lunedì 31 ottobre 2011

Nuova indagine sull'11 settembre: conferenza a Roma (3 novembre)

Riporto qui l'articolo di Giulietto Chiesa su Il Fatto Quotidiano, "Per una nuova indagine sull'11 settembre 2001", che introduce idealmente la conferenza che terranno Mike Gravel e Fedinando Imposimato a Roma il 3 novembre, chiamati da Chiesa, Fernando Rossi e da me stesso.  


Per una nuova indagine sull’11 settembre 2001, di Giulietto Chiesa 

Mike Gravel (foto a destra), ex senatore dell’Alaska (noto per avere rivelato al mondo i Pentagon Papers, che documentarono l’inganno del Golfo del Tonchino, con cui l’America fu portata in guerra contro il Vietnam) e Ferdinando Imposimato (foto in basso a sinistra), magistrato di gran parte delle inchieste italiane più scottanti contro l’eversione terroristica, annunciano due sensazionali iniziative:
- il primo con l’avvio di una procedura che potrebbe consentire di istituire, negli Stati Uniti, una Commissione d’inchiesta per riaprire il “caso” dell’11 settembre, dotata di poteri inquirenti e in grado di interrogare “sotto giuramento”;
- il secondo per chiamare l’Amministrazione Bush a difendersi, tra l’altro, dall’accusa di “concorso in strage” di fronte al Tribunale Penale Internazionale dell’Aja.

Lo faranno insieme, in pubblico, a Roma, il 3 novembre, alle ore 11 nella Sala delle Bandiere della rappresentanza dell’Unione Europea a Roma, via IV novembre, invitati da Gianni Vattimo, dall’ex senatore Fernando Rossi e dal sottoscritto (per inciso gli unici tre parlamentari italiani che hanno dichiarato in questi anni di non credere alla versione ufficiale della tragedia).

Immaginando le inevitabili geremiadi sul “complottismo” (ma definire Gravel e Imposimato in questo modo non sarà facile), vorrei qui riportare alcune citazioni di ben noti non complottisti DOC. Eccole:
Governatore Thomas Kean, presidente della Commissone ufficiale sull’11 settembre: “Noi pensiamo che la Commissione, in molti modi, fu costituita in modo tale da farla fallire. Perché non avemmo abbastanza denaro, non avemmo abbastanza tempo, e fummo nominati dalle più faziose persone a Washington”.
Membro del Congresso Lee Hamilton, co-presidente della stessa Commissione: “Io non credo un solo minuto che noi abbiamo ottenuto tutte le cose vere (…) La Commissione è stata istituita perché fallisse (…) la gente dovrebbe cominciare a porsi delle domande sull’11/9 (…)”.
Il commissario Timothy Roemer: Eravamo estremamente frustrati per le false dichiarazioni che stavamo ascoltando”.
Il senatore Max Cleland (che si dimise dalla Commissione in segno di protesta): “E’ uno scandalo nazionale”.
John Farmer, ex Procuratore generale del New Jersey, che guidò lo staff degl’inquirenti: “A un certo livello nel governo, a un certo momento (…) ci fu una qualche intesa, di non dire la verità su ciò che era accaduto (…) Io fui sbalordito per la così grande differenza tra la verità e il modo in cui essa veniva raccontata (…) I nastri dicevano una storia radicalmente diversa da quella che ci veniva raccontata, a noi e al pubblico per ben due anni (…) C’erano interviste fatte dal centro di New York della Federal Aviation Administration la notte del 9/11, ma quei nastri vennero distrutti. I nastri della CIA sugli interrogatori furono distrutti. La vicenda del 9/11, per dirla con un eufemismo, è stata distorta e fu completamente diversa da come andò effettivamente”.

L’incontro di Mike Gravel e Ferdinando Imposimato con giornalisti e parlamentari, italiani e europei, è aperto al pubblico.


sabato 29 ottobre 2011

Intervista a Verhofstadt al nostro convegno

La Stampa, 29 ottobre 2011

II liberale Verhofstadt "La Banca non cambi né ruolo né limiti" 
di Tonia Mastrobuoni 

Guy Verhofstadt deve avere un ritratto nascosto in cantina che invecchia al suo posto, come Dorian Gray. Sarà la finestrella tra gli incisivi o il caschetto biondo, ma a 58 anni mantiene un'incredibile aria da ragazzino. Caschetto che scuote deciso, sul caso del giorno: «Lorenzo Bini Smaghi? No comment. È una vicenda italiana». E la Bce «deve mantenere il ruolo che ha», non deve diventare più centrale nella nuova architettura europea come chiede qualcuno. Sul recente accordo a Bruxelles che secondo Sarkozy (e non solo) ha salvato il mondo, il presidente dell'Adle, dei Liberali europei, ha invece molto da dire. L'ex premier belga ha partecipato in questi giorni a una conferenza sul lavoro organizzata a Torino da Gianni Vattimo, e sostiene che «il prossimo passo devono essere gli eurobond: nelle prossime settimane - annuncia - Olli Rehn e Josè Barroso presenteranno la proposta».

Presidente, come giudica l'accordo europeo? 
«È un sollievo. Cominciamo, finalmente, ad agire in modo coerente e deciso. In questi mesi i tentennamenti sono costati un'enormità, anche in termini di credibilità, all'Europa».

Cosa pensa dell'ampliamento dell'Efsf, che avrà quattro volte la potenza di fuoco di prima? 
«Va bene, ma non basta. Primo, perché c'è un errore grave nella decisione di fare contemporaneamente un "haircut" sui bond greci del 50 per cento e poi inventarsi un veicolo finanziario complesso con la garanzia europea al 20 per cento. Perché i mercati dovrebbero fidarsi se hanno già subito un taglio dei bond per la metà del valore?».

Qual è il prossimo passo? 
«La crisi dimostra in modo lampante che non basta avere l'ambizione di armonizzare le economie europee: da quando c'è l'euro le differenze tra Grecia e Germania sono aumentate».

È d'accordo dunque con Sarkozy che sostiene che non bisognava far entrare Atene nell'euro?  
«Parla la Francia che ha ammorbidito il Patto nel 2003! E ha passato indenne lo sforamento del deficit perché si è messa d'accordo con la Germania e l`Italia! No, io penso che serva una vera convergenza delle economie europee. E bisogna introdurre gli eurobond. Nelle prossime settimane il commissario agli Affari economici Olli Rehn e il presidente della Commissione europea Jose Barroso presenteranno la proposta».

Lucrezia Reichlin, ex Bce, propone che sia la banca centrale a fare da garante per i debiti, perché l'Efsf da solo non basterà mai a tranquillizzare i mercati.
«Se facciamo una fatica immonda sugli eurobond con la Germania, temo che quest'ipotesi incontrerebbe un vero muro».

