Da
Bush a Monti: fatti o interpretazioni?
«Alias-D»
dell’1 aprile recensiva il libro di Maurizio Ferraris «Manifesto
del nuovo realismo» (Laterza), contro gli effetti ubriacanti del
pensiero debole e postmoderno. A Ferraris, che propugna un ritorno
filosofico (e politico) al mondo dei «fatti», replica qui Gianni
Vattimo, con una «lettera aperta» a Umberto Eco, suo interlocutore
ideale. Gli risponde Ferraris.
Il Manifesto, 8 aprile 2012
Il ritorno della realtà come ritorno all’ordine –
Gianni Vattimo
Caro
Umberto, vorrei entrare subito in medias res (ahi!, le cose stesse!)
per discutere il tuo saggio sul «realismo negativo». Due cose
preliminari. Primo: davvero qualcuno dei nuovi realisti pensa che un
postmoderno utilizzi un cacciavite per pulirsi un orecchio o il
tavolo su cui scrive per viaggiare da Milano ad Agognate? Spesso gli
esempi paradossali finiscono per essere presi troppo sul serio, e
diventano caricature delle quali sarebbe meglio sbarazzarsi. Secondo:
ricordi Proudhon? In una estate di molti anni fa, nel deserto di temi
con cui riempire i giornali, qualcuno tirò fuori Proudhon del tutto
a freddo, aprendo un dibattito inconcludente che si trascinò per un
po’ e poi svanì nel nulla. Il nuovo realismo mi sembra un fenomeno
del tutto simile, anche se minaccia di durare più a lungo, per
ragioni che hanno probabilmente da fare con il generale clima di
«ritorno all’ordine» di cui è massima espressione il governo dei
«tecnici».
Quali
sono le ragioni del «ritorno della realtà» contro la «sbornia
post-modernista»? A chi importa «tornare alla realtà» e
respingere la tesi di Nietzsche secondo cui «non ci sono fatti, solo
interpretazioni, e anche questa è un’interpretazione»? Certo, tu
risponderai subito che questa domanda è impropria: è la verità o
falsità della tesi che ci deve interessare, non a chi piacciano o
dispiacciano. Ma dovresti anche ammettere che così costringi subito
Nietzsche ad accettare che ci sia quella famosa verità oggettiva di
cui si sta discutendo. Così, verità oggettiva sembra essere, per i
nuovi realisti, il «fatto» che «il postmoderno è fallito».
Davvero questo fallimento è un fatto e non un’interpretazione? La
forza della tesi di Nietzsche, anche e soprattutto per chi non vuole
prostrarsi davanti al mondo com’è e identificare senz’altro
l’esser-così-delle-cose con il bene e la norma da «rispettare»,
sta tutta nel domandare, ad ogni enunciazione, «chi lo dice?». Il
concetto di ideologia di Marx, ma tutta la cosiddetta scuola del
sospetto (Marx, Nietzsche, Freud), dovrebbe averci insegnato
qualcosa. Già, dirai, però Marx smascherava l’ideologia proprio
in nome della verità oggettiva. Ma questa per lui era il patrimonio
del proletariato («chi lo dice?»), non l’essere stesso
identificato con ciò di cui non si può assolutamente pensare il
contrario, cioè quello che tu chiami «il mondo» con i suoi
«fatti». I «fatti» non parlano da sé, anche indicarli
semplicemente con un dito è già un atto linguistico. Il realismo
(vecchio, credo; perché sarebbe nuovo?) si è sempre fatto forte del
«fatto» che ci deve essere qualcosa, il «dato», che limita
l’interpretazione, come dici tu, e che non dipende dall’interprete.
Neanche il più fanatico postmodernista assume semplicemente che le
«cose» siano create da chi le vede. Se piove mi bagno, se sbatto in
un muro mi faccio male al naso. E allora? Lo zoccolo duro dell’essere
sarebbe questo? Heidegger ha costruito tutta una filosofia a partire
dall’insoddisfazione per la «metafisica», cioè per quel pensiero
che identifica l’essere con questo zoccolo. E l’insoddisfazione
era fondata non sulla scoperta che l’essere non è «zoccolo» ma,
poniamo, pantofola o aria; bensì sulla impossibilità di prender sul
serio la libertà, in un mondo fatto di durezze e di zoccoli
identificati semplicemente con l’essere stesso…
John Searle |
La
domanda «chi lo dice?», ha anche una ovvia portata etico-politica.
I nuovi realisti (che sempre mi rinfacciano il nazismo di Heidegger)
dovrebbero spiegare perché uno dei loro profeti sia John Searle,
onorato da Bush come il massimo filosofo USA. Qualcuno di loro avrà
un analogo riconoscimento dal governo Monti-Napolitano? Certo, di
fatto (!) i nuovi realisti hanno il massimo ascolto nella opinione
pubblica (ossia pubblicata) mainstream, rispondono alla richiesta di
restaurare valori «veri» e, in definitiva, disciplina sociale.
Anche tu sei preoccupato di trovare «garanzie» per proporre
interpretazioni accettabili dagli altri. Appunto, «gli altri».
Proprio perché non ci sono fatti, solo interpretazioni, il solo
«zoccolo» contro cui urto e di cui devo tener conto, senza
garanzie, sono le interpretazioni degli altri. Per convincerli non ho
nessun garanzia «oggettiva»: solo certi valori condivisi, certe
esperienze comuni, certe letture che abbiamo fatto, persino – ormai
ne sono consapevole – certe appartenenze di classe. La pericolosità
dell’ermeneutica è tutta qui: insegna che la sola interpretazione
sicuramente falsa (limiti dell’interpretazione!) è quella che non
riconosce di essere tale, che pretende di parlare dal punto di vista
di Dio e dunque rifiuta di negoziare, pensando di possedere la verità
vera. Ma anche la verità di una proposizione scientifica è tale
solo se gli altri, coloro che ripetono l’esperimento, hanno gli
stessi risultati. C’entreranno lo zoccolo e il muro? Ma dove
sarebbero, se non in queste interpretazioni?
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