sabato 2 marzo 2013

L'atto rivoluzionario del Papa


01/03/2013, L'Indro
Colloquio con Gianni Vattimo di Carlo Baghetti

Con la spettacolare uscita di scena avvenuta l'altro ieri di Benedetto XVI, il vicario di Cristo infrange irrimediabilmente la sua immagine di cocchiere infallibile per assumere tratti molto più fragili e contemporanei. Gianni Vattimo, teorico del pensiero debole che ha avuto il merito di introdurre in Italia il dibattito sul postmoderno - inteso come accettazione dell’errore, del caduco e dell’effimero - ci ha rilasciato alcune dichiarazioni in merito all’uscita di scena di Benedetto XVI, il 'Papa emerito'.



Cosa rappresenta per la sfera politica questa abdicazione senza eredi?

È un atto profondamente rivoluzionario. Non so cosa rappresenta per gli altri, nella sfera pubblica, ma per me è una tentazione ad imitarlo. Ho dubitato che fosse un segno del cielo, che mi invitava a lasciar perdere la politica o comunque fosse un invito a ritirarmi nello studio o nella meditazione, se non proprio nella preghiera.
Si è mai visto il presidente dell’IBM che si dimette? O qualcuno di qualche grande corporation? In questi casi si va in pensione non ci si dimette. Le dimissioni richiamano una differenza a cui non siamo più abituati tra la vita personale, coscienza, impegno, vocazione e la funzione sociale. Molto spesso i cristiani si sono domandati: “Ma il Papa ci crede?”. Molti papi possono aver avuto crisi simili, ma ci sono passati sopra. Per esempio, se Bersani diventasse monarchico si dimetterebbe? Mah...

In che modo può cambiare il rapporto tra coscienza e istituzione avendo stabilito questo precedente?

Potrebbe rendere l’istituzione un po’ meno solida, quindi meno funzionale rispetto agli obblighi terreni. La vecchia contraddizione per cui il clero predica la povertà e poi sono tutti straricchi, abitano in palazzi magnifici, sono vestiti da satrapi rende il rapporto ancora più complicato. La storia del cristianesimo è questa, come il problema della Donazione di Costantino, come il problema tra Chiesa e Stato: sei lì, eserciti un potere, ma lo fai in nome di una salvezza interiore. Devi predicare agli altri, ma fino a che punto è giustificato che tu hai le guardie svizzere, i gendarmi pontifici, la banca, lo IOR? Non è una cosa indifferente.



 Cosa può aver influito nel cambiamento di quest’equilibrio?

Questo cambiamento può significare che il Papa ha sentito una chiamata ad un cristianesimo libero da qualunque potere temporale, un po’ meno funzionale al sano funzionamento della società. Perché la chiesa è così rigida nelle sue strutture? Perché serve non solo alla chiesa, ma anche agli stati. La chiesa è servita agli stati per secoli. Informiamoci se tutti i papi, tutti i santi avessero sempre predicato la povertà di Cristo o anche un certo anarchismo, perché Gesù non era uno che sosteneva la famiglia e istituzioni simili. È tutto in funzione di un equilibrio terreno che forse il cristianesimo non era fatto per sostenere.

Come percepisce un credente questo scollamento tra coscienza e istituzione nel sommo pontefice?

Un Papa che si dimette è più vicino a Lutero che non alla tradizione cattolica: la coscienza, la libera scelta, è una cosa apparentemente più individualista, ma poi può andare molto oltre. La contraddizione di Lutero era che opponeva il Vangelo al Papa, criticando a quest’ultimo di non uniformarsi ai suoi dettami. Ma il Vangelo è stato scritto dai primi Papi: Cristo non ha scritto personalmente il Vangelo. Quello che noi eventualmente rinfacciamo alla chiesa è un prodotto della chiesa, è un affare interno. Il cattolicesimo ha sempre predicato che le fonti della rivelazione sono la scrittura e la tradizione, ma la scrittura non l’ha scritta Dio, è già opera della tradizione, della chiesa, dei vescovi, degli apostoli. Tutto si scuote un po’.
Non possiamo dirci cristiani, la verità del cristianesimo è Cristo risorto, cioè la Chiesa, ma la chiesa non è la chiesa gerarchica, ma la trasmissione della parola attraverso la comunità cristiana. Il risultato è: non possiamo non dirci cristiani, siamo dentro un fiume di trasmissione di parola “divina” che però non è altro che questo. Io gioco sempre sul doppio genitivo: il dio della bibbia è l’autore, che l’ha ispirata, ma anche il personaggio. Non c’è un dio fuori da quella tradizione tramandata, fuori da quelle parole.