Quindi lei non cambierebbe il ruolo della Bce? 
«Assolutamente no. La banca centrale europea deve mantenere il ruolo che ha adesso».

A proposito di Germania: lei non teme che il rinvigorito asse con la Francia possa indebolire ulteriormente le istituzioni europee? Il presidente della Commissione Ue non è che che brilli per una presenza molto decisa, in questa crisi.
«Le dirò di più. Quasi nessuno, a torto, si è scandalizzato per il fatto che l'accordo sia dovuto passare per il Bundestag, cioè per un parlamento di un Paese membro. Tra l'altro, la vicenda Efsf ci impone una riflessione sui meccanismi di approvazione delle decisioni. Dobbiamo togliere il meccanismo dell'unanimità».

E cosa propone?  
«Un meccanismo simile a quello del Fondo monetario internazionale, a stragrande maggioranza, all'80 per cento, ad esempio. Così non dobbiamo più soffrire notti di angoscia perché una decisione che vale l'Eurozona è appesa al voto di un solo Paese come la Slovacchia».

La vicenda Bini Smaghi?  
«È una questione italiana non intendo commentare»

venerdì 28 ottobre 2011

Il lavoro in un box di un testo di economia

Dal mio blog sul sito de Il Fatto Quotidiano, 28 ottobre 2011

Il lavoro in un box di un testo di economia

Chi l’avrebbe mai detto che davvero funziona così, nella diplomazia politico-economica del continente? Leggendo il testo della missiva Draghi-Trichet al governo italiano (5 agosto), si rimane un po’ sorpresi dallo stile asciutto, “americano”, utilizzato dai due uomini della Bce. Sembra un box di un testo di economia, “La crisi: 2011, le richieste della Bce all’Italia”.

Un caso da manuale, nel vero senso del termine: fin troppo. Se non siamo al “Bruxelles consensus”, dopo quello di Washington, poco ci manca, e poco li differenzia, nonostante la pessima performance del secondo negli anni Novanta. Tutto si basa sulla fiducia degli investitori, che prevede un gioco ricorsivo tra i mercati finanziari, che sulle analisi delle istituzioni internazionali fondano le loro decisioni di investimento, e le istituzioni internazionali stesse, pronte a giustificare qualsiasi avanzata sulla strada dell’agenda integrazionistica con la necessità di ristabilire la fiducia dei mercati stessi.

Il solito mantra delle riforme strutturali, ma anche il pareggio di bilancio in costituzione (la rivincita, semmai ce ne fosse bisogno, dell’ultraliberismo); misure per la crescita, ma condite da ciò che con tutta probabilità le toglierà respiro: privatizzazioni, concorrenza, politiche dell’offerta ed “efficienza del mercato del lavoro”: “C’è… l’esigenza di riformare ulteriormente il sistema di contrattazione salariale collettiva, permettendo accordi al livello d’impresa in modo da ritagliare i salari e le condizioni di lavoro alle esigenze specifiche delle aziende e rendendo questi accordi più rilevanti rispetto ad altri livelli di negoziazione”.

Risultato: auspicando la fine dell’orpello inutile della contrattazione collettiva, si procede (lettera di risposta del governo italiano) a: promuovere contratti di apprendistato, di rapporti a tempo parziale, naturalmente concedendo crediti d’imposta alle imprese; e a una riforma della legislazione del lavoro “funzionale alla maggiore propensione ad assumere e alle esigenze di efficienza dell’impresa”, “anche attraverso una nuova regolazione dei licenziamenti per motivi economici nei contratti di lavoro a tempo indeterminato”.

Licenziamento per crisi, insomma. Davvero basta il box di un libro di testo di economia per riformare la legislazione sul lavoro nel senso auspicato dalla Bce? Davvero le istituzioni europee intendono procedere su questa strada per implementare la tristemente nota strategia di Lisbona, ormai così lontana, nel tempo e nelle aspettative che aveva suscitato? Non abbiamo imparato nulla dalla lettura del bellissimo saggio di Luciano Gallino (foto a sinistra), Finanzcapitalismo (Einaudi 2011), che ci ricorda come, ai tempi della crisi, e di una politica ormai felice di causare quegli stessi danni cui poi le si chiede di rimediare, il lavoro sia ormai l’ultima delle preoccupazioni delle imprese “irresponsabili” e completamente finanziarizzate del nuovo millennio?

Anche per questo vorremmo invitare tutti i lettori del Fatto Quotidiano a un convegno che terremo a Torino, nei prossimi due giorni, sul lavoro in prospettiva europea: convegno che vedrà la partecipazione, tra gli altri, dello stesso Gallino, nonché dei sociologi Alain Ehrenberg e Alessandro Casiccia, ma anche di Antonio Di Pietro e Guy Verhofstadt, presidente del gruppo Alde al Parlamento europeo. Per parlare di lavoro, e in particolare della filosofia e della cultura del lavoro, per riportare il tema al centro della scena. A Torino, presso il Torino Youth Centre di Via Pallavicino 35.

giovedì 27 ottobre 2011

Convegno "Il mercato del lavoro nella strategia europea 2020"

 
Cari amici, 
Ho ideato, e organizzato in collaborazione con il gruppo Alde del Parlamento europeo, un convegno dal titolo "Il mercato del lavoro nella strategia europea 2020". 
Nel video spiego le ragioni che mi hanno indotto a convocare il seminario, 
e invito voi tutti a parteciparvi: 

a Torino, il 28 e 29 ottobre 2011, presso il Torino Youth Center
in Via Pallavicino 35


Abbiamo creato un sito, lavoro2020.eu, contenente tutte le informazioni relative al convegno stesso: il programma, i curricula dei relatori, le modalità di iscrizione.


 

Qui di seguito una lettera d'invito. Non mancate!



Convegno “Il mercato del lavoro nella strategia europea 2020. Pensare, Riscoprire e Conoscere il Lavoro”

domenica 23 ottobre 2011

Val di Susa: lettera di alcuni parlamentari europei alle istituzioni della UE

Ecco il testo della lettera sulla militarizzazione della Val di Susa, inviata insieme con Sonia Alfano e alcuni colleghi del Parlamento al presidente del Consiglio europeo, al presidente della Commissione e a quello del Parlamento stesso.

