giovedì 18 febbraio 2010

Eutanasia: il caso inglese

Qui sotto trovate la mia intervista di oggi, su La Stampa, relativa al caso del presentatore della BBC, che ha confessato di avere praticato l'eutanasia sul suo compagno:

“Se non c’è speranza abbiamo il diritto di dire basta alla vita”
La Stampa, 18 febbraio 2010 (Marina Verna)

"Al presentatore della Bbc va tutta la mia solidarietà. Io sono un sostenitore dell’eutanasia". Gianni Vattimo, filosofo ed eurodeputato Idv, teorico del pensiero debole e «laico credente», è da anni in prima fila nelle battaglie per il diritto di libera scelta di una morte dignitosa.

Professor Vattimo, ogni nuovo caso di suicidio assistito che fa scandalo la radica di più nelle sue convinzioni o lentamente la converte all’idea che la vita appartiene a Dio, e solo lui può liberarti dall'agonia e dalla sofferenza?

«Io sono un pervicace sostenitore del diritto al suicidio assistito. Purché controllato con sistemi legali, ovviamente. Non stiamo parlando di accoppare il vecchio zio per ereditare i suoi beni, ma di affrontare situazioni come quella di Eluana Englaro, che esistono e non possono essere eluse. Tanto più in questo momento, in cui in Italia stiamo lottando per il diritto al testamento biologico».

Noi sappiamo che lei parla per esperienza diretta. Anche con il suo compagno, malato senza speranza, lei discusse a lungo come e quando uscire dalla vita.

«Sì, ma poi lui è morto prima di quanto non immaginassimo e senza bisogno di aiuto».

Lei dunque crede che, tra i diritti dell’uomo, ci sia anche quello al suicidio?

«Io credo che, quando non ci può essere guarigione, uno abbia il diritto di dire “basta così”. E se, per ragioni pratiche, non è in grado di provvedere da solo, possa essere aiutato a farlo in modo meno doloroso. Tutto il resto sono le chiacchiere di chi crede di dover sacrificare il diritto dei singoli a dei principi che non tutti sono tenuti a condividere».

C’è chi, in questi casi, parla di «assassinio intenzionale».

«In ogni reato grave si cerca sempre anche il movente. C’è un problema di eredità? Se non c’è, se si agisce perché un amico te lo chiede insistentemente, se era stata espressa volontà in tal senso, non vedo il reato».

Lei, che si definisce cattolico ancorché «non militante», non crede dunque nel valore della sofferenza?

«Io sono convinto che nemmeno i credenti pensino davvero che la sofferenza è un valore. Persino il Cristo sulla croce chiese al Padre di allontanargli l’amaro calice. Sostenere che solo Dio può liberarci dallo strazio della malattia o credere, con San Paolo, che con la sofferenza si partecipa alla passione di Cristo per la remissione dei peccati, mi sembra una forma di cristianesimo sanguinario. Francamente, sono dell’idea che nemmeno i teologi lo dicano seriamente. Se il dolore fosse davvero un valore, allora tanto varrebbe farsi dei taglietti su tutto il corpo o portare il cilicio».

Effettivamente c’è chi il cilicio lo porta, e lo dice apertamente. Comunque resta il problema di chi cristiano non è e non vede il senso di una sofferenza senza speranza.

«Ovvio: la legge non può imporre l’atteggiamento “religiosamente corretto” davanti alla malattia solo per compiacere la chiesa. Tanto più che questa non è mai stata lineare nei suoi comportamenti e nei suoi valori. Per esempio, fino a trent’anni fa abbiamo avuto il delitto d’onore senza che la Chiesa prendesse posizione contro. Perché adesso diventa tanto rigorosa? Francamente, l’eutanasia mi sembra più nobile del delitto d’onore».

3 commenti:

Anonimo ha detto...

Sig. Vattimo, lei si dichiara cattolico, ma non praticante e pertanto si pone contro il magistero della chiesa cattolica riguardo l'eutanasia. Questo che cos'è? Originalità a ogni costo, o semplice e deplorevole incoerenza?
Decida lei...

Gianni Vattimo ha detto...

Io non credo che Dio ci ordini di soffrire quando non ci sono ragionevoli speranze di guarigione. Il dovere di carità verso il mio prossimo mi obbliga ad aiutarlo anche quando decide di darsi la morte. Posso certo cercare di convincerlo a non farlo, posso aiutarlo a soffrire di meno – cure palliative, o anche semplice aiuto economico, ecc. – ma se poi lo decide, la sua libertà deve essere rispettata.

albe^_^ ha detto...

Il cosiddetto "libero arbitrio", no?

Per il resto, penso che ci sia anche un problema di prospettiva temporale. Secoli fa bastava un niente per crepare, e difficilmente qualcuno avrebbe potuto porsi il problema di 'alimentazioni artificiali', 'fine vita', 'testamenti biologici' e simili...

Il problema è che la dottrina è rimasta un (bel) po' indietro, e secondo me fatica ad interpretare la realtà odierna...