L'intento non riuscito di dimostrare che tutta la sua filosofia non è che la trascrizione del nazismo
Coloro che, come chi scrive, furono scossi e inquietati dal libro di
Victor Farias su Heidegger e il nazismo (uscito nel 1987), troveranno in
questo, ben più ampio testo di Emmanuel Faye, pubblicato in Francia
ormai sette anni fa e ora messo a disposizione dei lettori italiani
dall'accurata traduzione di Francesca Arra [a cura di Livia Profeti],
molto più numerose ragioni di inquietarsi e interrogarsi. Anche perché
Faye utilizza molto materiale documentario che non era ancora
accessibile a Farias, specialmente i corsi di lezioni e le conferenze
degli anni 1933-44 nel frattempo usciti nell'edizione delle opere
complete, e lo integra con una quantità (spesso eccessiva e non esente
da qualche rischio di confusione) di riferimenti testuali a opere di
altri pensatori dell'epoca (Rothacker, Clauss, Schmitt). Ma soprattutto,
la differenza del libro di Faye anche rispetto alle intenzioni di
Farias è l'intento, esplicitamente enunciato fin dal titolo del libro,
di mostrare che tutta la filosofia di Heidegger non è altro che una
trascrizione del nazismo e della sua ideologia razzista e dis-umanista
(se possiamo dire così).
E' rispetto a questo intento che, al di là di ogni curiosità storica e di ogni interesse per un periodo così drammatico della storia della cultura europea, si deve valutare la riuscita del lavoro di Faye. Se diciamo che questo risultato per noi non è stato raggiunto dovremo sentirci colpevoli di neonazismo? E con noi la tanta filosofia della seconda metà del secolo ventesimo che ha letto e commentato Heidegger e ne ha fatto un punto di riferimento imprescindibile, un vero e proprio classico del pensiero della nostra epoca?
Insomma, per Faye, soprattutto dopo il suo libro - ma
supponiamo anche prima di esso, data la sostanziale vicinanza che egli
vede nello Heidegger giovane alla mentalità e allo spirito dello
hitlerismo - non si può professarsi heideggeriani senza essere almeno
sospetti di nazismo. I concetti-chiave di Essere e tempo (l'opera
fondamentale di Heidegger del 1927) sarebbero già infetti dall'ideologia
del Führer, esposta in Mein Kampf (1925-26). Ma che dire dei corsi
friburghesi di Heidegger degli anni precedenti, anzitutto quello di
Introduzione alla fenomenologia della religione (1919-20) in cui sono
delineati, in chiaro riferimento alla tradizione cristiana, i temi
fondamentali dell'opera maggiore e anche dei successivi sviluppi della
critica alla metafisica?
Tutto il discorso di Faye ruota intorno al
tema del razzismo, non solo della distruzione del popolo ebraico ma
anche della eliminazione nazista dei popoli considerati inferiori.
Diciamo che la filosofia di Heidegger, in quanto ispirata al nazismo, è
qui oggetto di una sorta di processo di Norimberga, in cui la si giudica
in nome della stessa umanità riconoscendola, o cercando di mostrarla,
come disumana e dunque impraticabile da chiunque voglia restare fedele
alla propria natura. Se avvertiamo in questa impostazione un certo
spirito affine a quello della «lotta al terrorismo internazionale» che è
diventato il pensiero comune dell'Occidente dall'11 settembre in poi
peccheremo di eccessivo politicismo?
Il punto è che l'hitlerismo di Heidegger - innegabile dopo il 1933 e mai fatto oggetto da lui di un vero e proprio ripudio, di un atto di pubblico pentimento - non dà luogo a una filosofia razzista, tanto che i molti interpreti che hanno letto e utilizzato Heidegger anche «da sinistra», non lo hanno mai rilevato. Quel che Faye mette senz'altro sul conto del razzismo è l'antiumanismo di Heidegger, che ha ben altro spessore teorico, giacché si identifica con la sua critica - discutibile ma non certo da rigettare come «inumana» - della civiltà occidentale che ha dato luogo, fino al momento attuale, a un mondo dove progresso tecnologico, sfruttamento , dominio di classe, progressivo esaurimento delle risorse del pianeta appaiono indistricabilmente connessi.
