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domenica 19 maggio 2013

Se non ora quando?

di Gianni Vattimo




Il senatore Zanda capogruppo del PD in Senato, ha riaffermato il suo appoggio alla eventuale mozione sulla ineleggibilità di Berlusconi. Ebbene, che cosa si aspetta a proporla? I senatori 5 Stelle sono d’accordo, dobbiamo pensare che solo il PD esiti? Ma se passa l’ineleggibilità, si dice, Berlusconi fa saltare il tavolo del governo, e si va a elezioni con il Porcellum – lui vincerebbe e potrebbe poi addirittura aspirare al Quirinale. Certo, al marciume non c’è limite... 

giovedì 25 aprile 2013

L'opposizione perduta di Vendola nell'Italia colonizzata

di Gianni Vattimo,  Il Fatto Quotidiano



Sento Vendola in un talk show televisivo (Ballarò, credo) che ricostruisce le tappe della vicenda che ha portato alla rielezione di Napolitano e al nuovo governo di destra che incombe su di noi. Tutto giusto, soprattutto la tesi (credo di averla scritta anch’io, con mesi di anticipo su Vendola) che la situazione attuale è figlia dello Ur-golpe napolitaniano del 2011, quando non si rimandò il governo Berlusconi alle camere e se ne contrattarono (a che prezzo? Stiamo ancora scoprendolo) le dimissioni per creare il governo dei tecnici.

sabato 25 agosto 2012

Firmare a sostegno dei pm anche per dire no al regime

Il Fatto Quotidiano, 23 agosto 2012


Si parla tanto, discutendo dell’articolo (decisivo, inappuntabile) di Gustavo Zagrebelsky, di eterogenesi dei fini. Ma varrebbe la pena anche, e più, di parlare di eterogenesi delle cause. Spieghiamoci: davvero possiamo pensare che le tante migliaia di cittadini – compreso il sottoscritto – che hanno firmato l’appello del Fatto a difesa dei pm di Palermosotto attacco da parte di quasi tutti i grandi media cosiddetti indipendenti, siano stati motivati dalla preoccupazione per la sorte di quei magistrati, per ora almeno non direttamente minacciati né di licenziamento né di carcere; o dalla irresistibile curiosità di sapere che cosa si dicevano Napolitano e Mancino nelle conversazioni illegalmente, criminalmente ascoltate e addirittura trascritte dalla magistratura palermitana? Ma che cosa davvero ci poteva essere di così decisivo in quei nastri, già per giunta dichiarati irrilevanti ai fini del processo? Confessiamo finalmente che del contenuto di quelle intercettazioni non ci potrebbe importare di meno. Figurarsi se il nostro saggissimo presidente (Giulia Bongiorno docet) si sarebbe mai lasciato andare, anche senza sospettare di essere ascoltato, a dire qualcosa di men che prevedibile, istituzionale, neutrale?

E allora? Perché in tanti avremmo dovuto sentirci così impellentemente spinti a firmare il documento pro pm? Le ragioni, le cause “eterogenee” di cui generalmente si tace nella discussione sullo scritto di Zagrebelsky, sono, appunto, altre. La diffusa e motivatissima insofferenza per il vero e proprio regime che è calato sul Paese per gli sforzi congiunti di Napolitano e Monti, è la ragione principale che spiega la popolarità dell’appello – anche se sia delle sorti dei magistrati palermitani, sia della trattativa Stato-mafia nessuno dei firmatari si era dimenticato. Ciò che si è voluto respingere con la valanga di firme è stato principalmente la progressiva instaurazione del regime, che del resto anche dalla vicenda delle intercettazioni palermitane ha ricevuto una intensificazione senza precedenti. Se qualcuno aveva ancora dei dubbi, dopo le esternazioni mediatiche degli ultimi giorni, anche e soprattutto da parte di padri della patria come Scalfari, questi dubbi non dovrebbero più esserci. Siamo di fronte non a una campagna di delegittimazione del Capo dello Stato, come vanno predicando ex esponenti della ex-ex-ex sinistra; ma a un generale sforzo di consolidamento del regime; temiamo, in vista di autunni e inverni caldi e caldissimi.

