da Lettera 43
Intervista a Gianni Vattimo di Antonietta Demurtas
Chiedimi se sono felice. Il 20 marzo sono in molti quelli che pongono l'invito, visto che l'Onu ha deciso di promuovere e ricordare la felicità come nuova priorità globale. Anche se per qualcuno le priorità sono altre. Come il filosofo Gianni Vattimo, che davanti all'istituzione della prima giornata mondiale della felicità è scoppiato in una fragorosa risata.
Forse allora i 193 stati membri dovevano adottare una risoluzione per chiedere l'ilarità?
Sarebbe il caso che l'Onu si occupasse di cose più serie, invece non perde occasione per dimostrare la sua vacuità. E infatti oggi basta pronunciare la parola Nazioni Unite che a tutti scappa da ridere.
Un'altra mission impossible del palazzo di Vetro, quella di promuovere la felicità?
Guardi avrei condiviso di più se avessero istituito una giornata mondiale per la giustizia sociale o per l'acqua potabile per tutti.
Qualcosa di più concreto insomma?
La felicità è un tema che ci riguarda tutti ma è difficile definirla in termini generali figuriamoci se può farlo un consesso così screditato come l'Onu che penso c'entri con la mia felicità solo negativamente.
Non ha una definizione della felicità in positivo?
Non reagisco a questo stimolo soprattutto se viene dall'Onu. Guardi sono in un parcheggio davanti all'ospedale sotto la pioggia, sto andando a trovare un amico. Sarei felice se smettesse di piovere e il mio amico guarisse.
Più in generale?
Se riuscissimo a prendere il Palazzo d'Inverno a San Pietroburgo (ride).
A parte le battute?
La felicità è per tutti la possibilità di cercare questo sentimento in armonia con gli altri. Non credo ci sia nessuno che sappia dire cos'è.
Perché è indefinibile?
Perché uno se ne ricorda sempre soltanto dopo. La felicità è come la civetta di Minerva di Hegel. È il simbolo della filosofia e della saggezza. Ma come diceva il filosofo arriva sempre troppo tardi. Te ne accorgi quando finisce.
Dovremmo essere più attenti allora?
Non so, dovremmo costruircela. Però per riuscirci ognuno di noi dovrebbe superare i propri ostacoli, compreso l'Onu.
Si potrebbe iniziare cercando di essere meno arrabbiati?
Ricercare la felicità è come quando si dice: bisogna promuovere il dialogo tra le culture. Benissimo, facciamolo. Ma le diverse culture per poter dialogare dovrebbero partire da condizioni di parità. Se voglio riappacificarmi con l'Islam non posso eliminare dalla mente degli islamici il loro ricordo del colonialismo, di quanto sono stati sfruttati.
Quindi non c'è speranza?
Cominciamo prima di tutto a ristabilire condizioni di dialogo. Per essere felici dovremmo avere una società più giusta. Tutto qua.
1 commento:
,come sempre,il caro Prof,dritto spedito al cuore del "problema".
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