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martedì 27 novembre 2012

Nuovo realismo o vecchio marketing?

Pubblico qui di seguito, a puro scopo informativo, la replica di Mario De Caro al mio articolo apparso su La Stampa il 22 novembre scorso, nonchè la mia successiva risposta.
GVattimo 


Caro Vattimo, si può filosofare anche sul semaforo


La Stampa, 23 novembre 2012
di Mario De Caro


«Bruto è uomo d’onore» declama ripetutamente il Marcantonio di Shakespeare, nel suo discorso al rumoreggiante popolo romano, attonito per l’uccisione di Cesare e ancora indeciso sul da farsi. Ma in realtà, si sa, con la sua grande prova di eloquenza Marcantonio sta demolendo tutto quanto Bruto ha detto. Le sue lodi sono solo una captatio benevolentiae per i suoi uditori.


Mi dispiace dunque rischiare di apparire un tardo emulatore di Marcantonio se dico che ho sempre ammirato Gianni Vattimo per la chiarezza e la profondità delle sue idee (il suo libro su Heidegger, per esempio, mi è sempre sembrato quanto di meglio mai scritto sul criptico autore di Essere e tempo). Data dunque la mia alta opinione che ho di lui, ho trovato francamente sorprendente l’intervento di Vattimo sulla Stampa di ieri, in cui menzionava la raccolta di saggi Bentornata realtà, che ho appena curato con Maurizio Ferraris per Einaudi.

lunedì 11 luglio 2011

Un libro per l'estate. Alberto Arbasino, "America amore"

Un libro per l'estate. L'Espresso, 14 luglio 2011

Ricordi
di Gianni Vattimo
La folla solitaria

Non esattamente un libro da spiaggia, l'ultimo di Alberto Arbasino uscito qualche mese fa da Adelphi, "America amore". Non però tanto pesante da non essere portato con sé insieme agli altri parafernalia estivi. E soprattutto di lettura godibilissima, né come un giallo che non riusciamo a interrompere finché finisce e poi si butta ; né come un saggio magari pieno di informazioni curiose, pascalianamente divertenti, ma inessenziali. "America amore" è un libro-epoca. Come altri testi arbasiniani, a cominciare da "Fratelli d'Italia" con i suoi rifacimenti e aggiornamenti; non è una storia, ma la nostra storia. Non solo di chi ha attraversato le stesse epoche, e l'età, dell'autore. Nel bene e nel male, le tematiche della cultura americana che Arbasino incontra negli anni Cinquanta del secolo scorso, quando arriva come studente a Harvard, e continua a frequentare in seguito, sono ancora gli archetipi di gran parte della cultura di oggi.

Proprio in quegli anni comincia a delinearsi la rivoluzione post-moderna della società statunitense, e Arbasino non è così esclusivamente concentrato su letteratura, cinema, teatro, arti da non fornire anche significative riflessioni su quella che un sociologo dell'epoca, David Riesman, chiamò la "folla solitaria" - così tremendamente simile alla folla che siamo noi oggi, come se là ci fosse una profezia che si è avverata. Può sembrare un'esagerazione provocatoria, ma leggendo il libro vengono in mente la "Recherche" di Proust (un modello non poi tanto segreto per tutta la prosa dell'autore) e la "Fenomenologia dello spirito" di Hegel. Soprassalto scandalizzato? Ma là come qui si tratta per l'appunto di noi, di quella storia che ci ha fatti quelli che siamo. Se progettate una lettura estiva di un qualche peso, ma certo molto più piacevole che l'opera di Hegel, e forse anche di Proust, questo è il libro per voi.

Le pagine su Boston e Cape Cod, sulla New York dei teatri off Broadway, sulla West Coast, sono esempi del miglior Arbasino narratore. Dilettevole, e più che utile: sostanziale; ci siamo dentro tutti, niente di meglio che riconoscersi con la guida sapiente e leggera di un (grande) scrittore.

Alberto Arbasino: "America amore" (Adelphi, pp. 867, euro 19)