Le poche voci dissonanti, anzitutto quella di Antonio Di Pietro, accanto a quella di Grillo e all’altra - un po’ arrochita dal vecchio e nuovo berlusconismo - della Lega, sono ormai tacitate e demonizzate in tutti i modi, fino a dire esplicitamente che chi non sta con Napolitano o si permette di criticarlo non potrà appartenere al centrosinistra Bersanian-Casinista verso cui Quirinale e establishment ci stanno spingendo. Non solo c’è la luce in fondo al tunnel, ne siamo ormai fuori per merito di questo governo. Domandare conferma di tutto ciò agli esodati senza pensione, ai licenziati di tutte le fabbriche che hanno chiuso i battenti, ai tarantini presi in giro dalla compagnia di giro dei ministri inviati prontamente sul luogo da Monti. Quasi tutti i giorni la stampa “indipendente” ci informa che Monti ci è invidiato da tutti i paesi d’Europa e forse anche da Obama. Sarà anche vero che lo spread è un poco sceso, e che le borse hanno guadagnato qualche punto: già, le borse e le banche, pupilla degli occhi del premier. Ma per il resto, i costi della vita per le famiglie, ci sarà forse da aspettare un po’ di più, e così per avere un qualche recupero dell’occupazione. Ma intanto noi vediamo la luce in fondo al tunnel con gli occhi dei media; che del resto, insieme a Napolitano sono i creatori delle fortune politico-tecniche di Monti. Nessuno si è accorto che qualcosa sia migliorato in Italia negli ultimi mesi, anzi il contrario è sotto gli occhi di tutti. È anche questo clima di untuosa accettazione della menzogna ufficiale, quirinalizia o no che sia, ciò che (correggetemi se sbaglio) i firmatari dell’appello pro pm di Palermo vogliono combattere. Forse sarebbe ora di smettere di giocare tutti ai costituzionalisti dibattendo sulle prerogative del Presidente. Ne usasse finalmente una, decisiva: sciogliere le inutili Camere e mandarci finalmente a votare e restaurando quel poco di democrazia che ancora ci resta.

giovedì 5 aprile 2012

«Sono suicidi di Stato»

Vattimo e Bonomi sui gesti disperati di operai e imprenditori
Lettera43 29 marzo 2012
di Antonietta Demurtas

Come una Cassandra, il sociologo Aldo Bonomi lo va dicendo da mesi: «State attenti che i lavoratori, soprattutto i piccoli imprenditori che non riescono ad attraversare questa crisi, vedono rotta la simbiosi con l'impresa, che per loro è un progetto di vita». Una rottura davanti alla quale non resta più nulla se non «la paura, la vergogna del fallimento, la disperazione», dice a Lettera43.it.
SOS INASCOLTATO DEI LAVORATORI. Ma a quell'Sos nessuno sembra aver prestato troppa attenzione. E così davanti all'ennesimo gesto disperato di un operaio edile di origine marocchina che il 29 marzo si è dato fuoco davanti al municipio di Verona perché senza stipendio da mesi, l'ottimismo manifestato solo il giorno prima dal presidente della Repubblica grida vendetta.
IL GESTO DISPERATO DI BOLOGNA. Proprio mentre Giorgio Napolitano diceva: «Credo ci sia una straordinaria consapevolezza tra gli italiani, non vedo esasperazione cieca e ho molta fiducia sulla capacità di comprensione di un momento difficile», un artigiano bolognese si dava fuoco all'interno della sua macchina davanti alla sede dell'Agenzia delle Entrate. «Pago le tasse, ora non ce la faccio più...», ha scritto in una delle lettere d'addio.
«NAPOLITANO SI AFFACCI ALLA FINESTRA». Parole davanti alle quali il filosofo Gianni Vattimo si chiede: «Se non sono suicidi di Stato questi cosa sono?». E invita Napolitano «ad affacciarsi alla finestra del Quirinale per vedere se davvero non ci sono italiani esasperati».
«C'è una differenza tra esasperati e disperati», continua il filosofo torinese. «Forse Napolitano e Monti non considerano i disperati perché tanto quelli si tolgono di mezzo da soli, invece gli esasperati possono protestare e ribellarsi».

