Pangea News - America Latina quotidiana, 19 maggio 2012. Di Filippo Fiorini
Buenos Aires – Quando si parla di Gianni Vattimo le cose più importanti da sottolineare sembrano essere la sua fama e la sua eccentricità. In favore della prima, si è soliti elencare titoli accademici e cariche onorifiche, mentre, per convincere della seconda, normalmente basta dire che è comunista, cattolico e gay al tempo stesso. Tuttavia, conoscere Gianni Vattimo di persona comporta un’altro genere di esperienza: uomo dallo sguardo curioso e il maglioncino tradizionale, in lui l’umiltà spicca sull’anticonformismo, e il desiderio di divertirsi assieme ai suoi interlocutori, vince invece il compito di rivelare loro una qualche verità filosofica, che il mestiere gli impone.
«Sono venuto a presentare il mio ultimo libro. Presentare significa far vedere, perchè ho con me solo questa copia. In ogni caso, se qualcuno ha una pennetta USB gli posso copiare il file in pdf». Così il filosofo ed eurodeputato italiano ha introdotto ieri al pubblico di adolescenti, donne serie ed anziani pensatori che lo aspettava alla Fiera del Libro di Buenos Aires, il suo nuovo lavoro intitolato Della Realtà, in cui si raccolgono e si aggiornano due cicli di lezioni sul Pensiero Debole, dettati qualche anno fa in Scozia e in Francia. Poco prima di salire sul palco, Vattimo ha però voluto dare a Pangea News la sua lettura su alcuni dei principali temi della politica mondiale, con un occhio di riguardo alle sinistre.
Essere in America Latina nel 2012 ci obbliga a parlare di
grandi sinistre al potere. Ci spiega perchè queste fanno fatica a
trovare i giusti successori ai leaders che le hanno fondate? Perchè i
governi neoliberali o addirittura le dittature militari, con tutti i
loro fallimenti, sono sempre riusciti a sostituire con facilità le loro
figure di comando?
È normale che i sistemi tradizionali siano più facili da proseguire.
Non hanno bisogno di capi carismatici, perchè non propongono alcuna
trasformazione. Il capo carismatico può essere un rischio, perchè in
Europa a volte è stato un segnale di perdita di fiducia nella democrazia
rappresentativa, tuttavia, in un processo innovatore ha un ruolo
fondamentale nella rottura della continuità politica esistente.
Paradossalmente, in Italia abbiamo avuto Berlusconi che, come capo
carismatico di destra ha rotto la continuità con il vecchio sistema, ma
lo ha fatto in un modo molto poco ammissibile. Salvador Allende, al
contrario, è stato in Cile un esempio positivo e fu parte di quello che
potremmo chiamare un processo democratico normale.
Ecco, parliamo di democrazia. Con l’arrivo di Evo Morales al
potere in Bolivia, gli indigeni hanno ottenuto un ruolo politico che per
numero meritavano da secoli. Con loro è arrivata però anche la
ritualità pubblica, l’esaltazione dell’ultraterreno ed il misticismo.
Lei crede che lo Stato debba essere assolutamente laico o questa è solo
una categoria di giudizio tipicamente europea?
Io sono sempre stato nemico del principio di identità nazionale,
tuttavia, se questa identità funziona come elemento di trasformazione
sociale contro un dominio e contro i dominatori, allora ben venga. La
religione può essere inserita in questo discorso sull’identità, assieme a
tutti gli elementi non razionali che compongono un tessuto sociale. Si,
lo Stato dovrebbe essere assolutamente laico, ma questo non significa
che non si possa mai nomimare il padreterno o la pacha mama, ma che si
deve permettere l’esistenza di tutti i culti, siano essi i protestanti o
i feticisti.
La Pacha Mama è il centro di uno dei grandi dilemmi della
sinistra latinoamericana: da un lato ci sono gli indigenisti e gli
ambientalisti, che chiedono un maggior rispetto per la natura, mentre
dall’altro..
Ci sono gli industrialisti.
Si, esatto, che rispondono: «Abbiamo grandi classi sociali
che sono state escluse per anni dalla distribuzione della ricchezza,
adesso non chiedeteci di frenare lo sviluppo». Lei ha qualche proposta
per risolvere il problema?
Magari ce l’avessi. Credo che non esista un principio assoluto, ma ho
più simpatia per gli anti-sviluppisti. In Europa le cose vanno molto
male sotto questo punto di vista, c’è un progressivo oblio della natura.
Le risorse sono un problema centrale e l’industrializzazione cieca non
può che portare nuovamente alle stesse situazioni che oggi per l’Europa
sono un problema. Io vengo in America Latina e chiedo: Voi cosa ci
proponete? Questo va al di là delle questioni economiche e ambientali,
perchè anche la democrazia cubana è un’invenzione latinoamericana. Si
tratta di un sistema fondato su maggiori e migliori relazioni tra
comunità locali, per esempio, per fare le liste elettorali, si
riuniscono le comunità di quartiere.
Assomiglia un pò al primo comunismo jugoslavo...
Si, esatto, all’inizio la cosa funziona, ma la domanda è: può durare?
Lo stesso Papa in un’enciclica ha detto una cosa che mi ha fatto
incazzare parecchio, ha scritto: «Le prime comunità cristiane erano
comuniste, poi naturalmente tutto è finito», ma come “naturalmente”? È
naturale che queste cose finiscano? Il punto è che il comunismo in un
solo paese è molto difficile da mantenere, in molti paesi sarebbe
diverso.
In diverse democrazie latinoamericane attuali, per esempio in
quella argentina, i giovani partecipano attivamente alla vita politica e
alla politica di partito. Le grandi manifestazioni sono a favore dei
governi, invece in Europa..
Succede l’esatto contrario.
(foto: LMontalto Monella/PangeaNews) |
Credo che abbiano i tratti iniziali delle rivoluzioni. Non credo per
esempio che le grandi manifestazioni a Cuba siano imposte dal governo.
Immaginiamo il contesto in cui una grande rivoluzione sociale è anche
una lotta nazionale contro lo straniero. Ci sono le ovvie condizioni per
un consenso di massa. Potrebbe essere così anche in Europa, dove ci
sono basi americane su tutto il territorio e imposizioni del capitalismo
straniero. Tuttavia, facciamo fatica a fare governi veramente di
sinistra. La situazione storica è diversa, per esempio, per il fatto che
i movimenti di destra sono sempre stati nazionalisti, adesso il
sentimento nazionale, che io continuo a deplorare, viene rigettato o
accettato con freddezza. Facciamo fatica, per esempio, a cantare l’inno
nazionale ed io quando lo sento in TV, cambio canale.
Giovedì scorso un sondaggio uscito in Italia ha riportato che
un cittadino su tre è convinto che ci sia bisogno di una rivoluzione.
Non so se è vero, ma ammettiamo che lo sia, lei crede che abbiano
ragione?
È verosimile, la gente è incazzata sul serio, ci sono suicidi
continuamente, le aziende chiudono ogni giorno e pagheremo le
conseguenze dei tagli al bilancio dello Stato per anni. Io faccio parte
di quel terzo, desidero una rivoluzione. Bisogna vedere però di che
razza. Bisognerebbe cacciare via a un sacco di vecchi ruderi e sarebbe
bello farlo con un voto. Tuttavia, la politica dovrebbe essere capace di
rinnovarsi in modo endogeno, le proposte dovrebbero provenire dal suo
interno. Ci farebbe comodo un buon capo carismatico, sempre che non sia
come Berlusconi.
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