupazione. Una nuova politica estera che favorisca democrazia e sviluppo civile e sociale.
3. Giustizia e diritti per tutto il mondo del lavoro. Abolizione di tutte le leggi sul precariato, riaffermazione al contratto a tempo indeterminato e della tutela universale garantita da un contratto nazionale inderogabile. Parità di diritti completa per il lavoro migrante, che dovrà ottenere il diritto di voto e alla cittadinanza. Blocco delle delocalizzazioni e dei licenziamenti, intervento pubblico nelle aziende in crisi, anche per favorire esperienze di autogestione dei lavoratori. Eguaglianza retributiva, diamo un drastico taglio ai superstipendi e ai bonus milionari dei manager, alle pensioni d’oro. I compensi dei manager non potranno essere più di dieci volte la retribuzione minima. Indicizzazione dei salari. Riduzione generalizzata dell’orario di lavoro, istituzione di un reddito sociale finanziato con una quota della tassa patrimoniale e con la lotta all’evasione fiscale. Ricostruzione di un sistema pensionistico pubblico che copra tutto il mondo del lavoro con pensioni adeguate.
4. I beni comuni per un nuovo modello di sviluppo. Occorre partire dai beni comuni per costruire un diverso modello di sviluppo, ecologicamente compatibile. Occorre un piano per il lavoro basato su migliaia di piccole opere, in alternativa alle grandi opere, che dovranno essere, dalla Val di Susa al ponte sullo Stretto, cancellate. Le principali infrastrutture e i principali beni dovranno essere sottratti al mercato e tornare in mano pubblica. Non solo l’acqua, dunque, ma anche l’energia, la rete, i servizi e i beni essenziali. Piano straordinario di finanziamenti per lo stato sociale, per garantire a tutti i cittadini la casa, la sanità, la pensione, l’istruzione.
5. Una rivoluzione per la democrazia. Bisogna partire dalla lotta a fondo alla corruzione e a tutti i privilegi di casta, per riconquistare il diritto a decidere e a partecipare affermando ed estendendo i diritti garantiti dalla Costituzione. Tutti i beni provenienti dalla corruzione e dalla malavita dovranno essere incamerati dallo Stato e gestiti socialmente. Dovranno essere abbattuti drasticamente i costi del sistema politico: dal finanziamento ai partiti, al funzionariato diffuso, agli stipendi dei parlamentari e degli alti burocrati. Tutti i soldi risparmiati dovranno essere devoluti al finanziamento della pubblica istruzione e della ricerca. Si dovrà tornare a un sistema democratico proporzionale per l’elezione delle rappresentanze con la riduzione del numero dei parlamentari. E’ indispensabile una legge sulla democrazia sindacale, in alternativa al modello prefigurato dall’accordo del 28 giugno, che garantisca ai lavoratori il diritto a una libera rappresentanza nei luoghi di lavoro e al voto sui contratti e sugli accordi. Sviluppo dell’autorganizzazione democratica e popolare in ogni ambito della vita pubblica.
Questi 5 punti non sono per noi conclusivi od esclusivi, ma sono discriminanti. Altri se ne possono aggiungere, ma riteniamo che questi debbano costituire la base per una piattaforma alternativa ai governi liberali e liberisti, di destra e di sinistra, che finora si sono succeduti in Italia e in Europa variando di pochissimo le scelte di fondo.
Vogliamo trasformare la nostra indignazione, la nostra rabbia, la nostra mobilitazione, in un progetto sociale e politico che colpisca il potere, gli faccia paura, modifichi i rapporti di forza per strappare risultati e conquiste e costruire una reale alternativa.
Aderiamo sin d’ora, su queste concrete basi programmatiche, alla mobilitazione europea lanciata per il 15 ottobre dal movimento degli “indignados” in Spagna. La solidarietà con quel movimento si esercita lottando qui e ora, da noi, contro il comune avversario.
Per queste ragioni proponiamo a tutte e a tutti coloro che vogliono lottare per cambiare davvero, di incontrarci. Non intendiamo mettere in discussione appartenenze di movimento, di organizzazione, di militanza sociale, civile o politica. Riteniamo però che occorra a tutti noi fare uno sforzo per mettere assieme le nostre forze e per costruire un fronte comune, sociale e politico che sia alternativo al governo unico delle banche.