Questo ragionamento ricorda il conflitto tra parola scritta e parola orale descritto da Derrida...

Ho sempre visto tra me e Derrida una grande differenza nel fatto che lui era ebreo e io un cristiano. Lui credeva di più in una specie di presenza immediata e invece io passavo attraverso una serie di testi. Questo vorrebbe dire che ha più ragione lui o io? Resta vero che se non ci fosse il logos che mi ha trasmesso tutto questo, non so dove dovrebbe essere Dio. Dio è nell’altro, davanti a me, però l’altro merita attenzione perché in lui si riflette il volto dell’Altro. Forse questi concetti sono un po’ complicati da trascrivere in un’intervista, ma io non pretendo una maggiore chiarezza di quella che io riesco a produrre da me...

Il Papa ieri è volato via a bordo di un elicottero, non un’uscita di scena qualsiasi.

Sale al cielo, però solo per andare a Castel Gandolfo...

Cosa implica nell’estetica del Vaticano?

Lei che dice?

Mi ricorda certi film americani, ha un sapore da industria culturale, o forse siamo noi che mettiamo in moto all’istante questo immaginario...

Certo non è uno spettacolo che si presenta tutti i giorni. Nell’industria culturale è molto più spettacolare un Papa che se ne va piuttosto di uno che rimane. Paradossalmente è una grande mossa di marketing, che non attribuisco a lui, ma oggettivamente risulta essere così. Personalmente gli sono più amico adesso di prima. L’ho sempre sopportato male questo Papa, con quell’aria da pastore tedesco, come titolò 'Il Manifesto', con quelle scarpine... Ho sempre sospettato che fosse l’amante di padre Georg e questo non mi scandalizzava, anzi mi andava benissimo, ma il fatto che poi ce l’avesse tanto con i froci mi dava fastidio. Ma tutto questo adesso passa in secondo piano perché adesso lui ha fatto una scelta di coscienza e noi siamo ancora molto 'moderni' in questo senso, molto individualisti. Se lo ha fatto in coscienza, anche contro moltissimi interessi, ebbene questo è il massimo lavoro che poteva fare. Si potrebbe essere più realisti e dire che l’unica cosa che potrebbe fare un Papa oggi è dimettersi, forse nel fondo pensa: “Ma cosa c’entro io con tutto questo pasticcio? Lo IOR, la Papa-Mobile, Fatima...?”.

In senso laico cos’è la rinuncia?

Tutta l’etica kantiana si riassume nel fatto che un individuo per essere sicuro di agire moralmente deve fare il contrario di quello che gli piacerebbe e non so fino a che punto questo aspetto sia presente nelle altre tradizioni. La rinuncia è importante nella nostra etica e mi domando spesso se non sia un’eredità da liquidare. Nell’etica della Grecia classica era presente la rinuncia, l’askesis (ascesi, ndr), cioè “tenersi pronti”, ovvero non abbandonarsi troppo al piacere.

Nell’epoca dell’immediatezza tecnologica cosa significa 'fare un passo indietro'?

È come il “Vaffa” di Grillo, un bel momento vi mando tutti a quel paese ed è una specie di affermazione della propria autonomia. Noi facciamo sempre e soltanto quello che statisticamente è previsto che facciamo. Serve a rivendicare la propria non funzionalità.

3 commenti:

fabrizio ha detto...

cristianesimo in crisi ,socialismo defunto,capitalismo con poche prospettive almeno in occidente ...
ma allora ha ragione Severino ? fabrizio

Gianni Vattimo ha detto...

Ma Severino potrebbe mai prendere atto che sono "accaduti" tutti questi "fatti"? O l'essere è e il non essere non è, eccetera? GV

Anonimo ha detto...

Il pastore tedesco potrebbe diventare santo come il pastore bergamasco