martedì 26 maggio 2009

VERITA', RELATIVISMO, MORALISMO


Facoltà di Filosofia CeSEP - Centro Studi di Etica Pubblica LFP - Laboratorio di Filosofia Pratica presentano

Cesano Maderno, Università Vita - Salute San Raffaele, Facoltà di Filosofia

Giovedì 28 maggio 2009, ore 11.30 - 13.30
Palazzo Arese-Borromeo, Sala dei Fasti Romani

VERITÀ, RELATIVISMO, MORALISMO
Gianni Vattimo
Roberta De Monticelli
Roberto Mordacci


Modera: Glauco Tiengo

locandina
In occasione dell’uscita dei libri
Gianni Vattimo, Addio alla verità, Meltemi, 2009
Roberta De Monticelli, La novità di ognuno. Persona e libertà, Garzanti, 2009
Roberto Mordacci, Elogio dell’immoralista, Bruno Mondadori, 2009

Il tramonto della verità è la rappresentazione più fedele della cultura contemporanea: questo vale, secondo Gianni Vattimo, non solo per la filosofia, la religione e la politica, ma anche e soprattutto per l’esperienza quotidiana di ognuno di noi. La cultura delle società occidentali è – di fatto, anche se spesso non di diritto – sempre più pluralista. I media mentono, l’informazione e la comunicazione sono un gioco di interpretazioni e ai politici si consentono molte violazioni dell’etica, e dunque anche del dovere di verità, senza che nessuno si scandalizzi. Tuttavia, la nostra società “pluralista”, come mostrano ogni giorno le discussioni politiche, continua a credere alla “metafisica” idea di verità come obiettiva corrispondenza ai fatti e si illude di creare l’accordo sulla base dei “dati di fatto”.Prendendo radicalmente le distanze da tutte le pretese di fondare la politica su un sapere scientifico, fosse pure quello dell’economia e della tecnica, Gianni Vattimo sostiene che il solo orizzonte di verità che oggi la politica e la filosofia hanno il compito di cogliere, esplicitare e costruire consiste nelle condizioni epistemologiche del dialogo sociale e interculturale. Il tema della verità va dunque ricondotto a una questione di condivisione sociale e gli intellettuali sono chiamati a pensare forme di vita più comprensibili, condivise e partecipate.L’addio alla verità è dunque l’inizio, e la base stessa, della democrazia. Prendere atto che il consenso sulle singole scelte è anzitutto un problema di interpretazione collettiva, di costruzione di paradigmi condivisi o almeno esplicitamente riconosciuti, è la sfida della verità nel mondo del pluralismo postmoderno. Perché la verità non si “incontra”, ma si costruisce con il consenso e il rispetto della libertà di ciascuno e delle diverse comunità che convivono, senza confondersi, in una società libera.

13 commenti:

Maria ha detto...

Gentile professore, potrebbe per favore spiagarmi succintamente - non pretendo una esposizione accademica, per carità-questo passo ?

"Tuttavia, la nostra società “pluralista”, (..) continua a credere alla “metafisica” idea di verità come obiettiva corrispondenza ai fatti e si illude di creare l’accordo sulla base dei “dati di fatto ".

Le prometto che leggerò il suo libro. Grazie mille

Gianni Vattimo ha detto...

