Vattimo: "Capisco il vescovo, non ci pentiamo mai"
La Repubblica — 06 settembre 2009, pagina 2, sezione: TORINO
di Vera Schiavazzi
Una città "pesante", dove non è facile mostrarsi all'altezza della propria tradizione né confrontarsi con quella altrui. Dal Risorgimento ai Santi sociali, da Gramsci a Gobetti fino alle lotte sindacali e alla sinistra cattolica degli anni Sessanta e Settanta, tutto autorizzava il cardinal Severino Poletto a preoccuparsi, come ha confidato ieri ripercorrendo il momento della sua nomina, dieci anni fa. «Provare "timore e tremore" forse può parere eccessivo - commenta Gianni Vattimo, filosofo, un credente le posizioni del quale sono spesso in forte contrasto con quelle delle gerarchie cattoliche, e un torinese doc - ma dal punto di vista di un vescovo posso capirlo. La città di don Bosco e del beato Cafasso, di Gramsci e di Gobetti può mettere a dura prova: dalla tua parte ci sono esempi altissimi, dall'altra interlocutori di altrettanta statura. È vero anche il contrario: qui esiste una grande serietà morale, qualcosa che, anche negli anni Ottanta, rendeva Torino diversissima dalla rutilante "Milano da bere" del pre-Tangentopoli, e questo non può che far piacere a un vescovo». Ma la verità è che la Torino laica, con la quale pure il cardinal Severino Poletto ha cercato e talora trovato il dialogo – come sembrano testimoniare i ricordi dedicati all'incontro con Norberto Bobbio – ha un "nocciolo duro" difficile da convertire: «Non ci pentiamo facilmente, siamo sufficientemente radicati nelle nostre convinzioni per spaventarci o lasciarci addomesticare. Insomma, non siamo di quelli che alla prima difficoltà chiamano il prete – suggerisce Vattimo, che pure non si sottrae al dialogo quando è invitato in una parrocchia –. E non è tutto: questa è, o meglio era, anche la città della potenza economica, di un grande potere industriale col quale non era facile confrontarsi. Quando Poletto arrivò, gli anni dell'abbraccio tra Fiat e chiesa locale erano finiti da tempo, e anche movimenti come quello dove militavo da ragazzo, l'Azione Cattolica, avevano dato il loro bel contributo a un atteggiamento più critico sui temi sociali». Atterraggio duro, dunque, per il vescovo arrivato da Asti, in una città che – oltre a tutto il resto – non è proprio nota per l' allegria e la cordialità dei suoi abitanti. Ma Poletto deve averci fatto l'abitudine, se è vero come è vero che, dieci anni dopo, il dialogo con lui è considerato un passaggio-chiave, nel bene e nel male, per i politici di una delle ultime roccaforti del centrosinistra. E che, benché certe sintonie non siano più automatiche come un tempo, anche nelle fabbriche il cardinale è ormai di casa, che si tratti di ascoltare i cassintegrati che protestano o di benedire un nuovo stabilimento.
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