Presidente Van Rompuy,
Presidente Barroso,
Presidente Buzek,
 
Le vicende della nuova Linea ferroviaria ad alta velocità/capacità Torino-Lione (Progetto Prioritario TEN-T n°6) vi saranno sicuramente già note. La costruzione di questa linea, oltre a investimenti degli Stati Membri interessati (ovvero Italia e Francia), comporterà un contributo finanziario da parte dell'Unione Europea valutabile in diversi miliardi di euro.
La concessione della prima tranche del contributo da parte della Commissione Europea era condizionata dal rispetto di varie clausole, tra le quali il raggiungimento dell'accordo con le comunità locali interessate dal progetto. Tale accordo non esiste poiché la maggioranza della popolazione locale è contraria al progetto per diverse ragioni, documentate da esperti e studiosi autorevoli. L’esclusione della Comunità Montana Valle Susa e Val Sangone (tra i territori italiani maggiormente interessati dai lavori per la nuova linea) e di tutti i sindaci contrari al progetto dalle consultazioni, ha precluso il dialogo e l’ascolto delle ragioni della popolazione locale. 

Pertanto, un gran numero di cittadini della Val di Susa ha deciso di ricorrere a forme di resistenza pacifica e passiva, sia acquistando a proprie spese parte dei terreni su cui dovrebbe realizzarsi l'opera, e sia, da diversi mesi, occupando le zone destinate agli scavi. Le varie modifiche al progetto iniziale, i ritardi e le numerose proroghe, sono appunto dovute all'opposizione da parte della maggioranza della popolazione locale.
Dal 27 giugno scorso oltre 2000 tra militari e agenti delle forze di polizia, dopo aver proceduto allo sgombero delle zone occupate dai cittadini che hanno opposto resistenza passiva e pacifica, hanno occupato un terreno a circa 500 metri da quello del futuro cantiere. Lo scopo di tale occupazione militare è stato quello di garantire l’apertura del cantiere per lo scavo della galleria geognostica a La Maddalena di Chiomonte (frazione in provincia di Torino) entro il 30 giugno scorso, condizione fissata dalla Commissione Europea per la conferma dell'erogazione del finanziamento di 671,8 milioni di euro promessi all'Italia e alla Francia.
Le manifestazioni di protesta che si sono susseguite a partire da questa data, e alle quali hanno partecipato decine di migliaia di persone, sono state violentemente contrastate dalla polizia (cfr. video http://www.youtube.com/watch?v=RZI5Vo7saRQ).
 

Come constatato personalmente da numerosi osservatori esterni (compresi due MEPs: Gianni  Vattimo e Paul Murphy), ad oggi il cantiere non è stato ancora aperto e i lavori in corso riguardano  solo la recinzione di un terreno sorvegliato da centinaia di militari e poliziotti.
A prescindere dalle ragioni di chi è favorevole e di chi è contrario a quest’opera, è impensabile  rispondere al dissenso della popolazione con una militarizzazione del territorio che rischia di  protrarsi per molti anni. Inoltre, è inaccettabile che tale palese violazione del diritto dei cittadini di  uno Stato membro dell'UE si appoggi sull'indifferenza delle istituzioni comunitarie, le quali sono chiamate a monitorare attentamente i progetti realizzati con fondi europei.
 
Per queste ragioni, come Membri del Parlamento europeo, riteniamo opportuno:
1) appoggiare le richieste dei cittadini e delle associazioni che, attraverso numerose petizioni al  Parlamento europeo tuttora aperte (accompagnate dalla consegna di 32.000 firme il 25  settembre 2007), 24 delibere di opposizione da parte di altrettanti Comuni alla fine del 2010  e tre denunce all'OLAF di probabili frodi ai danni dell'UE nell'ambito del progetto del TAV  Torino-Lione, da anni chiedono all'Unione Europea la realizzazione di studi imparziali per  accertare il rapporto costi-benefici (di tipo economico, ambientale e sociale) dell'opera;
2) organizzare una delegazione ufficiale del Parlamento Europeo in Val di Susa con il compito  di verificare e attestare la militarizzazione del fittizio cantiere del sito de La Maddalena di  Chiomonte, e di incontrare i cittadini, i rappresentanti delle associazioni e delle autorità  locali che da anni si oppongono al progetto della ferrovia ad alta velocità Torino – Lione.
Auspichiamo che ciascuno di voi, nell’ambito del proprio ruolo, compia tutti gli atti necessari a  favorire una soluzione pienamente democratica di questa situazione.

No Tav: istituzioni europee interpellate sulla militarizzazione della Val di Susa

Le massime istituzioni europee chiamate ad esprimersi
Ufficio Stampa Comitati No Tav, 22 ottobre 2011


La militarizzazione della Val di Susa è una palese violazione del diritto dei cittadini di uno Stato membro dell'UE di esprimere la loro opposizione.
Non si può pensare di costruire un’opera di questo tipo con una ventennale militarizzazione del territorio.

Numerosi Deputati Europei(1), su iniziativa dei MEP Sonia Alfano e Gianni Vattimo, hanno scritto al Presidente del Consiglio Europeo Herman Van Rompuy, della Commissione Manuel Barroso e del Parlamento europeo Jerzy Karol Buzek per richiamare l'attenzione delle massime istituzioni europee relativamente alla militarizzazione della Valle di Susa che proprio in questi giorni è stata ulteriormente inasprita con decreti prefettizi liberticidi in vista della manifestazione di domenica 23 ottobre.


La lettera mette in evidenza che "A prescindere dalle ragioni di chi è favorevole e di chi è contrario a quest’opera, è impensabile rispondere al dissenso della popolazione con una militarizzazione del territorio che rischia di protrarsi per molti anni. Inoltre, è inaccettabile che tale palese violazione del diritto dei cittadini di uno Stato membro dell'UE si appoggi sull'indifferenza delle istituzioni comunitarie, le quali sono chiamate a monitorare attentamente i progetti realizzati con fondi europei".

Nell'appello viene anche detto che "Come constatato personalmente da numerosi osservatori esterni (compresi gli europarlamentari Gianni Vattimo e Paul Murphy), ad oggi il cantiere non è stato ancora aperto e i lavori in corso riguardano solo la recinzione di un terreno sorvegliato da centinaia di militari e poliziotti… ."

I Parlamentari europei indicano in due punti la strada per trovare una soluzione:

· appoggiare le richieste dei cittadini e delle associazioni che, attraverso numerose petizioni al Parlamento europeo tuttora aperte (accompagnate dalla consegna di 32.000 firme il 25 settembre 2007), 24 delibere di opposizione da parte di altrettanti Comunie della Comunità Montana alla fine del 2010 e tre denunce all'OLAF di probabili frodi ai danni dell'UE nell'ambito del progetto del TAV Torino-Lione, da anni chiedono all'Unione Europea la realizzazione di studi imparziali per accertare il rapporto costi-benefici (di tipo economico, ambientale e sociale) dell'opera,

· organizzare una delegazione ufficiale del Parlamento Europeo in Valle di Susa con il compito di verificare e attestare la militarizzazione del fittizio cantiere del sito de La Maddalena di Chiomonte, e di incontrare i cittadini, i rappresentanti delle associazioni e delle autorità locali che da anni si oppongono al progetto della ferrovia ad alta velocità Torino – Lione.

