Gianni Vattimo
Tuttolibri, 2 aprile 2011
Il libro di Matthew Fox In principio era la gioia inaugura degnamente la nuova collana di teologia diretta da Vito Mancuso e Elido Fazi, che ne è l’editore (pp. 423, euro 19,50). Lo si può e deve raccomandare senz’altro come fonte di edificazione spirituale, come manuale di meditazione, come guida per una possibile esperienza mistica. Come molto spesso la teologia non è edificante, così l’edificazione sembra prestarsi poco a discussioni e argomentazioni teologiche. Che il libro sia qualcosa di più di un banale testo di edificazione, tuttavia, lo possiamo indurre dal fatto, per nulla trascurabile, che in conseguenza della sua pubblicazione (1983) l'autore fu espulso (1993), per iniziativa dell’allora cardinale Ratzinger, capo del Sant’Uffizio, dall’ordine domenicano, nel quale era stato discepolo di un grande teologo come Chenu. Se per alcuni già questa espulsione è una raccomandazione positiva, ce n’è un’altra che si scopre solo dopo la lettura delle dense trecento pagine del libro, e che suona così «Tutto questo libro, in realtà, non è altro che l’esposizione della spiritualità degli anawim, degli oppressi» (p. 331).
Non occorre dunque motivare ulteriormente la simpatia che sentiamo fin dall’inizio per il libro e il suo autore. Anche se alcuni elementi che lo caratterizzano suscitano qualche resistenza: la sistematicità della costruzione, che ripete e anche rinnova certi schemi tipici dei manuali di spiritualità della tradizione cattolica, con la articolazione di Via positiva, Via negativa, Via creativa, Via trasformativa; la fluviale abbondanza delle citazioni messe in esergo ai vari capitoli, dove è convocata tutta la storia della mistica, della poesia, del pensiero spirituale non solo dell’Occidente (e che ha anche il senso positivo di offrire una specie di summa antologica di questo pensiero). Soprattutto, ciò che attrae ma anche respinge nel libro, è il suo tono «positivo», che fa pensare talvolta a certe forme di nuova religiosità «americana» (New Age) verso cui nutriamo rispetto ma che non sentiamo nostre.
Il perché di un certo disagio verso quest’ultimo aspetto del libro è anche la sua sostanza teorica e teologica. La reazione di sospetto è motivata per l’appunto da ciò che ancora domina la nostra esperienza religiosa: siamo tutti figli di Agostino, direbbe Fox, cioè succubi di un’educazione che ci ha abituati a pensare la storia della salvezza come redenzione dalla caduta originaria nel peccato. Non per nulla il titolo inglese del libro è Original Blessing, Benedizione originale. Noi di originale abbiamo sempre conosciuto soprattutto il peccato: l’atto d’amore che ha dato luogo alla creazione, la benedizione originale, è stato subito macchiato dalla storia del serpente e della mela. La storia dei nostri rapporti con Dio è una storia di caduta, pena e redenzione, anche questa però operata solo in forza di un sacrificio, di una pena che lo stesso Figlio di Dio si sarebbe caricato sulle spalle sopportando il dolore della Crocifissione.
Ma, dice Fox, «nessuno credeva al peccato originale prima di Agostino», così per esempio Sant’Ireneo di Lione che scriveva duecento anni prima di lui (p.49). La «benedizione», l’atto di amore con cui Dio crea il mondo e ci dà la vita è un’idea biblica molto più originaria. Agostino ha costruito la dottrina del peccato originale solo negli ultimi anni della sua vita, fondandosi su un passo della lettera di Paolo ai Romani (5,12) che egli legge come se dicesse che con Adamo tutti gli uomini hanno peccato, e perciò portano in sé la stessa colpa. La filosofia occidentale (Kant: l’idea del «male radicale») ha ripreso questa dottrina ritenendo che l’inclinazione al male sia un dato naturale nell’uomo, con conseguenze importanti anche sul modo di intendere la società. E anche tutto il modo che abbiamo ereditato di considerare il corpo, i sensi, l’erotismo è profondamente legato a questo primato del peccato.
Fox si propone l’impresa niente affatto semplice di ripensare il cristianesimo fuori dalla corrusca luce che via ha imposto l'agostinismo. Non certo facendo come se di peccato non si debba più parlare - egli stesso, nelle quattro sezioni in cui illustra le sue quattro «vie», dedica pagine intense a come si configura il peccato dal punto di vista di ciascuna di esse: che si riduce sempre a una qualche forma di resistenza inerte (egoistica, conservatrice) contro la positività della relazione con il mondo, con la natura, con gli altri.
Ma le disavventure che ha incontrato con la gerarchia cattolica avvertono della difficoltà anche teorica della sua posizione, almeno sul piano dottrinale. La Chiesa ha sempre lasciato molta libertà ai tanti mistici che Fox richiama nel libro, da Ildegarda di Bingen a Meister Eckhart a Giuliana di Norwich a Simone Weil - certo non a Giordano Bruno, che è uno dei grandi ispiratori di questo testo. Ma sul piano della dottrina accettata e insegnata il discorso era ed è ancora molto più rigido. Ognuno di noi, e Fox stesso e i suoi discepoli, può (dovrebbe anzi) praticare in privato la propria religione con questo spirito di benedizione dimenticando la cupa idea della colpa collettiva. Ma da questa idea dipendono troppe «discipline», rapporti di potere, veri e propri privilegi della casta (!) sacerdotale perché una proposta di rinnovamento teologico e spirituale come questa non si scontri alla fine con la necessità di una autentica rivoluzione. Forse sarebbe ora, ma vi pare che sia il tempo propizio?
1 commento:
Fiduciosi si aspetta una metanoia vaticana, ma certo occorrerà davvero lo Spirito Santo!
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