Il punto è che l'hitlerismo di Heidegger - innegabile dopo il 1933 e mai fatto oggetto da lui di un vero e proprio ripudio, di un atto di pubblico pentimento - non dà luogo a una filosofia razzista, tanto che i molti interpreti che hanno letto e utilizzato Heidegger anche «da sinistra», non lo hanno mai rilevato. Quel che Faye mette senz'altro sul conto del razzismo è l'antiumanismo di Heidegger, che ha ben altro spessore teorico, giacché si identifica con la sua critica - discutibile ma non certo da rigettare come «inumana» - della civiltà occidentale che ha dato luogo, fino al momento attuale, a un mondo dove progresso tecnologico, sfruttamento , dominio di classe, progressivo esaurimento delle risorse del pianeta appaiono indistricabilmente connessi.
L'illusione di Heidegger nel 1933 è
stata che la Germania (quella di Hölderlin, del Nietzsche «tragico», e
da ultimo quella di Hitler) potesse rappresentare una alternativa valida
(umanamente) sia all'industrialismo americano sia al totalitarismo
sovietico. Si ricordi che negli stessi anni altri filosofi di tutto
rispetto facevano scelte altrettanto radicali di segno opposto: Gentile
fascista in Italia, Lukács e Bloch a favore della Russia di Stalin. Ma
Heidegger in più era razzista, direbbe Faye. Le evidenze testuali che
porta per dimostrare questa tesi sono per lo più indirette, come le
analogie, su cui insiste tanto, fra l'analitica esistenziale di Essere e
tempo e le idee di Hitler.
E quanto all'atteggiamento di Heidegger nel dopoguerra, quando ci si sarebbe aspettati da lui una pubblica «conversione» ai valori «umani» dell'Occidente vincitore - ai quali Faye si ispira senza alcuna incertezza critica - non crediamo che sia riconducibile, come lui pensa, alla volontà di nascondere le vergogne del suo nazismo passato, per il quale del resto subì un processo di epurazione che gli costò il divieto di insegnare.
E quanto all'atteggiamento di Heidegger nel dopoguerra, quando ci si sarebbe aspettati da lui una pubblica «conversione» ai valori «umani» dell'Occidente vincitore - ai quali Faye si ispira senza alcuna incertezza critica - non crediamo che sia riconducibile, come lui pensa, alla volontà di nascondere le vergogne del suo nazismo passato, per il quale del resto subì un processo di epurazione che gli costò il divieto di insegnare.
E' più
ragionevole ritenere che Heidegger non pensò mai di potersi mettere dal
punto di vista della verità assoluta: né quando scelse Hitler, né dopo,
come avrebbe dovuto fare un filosofo disciplinatamente «democratico» e
atlantico. Per lui il pensiero doveva rispondere a una chiamata non
eterna come la metafisica, ma «storica», che, almeno dopo Essere e
tempo, non gli parve più separabile da un impegno concretamente
politico. Che egli credette di dover assumere appoggiando Hitler. Un
errore che non pensò mai di poter condannare in nome della verità
assoluta, ma che lo tenne lontano dalla politica per tutto il resto
della sua carriera. E che forse gli ispirò l'amara considerazione: Wer
gross denkt, muss gross irren: chi pensa in grande, deve per forza anche
errare in grande.
Gianni Vattimo
Autore: Emmanuel Faye
Titolo: Heidegger, l'introduzione del nazismo nella filosofia
Edizioni: L’Asino d’Oro
Pagine: 499
Prezzo: 30 euro
(fonte: Tuttolibri, in edicola sabato 2 giugno)
14 commenti:
Professor Vattimo, il mio nome è Ricardo Evandro. Parlo dal Brasile e voglio dirvi che mi è piaciuto molto il tuo blog e questa pubblicazione. Questo è un argomento controverso e ancora mi provoca dolore (non so se dovrebbe). Beh, ho l'impressione che il rapporto con il nazismo di Heidegger è stato il risultato di una "politica igenuidade." Credo che Nietzsche potrebbe essere meno ingenui sul antisemitismo del suo tempo. PS: Tra l'altro, sto leggendo i suoi scritti su Nietzsche (1961-2000) e sono molto soddisfatto e incuriosito con le loro interpretazioni e critiche di interpretazioni heideggeriani. Complimenti per il blog! PPS: Ci dispiace per il mio italiano.