Vattimo: «Indignato dall'indifferenza di questa classe dirigente»

Gianni Vattimo.
(© La Presse) Gianni Vattimo.

Vattimo è esasperato, e questa volta non ci sta ad accettare che i problemi vengano sottovalutati. «Sono indignato dall'indifferenza di questa classe dirigente», spiega, «stanno facendo di tutto per stimolare ogni genere di rivolta».
Ma per ora le forze sembrano mancare. E così non resta che l'autolesionismo: «Queste persone hanno perso la fiducia, non vedono nessuno che possa portare la bandiera per loro, hanno perso tutto». E basta guardare le cause che hanno portato a gesti così estremi «per capire di chi sono le responsabilità».
«STRETTI TRA TASSE E STIPENDI RIDICOLI». «Tasse, stipendi ridicoli, stretta creditizia, tutto scaricato sulle spalle degli operai e dei piccoli imprenditori», denuncia Vattimo.
«Su cui si aggiungono le ganasce di Equitalia, l'impossibilità di pagare i propri dipendenti e l'imposizione fiscale», osserva Bonomi. «Per questo spero che questi problemi entrino nell'agenda della politica, delle istituzioni, dell'Agenzia delle Entrate. Ma ne dubito».
LO SPETTRO DEGLI ANNI 70. In fondo, ricorda il sociologo, «già negli Anni 70 avevamo conosciuto questo fenomeno dei suicidi tra i cassintegrati della Fiat che avevano perso il lavoro e con esso il loro luogo di appartenenza». Ma ovviamente anche allora «tutto fu nascosto come la polvere sotto il tappeto».
DAGLI OPERAI AI PICCOLI IMPRENDITORI. Da allora i cambiamenti sono stati pochi. Prima i protagonisti di questa strage silenziosa «erano soprattutto gli operai. Poi è emerso il capitalismo molecolare e il fenomeno ha iniziato a riguardare anche i piccoli imprenditori», spiega Bonomi.
«L'ASSENZA DELLA POLITICA». Una situazione talmente drammatica, «che mi stupisce che ne muoiono ancora così pochi. Forse gli altri moriranno di fame», dice Vattimo, «ma anche allora la politica farà finta di nulla, per paura di esasperare un clima già asfissiante. Per non riconoscere questi suicidi di Stato».
«Non dimentichiamo», ricorda Bonomi, «che spesso sono proprio le istituzioni a non pagare le fatture e a mettere in difficoltà i piccoli imprenditori e i loro dipendenti». Lo dimostrano i dati della Cgia di Mestre, secondo cui gli imprenditori italiani sono creditori dello Stato per oltre 70 miliardi di euro.

Bonomi: «Non collegare direttamente il Noi e i traumi dell'Io»

