04/03/2013
di Gianni Vattimo
Grillo sempre Grillo fortissimamente
Grillo. Forse è ora di smitizzare un po’
il grande trionfo dei Cinque Stelle, anche se è giusto aspettare che gli eletti
del Movimento si “qualifichino” in
Parlamento e con le decisioni che prenderanno. Io non ho nessun dubbio che i
loro programmi coincidano con le mie aspettative, dunque anche per me Cinque
Stelle è la possibilità buona di cambiare finalmente l’Italia, di realizzare
quella “rivoluzione civile” per cui, anche nell'ultima campagna elettorale, mi
sono impegnato.
Grillo come un Di Pietro non gravato da zavorre
amministrative (Maruccio) o troppo
conservatrici (Donadi e C.). Una certa dose sana di “leninismo”, che a Di
Pietro è rimasto sempre (troppo?) estraneo, e che forse, almeno agli inizi, è
indispensabile a ogni rivoluzione, per civile che sia. Ma appunto perché si
tratta di una rivoluzione “civile”, che si compie dentro la cornice della
democrazia formale (persino Chavez si è sempre affidato alle elezioni
democratiche!) non può pretendere di cominciare completamente da zero. Si
tratta solo di decidere quando si comincia a fare i conti con la storia, quella
delle strutture esistenti, dei partiti e dei politici “di prima”. E’ un po’
come nelle contrattazioni sindacali: il sindacato deve lottare contro il padrone,
ma da ultimo, dovendo “portare a casa il contratto”, non potrà mai diventare un
potere totalmente rivoluzionario.
Qui si incontra la differenza tra guerra
rivoluzionaria e rivoluzione civile. Il tutti a casa si dà solo in guerra. La
nascita delle Repubblica, in Italia, è
avvenuta in conclusione di una guerra:
la guerra partigiana è stata davvero
tale. Ma non si può dimenticare che in essa hanno contato “gli Alleati” quelli
che secondo i nostalgici del fascismo erano stati determinanti nel successo del
CLN. E che hanno funzionato un po’ come la cornice “civile” entro cui il nuovo
potere si è consolidato e articolato, pensiamo per esempio alle am-lire, chi se
le ricorda. (So poco di come sia andata la rivoluzione bolscevica, ma certo
tanto “civile” non è stata). Non si tratta nemmeno di preferirla civile per
pusillanimità o per astratto pacifismo: semplicemente una rivoluzione civile è
per noi, oggi, in Occidente, il massimo
che ci possiamo permettere. E l’importanza del movimento di Grillo consiste
tutta nel suo significato “sperimentale”, per questo siamo tutti interessati a
far sì che non fallisca in una
marmellata falso-riformista dominata dal PD, né che si logori in una
ripetizione di campagne elettorali sempre più caotiche. Non a caso ho ricordato
l’esempio di Chavez: le nuove democrazie latino-americano, da Chavez a Evo
Morales a Correa, dall'archetipico Castro a Lula e alla Kirchner e Mujica, sono i soli esempi di rivoluzioni non
“di guerra” che conosciamo nel nostro mondo.
Non so se e fino a che punto la rivoluzione così “domestica” e
locale di Grillo e dei suoi si senta
consapevolmente in sintonia con tutti questi esempi, del resto così diversi tra
loro. Ma anche l’apertura a questi orizzonti mondiali è un passo che può
aiutare il Movimento a qualificarsi e magari a decidere le sue prossime mosse
interne. Se già, trovando un marchingegno istituzionale che non lo screditasse
come stampella del defungente PD,
riuscisse a ottenere l’immediata cancellazione del TAV e degli F 35 e almeno alcuni altri punti del suo programma,
sapremmo di non essere andati a votare invano.
Gianni Vattimo
8 commenti:
Bah! A me convince più l'articolo di Carlo Sini su L'Unità di qualche tempo fa: http://rassegna.camera.it/chiosco_new/pagweb/getPDFarticolo.asp?currentArticle=1QSF0S
caro prof.vattimo o il sospetto che questa sia una rivoluzione senza rivoluzionari,caro prof.chi bisogna sostenere o meglio tenre in piedi i "civili" che da come si e visto in questi giorni non sono totalmente indipendenti dal duo Danton Robespierre,(grillo e casaleggio)o quest'ultimi? che in alcuni casi assumono attegiamenti repressivi con chi non si adegua al movimento,è possibile che cresca una nuova clesse dirigente migliore di quella precedente?e che attui questo sperato cambiamento?Comunque professore Vattimo siete sempre il numero uno,ho letto e leggo ancora,i sui libri, si puo dire che state sempre nei miei pensieri, mi avete rovinato,haha...carissimi saluti
Ma rovinato perché, caro Alberto? Il costo dei libri? Grazie, risentiamoci. GV
non è il costo dei libri,anche se le mie risorse economiche sono molto esigue,quel pò che guadagno devo pensare se comprare beni materiali necessari oppure no, qualcuno ha detto che con la "cultura non si mangia" mha..sarà ,io penso che sia un modo per venir fuori dalla situazione in cui stò..come lei ed haidegger ci ha insegnato che "l'essere è un evento" percui ritengo che lei e i sui scritti,corrispondono in qualche modo ad un evento da ascoltare e la dove e possibile dialogare,e il senso del "rovinato" sta propria che in molti casi preferisco i suoi scritti ad altro.(tranne una uscita con una bella ragazza, in questo caso non sento ragioni.)vi rinnovo i miei carissimi saluti.