Si può ritenere che di Heidegger nessun hitlerismo sia mai esistito. Heiddegger sperava a tratti in un heideggerismo del Fuhrer, a volte si convinse illusoriamente di poter usare Hitler inibendogli le ambizioni razziste e facendolo avversario del capitalismo e del comunismo, colpevoli il primo di appartare senza riguardo, il secondo di relegare senza rispetto. In certe fasi politiche Heidegger non scorgeva un minimo di giustizia da nessuna parte, neppure in Germania, però affermava il proprio diritto ad agire in nome del suo paese e per il suo paese; e questo non era nazismo. Heidegger tuttavia si colluse col nazismo per proprio errore ma restò soltanto un colluso e dunque mai fu nazista. Di questo suo agire ne pagò le conseguenze già durante la dittatura nazista, quando le guardie gli distrussero restante e meritata reputazione e poi lo esposero a tormenti, quindi ne pagò dopo la caduta del regime quando fu trattato da criminale di guerra senza che si considerassero o potessero considerare le dovute distinzioni, infine ricevendo delle sanzioni da parte del governo della Germania Ovest durante la Guerra Fredda, in tal caso finalmente senza ricever torti anche se le pressioni comuniste dall'Est purtroppo rallentarono la reintegrazione del professor Heidegger, che pure avvenne (si badi). Lo Stato dell'Ovest imputò ad Heidegger appunto una collusione col regime nazista dato che il suo tentativo di dirigerlo occultamente ed all'insaputa degli stessi suoi appartenenti fu giudicato troppo incauto per essere accettabile anche se era per fini leciti e del tutto estranei a quelli del nazismo. Heidegger non seppe da sùbito comprendere il giudizio (già compiuto e manifestato) della Repubblica Democratica Tedesca e non diede pronte scuse e spiegazioni, cosa che però accadde poi, quando d'altronde lui non voleva più essere professore ordinario. Infatti accadde che fosse accettato quale professore aggiunto.
Tutto ciò in fondo sarebbe semplice da capire ma in alcuni intellettuali prevale voglia di relegarsi nell'ambito di mitologemi per giunta anche inautentici. Così tali intellettuali e pessimi vacanzieri del pensiero giungono ad affermazioni del tutto ridicole e vili ed assurde anche su concetti di filosofia e relative espressioni.
Nota Bene:
Io sono italiano e non ho dovere scrivendo in italiano di obbligarmi ad usare le dieresi per riportare le dizioni straniere. Gli ignorantoni lascino in pace gli ingenui.
