Comunità Montana nella zona rossa, sfida alla Torino-Lione
www.libreidee.org, 8 agosto 2011
Una riunione speciale della giunta della Comunità Montana, nel cuore della “zona rossa” protetta dalla polizia schierata per sigillare l’area di Chiomonte destinata all’avvio della Torino-Lione. «Non ci sembra molto regolare la procedura con cui l’area è stata occupata, e inoltre chiederemo il risarcimento per i danni subiti dai viticoltori dei vini Valsusa Doc, che non possono operare liberamente nei vigneti», annuncia il presidente Sandro Plano, che il 9 agosto terrà un “consiglio di guerra”, in rappresentanza dei sindaci, al di là delle recinzioni. E’ l’ennesima prova della resistenza civile della valle di Susa, dopo la clamorosa protesta solitaria di Turi Vaccaro, pacifista rimasto per tre giorni e due notti in cima a un albero e poi convinto a scendere soltanto da don Luigi Ciotti, accorso per risolvere la situazione.
www.libreidee.org, 8 agosto 2011
Una riunione speciale della giunta della Comunità Montana, nel cuore della “zona rossa” protetta dalla polizia schierata per sigillare l’area di Chiomonte destinata all’avvio della Torino-Lione. «Non ci sembra molto regolare la procedura con cui l’area è stata occupata, e inoltre chiederemo il risarcimento per i danni subiti dai viticoltori dei vini Valsusa Doc, che non possono operare liberamente nei vigneti», annuncia il presidente Sandro Plano, che il 9 agosto terrà un “consiglio di guerra”, in rappresentanza dei sindaci, al di là delle recinzioni. E’ l’ennesima prova della resistenza civile della valle di Susa, dopo la clamorosa protesta solitaria di Turi Vaccaro, pacifista rimasto per tre giorni e due notti in cima a un albero e poi convinto a scendere soltanto da don Luigi Ciotti, accorso per risolvere la situazione.
L’iniziativa di Vaccaro, che è riuscito a violare la zona off-limits eludendo la sorveglianza fino a raggiungere la vetta del monumentale cedro che sovrasta il checkpoint della centrale idroelettrica di Chiomonte, anticipa di poche ore l’altra “violazione” – simbolica, istituzionale – della Comunità Montana, l’organismo rappresentativo dei Comuni valsusini, schierati quasi all’unanimità contro la Torino-Lione e per questo snobbati in modo sistematico dall’establishment torinese e piemontese, in prima fila il Pd che pretende la cacciata di alcuni iscritti “eretici”, come lo stesso Plano. Gli amministratori della valle ritengono inammissibili le modalità con le quali è stata occupata dalla polizia l’area di Chiomonte, e hanno già fatto ricorso al Tar. Analoghe contestazioni anche dal pool legale del movimento No-Tav: la ex tendopoli della Maddalena era installata su terreni regolarmente affittati dal Comune di Chiomonte, mentre l’area sottostante – quella del futuro cantiere – appartiene a 1500 militanti No-Tav che hanno acquistato altrettanti mini-lotti ma non hanno ancora ricevuto nessuna comunicazione di esproprio.
«Tutta l’operazione è stata condotta in modo clamorosamente illegale», ha denunciato il filosofo Gianni Vattimo, europarlamentare dell’Idv, schierato coi No-Tav insieme al sindaco napoletano Luigi De Magistris (anche lui parlamentare europeo, da sempre vicino al movimento valsusino). Oltre a Beppe Grillo, paladino della causa No-Tav giunto a far dislocare a Chiomonte un ufficio distaccato del gruppo regionale piemontese del “Movimento Cinque Stelle” guidato da Davide Bono, coi valsusini si sono schierati il sociologo Marco Revelli, giornalisti critici come Giulietto Chiesa, scrittori come Erri De Luca, Massimo Carlotto e Maurizio Maggiani, e persino il caposcuola dei cantautori italiani, Francesco Guccini. Obiettivo: contrastare la “congiura del silenzio” che ha cercato di isolare la valle di Susa, presentata dai grandi media come un territorio provinciale e riluttante di fronte al “progresso”.
Lentamente, ampi strati dell’opinione pubblica hanno messo a fuoco il problema: la valle di Susa non contesta soltanto l’inevitabile devastazione territoriale che la Torino-Lione comporterebbe, ma anche il folle onere finanziario (20 miliardi di euro, a carico delle future generazioni italiane) e la comprovata inutilità della maxi-ferrovia, come dimostrano le lucide analisi di trasportisti come Marco Ponti del Politecnico di Milano, riprese dai 150 docenti universitari di tutta Italia nella lettera recentemente indirizzata al presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. Voci sempre più insistenti, che si sono aggiunte a quelle dell’ex ministro Paolo Ferrero, di Rifondazione comunista, da sempre accanto ai No-Tav. E persino l’ex collega Nichi Vendola, leader di Sel preoccupato dell’alleanza col Pd, dopo la violenta repressione delle proteste in valle di Susa si è deciso a mettere in discussione la Torino-Lione e il metodo col quale si cerca di imporla.
Una grande opera sempre più surreale, nel momento in cui il governo Berlusconi viene sostanzialmente commissariato dall’Europa che impone l’anticipo sui tagli alla spesa pubblica, senza che l’opposizione di Bersani abbia osato avanzare una sola proposta alternativa al “massacro sociale” che incendierà l’autunno 2011. Nonostante ciò, la lobby della Torino-Lione – in testa il sindaco torinese Piero Fassino e il suo predecessore, Sergio Chiamparino – non arretra di un millimetro: lungi dal fornire spiegazioni sulla reale utilità strategica dell’arteria ferroviaria Italia-Francia (tutti gli studi spiegano che l’asse del futuro sarà l’attuale, Genova-Rotterdam), i dirigenti del Pd tentano semplicemente di criminalizzare i valsusini. I quali però non arretrano di un millimetro, come dimostra il coraggioso attivismo del movimento popolare, tra cortei e sfilate di penne nere in congedo, decise a contestare gli alpini della Taurinense schierati accanto agli agenti antisommossa.
Obiettivo finale: spiegare agli italiani che anche la valle di Susa è un bene comune, come dice il professor Ugo Mattei del comitato referendario per l’acqua pubblica. E’ la stessa linea della Fiom, il sindacato dei metalmeccanici della Cgil, da sempre al fianco dei No-Tav con leader come Giorgio Cremaschi e Giorgio Airaudo, che ora propongono di spostare a Torino l’asse della protesta, riempiendo le piazze di “indignados” per far capire ai torinesi – e al resto dell’Italia – che la lotta popolare contro la Tav non è un riflesso “Nimby”, localistico, ma il risveglio civile di chi ha capito – sperimentandolo sulla propria pelle – che non è di queste grandi opere che abbiamo bisogno, perché è proprio questo “sviluppo” promosso da lobby e banche che oggi mette in croce l’Italia, l’Europa e persino l’America. Se qualcuno sperava di sfinire i valsusini costringendoli alla resa, ha sbagliato tutto: la battaglia contro la Torino-Lione non accenna a spegnersi. E se la crisi, come pare, presenterà a breve il conto peggiore, proprio i No-Tav potranno meglio spiegare il senso della loro lunghissima, tenace resistenza democratica.
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