venerdì 30 settembre 2011

Torino spiritualità: l'Europa, il tramonto di Spengler, la scienza


Vattimo, dialoghi sull’Apocalisse
Soltanto l’Europa si sente al tramonto
La Repubblica - Torino, 28 settembre 2011. Di Enzo Carnazza

Torino Spiritualità 2011, tema: il senso della Fine, del limite; il bisogno e la paura di un'Apocalisse intesa come rivelazione dei tempi ultimi. Ne parliamo con Gianni Vattimo, filosofo, docente universitario e parlamentare europeo.
Non è significativo che proprio in questo momento, caratterizzato da crisi finanziarie e sociali molto serie, si torni a parlare di Apocalisse, sia pure nei termini filologici di Rivelazione più che nel senso corrente di catastrofe attesa?
«Ci si chiede: ha senso parlare in questi termini oggi? E che cosa dobbiamo ricavare da questo modo di vedere il mondo? In realtà non mi stupisce affatto che si parli del nostro tempo in termini escatologici. Le epoche che avvertono il cambiamento si sentono sempre tutte all'ultima spiaggia. Non si sa dove si vive, non si in quale direzione ci si muove. Per questo ci si sente apocalittici. D'altra parte, non è una novità. Dal 1945 al 1955 il mondo ha vissuto sotto l'incubo della bomba atomica e la sensazione di una fine vicina non era affatto meno acuta. Negli Anni Novanta del secolo scorso accadde la stessa cosa. È una caratteristica della modernità. Quando i tempi cambiano velocemente, per le scoperte scientifiche per esempio, accade di sentirsi inadeguati».
Non solo paura, ma anche bisogno di cambiamento, allora.
«Certamente. E infatti tanto più constatiamo l'assenza di cambiamento, tanto più vengono esasperati i termini escatologici di cui parlavamo. Perché la verità è che non cambia mai niente. Guardi, quando mi assento dall'Europa magari per una settimana senza la possibilità di leggere i giornali, torno e trovo tutto esattamente come prima. Il tempo sembra scorrere rapido, ma in realtà il cambiamento non c'è».
La svolta che non c'è ne rende urgente il bisogno?
«Da cultore di Heidegger, sostengo che l'Essere ti cambia. Ma non c'è nessun Evento in grado di cambiare la nostra vita».
Non c'è qualche cosa di specifico nel senso di smarrimento dei giorni nostri, soprattutto se confrontato con le paure della metà del secolo scorso?
«La diversità fondamentale è che queste paure sono limitate all'Occidente, direi all'Europa. Il senso di smarrimento di cui parliamo non c'è in Cina, non c'è in India. Meno che mai lo riscontriamo in America Latina, dove al contrario c'è una grande fiducia nel futuro. E tuttavia l'epoca attuale richiama per certi versi gli anni Venti del secolo scorso. Crisi della finanza, globalizzazione, incertezza diffusa, segnali di xenofobia. Le ultime scoperte, sia pure da confermare, sulla velocità dei neutrini mettono il crisi la fisica di Einstein non meno di quanto Einstein stesso mise in crisi il sapere scientifico dell'epoca precedente».
L'uomo dunque non spera più di migliorare?
Oswald Spengler
«Se ci limitiamo all'Europa, è vero quel che lei dice. Il nostro sembra essere un mondo dal quale non ci si possono aspettare miglioramenti. Oswald Spengler scrisse nel 1918 Il Tramonto dell'Occidente: c'è qualche cosa di simile a noi nell'uomo descritto da Spengler. Un uomo che non spera di migliorare, ma che punta a conservare semplicemente quel che ha. Un mondo al tramonto. Ma, ripeto ancora, questo può essere vero soltanto per questo mondo, per questa Europa. Il resto del pianeta è un'altra cosa. Anche perché gli eventi non davano ragione a Spengler. Lei parlava di Einstein. Non so se sia un caso che la teoria della relatività generale nasca a Zurigo negli stessi anni in cui proprio a Zurigo emergono le avanguardie artistiche. Erano espressioni di un mondo che stava cambiando».
Non le sembra eccessivo il ruolo attribuito alla scienza e alla tecnica, ormai tentate di dire la loro anche in discipline riservate fino a ieri a filosofi e teologi?
«Guardi, il ruolo della scienza è favorito dal prestigio sociale degli scienziati. Le tecniche e la finanza muovono risorse economiche che premiano il loro lavoro a scapito delle altre discipline. Basta vedere che cosa accade nelle nostre Università: le Facoltà umanistiche non hanno un centesimo, ormai. Lo scienziato oggi è un divo, ma solo per il prestigio sociale di cui gode, per gli interessi economici e finanziari collegati alle sue attività. Non per la capacità della scienza di offrire risposte all'uomo del nostro tempo».

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