MAURO PASTORE
Heidegger aveva preso cattedra per deliberato beneplacito di Edmund Husserl. Costui aveva individuato per necessaria parte, diretta o indiretta, in atto o potenza, espicita o implicita, di ciascuna reale o solo possibile scienza, la parte fenomenologica, estrapolandola anche in unione a una fenomenologia esclusivamente filosofica di parte non scientifica. Husserl, sia perché adottava rifiuto non assolutamente ma categoricamente delle ambizioni enciclopediche od enciclopediste, sia perché si riteneva soddisfatto dei collegamenti, nessi, rapporti prodotti dalla ricerca fenomenologica svolta, ritenne per parte sua ottima cosa fuoriuscire dal còmpito universitario ed entrare in quello accademico, trovando nella teoria ontologica di Heidegger l'alternativo necessario sviluppo universitario che avrebbe colmato il vuoto della propria assenza. Tale teoria si avvaleva anche di una analisi fenomenologica della ontologia, cui poi veniva aggiunto studio ontologico della fenomenologia, da preferirsi soltanto quest'ultimo quale nuova base di sintesi e comunicazione dei saperi, in luogo della disciplina della fenomenologia, già divenuta inattuale per districarsi con scopi universali tra i saperi moderni e contemporanei. Questi scopi universali erano strettamente necessari per la sopravvivenza degli studi universitari. Heidegger svolgeva i propri còmpiti di professore egregiamente ma in varie occasioni quale membro dell'università non fu parimenti abile non riuscendo a mantenere tutti i rapporti necessari tra università ed istituzioni accademiche. D'altronde proprio così Husserl potè continuare per parte sua ad agire con successo, non essendo il polemico Martin Heidegger il suo ufficiale interlocutore universitario. Anche per questo motivo la Germania potette essere il luogo dove maggiormente fu conosciuta e diffusa la nuova psicologia dell'inconscio inaugurata da C. G. Jung e dove il metodo psicoanalitico era vastamente comprensibile o compreso per tanta parte della cultura. Infatti gli accademici tedeschi erano in grado di valutare, attraverso la fenomenologia delle scienze proposta ed attuata da Husserl ed i suoi collaboratori, le nuove scienze con sufficiente indipendenza intellettuale e prohtezza sociale. Heidegger sottovalutava il potere accademico e spesso polemizzava vanamente coi suoi membri, generando involontariamente grande confusione negli ambienti universitari. Ciononostante le università tedesche, in sospensione tra polemiche antiaccademiche senza reale potere ed atti accademici senza compimenti universitari e quibdi in questa paralisi sorprese dalla ignorantissima rabbia delle schiere naziste, nelle medesime condizioni si ritrovavano dopo il regime, riuscendo però stavolta, non solo nominalmente nella zona Ovest del Paese, a sbloccare gli atti per mezzo delle nuove specificazioni giudiziarie culturalmente operative nelle e per le istituzioni universitarie, cosa che sarebbe accaduta anche nell'Est circa un cinquantennio più tardi durante la caduta del Muro (Heidegger già defunto).
MAURO PASTORE
Ne "Il concetto di tempo" Heidegger illustra gnoseologicamente i vari aspetti fondamentali del pensare il tempo, distinguendo tra il pensare intuendo ed il pensare percependo, rivelando la necessità di considerare l'ordine delle cose attraverso l'indeterminazione priva di ordine ma capace di decisionalità. (Inversamehte Husserl invitava ad assumere consapevolezza interiore delle scadenze soggettive del tempo tramite le coincidenze oggettive degli eventi esterni). Heidegger aveva lo scopo di avviare un nuovo naturalismo, in ciò personalmente allineato sulle posizioni politiche dell'ecologismo della destra politica, opposte a quelle socialiste della sinistra politica, nonostante egli restasse filosoficamente neutrale; di chiarirlo negli ambienti universitari più confusi non sentì necessità.
Il celebratissimo libro "Essere e tempo" è una gigantesca meditazione senza èsito determinato sui rapporti tra affermazioni di esistenza e constatazioni del divenire dell'esistere. A questa opera seguì poi il testo assai meno noto di "Tempo ed essere", di una conferenza che mostrava quale unico èsito determinabile di "Essere e tempo" la inversione dei rapporti tra i due termini essenziali dell'affermare il vero e del constatare il reale, dovendosi subordinare la ricerca della verità alla scopertà della realtà. Heidegger non ritenne di dover invertire la sequenza dei due lavori per riproporli.
Il testo "Cosa è metafisica?" è una chiarificazione della natura relativa ma non provvisoria del pensiero metafisico in quanto moto intellettuale soggettivo, differentemente dalla provvisorietà della attività oggettiva definita metafisica. Quale moto intellettuale la metafisica è una esigenza perenne dell'intelletto, i cui risultati definitivi non sono però definitori, restandone il linguaggio privo di senso al moto successivo e successivamente ancora dal valore designificante e quindi mai significativo anche quando con un significato ulteriore. Nonostante si venga a chiarire così anche l'intuizione metafisica, Heidegger non unisce i propri risultati a quelli altrui (principalmente ad opera di Jaspers) già raggiunti intorno a quest'ultimo particolare argomento.