(1) L'elenco dei firmatari è in continua evoluzione, queste le prime firme: Sonia Alfano, Gianni Vattimo, Sabine Wils, Nigel Farage, Willy Meyer, Renate Weber, Rui Tavares, Catherine Grèze, Kartika Tamara Liotard, Cornelia Ernst, Eva Lichtenberger, Sabine Lösing, José Bové.

mercoledì 19 ottobre 2011

Occupy World Street

Un bell'articolo di Pepe Escobar appena pubblicato da Asia Times, nel quale la protesta degli Indignados e la possibilità di interpretare la crisi sono lette anche alla luce del nostro Hermeneutic Communism.

Spanish version: http://www.rebelion.org/noticia.php?id=137791

THE ROVING EYE
Occupy World Street
By Pepe Escobar

... if the enemy wins, even the dead won't be safe.
And this enemy has not stopped winning.

- Walter Benjamin, On the concept of History

The Indignados International rules. The torch has been passed from Cairo's Tahrir Square (the Arab Spring) to Madrid's Puerta del Sol (the Spanish Spring), on to New York's Liberty Square (Occupy Wall Street) and from this past Saturday on, World Street - 951 cities in 82 countries.

All ages, all social classes - but mostly brave young men and women denouncing the hubristic fall of large swathes of the world into a geopolitical abyss trespassed by an unprecedented social, financial, monetary, political and strategic crisis.
Pepe Escobar

Nothing is more natural than "we are the 99%" going global - because the movement specifically denounces the ravages worldwide caused by the myth of neo-liberal globalization, as applied by that wrathful God, The Market. Yet the 1% - and their corporate media shills - still don't get it (or mock it), and will try to smash any actions to remedy neo-liberalism's utter failure.

The 1% cannot possibly understand the anger of a "no future" generation, or the anger of those who have played the game by the rules and ended up with nothing - the collective anger of all who cannot possibly trust failed political and financial institutions anymore.

And it will get worse. Banks are not lending and reactivating the economy mostly because in the US, only four giants - Goldman Sachs, JP Morgan Chase, Citigroup and Bank of America - now hold 95% of US derivatives, a whopping $600 trillion nightmare just waiting to happen. Derivatives were crucial in bringing down the global economy, with all its dire social consequences - and it may happen all over again.

Meanwhile, the 1% is in the process of violently assaulting the historical rights of working and middle classes - even at the risk of losing what's left of their political and social legitimacy (they don't care anyway). As Minqi Li, former Chinese political prisoner and economics professor at the University of Utah stresses, "As during the 1968-1989 period, the resolution of the crisis will depend on the evolution of class struggle on a global level." Li insists that capitalism is not part of the feasible options left; but the problem is the solid 1% elites are still in control, and will relinquish power over their dead collective body.

Creating a new political language
So what next? Where to go from here? Where to find the intellectual firepower to keep fighting?

At Zuccotti Park - Occupy Wall Street's headquarters in lower Manhattan - there's a free public library, with books donated by everyone who feels like it. A good first step would be for people to supply a good many copies of The Beach Beneath the Street, by McKenzie Wark [1], a gripping history of the Situationists - the key conceptual group led by Guy Debord at the heart of May 1968.

Wark has also written a clinical essay detailing how instead of occupying an abstraction - Wall Street - the movement occupied another abstraction, "A more or less public park nestled in the downtown landscape of tower blocks, not too far from the old World Trade Center site," and from there proceeded to occupy "the virtual space of social media".

Wark concludes, "The abstraction that is the occupation is then a double one, an occupation of a place, somewhere near the actual Wall Street; and the occupation of the social media vector, with slogans, images, videos, stories. 'Keep on forwarding!' might not be a bad slogan for it. Not to mention keep on creating the actual language for a politics in the space of social media."

No wonder the 1% are puzzled. Occupy Wall Street is already creating a new political language, smashing old categories of cause and effect, using for instance what Guy Debord described as derive - a technique of moving like lightning through different settings (from physical to virtual, or from lower Manhattan to Washington Square and Times Square).

They are already amplifying Gilles Deleuze and Felix Guattari's concept of rhizome - polishing an interdisciplinary, underground, symbolic war machine.

As a grandson of May 68 and the Situationists, Occupy Wall Street could not but be radical. It wants to go beyond power politics, corporate power and corporate cronyism. It won't be bought - a key reason for it to be relentlessly mocked by corporate interests (who cares about corporate behemoths Time Warner and Rupert Murdoch's News Corporation? Occupy should let them rot in irrelevancy). It's essentially a collective rebellion of people - neither left nor right, but certainly not conservative - who refuse to be co-opted (and hopefully will treat opportunists like Al Gore, Warren Buffett and George Soros like the plague).

What do they want? They want the common good to be available for all - not privatized to death or exploited by corrupt political castes. How the common good - the water, forests, communication networks, factories, transportation networks, hospitals - should be used is up to the citizens of each local, contemporary Agora (the Greek popular assembly place). That, essentially, means putting people first - the absolute antithesis of the mercantilization of life.

This is a utopian agenda - and what makes Atlanticist right-wingers squirm, it's a direct call to utopian communism. Titus Levi, a professor at the United International College in Zhuhai, southern China, calls it "commonism"; he reflects how "having an economics of biology and humanity turns the current system on its head: using economics as a tool for humanity, not humanity ground down to serve economic imperatives."

Occupy World Street certainly wants that forests won't be mowed down, the air won't be polluted, banks won't be double-crossing their clients, and citizens should be totally engaged in the running of public life (and not resign themselves to vote under appalling electoral laws every four or five years). This implies sensible laws managed by honest and impartial people should be in place. It's not happening - thus the swelling ranks of the Indignados International.

Look south, young man
Occupy Wall Street could also use a kick-ass manual of radical politics such as Hermeneutic Communism [2], by Gianni Vattimo, professor of philosophy at the University of Turin, and Santiago Zabala, research professor at the University of Barcelona.

In action-packed 140 pages - plus copious notes - Vattimo and Zabala eschew historical Soviet communism and the contemporary Chinese model to praise the present, democratically elected, South American governments, "which are determined to defend the interests of their weakest citizens."

They are certainly right to believe that "this is the region of the world that best represents the communism of the twenty-first century, which, as Eric Hobsbawm said, must be first and foremost a critique of capitalism"; or a defense of what the great Walter Benjamin called "the tradition of the oppressed".

Vattimo and Zabala produce a devastating critique of our "framed democracy", in which the 1% "pursues truth in the form of imposition (violence), conservation (realism) and triumph (history). These metaphysically framed political systems hold that society must direct itself according to truth (the existing paradigm), that is, in favor of the strong against the week".