Per questo proponiamo di incontrarci il 1° ottobre, a Roma, per un primo appuntamento che dia il via alla discussione, al confronto e alla mobilitazione, per rendere permanente e organizzato questo nostro punto di vista.
sabato 11 dicembre 2010
È globale l'assedio ai diritti umani
Contro gli ottimisti che giurano sullo sviluppo automatico
La Stampa - TuttoLibri, 4 dicembre 2010
Non è certo un libro di lettura “comoda”, l’ultimo lavoro di Danilo Zolo, Tramonto globale. La fame il patibolo la guerra (Firenze University Press, Firenze, 2010, pp. 226, euro 17,90), ma per molteplici ragioni è il testo che ci sentiamo di raccomandare più di tutti, in questo momento in cui non sappiamo più bene in che mondo viviamo. Per esempio: non sappiamo se davvero stiamo in Afganistan per garantire la pace e i diritti umani, per difenderci (come membri della Nato) dalle minacce del “terrorismo internazionale” e per condurre una “guerra umanitaria”, e cioè giusta e meritevole di ogni sacrificio anche finanziario ai danni della nostra scuola e della nostra previdenza sociale.
I tre termini che fanno da sottotitolo, fame, patibolo, guerra, non sono scelti a caso,
per suscitare orrore emotivo verso questi cavalieri dell’Apocalisse. Sono i fenomeni che, secondo Zolo, giustificano il suo pessimismo, enunciato esplicitamente nella introduzione: “L’ottimismo è viltà. Il pessimismo è coraggio”. Da studioso di scienze politiche (professore a Firenze e in varie università straniere) e anche da osservatore “impegnato” della storia contemporanea, Zolo – che si richiama molto frequentemente a Bobbio e al suo L’età dei diritti, senza però dimenticare la lezione di Carl Schmitt – dedica le tre sezioni del libro ai temi che sono stati al centro di quella riflessione di Bobbio, e cioè a un bilancio dei diritti umani, dello sviluppo della democrazia e del destino della pace, nel mondo in cui viviamo e che, secondo gli ottimisti, non necessariamente vili, in virtù della globalizzazione, avrebbe finalmente la possibilità concreta di realizzare quei valori.
Proprio la globalizzazione, invece, non solo non garantisce quegli sviluppi positivi che gli ottimisti si attendevano, ma ne minaccia in modo fatale la realizzazione dei diritti. “Oggi le venti persone più ricche del mondo dispongono di una ricchezza complessiva pari a quella del miliardo più povero” (p. 111, che richiama molti studi sul tema di Luciano Gallino).
E non si tratta solo di differenze percentuali, che potrebbero messere mitigate dall’aumento della ricchezza complessiva. “La verità è che le spese militari,le vittime civili dei conflitti e le morti per denutrizione sono aumentate negli ultimi due decenni in tragica sintonia” (p. 17): Joseph Stiglitz, ricorda Zolo, ha calcolato che in questo periodo sono aumentate di almeno cento milioni le persone che vivono in estrema povertà, mentre il reddito mondiale globale cresceva del 2,5% all’anno.
Ma come, non lo sapevamo già, tutto questo? Certo che sì, le statistiche su cui lavorano Zolo, Stiglitz, Gallino sono pubbliche; noi stessi ne leggiamo spesso nei giornali, ce lo dice persino la televisione. Non possiamo certo pensare a un immane complotto, del tipo di quello satireggiato dall’ultimo romanzo di Umberto Eco. Solo che per Zolo è ancora più difficile credere che la globalizzazione sia un processo avvenuto da sé, per lo sviluppo casuale di forze anonime (scoperte, nuove tecnologie, ecc.). Essa è l’esito delle scelte consapevoli delle maggiori potenze del pianeta, che, dando via libera alla concorrenza globale in nome di una dogmatica fede (non certo disinteressata) nel mercato, costringono gli stati nazionali a limitare i diritti dei lavoratori, a tagliare la spesa sociale, a aumentare le spese militari.
Naturalmente, gli ottimisti credono alla tesi dello sviluppo automatico della globalizzazione (così un sociologo come Bauman, citato da Zolo) e sono convinti che essa determinerà una diffusione di democrazia, pace, diritti, proprio per i suoi benefici effetti economici. Questi teorici, western globalists come Zolo ci insegna a chiamarli, includono nelle loro file pensatori del calibro di Juergen Habermas, Amartya Sen, Ralph Dahrendorf, oltre a Bauman, a Michael Walzer, Michael Ignatieff, Ulrich Beck. E’ utile fare questi nomi perché sono l’élite del progressismo democratico. Le cui aspettative sono tragicamente smentite appunto da realistico bilancio di Zolo, che proprio in questo realismo si mostra vero discepolo dell’ultimo Bobbio.
Se l’esplosione delle diseguaglianze economiche smentisce le speranze nella globalizzazione, il riconoscimento dei diritti umani è sempre più pesantemente minacciato dalla diffusione delle pretese universalistiche del common sense morale occidentale che, implicitamente per molti ed esplicitamente per alcuni come Walzer, non ha bisogno di giustificazioni, è l’etica universale tout court (vedi p. 162). A cui ricorrere per decidere su guerre giuste, azioni di polizia internazionale, interventi umanitari richiesti o anche no dalle Nazioni Unite, e gestiti sempre più autonomamente dalla Nato. Anche sul tema della pace, perciò, il nostro mondo ormai, e per ora, unipolare, è molto meno sicuro che ai tempi della Guerra fredda.