Ne "Il principio ragione" Heidegger tratta della forma di deliberazione ed arbitrarietà del ragionare, sottoposto al rischio di non esistere a causa della stessa libertà e prossimo alla minaccia di annullamento per via del suo stesso arbitrio. La ragione in quanto tale è gioco della mente e nella coscienza è riflessione; da qui libertà del vero ragionare ed assenza per esso di scelte vincolanti. Il privilegio del puro pensare, in forza di tanta assenza di prospettive limitanti, non offre né assicura né dà certezze di sorta, essendo ontologicamente indefinito ma definito onticamente non da vincoli ma dall'esserne senza, determinato onticamente ma non ontologicamente. Tutto ciò esistentivamente e nella mente esistenzialmente non cambia ma può mutare senza cambiamento. Eppure tanto azzardo è l'impulso alla saggezza bensì non della saggezza, mancando alla ragione quale principio il principio razionale, quest'ultimo scaturente dalla volontà di conoscenza della vita e per la vita, altrimenti se appartenenza o direzione vitali sono disgiunte il gioco caratteristico dell'intelletto diventa mortale. La trattazione di Heidegger può esser considerata una versione ontologica del saggio di Schopenhauer "Sulla quadruplice radice del principio di ragion sufficiente" ed Heidegger non volle però riferirvela direttamente e circostanziatamente.
In "Introduzione alla filosofia. Pensare e poetare" Heidegger riconducendo il discorso razionale alle relative premesse irrazionali propone un avviamento intellettuale alla filosofia dalla semplice poesia, senza conformarlo ai ristretti àmbiti di cui parte, essendogli compresenti gli antichi poemi sulla natura dei primi filosofi greci.
MAURO PASTORE
Nella "Lettera sull'Umanismo" Heidegger denuncia opportunamente la crisi culturale causata dall'antropocentrismo di matrice esistenzialistica non esistenziale esplicitando il senso della propria filosofia dell'esistenza votata all'apertura verso la vita in tutte le sue forme ed in ciò soltanto essenzialmente esistenziale. Non è compreso nella denuncia il riferimento all'altra esistenzialità, ovvero l'irrazionalismo filosofico avviato da Soren Kierkegaard che già conteneva una risposta per quella crisi, da Kierkegaard stesso indicata nella coincidenza di intenti ed iniziative tra sacro e profano, tra ispirazione superiore ed esigenze immediate, tra fede col senso irrinunciabile e preponderante di fiducia nel rimedio evidente per tale ma inspiegabile in origine e tra ragione unita alla consapevolezza dei limiti stessi del potere della razionalità.
Evidentemente Sartre non potè che considerare il monito di Heidegger un incompiuto, tanto che il còmpito di risolvere le volontarie aporie dell'Autore di "Essere e nulla" furono affidate dall'Autore stesso ad altri e consegnate ai posteri; se ne ritrova inizio di risoluzione nell'opera di Marcel e non in quella di Heidegger, il quale d'altronde era a parte di queste altrui iniziative.
Per ciò che accadeva politicamente le sue pubblicazioni universitarie erano insufficienti ed inopportune nei tempi, ma avevano anche altro valore. Dato ciò che stava per accadere e poi sarebbe accaduto, era legittimo attendersi che il ruolo universitario fosse completamente al servizio della libertà politica e di un libero futuro; e in ciò Heidegger mancò, non per difetto ma per sbaglio, poi furono altri a non mancare. Questo il suo grande limite di cattedratico ma non altro.
Per il resto, considerando la realtà particolare cui lui più teneva, realizzò filosoficamente tutto ciò che aveva progettato di fare, con le università e con la cultura dei suoi luoghi e con la propria appartenenza etnica. In ciò il suo fine era uno: dare un modo di conciliare il potere contemporaneo della tecnica con la necessità ecologica presente e la sua filosofia lo attesta.
MAURO PASTORE
Nel mio messaggio di oggi delle 15:28 ci sono tre parole scritte male: verso l'inizio un "espicita" che sta per: esplicita; verso la fine un "prohtezza" che sta per: prontezza, ed un "quibdi" che sta per: quindi.