Vattimo and Zabala naturally debunk the whole "end of history" fallacy as well as demonstrate "how within the system of metaphysically framed democracies, change is almost impossible". The only possible alternative left at the moment is in the Latin and especially South American space, where, to quote Noam Chomsky, "People just take democracy more seriously than in the West, certainly the United States."

As imperfect as the different national experiments may be, from Brazil to Venezuela, from Bolivia to Argentina, at least the new South American governments have been more representative of their people because "they have been detaching themselves not only from neo-liberal impositions but also from the attendant military presence, that is, armed capitalism".

So Occupy the World has much to gain by analyzing the different political experiments in South America. Parallels with Europe are also very enlightening. Compare for instance Argentina - where in the next elections on October 23 Cristina Kirchner will be most certainly leading a third post-neo-liberal term, just like Dilma Rousseff in Brazil - to Spain, home of the indignados, where, believe it or not, the reactionary, quasi-fascist Popular Party is bound to win the November 20 elections.

The reptilian former Spanish Prime Minister Jose Maria Aznar has described the indignados as a "marginal, non-representative" movement - just as your average Fox News anchor.

Make no mistake; the intellectual firepower to channel global anger is there, from Vattimo and Zabala to Deleuze and Guattari, from Debord and Benjamin to David Harvey and Eric Hobsbawm, from Alan Badiou and Slavoj Zizek to Minqi Li and Wang Hui, from Atilio Boron to Bolivian Vice President Alvaro Garcia Linera.

This is not a (global) revolution - yet; it's still (slow) evolution. The post-political silent majority is certainly not stupid - just cynically resigned. The challenge is to hurl them out of their couches and remotes and into the streets - to make it a 99% in action.

That implies pressing for a number of key, specific policies; taxing the wealthy and the financial system, more funds for public education, decent health care, the end of the Pentagonization-addicted worldwide US Empire of Bases. As far as the US is concerned an overwhelming majority of Americans is in favor of these policies.

So the answer, my friend, is and will be blowing in the streets. All power to the Indignados International. It's time to remix Martha and the Vandellas for the early 21st century. Calling out around the world, are you ready for a brand new beat?

Notes
1. See here. 2. See here.

Pepe Escobar is the author of Globalistan: How the Globalized World is Dissolving into Liquid War (Nimble Books, 2007) and Red Zone Blues: a snapshot of Baghdad during the surge. His new book, just out, is Obama does Globalistan (Nimble Books, 2009).

He may be reached at pepeasia@yahoo.com.

martedì 18 ottobre 2011

Oicos festival, "L'etica dalla metafisica all'ermeneutica"

Qui, per chi fosse interessato, il mio intervento al IV Oicos festival, Assisi, Ex Pinacoteca, domenica 4 settembre 2011, dal titolo "L'etica dalla metafisica all'ermeneutica. 
Buona visione...

Viva l'incerto...

Grazie a Dio, non dipendo da nessuna verità

Filosofi e uomini di cultura si confrontano con i temi della relazione tenuta da Costantino Esposito all’ultimo Meeting per l’amicizia tra i popoli, a Rimini, il 23 agosto 2011, dal titolo “E l’esistenza diventa una immensa certezza”. «L’incertezza ci inquieta proprio perché essa ci provoca a scoprire che, all’inizio, noi siamo indelebilmente segnati da una certezza – ecco il colpo di scena che il nostro stesso essere ci riserva: è solo perché in qualche modo noi la conosciamo già, questa certezza, che possiamo patirne la mancanza».
Per leggere tutti gli interventi dello speciale “E l’esistenza diventa una immensa certezza”, cliccate qui.
18 ottobre 2011 
“Non si può più pensare che ‘c’è’ una verità; giacché se ci fosse sarebbe necessariamente la nostra. Grazie a Dio, sono incerto”. GIANNI VATTIMO interviene nel dibattito sulla certezza

Grazie a Dio sono incerto, o anche ateo – non idolatra, non verità-dipendente... E poi, una esistenza tutta certezza, che barba. Un po’ come il paradiso della tradizione: tota simul ac perfecta possessio. Ma per favore. Invece, però, che cosa? La storicità aperta, che è il vero senso del creazionismo. Non siamo manifestazioni di una struttura geometricamente demonstrata, la razionalità che incontriamo nel mondo è solo un “fatto”, un prodotto contingente, storico, che per esser tale – con la nostra esperienza di scelte, di alternative, di progetti con riuscite e fallimenti – di ex-sistenza, cioè – attesta il carattere eventuale, libero, della mia provenienza. Chiamo Dio l’atto di libertà originaria da cui proviene la mia libertà, e che certo non posso dimostrare con le cinque vie tomiste né con qualche altro metodo deduttivo. Persino Cartesio non lo dimostra. E Kant riesce a immaginare solo la vita eterna come una continuazione della lotta per il bene, cioè come storia.
Luigi Pareyson
Se storia, se l’esistenza è storia, non è mai certezza definitivamente raggiunta. Non che si sia sempre nel dubbio e non si “capisca” mai niente. Ma è la libertà, cioè in fondo l’anima, che l’uomo non deve-vuole perdere. E la libertà originaria da cui sento di dipendere non è contenuto di una  idea chiara e distinta. Mi si dà solo come storia, racconto, mito. È l’insegnamento dell’ultimo Pareyson (Ontologia della libertà, Einaudi, Torino 1995) che pensa l’esistere come una ermeneutica del mito. La certezza con cui mi sento “appartenere” al mito, il mio, quello della mia storia, non è la certezza assoluta della ragione matematica (possibile solo se esistere significasse derivare logicamente da una struttura immutabile) che dovrebbe attestarne la “verità”. È per l’appunto una certezza esistenziale, sempre a cavallo tra la mezza luce dei ricordi d’infanzia (anche Gesù Bambino, anche Babbo Natale, come ci rinfacciano sempre i “realisti”) e quella della scommessa pascaliana.
Perché una certezza esistenziale di questo genere non dovrebbe bastare? Già, chi lo nega, e perché? Una certezza esistenziale non basta per comandare, molto semplicemente. Se Hitler avesse solo avuto una profonda insofferenza verso gli ebrei – magari derivata dalla sua invidia per il piccolo Wittgenstein suo compagno alla scuola elementare di Linz, come si racconta – non ne avrebbe  probabilmente operato uno sterminio così sistematico; lo ha fatto perché aveva una “teoria”, con pretese di valore “oggettivo”. Proprio come oggi si invoca la “legge di natura”, universale e dunque valida per tutti, che la conoscano o no – per vietare i matrimoni gay, per non discutere di eutanasia; solo per fortuna non si parla più della “naturale” superiorità dei bianchi sui neri. Del resto, non perché si sia riconosciuto, “oggettivamente”, che era una teoria sbagliata, ma solo perché i neri si sono ribellati...
Mi si obietta: ma le rivoluzioni, anche quelle dei neri, non si sono forse ispirate a una qualche verità, anche proprio al diritto “naturale”? Ma forse che i monarchi ereditari hanno mai accettato di concedere la costituzione perché avevano “riconosciuto” la verità predicata dai loro sudditi? Perché anche il diritto “naturale” non dovrebbe essere un mito-certezza esistenziale – dei neri oppressi dai bianchi, dei poveri sfruttati dai ricchi, ecc.? Allora, se però è solo lotta di tutti contro tutti, ha ragione chi vince e basta? Intanto, importa prendere atto che adesso, e da molto tempo,da quando ci ricordiamo, è proprio così, quasi la sola “legge di natura” che conosciamo. E, se vogliamo ragionare da buoni democratici, la “ragione” vera starebbe comunque dalla parte dei più: dei popoli oppressi, dei proletari sfruttati...
Il punto è che, in corrispondenza o forse a causa, delle trasformazioni politiche – la rivolta dei popoli coloniali, la fine obbligata dell’eurocentrismo, anche la vergogna degli occidentali cristiani per le conversioni forzate e l’appoggio all’imperialismo nei secoli della modernità – non si può più pensare che “c’è” una verità; giacché se ci fosse sarebbe necessariamente la nostra, non si è mai vista una filosofia, o una religione, che professi l’esistenza della verità che non le appartenga. Ciò di cui ci rendiamo sempre più conto – ma sarà questa appunto “la verità”, come ci obiettano i cultori del vacuo argomento antiscettico? – è che la verità universalmente valida è un’idea inseparabile dal potere. Anche quando serve ai rivoluzionari, è la base di una rivendicazione di potere, non certo la soddisfazione di un bisogno “naturale”  di sapere come stanno le cose.
Ma ancora: solo lotta di tutti contro tutti? No, una volta scoperto questo (strano) vero, siamo finalmente liberi di negoziare alla pari con gli altri. Non: diciamo che ci siamo accordati perché abbiamo trovato la verità; ma che abbiamo trovato la verità perché ci siamo accordati. Ciascuno con i propri miti e le proprie convinzioni esistenziali: forse è questa versione laica e democratica della carità il vero messaggio del cristianesimo, Dio è presente fra noi quando ci amiamo e rispettiamo. E non altrove, nemmeno nell’alto dei cieli.