Zolo non pretende ovviamente di suggerire ricette contro questo tramonto globale delle nostre speranze. Si spinge solo a dire che se l’Europa riuscisse a diventare un vero soggetto politico autonomo, anzitutto dagli Stati Uniti, potremmo sperare in una più vivace multipolarità, magari un po’ più conflittuale ma capace di risvegliarci dal letargo e riaprire le finestre del futuro.
Gianni Vattimo
venerdì 31 luglio 2009
La nostra (vacua) democrazia
icidio della democrazia – almeno intesa nel senso del governo della maggioranza e del principio “una testa (appunto; bah) un voto”. Non è forse vero che ormai, persino nei dibattiti che oppongono i sostenitori dei singoli candidati, ciò che emerge sempre di più è il bisogno di un capo carismatico, e cioè di qualcosa che sta all’estremo opposto del leader coscientemente votato dalla base? Se non della democrazia stessa e delle istituzioni democratiche del Paese, è più o meno prevedibile che il suicidio che si compirà sarà quello del partito che incautamente si sta abbandonando a questa vera e propria orgia di dibattito precongressuale. Ogni giorno si annuncia una nuova convention organizzata – con quali forze, con quali soldi – da questo o quell’aspirante leader. Dovremmo prevedere anche un finanziamento pubblico per questo tipo di campagne? Una volta – ahimè più di un millennio fa – queste discussioni precongressuali avvenivano nelle sezioni del (dei?) partito. Oggi simili entità non esistono più. Basta con il partito apparato eccetera. Bene o male che sia, è sicuro che la dissoluzione della vita di base del partito è una componente fondamentale della dissoluzione della democrazia, interna al partito o anche della democrazia politica tout court. Se la scelta del leader non è l’esito di una vasto processo di dibattito di base, che cosa potrà essere se non quello che è ora, la decisione su chi sia più o meno simpatico,più o meno “nuovo” (o “vuoto”, come anche si è detto)? Ci scandalizziamo (ancora?) delle veline berlusconiane, ma qui non siamo lontani da quel metodo. Se non le primarie, che cosa? Questa domanda forse non può avere solo una risposta “tecnica”: che potrebbe arrivare fino al sondaggio telefonico tra un campione di cittadini, scelti a caso o nell’ambito degli iscritti… O addirittura al vecchio metodo del sorteggio. So che è paradossale, ma anche questo metodo avrebbe almeno il vantaggio di non obbligare gli aspiranti leader del partito a dirsene di tutti i colori di qui al congresso, contribuendo in modo potente ad accentuare tutte le divisioni interne. Chiamparino ha fatto bene a dire che si sarebbe dovuto discutere non del chi, ma del “che cosa” fare. La personalizzazione dello scontro, ancora secondo l’aureo esempio delle veline berlusconiane, serve solo a non parlare del che cosa. Non sappiamo bene che cosa vogliamo fare, ma intanto vogliamo prendere il potere: nello stato, e prima nel partito…
Come si vede chiaramente, questo problema del modo di eleggere il segretario del partito è solo uno specchio del problema ben più vasto: di come far funzionare la democrazia. Davvero il modo in cui si costruiscono le liste dei candidati in un paese come Cuba (almeno, per quanto ne sappiamo noi) è peggiore di quello che si vede in Italia? Là, se non andiamo errati, le sezioni del partito – a livello molto periferico, di quartiere addirittura – si riuniscono e votano con scrutinio palese i nomi del loro candidato; e si sale così fino alla costruzione della lista. Naturalmente si dice che questo modo di praticare la democrazia è esposto a ogni abuso: rivalità personali, manipolazione dall’alto, ecc. E certo non è il metodo perfetto. Ma vedendo quello che succede oggi in Italia – a cominciare dalle liste elettorali emanate dalle segreterie centrali, fino alla lotta per le primarie che si sta svolgendo ora nel PD – noi cominciamo a non essere più tanto sicuri che il “modello cubano”, così generalmente esecrato da tacitare ogni possibile discussione razionale – sia davvero tanto male. Per i più rigidi e pragmatici liberali potremmo cominciare a osservare che costa sicuramente meno di tutte le kermesse che si svolgono e si svolgeranno per scegliere il nuovo leader PD. E per i non molti interessati alla politica, si può osservare che lì almeno non si tratta solo di chi è più attraente e più “simpatico”. Se questa nostra è la democrazia, mostrateci qualche cosa di meno desolantemente vacuo.