Maria, perdoni. Mi era sfuggito il suo commento. Dunque: quello che voglio dire con quella frase (il libro, per altro, è scritto in modo meno criptico di quello che la frase riportata possa far pensare... lo dico per coloro che potrebbero spaventarsi) è: viviamo in una società sempre più pluralistica perché - lo dimostrano gli stessi blog, tanto per dirne una - è ormai patrimonio di tutti l'idea che tutto è discutibile, che il mondo stesso è davvero un gioco e un conflitto d'interpretazioni, ciascuna libera di stare al mondo. Il fatto stesso, così comincio il libro, che vi sia stato dibattito sulla guerra in Iraq e le sue motivazioni, che si sia stabilito che c'è stata una menzogna alla base, che i media si siano divisi pressoché su tutto quanto concerne quella guerra e i suoi artefici, che ciascuno di noi riporti una posizione legata a quanto ha letto, udito, visto, ecc. significa che tutti noi ormai sappiamo che il mondo è una società pluralistica di interessi diversi, nessuno obiettivo, e di scelte valoriali diverse. L'esempio della guerra in Iraq è, credo, illuminante: nessuno si sognerebbe di ripudiare la guerra perché basata su verità presunte, e anzi su menzogne. Certo, Saddam non aveva le armi di massa; ma quello che rimproveriamo a Bush e Blair è il fatto di essere andati in guerra, cosa con la quale non siamo d'accordo, perché ripudiamo la guerra sulla base delle nostre personali, storicamente determinate, preferenze sullo stare al mondo. Tanto che siamo invece disposti a perdonare "bugie" politiche quando sono dette a fin di bene. In fondo, se Bush e Blair avessero agito appunto a fin di bene, e se noi stessi ne fossimo stati persuasi, avremmo perdonato la bugia sulle armi di massa (l'abbiamo fatto molte volte, in altre occasioni, nel passato). Ma tutto ciò significa che, e nel libro cerco di argomentarlo filosoficamente ma non solo, è di fatto venuta meno, nella filosofia come nella politica e nell'etica, un'idea della rappresentazione della verità come corrispondenza con i dati di fatto, appunto, e si finisce per promuovere un'idea di verità di tutt'altro genere: non diciamo più che ci siamo messi d'accordo perché abbiamo trovato la verità, ma che abbiamo trovato la verità quando ci siamo messi d'accordo. Naturalmente, il compito del filosofo e del politico, così come lo percepisco io, è proprio quello di smascherare la finzione laddove essa dimori indisturbata: per esempio quando si invocano la natura e le sue leggi come "verità" che s'impongono all'uomo (che dunque non può far altro che orientare la sua vita in tal senso) per costringerlo al rispetto della vita a tutti i costi. Concludo con l'esempio: no all'eutanasia, dice il Vaticano. Perché? Perché la vita è un dono di Dio. Già, ma di ciò ce ne accorgiamo soprattutto quando siamo costretti a letto, magari in coma o paralizzati, mentre conduciamo una vita poco più che vegetale, che fa soffrire noi e chi ci sta intorno. Soprattutto: che razza di dono è, se siamo costretti a viverlo in queste condizioni? Non è - o non è più - un dono, a meno che la parola dono sia interpretata diversamente dal suo significato storico. E via dicendo. S'invocano le leggi naturali del mercato come vere, imbattibili: ma allora dobbiamo rassegnarci alla lotta di tutti contro tutti, e vinca il più forte? Si riduce a ciò la vita dell'uomo sulla terra? Al rispettare leggi imposte dalla verità, anche laddove potremmo modificare l'ambiente in cui viviamo per realizzare forme di convivenza migliori per tutti noi? Infine: addio alla verità, viva la carità. Questo è il senso migliore del messaggio cristiano. Nel libro spiego perché la penso così... ma è già troppo lunga, questa mia risposta. Ne possiamo parlare al telefono, come direbbe Rodari. A presto, GianniV

Maria ha detto...

Grazie professore,
ho letto rapidamente la sua più che esaustiva risposta. Faccio copia e incolla e la rileggerò con calma. Mi ha dato molto più di un prezioso spunto per illuminare le mie riflessioni quotidiane. Sul rapporto politica e verità stavo pensando a quello che ha scritto la Arendt sulla "verità di fatto" , ma vorrei prima leggere il suo libro. Grazie ancora,
Maria

Roberto Vai ha detto...
Questo commento è stato eliminato dall'autore.
Roberto Vai ha detto...

Caro professor Vattimo,
ho letto il suo libro "Addio alla Verità".
Concordo con la sua analisi, la verità assoluta non c’é, dobbiamo finalmente prenderne atto. Ritengo però che nel suo scritto non abbia affrontato sufficientemente degli aspetti che sono invece, secondo me, basilari. E che mi permetto qui di sintetizzare:

1) Per prima cosa la considerazione che stiamo vivendo in un’epoca paradossale. Si nega la Verità e poi si hanno un sacco di certezze! Si è certi di sapere cosa sia la realtà, la materia, la vita... persino di aver compreso cosa sia l’infinito!
Mai come oggi si è certi di molte cose, e poi si nega la Verità... una contraddizione in termini, che denota la lacerazione in atto.