mercoledì 12 ottobre 2011

Video-intervista di Torino Spiritualità, 2011

Un video-intervista a Vito Mancuso e al sottoscritto in occasione dell'incontro di Torino Spiritualità (dal canale Youtube di Torino Spiritualità 2011).


VITO MANCUSO, GIANNI VATTIMO: "Credere sul limite" con Marco POLITI.
L'esperienza del mondo è così mutata rispetto al passato che avere fede oggi (senza mettere a tacere il pensiero) provoca non poche perplessità: su Dio, sul suo rapporto con l'uomo, sulla vita della Chiesa. Queste perplessità sono tali da imporre un cambiamento della fede quale è stata definita dalla tradizione, sia a livello di dottrina sia di spiritualità. Si potrebbe af- fermare che solo cambiando il Cristianesimo potrà tornare a essere "vangelo", cioè una buona notizia.

lunedì 10 ottobre 2011

In merito all'incontro su Furio Jesi

Un articolo de Il giornale sull'incontro di ieri (Portici di carta, Torino, con Giovanni De Luna e il sottoscritto), 9 ottobre, in merito a Furio Jesi e alla cultura di destra. 

Ricordando Furio Jesi, la cultura di destra che piace a sinistra 

Il giornale, 9 ottobre 2011; di Stefania Vitulli


«Sarebbe stato bello discuterne anche con un intellettuale di destra: Marcello Veneziani, o Marco Tarchi, di cui leggo con attenzione Diorama Letterario. O Massimo Fini, che si spaccia per uno di destra e, se questa è la destra, ce ne fossero... O Franco Cardini. Anche se, settariamente, sono convinto che una cultura di destra non sia esistita per anni, in Italia. Colpa degli editori come Einaudi? E chi sono i pensatori di destra? Il rivoluzionario Nietzsche, che io ho studiato per anni? Ed esiste una rivoluzionarietà di destra?». Così Gianni Vattimo ieri a Torino, all’incontro «La cultura di destra. Secondo Furio Jesi, a settant’anni dalla nascita», in occasione di «Portici di carta» (a cura del Salone del Libro) e della riedizione del celebre saggio di Jesi del ’79 Cultura di destra (Nottetempo). Incontro di cui Vattimo è stato relatore insieme a Giovanni De Luna.
Germanista, ebreo, autodidatta, Jesi pubblicò il volume poco prima di morire, a 39 anni, in un momento in cui in Italia parlare di cultura di destra era un tabù, individuando il motore del pensiero di destra in una «macchina mitologica» produttrice di idee senza parole e valori indicati sempre in maiuscolo come Tradizione, Passato, Razza, Origine, Sacro. Spengler, Frobenius, Eliade, Pirandello, Bachofen, D’Annunzio, Evola, ma anche Salvator Gotta e Liala spremuti in modo «trasversale» alla ricerca di nuclei, costanti e ricorrenze, su tutti l’esoterismo e il lusso. «Il libro - spiega De Luna - risente molto del clima culturale dell’Italia anni ’70. A partire dall’intenzione di distinguere tra il fascismo mussoliniano, pregno di romanità, glorie patrie e Risorgimento, e neofascismo, secondo Jesi una formidabile macchina linguistica produttrice di stereotipi, radicata nel mito, nella dimensione spirituale alla Evola».
«I meccanismi culturali individuati da Jesi resistono - dice Vattimo -. Oggi, quando Bossi va al Monviso a prendere l’acqua del dio Po enfatizza una mitologia per servirsene a scopi politici, altro che etichettarla come fesseria. Così come la risalita del nazionalismo o delle radici, come accade con la Padania, ma non solo». Secondo De Luna il libro di Jesi ha passi profetici: «Nella descrizione del tramonto del lusso eroico a favore di quello materiale, dell’emergere di un consumismo destrorso, dell’appiattimento della cultura di destra su mercato e filosofie aziendali». Ma anche paradossali: «Jesi vide in Montezemolo, che chiama il “marchesino della Ferrari”, un emblema della politica di destra...».

venerdì 7 ottobre 2011

Verità ed ermeneutica

Berlusconi esiste o no? Dipende dall'ermeneutica 
L'Unità, 5 ottobre 2011. Di Mico Capasso
 