Un tema delicato che Bonomi rimanda a quel complesso intreccio «tra i fenomeni che riguardano il Noi e i traumi dell'Io». E su cui, avverte, è sempre «problematico fare un link automatico».  Non c'è però dubbio che «tra i drammi collettivi come la crisi economica e il dramma personale di chi sceglie di compiere un gesto estremo esiste un collegamento».
LE RESPONSABILITÀ DELLA STAMPA. E, secondo Vattimo, la responsabilità è anche di «quella stampa “indipendente” che ha pompato Mario Monti come il salvatore e invece ora anziché ricredersi continua a non collegare i fatti».
E i fatti raccontano di «piccoli imprenditori abbandonati dallo Stato che vedono come unica soluzione ai loro problemi il suicidio». Un gesto che «di certo non sta meditando di compiere Sergio Marchionne», aggiunge Vattimo.
LA MORIA DI AZIENDE. Perché ancora una volta i più deboli cadono sotto i colpi dei grandi. «In Piemonte», fa notare il filosofo, «vedo ogni giorno centinaia di piccole aziende che chiudono nel silenzio generale».
E così un pensiero assilla Vattimo: «Chissà quando inizieremo a contare anche i suicidi degli esodati. E chissà se anche allora chi sta al potere non sentirà sulle proprie spalle il peso di quelle morti».

venerdì 5 agosto 2011

Tav: lettera aperta di docenti e ricercatori a Napolitano


Ho firmato questa lettera aperta al Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. A oggi, il testo è sottoscritto da una novantina di docenti e ricercatori universitari.

TAV Val di Susa: docenti e ricercatori chiedono una discussione trasparente ed oggettiva sulle motivazioni della “grande opera”

Onorevole Presidente,

il problema della linea ferroviaria ad alta velocità/alta capacità Torino-Lyon rappresenta per noi, ricercatori e docenti, una questione di metodo sulla quale non è più possibile soprassedere.
Il pluridecennale processo decisionale che ha condotto a questa situazione è stato sempre afflitto da una scarsa considerazione del contesto tecnologico, ambientale ed economico tale da giustificare o meno la razionalità della scelta, data sempre per scontata dal mondo politico, imprenditoriale e dell’informazione, come assoluta fonte di giovamento per il Paese.
Tuttavia è ormai nota una consistente e variegata documentazione scientifica che contraddice alcuni assunti fondamentali a supporto dell’opera e ne sconsiglia nettamente la costruzione, anche alla luce di scenari economici e ambientali futuri del tutto differenti da quelli sui quali, vent’anni fa, si è basato il progetto.
Nel nostro Paese in molti casi, grandi opere sulla cui realizzazione ci si è caparbiamente ostinati anche allorché i dati oggettivi ne sconsigliavano la prosecuzione, si sono in seguito rivelate causa di danni, vittime e ingenti costi economici e ambientali che avrebbero potuto essere evitati.
Non vorremmo che, nonostante le attuali conoscenze propongano ancora una volta ragionati dubbi, la scelta intransigente di proseguire ad oltranza la costruzione dell’opera porti a doversi dolere in futuro di questa leggerezza ingiustificabile.
Pertanto chiediamo rispettosamente di rimettere in discussione in modo trasparente ed oggettivo le necessità dell’opera.
Qualora la nostra istanza non venisse accolta, e le perplessità in essere si rivelassero fondate in fase di realizzazione ed esercizio dell’opera, la presente resterà a futura memoria.

Qui di seguito un articolo sulla lettera:

L'Università a Napolitano: fermi l'inutile Torino-Lione
Libreidee.org, 29 luglio 2011

“Presidente Napolitano, la Tav Torino-Lione non serve a niente”. Firmato: l’università italiana. E’ un’autentica valanga, quella degli accademici di tutta la Penisola, a firmare l’appello destinato al Quirinale per invitare il Capo dello Stato a prendere nota: i più autorevoli studi dimostrano che la maxi-infrastruttura ferroviaria imposta alla valle di Susa con l’uso della forza, fino a creare problemi di ordine pubblico e senza mai fornire spiegazioni esaurienti ai sindaci e alla popolazione, è un’opera faraonica, devastante per il territorio, costosissima per l’Italia ma soprattutto inutile. Testualmente: non necessaria. Mentre i No-Tav fronteggiano il “fortino” della polizia a Chiomonte, docenti universitari di tutta Italia – di fronte al silenzio assordante della politica – ora si appellano a Napolitano.

