Edoardo Camurri recensisce «Della realtà. Fini della filosofia», edito da Garzanti (pp. 220, euro 18), in uscita
il 23 febbraio 2012.
E Vattimo sbeffeggiò l'Essere: "è come un mobile con le tarme"
Il pensatore critica le posizioni del "nuovo realismo"
Corriere della sera, 17 febbraio 2012. Di Edoardo Camurri
«Non ci sono fatti, solo interpretazioni. Anche questa è
un'interpretazione» tuonava più di un secolo fa quella bestia bionda di
Friedrich Nietzsche, e oggi Vattimo continua a ripeterlo con una certa
acribia anche se (a eccezione forse di qualche bramino) in molti si
ostinano (loro malgrado) a sperimentare quanto la realtà sia dura a
morire. Se si legge il suo ultimo libro, Della realtà. Fini della filosofia
(Garzanti), la volontà di Vattimo di dissolvere la realtà è così
radicale che finisce con il dissolvere perfino la realtà di un suo ex
allievo, e ora durissimo rivale, come Maurizio Ferraris sostenitore del
cosiddetto «nuovo realismo». Insomma, Vattimo non lo cita mai, per
quanto sia evidente che uno dei principali obiettivi polemici del libro
sia proprio l'esistenza di Maurizio Ferraris in quanto tale. Si potrebbe
obiettare: ma questa forma di gossip teoretico cosa c'entra con un
testo e con la sua analisi critica? In teoria nulla, se non fosse che è
lo stesso Vattimo a giustificare una lettura sospettosa delle diatribe
filosofiche: «Persino il richiamo all'oggettività delle cose come sono
in sé stesse pesa solo in quanto è una tesi di qualcuno contro qualcun
altro, e cioè in quanto è una interpretazione motivata da progetti,
insofferenze, interessi anche nel senso migliore della parola» (p. 95).
Chi, come chi scrive, ha frequentato a lungo le lezioni di Vattimo,
si divertiva molto a sentire il maestro riassumere la sua posizione con
l'affermazione: «L'Essere è camolato», un modo piemontese per dire che
l'Essere ha le tarme. Con Heidegger, Vattimo sostiene: la conoscenza non
è adeguazione di un soggetto all'oggetto, l'Essere della filosofia non
va pensato come un ente o come un dio presente che sta dinanzi a noi (o
più spesso sopra di noi in posizione di dominio).
L'Essere è un progetto dentro il quale l'uomo è da sempre gettato.
Esempio: se scrivessimo che esistono gli ippogrifi, ci prendereste per
scemi non perché avete esplorato in lungo e in largo e nel tempo e nello
spazio l'universo al punto da escludere radicalmente l'esistenza di
questi animali metà cavalli e metà grifoni, ma perché viviamo in un
mondo nel quale si sa già, in partenza, e sulla base di qualche
confortevole pregiudizio, che gli ippogrifi non esistono. Quando si
nasce si ereditano un linguaggio, delle credenze e dei significati che
consentono all'uomo di articolare un discorso all'interno del quale (e
questo è un interessante paradosso su cui Vattimo spesso si concentra
nel suo libro) ci si può perfino illudere di essere realisti. Scrive
Vattimo in Della realtà. Fini della filosofia (p. 46): «In quanto esistenti, dunque, noi siamo sempre bestimmt,
intonati, orientati secondo preferenze e repulsioni, mai
semplicemente-presenti ( vorhanden ) in mezzo agli oggetti (...). Questa
è l'idea di esistenza come "progetto"».
Non stupirebbe, a questo punto del discorso, intravedere però qualche manina alzata pronta a obiettare:
quello che sostiene Vattimo è un fatto, non un'interpretazione; si sta
contraddicendo, anche lui finisce col descrivere obiettivamente la
struttura dell'Essere. Ed è questa osservazione, una variante
dell'obiezione antica contro lo scetticismo (affermare l'impossibilità
della verità è una verità), a rendere conturbante Della realtà. Fini della filosofia.
Perché Vattimo risponde innanzitutto rivendicando, con Nietzsche, il
carattere interpretativo della sua posizione per poi chiedersi un po'
stupito (p. 85): «L'argomento logico contro lo scetticismo ha mai
convinto qualcuno ad abbandonare le sue "convinzioni" scettiche?». Non
siamo all'anything goes, all'idea che tutto vada bene, ma
all'insistenza che un «banale errore logico» non possa liquidare
l'approdo nichilista a cui è giunta la storia della filosofia, il
destino dentro il quale l'uomo è gettato e dove tenta di progettare la
realtà che più desidera. Nulla di nuovo. Ma forse qualcosa di noioso e
di inquietante. Noioso perché, come scriveva il grande poeta polacco
Czeslaw Milosz, il nichilismo è ormai diventato una prerogativa della
cultura di massa, nonché il segno di riconoscimento delle menti
ordinarie; e inquietante perché grazie a idee come queste, e stranamente
in nome di un'istanza di libertà comune alle avanguardie dei primi del
Novecento, Heidegger divenne nazista e Vattimo, che lo difende dicendo
che si autofraintese, oggi invita a boicottare Israele, abbraccia Fidel
Castro («Gli ho preso il viso tra le mani - raccontò - con qualche
lacrima agli occhi»), sostiene che con l'11 settembre: «Gli americani
hanno fatto esperimenti sul proprio popolo»; eccetera.
Se si rigetta la possibilità di una teoria vera e propria, il
rischio è concepire il pensiero come sostanzialmente asservito e
dipendente dalla vita o dalla storia e, senza voler fare una reductio ad Hitlerum
(una teoria non è confutata dal fatto che le è capitato di essere
condivisa da Hitler), sembra che la posizione di Vattimo, ragionevole in
teoria (l'Essere è camolato), in pratica corra il rischio di
dimenticarsi dell'Essere per assolutizzare le camole e i rosicchiatori
della realtà. Non è una situazione tanto allegra anche perché
l'alternativa (classica e platonica) per sfuggire a questo pericolo non è
più allettante: non divulghiamo nel dettaglio come stanno le cose, il
nichilismo, eccetera, perché questa visione è incompatibile con la vita e
al suo posto edifichiamo miti e nobili menzogne dentro i quali
costruire un mondo decente ma falso. Entrambe le posizioni sono insieme
conservatrici e rivoluzionarie. Scrive ancora Vattimo in Della realtà. Fini della filosofia
(p. 109): «Proporre un diverso ordine storico-sociale, anche a partire
dall'insoddisfazione per alcuni aspetti del paradigma vigente, è
possibile non certo con argomenti "cogenti" di tipo ostensivo - "ti
mostro che" - ma solo con discorsi edificanti - "non ti pare che sarebbe
meglio se"».
Tutto finisce quindi col dipendere da una decisione. E la
decisione può essere più o meno efficace a seconda di quanto siamo
spregiudicati o di quanto siamo capaci di porci in ascolto dell'essere e
dei progetti che l'essere ha in serbo per noi. Liberati dalla realtà,
finiamo così con il diventare vittime della propaganda.
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