Le vie di mezzo sono le uniche che non portano a Roma», scriveva Schönberg, celebre compositore, teorico della dodecafonia e della dissonanza. D’altra parte, la fecondità di un dibattito come quello in corso sul New Realism si misura proprio sull’asprezza delle posizioni antitetiche in gioco. Da tempo, la posizione di Maurizio Ferraris lo vede contrapposto al suo antico maestro, Vattimo, rappresentante di una linea di pensiero dominante, l’ermeneutica, di cui il suo «pensiero debole» è versione assai accreditata. La questione è rimbalzata sui giornali per le sue ricadute politiche, in particolare per la lettura del berlusconismo. I due filosofi spiegano infatti lo stesso fenomeno partendo da posizioni radicalmente opposte. Senza vie di mezzo cercano di spiegare cosa succede a Roma.
Da una parte, ed è la posizione di Vattimo e dell’ermeneutica, vale l’istanza secondo cui «non ci sono fatti, ma solo interpretazioni». Dall’altra, ed è la posizione di Ferraris e della proposta insita nel suo New Realism, è necessario che i fatti ci siano perché le interpretazioni possano essere smentite (e Berlusconi sbugiardato). Ferraris sprona dunque la filosofia a mettere in moto quella «ragione pigra», come la chiamava Kant, che si è ambientata in un mondo fatto di interpretazioni, rinunciando a porre il problema della loro verificabilità. Nello spirito di una ricerca della verità e non di una sterile polemica politica à la page, il lavoro di Ferraris sprona la comunità ermeneutica e storicistica italiana a ritornare, secondo il noto adagio fenomenologico, alle «cose stesse». Ma l’ermeneutica dice proprio ciò Ferraris vuol farle dire, o il filosofo del New Realism ne attacca, peraltro giustamente, solo una versione assai indebolita? È davvero possibile che l’ermeneutica, al di là dei discorsi che ha prodotto e che, nella critica di Ferraris, ne fanno un sintomo del postmoderno, sia stata così ingenua da barattare la ricerca della verità per un relativismo che non ha più la minima presa o pretesa sulla realtà?
Prendiamo una proposizione semplice: «piove». La verità o falsità di questa proposizione è qualcosa che chiunque può accertare semplicemente guardando fuori dalla finestra. Che piova o non piova è un fatto. Sin qui la reductio di Ferraris. L’ermeneuta però non concede neppure questo, ma ed è questo il punto essenziale non perché non creda alla verificabilità della proposizione, non perché creda che tutto è relativo e che quindi per lui potrebbe non essere pioggia quella che è pioggia per un altro, ma perché pensa che per poterne dirimere la verità, o il senso di verità, occorre guardare allo sfondo interpretativo che si nasconde e su cui si staglia l’enunciato, alle ragioni per cui è prodotto e ai suoi effetti di senso. Con i vecchi ma sempre istruttivi paradossi greci si potrebbe ad esempio chiedere quando finisce la pioggia o dove comincia un temporale. Probabile che in una foresta amazzonica le rilevazioni percepite dal senso comune siano diverse dalle nostre, perché legate ad altre forme di vita e ad altre condizioni di esistenza, senza per questo essere false.
D’altra parte, l’insufficienza del dato salta agli occhi, quando per esempio, in un pubblico dibattito, si ragiona «dati alla mano», e però questi dati dicono gli uni il contrario degli altri. Da un simile impasse non si esce additando il mondo com’è fuori dalla finestra, ma comprendendo le modalità interpretative di quei dati (che in verità dovrebbero chiamarsi «risultati»).
Come sono stati raccolti quei dati? Su quali campioni? Più che di un’esibizione di dati, è in gioco un conflitto di interpretazioni, dove alla fine soltanto quella che descriverà il paese nella sua complessità risulterà più vera. Non bastano ad esempio i dati sulla crescita o sul prodotto interno lordo, ma solo incrociando questi dati con la sperequazione della ricchezza e con l’aumento della forbice tra ricchi e poveri si otterrà un’immagine più veritiera del Paese.
La proposta ermeneutica sta dunque non nel negare i fatti e inventarsi le interpretazioni, ma nella consapevolezza che i fatti, per sé soli, non dirimono nulla (se non inutili dispute meteorologiche, tipo se fuori piove o c’è il sole), e anzi spesso celano, dietro la loro apparente datità, un’operazione di potere tanto più ingannevole in quanto si dissimula nella forma della verità a portata di mano. Anzi, proprio rispetto a chi ci dice che il mondo è quello che è, la filosofia, nella sua originaria vocazione politica, ha bisogno di un’iniezione di dialettica. Cioè di quella cura hegelo-marxiana, coppia non a caso assente da questo dibattito, che riemerge con la forza di un rimosso quando il pensiero, distogliendo lo sguardo dalle contraddizioni esistenti, si assopisce in questa «tenerezza delle cose» condita in salsa postmoderna. E senza vie di mezzo, ma con una robusta proposta di interpretazione del nostro tempo, a Roma ci si arriva e come.

Proposta di risoluzione sull'adesione di Bulgaria e Romania a Schengen



PROPOSTA DI RISOLUZIONE
 
5.10.2011
PE472.717v01-00
 
B7-0532/2011
presentata a seguito delle interrogazioni con richiesta di risposta orale B7‑0440/2011, 0621/2011 e B7‑0621/2011
a norma dell'articolo 115, paragrafo 5, del regolamento

sull'adesione della Bulgaria e della Romania a Schengen

Marian-Jean Marinescu, Andrey Kovatchev, Carlos Coelho, Henri Weber, Simon Busuttil, Monica Luisa Macovei, Mariya Nedelcheva, Elena Oana Antonescu, Georgios Papanikolaou, Véronique Mathieu a nome del gruppo PPE
Claude Moraes, Ioan Enciu, Iliana Malinova Iotova, Liisa Jaakonsaari a nome del gruppo S&D
Renate Weber, Sophia in 't Veld, Alexander Alvaro, Cecilia Wikström, Sarah Ludford, Filiz Hakaeva Hyusmenova, Stanimir Ilchev, Louis Michel, Metin Kazak, Sonia Alfano, Gianni Vattimo, Nathalie Griesbeck a nome del gruppo ALDE
Tatjana Ždanoka, Judith Sargentini a nome del gruppo Verts/ALE
Cornelia Ernst a nome del gruppo GUE/NGL