MAURO PASTORE
Nel testo del mio messaggio di oggi delle 16:01 quel "di cui parte" non è un errore di scrittura. Sta proprio: di cui parte.
MAURO PASTORE
Pur avvertendone le insufficienze, Heidegger adottava nei propri lavori universitari una prospettiva storica derivata dai lavori scritti di Marx e da il marxismo, perché questa soltanto gli provvedevano i colleghi e perché lui non aveva modo di provvederne l'università di una sua propria, che c'era ma era legata a tradizioni teutoniche che la cultura ufficiale del suo tempo non avrebbe potuto tradurre in termini univoci e comprensibili senza iniziazioni, incompatibili con le sole partecipazioni universitarie. Inoltre il suo rapporto con la storia dell'Ellade non era senza distanza e meraviglia e ciò non gli consentiva di iniziare inusitati riferimenti storici con l'antica Grecia per opporre alternative al nuovo "diktat" che i comunisti-marxisti tedeschi cercavano di imporre alla intera Germania ed a vasta parte dell'Europa dopo l'esclusione praticata nella stessa Germania ai danni del loro Partito ai tempi di R. Wagner. Per questo motivo Heidegger si trovava ad usare gli stessi parametri storici dei marxisti e dei marxiani, che li avevano approntati senza riguardo fondandoli su coincidenze verbali e temporali di solo apparente rigore. Heidegger ne dubitava ma non si avvedeva che il sistema politico marxista adottava anche le prospettive dei dubitosi per aggiornare i dati e ricomporre gli stessi parametri secondo un vero e proprio credo ideologico di cui non si rendevano noti esternamente gli atti per la cultura e la filosofia. Per questo motivo restava allineato su concezioni storiche hegeliane e posthegeliane, pur avendone accolto l'autoridimensionamento operatovi dallo stesso Hegel. Ciò non gli impediva di realizzare il minimo necessario che si era posto per obiettivo, dato che la estrema originalità del suo ragionamento e la differente ed opposta considerazione politica adottata, secondo cui si doveva favorire culturalmente il risveglio etnico invece che adottare provvedimenti sociali generali e generalizzanti o generalizzati, gli procuravano sufficiente potere. Nondimeno quei parametri erano un impedimento al resto, politicamente e civilmente, di cui Heidegger capì la gravità solo a fine carriera. La dichiarazione "Ormai solo un Dio ci può salvare", insufficiente a causa della indeterminatezza per gli scopi dei movimenti politici cristiani, era sufficiente almeno per scardinare la tirannia atea che il marxismo aveva imposto e mantenuto a una parte del mondo culturale tedesco. Purtroppo la divisione in due della Germania rese il messaggio in gran parte inattivo per molti anni, da che era già inservibile per la maggioranza politica di opposizione antimarxista ed anticomunista che si ispirava al cristianesimo; eppure gli bastava per non smarrire il senso di appartenenza anche politica.
MAURO PASTORE
Pur avvertendone le insufficienze, Heidegger adottava nei propri lavori universitari una prospettiva storica derivata dai lavori scritti di Marx e da il marxismo, perché questa soltanto gli provvedevano i colleghi e perché lui non aveva modo di provvederne l'università di una sua propria, che c'era ma era legata a tradizioni teutoniche che la cultura ufficiale del suo tempo non avrebbe potuto tradurre in termini univoci e comprensibili senza iniziazioni, incompatibili con le sole partecipazioni universitarie. Inoltre il suo rapporto con la storia dell'Ellade non era senza distanza e meraviglia e ciò non gli consentiva di iniziare inusitati riferimenti storici con l'antica Grecia per opporre alternative al nuovo "diktat" che i comunisti-marxisti tedeschi cercavano di imporre alla intera Germania ed a vasta parte dell'Europa, dopo l'esclusione praticata nella stessa Germania ai danni del loro Partito ai tempi di R. Wagner. Per questo motivo Heidegger si ritrovava ad usare gli stessi parametri storici dei marxisti e dei marxiani, che li avevano approntati senza riguardo fondandoli su coincidenze verbali e temporali di solo apparente rigore. Heidegger