Caro professore,
è vero che è ancora presto per poter avere un giudizio chiaro, ma lei come vede il fatto che il M5* sia il primo partito (o a-partito) nato, cresciuto e diffusosi in rete e attraverso la rete? Un preannucio di un'era post-televisione? Mi riferisco, nel fare questa domanda, al ruolo dei media nella società nel plasmare la realtà ma anche mettere in luce diverse e alternative realtà. Saluti. Andrea
Ecco, mi è venuto per le mani un brano, sempre di Sini, che esprime tutti i miei dubbi intorno al M5S; capisco bene che la protesta sia fondata, ma questo culto della informazione e dell'immediatezza, per un hegeliano, sia pure sui generis, come me, è sempre un po' inquietante. Ecco il brano: «Si osserva a questo punto che far questione del dialogo comporta il far questione dell’ideale democratico che è sorto in Grecia e poi si è diffuso in tutto l’occidente. Farne questione non vuol dire negarlo. Lo spirito democratico, proprio sfruttando quanto di meglio ha in sé, non può arrestarsi sulla soglia dell’autocritica per timore dell’altro da sé, al quale in verità in questo modo si consegnerebbe. Questo altro permane come minaccia se non si perviene alla capacità, come diceva Socrate, di affrontare i mostri che sono in noi e fuori di noi. Si tratta quindi di andare a fondo nella propria costitutiva disuguaglianza.
In termini semplificati si potrebbe dire che siamo passati da una società che dava diritto di parola al re e ai suoi oracoli a una società che dà diritto di parola ai rappresentanti del popolo perché solo il popolo è “divino”. Questo diritto di parola è divenuto oggi ambiguo. Esso appartiene ancora istituzionalmente ai rappresentanti del popolo liberamente eletti, ma insieme è in atto una contestazione, sfiduciata nelle istituzioni, che si difende riconoscendo il diritto di parola a tutti. Riconoscimento più apparente che reale. La moltiplicazione del diritto ne vanifica la portata. La parola data a tutti si trasforma in una chiacchiera ininfluente. Il diritto esteso a tutti lo svuota di ogni interesse etico e pratico, cioè di ogni potere. Così accadde a Roma quando il popolo ottenne, dopo una lotta sanguinosa, la facoltà di eleggere un suo tribuno con diritto di veto nei confronti delle deliberazioni del Senato: la plebe aveva finalmente conquistato uno spazio di parola. Ma questo spazio divenne ambiguo quando i tribuni si moltiplicarono nel numero. Ognuno dotato del diritto originario di veto, ecco che tra loro si potevano far sorgere contrasti e divisioni, sicché il potere della parola plebea si disperse nella demagogia, nella sterile dialettica, sino a depravarsi nella corruzione pubblica e privata.
Col fatto che tutti parlano, chi distingue oggi più la parola autorevole e sensata? È poi un tratto tipico della cultura di massa che l’insensatezza faccia più notizia e susciti più clamore di ciò che semplicemente è sensato. La saggezza antica disprezzava ciò che piace alla moltitudine. Oggi abbiamo perso il coraggio di questa cultura aristocratica ed elitaria (in senso sostanziale e non classista). Temiamo, non senza motivo, che essa favorisca avventure totalitarie e il ritorno di antichi orrori. Tuttavia, è un inganno democratico non denunciare le degenerazioni della comunicazione generalizzata, dietro alla finzione dell’offrire a tutti la possibilità di “esprimersi”. In verità, proprio in questo modo si tenta ancora una volta di fronteggiare il pericolo che è insito nella forza del discorso. Questo pericolo si annulla nel momento in cui, estendendone il diritto a tutti, si ottiene che esso non conti più niente. Nelle questioni che più importano, come del resto in quelle futili, si tollera che venga detto tutto e il contrario di tutto e che persino i cosiddetti “esperti”, coloro che dovrebbero “informare” gli inesperti, si dividano in tesi contrapposte e alimentino vacue polemiche spettacolari. Tutti hanno allora l’impressione di “farsi un’opinione”, mentre restano, come prima, del tutto ignari. Nel frattempo chi davvero decide può farlo nell’ombra e in silenzio, manovrando abilmente la chiacchiera pubblica: ciò che gli ingenui (e anche i furbi) chiamano “dibattito”». C. Sini, Teoria e pratica del foglio mondo. La scrittura filosofica, Laterza, Roma-Bari 1997, pp. 30-31.
Caro Andrea, grazie del messaggio. Bah - sento nei 5 Stelle un sacco di temi che sono anche miei. L'uso della rete è la grande novità, che non riesco a valutare bene. E' davvero multidirezionale?Cioè non solo un sistema di controllo centrale sugli elettori? E poi quello che so di certe teorie utopiche di Casaleggio mi inquieta un po'. Come Lei, sto a vedere (naturalmente non con le mani in mano..). GVattimo
Il punto è: siamo così sicuri che "l'informaione" sia il vero punto critico? Che in essa consista la questione politica? Che sia davvero il coronamento dell'impresa illuministica (con tutti i suoi limiti, come ben sappiamo) come uscita dallo stato di minorità? Internet sarebbe il luogo dello scambio di idee. Ma cosa sono le idee? Come si producono? Un conto è scrivere (e leggere) su una tavoletta d'argilla, un conto su un foglio di carta, un conto sul computer. Perché lì ci sarebbe più libertà? Perché tutti (si fa per dire) possono partecipare al dibattito? Ma non dobbiamo prima forgiare, formare, le menti dei cittadini? Insomma, credo che internet non sia il mezzo divino che solleva l'opinione pubblica ad un più alto grado di consapevolezza. Il medium è il messaggio, diceva McLuhan. Quale medium è internet? Quale potere circola in questo dispositivo?
Posta un commento