«Onorevole Presidente, il problema della linea ferroviaria ad alta velocità / alta capacità Torino-Lyon rappresenta per noi, ricercatori e docenti, una questione di metodo sulla quale non è più possibile soprassedere», scrivono gli accademici nel loro appello al Capo dello Stato. «Il pluridecennale processo decisionale che ha condotto a questa situazione è stato sempre afflitto da una scarsa considerazione del contesto tecnologico, ambientale ed economico tale da giustificare o meno la razionalità della scelta, data sempre per scontata dal mondo politico, imprenditoriale e dell’informazione, come assoluta fonte di giovamento per il Paese. Tuttavia – aggiungono i firmatari, 136 adesioni raccolte in poche ore – è ormai nota una consistente e variegata documentazione scientifica che contraddice alcuni assunti fondamentali a supporto dell’opera e ne sconsiglia nettamente la costruzione, anche alla luce di scenari economici e ambientali futuri del tutto differenti da quelli sui quali, vent’anni fa, si è basato il progetto».

«Nel nostro Paese in molti casi, grandi opere sulla cui realizzazione ci si è caparbiamente ostinati anche allorché i dati oggettivi ne sconsigliavano la prosecuzione, si sono in seguito rivelate causa di danni, vittime e ingenti costi economici e ambientali che avrebbero potuto essere evitati», avvertono i professori. «Non vorremmo che, nonostante le attuali conoscenze propongano ancora una volta ragionati dubbi, la scelta intransigente di proseguire ad oltranza la costruzione dell’opera porti a doversi dolere in futuro di questa leggerezza ingiustificabile. Pertanto – concludono i docenti universitari – chiediamo rispettosamente di rimettere in discussione in modo trasparente ed oggettivo le necessità dell’opera».

L’appello – con adesioni on line ancora aperte – è stato finora sottoscritto da ingengeri e matematici, biologi, chimici, fisici, architetti, geologi, ma anche da informatici e metrologi, professori di materie umanistiche, filosofi, antropologi, nonché esperti di agraria, sicurezza ambientale e scienze della terra, specialisti del Cnr. L’appello ha coinvolto i più prestigiosi atenei italiani, da Bologna a Firenze, dal Politecnico di Milano alla Normale di Pisa, passando per la Sapienza di Roma, la veneziana Ca’ Foscari, l’università Federico II di Napoli. Si schierano contro la Torino-Lione docenti universitari di Aosta, Genova, Trento, Salerno, Urbino, Pavia, Padova. Addirittura un centinaio i torinesi, suddivisi tra università e Politecnico, in prima fila Massimo Zucchetti (protagonista di “lezioni” fuori sede, al “presidio No-Tav” di Chiomonte) e addirittura il prorettore torinese Sergio Roda.

L’offensiva politica dell’università italiana contro la Torino-Lione – che annovera personaggi come Nicola Tranfaglia, Marco Revelli, Gianni Vattimo, Salvatore Settis e l’insigne trasportista Marco Ponti del Politecnico di Milano – punta ad ottenere almeno l’interessamento attivo del Quirinale, che potrebbe quantomeno far valere la sua “moral suasion” per costringere la politica a fornire almeno spiegazioni: perché insistere a tutti i costi su una infrastruttura europea che i tecnici universitari considerano ormai obsloseta e completamente inutile? Finora i partiti hanno rifiutato di dare spiegazioni. Ci si augura che almeno Giorgio Napolitano non resti in silenzio, mentre i media tendono a liquidare la battaglia civile della valle di Susa come una mera questione di ordine pubblico. «Qualora la nostra istanza non venisse accolta, e le perplessità in essere si rivelassero fondate in fase di realizzazione ed esercizio dell’opera, la presente resterà a futura memoria», concludono docenti e ricercatori italiani (sul sito NoTav.eu l’elenco provvisorio dei firmatari).