Risoluzione del Parlamento europeo sull'adesione della Bulgaria e della Romania a Schengen 
B7‑0532/2011
Il Parlamento europeo,
–   vista la risoluzione legislativa dell'8 giugno 2011 sul progetto di decisione del Consiglio sulla piena applicazione delle disposizioni dell'acquis di Schengen in Bulgaria e in Romania(1),
–   viste le conclusioni del Consiglio "Giustizia e affari interni" tenutosi a Lussemburgo il 9 e 10 giugno 2011(2),
–   viste le conclusioni del Consiglio europeo del 24 e 25 giugno 2011(3),
–   viste le interrogazioni del 29 settembre 2011 al Consiglio e alla Commissione sull'adesione della Bulgaria e della Romania a Schengen (O-000224/2011 – B7‑0440/2011, O-000225/2011 – B7‑0621/2011, O-000223/2011 – B7‑0439/2011),
–   visti l'articolo 115, paragrafo 5, e l'articolo 110, paragrafo 2, del proprio regolamento,
A. considerando che la libera circolazione delle persone è un diritto fondamentale garantito ai cittadini dell'Unione europea dai trattati;
B.  considerando che la creazione dell'area Schengen e l'integrazione dell'acquis di Schengen nel quadro dell'UE è una delle maggiori conquiste del processo di integrazione europea;
C. considerando che la Romania e la Bulgaria hanno soddisfatto tutti i criteri per una conclusione riuscita del processo di valutazione di Schengen;
D. considerando che la preparazione dei due paesi ai fini dell'adesione all'area di Schengen è stata confermata dal Parlamento nella sua risoluzione dell'8 giugno 2011 e dal Consiglio nelle sue conclusioni del 9 giugno 2011;
E.  considerando che, durante il Consiglio europeo del 24 giugno 2011, i capi di Stato e di governo hanno convenuto che la decisione riguardante l'adesione della Bulgaria e della Romania dovrebbe essere presa entro settembre 2011;
F.  considerando che la decisione sull'adesione della Romania e della Bulgaria è stata rinviata in seguito alla mancata votazione del Consiglio durante la riunione del 22 settembre 2011;
1.  sottolinea che i due paesi hanno ridisegnato e riorganizzato in modo sostanziale i propri sistemi di gestione integrata delle frontiere investendo considerevolmente nelle autorità incaricate dell'applicazione della legge, in particolare nella formazione e nelle ultime tecnologie, ed hanno visibilmente rafforzato il proprio quadro istituzionale e giuridico, come riconosciuto nelle diverse relazioni di valutazione di Schengen;
2.  nota il sostegno e la solidarietà regolarmente dimostrati dalla Bulgaria e dalla Romania quali partner affidabili dell'Europa sud-orientale, nonché il loro costante contributo alla sicurezza delle frontiere in questa parte dell'Unione;
3.  sottolinea che entrambi i paesi hanno pienamente attuato l'acquis di Schengen che – conformemente al loro trattato di adesione e al quadro giuridico in vigore nell'Unione europea – è l'unico prerequisito alla loro adesione all'area Schengen;
4.  sollecita tutti gli Stati membri ad adottare la decisione di ampliare l'area Schengen al fine di includere la Bulgaria e la Romania sulla sola base dell'acquis e delle procedure di Schengen; ritiene che non si possano imporre criteri supplementari agli Stati membri che hanno già avviato il processo di adesione all'area Schengen;
5.  ribadisce il sostegno del Parlamento a favore dell'ampliamento dell'area Schengen al fine di includere la Romania e la Bulgaria ed invita il Consiglio europeo a procedere in conformità dei trattati UE e ad adottare le misure necessarie per consentire alla Romania e alla Bulgaria di accedere all'area Schengen;
6.  invita gli Stati membri a rispettare gli impegni assunti ai sensi del quadro giuridico dell'Unione europea per quanto riguarda i criteri di adesione di Schengen ed a non dare la priorità al populismo nazionale;
7.  incarica il suo Presidente di trasmettere la presente risoluzione alla Commissione, al Consiglio e ai governi e ai parlamenti degli Stati membri.

(1)
(2)
da completare.
(3)
da completare.

Discriminazione e persecuzione dei Rom nell'UE, interrogazione parlamentare


Interrogazione con richiesta di risposta scritta E-008846/2011
alla Commissione
Articolo 117 del regolamento
Renate Weber (ALDE), Sophia in 't Veld (ALDE), Gianni Vattimo (ALDE) e Sonia Alfano (ALDE)
Oggetto:       Discriminazione e persecuzione dei Rom negli Stati membri dell'UE e strategia-quadro, orientamenti e azioni dell'UE
Gli orientamenti pubblicati dalla Commissione e destinati agli Stati membri per la formulazione di strategie nazionali per l'integrazione dei Rom non bastano a evitare che essi siano vittime di fenomeni di discriminazione e persecuzione nell'UE e negli Stati membri.
In Ungheria, un piano approvato dal parlamento ungherese lo scorso luglio prevede che chiunque riceva un sussidio sociale debba lavorare presso cantieri, pulire le strade o provvedere alla manutenzione di parchi e foreste. Un eventuale rifiuto comporterebbe l'interruzione dell'erogazione dei sussidi. Chi lavora nell'ambito del programma riceve EUR 200 al mese, spesso in circostanze degradanti, ad esempio impegnato nella raccolta di legna morta in una foresta per giorni a Gyöngyöspata, un lavoro che, usando un trattore, si potrebbe svolgere in poche ore[1]. Questa misura è stata aspramente criticata poiché colpisce eccessivamente i Rom.
Da qualche settimana, la repubblica ceca è teatro di sommosse (simili a veri e propri pogrom), che vedono contrapporsi gli estremisti di destra e i Rom di recente insediamento nella Boemia settentrionale[2]. Il senato ceco d'altrocanto ha affermato che la Repubblica Ceca non dovrebbe partecipare alla strategia europea sui Rom.
Nel Regno Unito, 86 famiglie di Rom di nazionalità irlandese rischiano di essere espulse da Dale Farm in località Basildon, Essex, una decisione che è stata criticata dal comitato contro la discriminazione razziale delle Nazioni Unite[3].
Espulsioni di Rom continuano a verificarsi a Roma (Italia), Parigi (Francia) e Baia Mare (Romania), spingendo le ONG a invitare le autorità e la Commissione europea a intervenire con urgenza.
Può la Commissione spiegare perché gli orientamenti forniti non includono i diritti umani e delle misure antidiscriminazione, contrariamente a quanto richiesto dal Parlamento nella sua relazione sui Rom? Può la Commissione illustrare quali azioni ha intrapreso o intende intraprendere per garantire la cessazione delle politiche e delle leggi discriminatorie e delle violazioni dei diritti umani sopra indicate? Può la Commissione illustrare come garantirà che gli Stati membri rispettino i diritti umani e le norme antidiscriminazione in relazione ai Rom?


[1]     http://www.euractiv.com/socialeurope/hungary-puts-roma-work-news-507804
[2]     http://www.spiegel.de/international/europe/0,1518,786495,00.html
[3] http://www.washingtonpost.com/world/europe/irish-travelers-build-barricades-say-they-will-fight-eviction-in-eastern-england/2011/09/19/gIQAfeCbeK_story.html