ne dubitava ma non si avvedeva che il sistema politico marxista adottava anche le prospettive dei dubitosi per aggiornare i dati e ricomporre gli stessi parametri secondo un vero e proprio credo ideologico di cui non si rendevano noti esternamente gli atti per la cultura e la filosofia. Per questo motivo restava allineato su concezioni storiche hegeliane e post-hegeliane, pur avendone lui accolto l'autoridimensionamento operatovi dallo stesso Hegel. Ciò non gli impediva di realizzare il minimo necessario che si era posto per obiettivo, dato che la estrema originalità del suo ragionamento e la differente ed opposta considerazione politica adottata, secondo cui si doveva favorire culturalmente il risveglio etnico invece che adottare provvedimenti sociali generali e generalizzanti o generalizzati, gli procuravano sufficiente potere. Nondimeno quei parametri erano un impedimento al resto, politicamente e civilmente, di cui Heidegger capì la gravità solo a fine carriera. La dichiarazione "Solo un Dio ci può salvare", insufficiente per gli scopi dei movimenti politici cristiani, era sufficiente almeno per scardinare la tirannia atea che il marxismo aveva imposto e mantenuto a una parte del mondo culturale tedesco cui Heidegger apparteneva. Purtroppo la divisione in due della Germania rese il messaggio in gran parte inattivo per molti anni, da che era già inservibile per la maggioranza politica di opposizione antimarxista ed anticomunista la quale si ispirava al cristianesimo; eppure a Martin Heidegger bastava per non smarrire il senso della propria appartenenza anche politica, che prima ancora era rimasta precaria e dopo invece non più.
MAURO PASTORE
Per riportare il senso della dichiarazione di Heidegger che ho citato ritengo sufficiente scriverla senza mettere nella traduzione la parola "ormai", che potrebbe dar luogo a fraintendimenti intorno alla concezione del tempo e del discorso tipica di Heidegger. Si consideri pure che dando significato pieno a quel "Solo" dell' "Ormai" non ce ne sarebbe bisogno comunque.
MAURO PASTORE
Ho inviato un mio messaggio due volte in due differenti versioni testuali. Inviterei tra i due a considerare il secondo, più pŕeciso.
Heidegger in persona, pensatore solitario oltre che professore, era post-hegeliano, solo quale semplice professore era un posthegeliano.
MAURO PASTORE
Heidegger di norma rifuggiva dal manifesto monoteista ed anche dal pretender troppo da appartenenze pagane e neopagane. Per questo aveva deciso infine di eludere gli stessi parametri storici usati, per rifiutare l'ingaggio stesso mossogli contro dalla estrema sinistra e sottrarre il proprio mondo culturale al confronto con lo storicismo assolutista di marxisti ed imperialisti senza doversi forzare a militanze cristiane e senza indugiare troppo nel ruolo di capo carismatico pagano per pochi e misteriosi eletti. Accusato e fatto accusare ingiustamente di rinuncia, vinse la propria battaglia culturale soltanto lasciando cadere a vuoto gli interrogativi e le questioni che ne seguivano: sicché non esisteva più per lui il problema dell'assolutismo storico e dei vari assolutisti di turno perché lui ed i suoi non erano più parte della storia comune con loro e di quanto di assolutista lui ed i suoi avevano costruito era rimasto per loro stessa volontà senza possibile impiego per poi esser annullato dagli altri eventi che ne succedevano e che ne sarebbero successi. E questa è storia di questi ultimi anni anche e pure di questi giorni.
MAURO PASTORE
A scanso di equivoci: nel mio messaggio di 19 giugno 2017 10:20 c'è scritto un 'Heiddegger' invece che: Heidegger. Si consideri la scrittura esatta dunque: Heidegger. Faccio presente ad ulteriore scanso di equivoci che nel tedesco parlato, in dipendenza dalla posizione del nome in particolari frasi, il nome Heidegger viene pronunciato in modo maggiormente conforme secondo lettura italiana al vocabolo scritto "Heiddegger". Tuttavia esatta dizione scritta mi risulta ugualmente: 'Heidegger'.
MAURO PASTORE
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