Chi si fosse perso (sono per altro gli stessi articoli usciti in questi giorni sui media italiani a ricordare l'enorme afflusso di pubblico, e l'impossibilità di accontentare tutti coloro che intendevano partecipare) il dialogo tra Vito Mancuso e il sottoscritto potrà scaricare o ascoltare la traccia audio messa a disposizione da Radio radicale (ricordate inoltre che sulla destra di questo stesso blog compaiono i miei interventi, incluso appunto questo, registrati da Radio radicale).
Riporto poi qui di seguito un articolo (di Lorenzo Montanaro) pubblicato sul Quotidiano Piemontese il 4 ottobre, dal titolo "Che fine ha fatto dio? Parlano Gianni Vattimo e Vito Mancuso".
Dio è morto? Ha ancora senso parlare di
lui? Se non possiamo dimostrarne l’esistenza in maniera scientifica,
riusciamo a sfiorare in qualche altro modo il suo insondabile mistero?
Chi pensa che questi interrogativi siano roba d’altri tempi, da relegare
nelle sacrestie polverose, avrebbe dovuto essere ieri pomeriggio al
teatro Carignano di Torino: posti esauriti e una lunga fila di gente
sotto il sole delle tre, alla ricerca di un improbabile biglietto. Tutto
per sentire Vito Mancuso e Gianni Vattimo, il teologo e il filosofo. I
due si sono sfidati a singolar tenzone, a colpi di lettere apostoliche e
Critica della ragion pura. Kant e San Tommaso, Nietzsche e Hegel sono stati protagonisti di due ore di serrato dibattito, inserito in Torino Spiritualità e moderato dal giornalista Marco Politi.
L’incontro-scontro
al Carignano ha rivelato (e non era difficile prevederlo) due punti di
vista irriducibili, troppo distanti per trovare una linea comune, ma
comunque capaci di entrare in dialogo. Mancuso, autore di un recente
saggio dal titolo forte, Io e Dio, ha tentato di definire il
concetto di religione, un bisogno che ci appartiene fin dai nostri
primordi. Dopo una galoppata che ripercorreva in pochi minuti millenni
di storia, ha proposto questa conclusione: “La religione è, in ultima
analisi, il tentativo di legare me stesso al destino ultimo del mondo”.
Poi si è spinto a illustrare la sua idea di divinità. La parola
ricorrente era energia: “un’energia vitale che fa consistere e
sussistere l’universo, che informa di sé tutti gli esseri umani”. Ma Dio
è anche un principio etico: “quella propensione, insita in ogni uomo, a
scegliere il bene e il bello”, un misterioso filo di luce che abbraccia
tante tradizioni diverse e che “si può incontrare nella Bibbia, fin dai
libri sapienziali, i miei preferiti di tutto il corpus
veterotestamentario”.
Vito Mancuso |
Parole inaccettabili per Gianni Vattimo: “Mi sembra di sentir parlare i conquistadores spagnoli
che volevano convertire gli Indios a forza. Questa concezione
naturalistica e universalistica mi fa paura. Dio non è un’idea naturale,
ma culturale. E poi, per favore, liberiamoci una volta per tutte del
Dio dell’Antico Testamento: una specie di zio pazzo, capriccioso e
sanguinario”. Poi però Vattimo, il filosofo del pensiero debole, voce da
sempre molto critica verso il Cattolicesimo, ha rivelato anche alcuni
lati di sé meno scontati. “Piuttosto che diventare un razionalista come
Odifreddi e Flores – ha detto scherzando – credo anche a Fatima e a
tutto il resto”. E ha aggiunto: “Per quanto mi riguarda, il solo modo
possibile di avvicinarmi alla divinità, è farlo restando nel solco della
tradizione in cui sono cresciuto e vissuto. Per me Dio è il Dio dei
miei padri, il Dio di Gesù Cristo, quello del rosario, della compieta e
dell’angelo custode. In definitiva Dio è una relazione, è quella pagina
di Vangelo che recita ‘dove due o tre sono uniti nel mio nome, io sono
in mezzo a loro’”.
“Non credo di essere né un conquistador,
né un fondamentalista – ha replicato il teologo – Per fortuna i tempi
in cui si voleva convertire il mondo sono passati. La mia posizione si
muove sul versante opposto: riconoscere che in ogni tradizione, compresa
la più lontana dalla mia, esiste una ricerca di bene. Questo non vuol
dire soltanto rispettarsi, ma camminare su una strada comune”. Così il
discorso si è allargato ai temi, attualissimi, dell’ecumenismo,
dell’accoglienza dell’altro, dell’apertura a prospettive nuove. “Ma la
Chiesa di oggi – ha chiesto provocatoriamente Politi – è pronta a
raccogliere queste sfide?” Risposta lapidaria di entrambi: “No”. Almeno
su questo erano d’accordo.
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