2) E’ perciò importante cercare di capire l’intimo significato di ciò che noi intendiamo per “vero”. Secondo me, la verità è ciò che è fondamento. Fondamento a che cosa? Alla nostra comprensione del mondo.
Noi intendiamo con vero ciò che sostiene i nostri concetti. Senza il vero cadremmo nel caos! I nostri concetti sono però in continua evoluzione. Di modo che questa nostra verità è solo una verità temporale. Soggetta, nel divenire, a tramutarsi in falsità.
La verità temporale sempre muta, ciò che era vero ieri non lo è più oggi.
Perciò, questa nostra verità è il continuo superamento della falsità. La quale, essendo mancanza di fondamento, non ci può soddisfare. L'esigenza profonda è perciò di una Verità assoluta, che sia stabile eterno fondamento.
Ma questa Verità non c’é, non può comparire, perché se ciò avvenisse la vita cesserebbe. In quanto la vita è superamento della falsità!

3) La constatazione che la Verità non può esserci, proprio non può, è un presa di coscienza che non ha nulla di razionale, e se non affrontata fino in fondo porta al nichilismo, ma è la chiave per il passo necessario da compiere.
Questo passo è: aver fede nella Verità!
Verità assolutamente sconosciuta, perché non c’é nel nostro mondo immanente, dove vige l’inesorabile scissione soggetto – oggetto, e proprio non “essendoci”... ne è il fondamento.
Il fondamento non può "esserci", perché se "ci" fosse, avrebbe bisogno a sua volta di un fondamento (e sarebbe questo e non quello il "vero" fondamento).

Le cifre di Jaspers sono proprio il riconoscimento del rimando al fondamento, che in sé è irraggiungibile. Se cerco la Verità nell'esserci, non la trovo, ma ogni cosa del mondo diventa man mano cifra, cifra della Trascendenza.

Esistono dei concetti che più di altri rimandano alla Trascendenza. E che io chiamo trascendenti, in quanto sono in sostanza inconcepibili, ma pure indispensabili perché li utilizziamo come fondamenti del nostro pensare: senza di essi cadremmo nel caos.
Alcuni di essi sono: Vero, Infinito, Caso, Giustizia, Materia, Vuoto...
Sovente non ce ne accorgiamo, ma questi concetti parlano di ciò che non c'é, e proprio con il loro "non esserci" sono il necessario fondamento di ogni nostro pensare.
Sono più una tensione verso... che un possesso di...

Vorrei farle un esempio con la “materia”.
Se vi fosse una parte infinitesima di spazio occupata da “Vera” materia, ovvero da un corpo nel quale non vi sia per niente del vuoto, ecco, l’universo vi collasserebbe.
E il medesimo succederebbe se vi fosse una parte infinitesima di spazio occupata da “Vero” vuoto.
Non so se riesco a comunicare l'enormità di uno spazio occupato da "vera" materia...
La materia e il vuoto si legittimano l’un l’altro, ma nessuno dei due si erge da sé medesimo. La loro essenza è nel loro stesso gioco. La materia e il vuoto sono due scogli tra i quali occorre passare, per andare oltre, perché su di essi è impossibile approdare. In quanto non “ci” sono.
E questo vale per qualsiasi coppia di concetti come Caso / Necessità, Finito / Infinito, Bene / Male, Essere / Nulla.

Fede nella Verità, questa è l’unica fede davvero necessaria.

Cari saluti
Roberto Vai

Gianni Vattimo ha detto...

Caro Vai, grazie delle Sue osservazioni. Cerco di rispondere in breve, ma ci penserò ancora. 1) (ad primum, direbbe san Tommaso) mi sembra che empiricamente non tenga. Chi nega la verità non ha certezze assolute, e coloro che ritengono di averne non negano la verità. Ma capisco che questo punto è solo una introduzione, quindi non mi ci fermerei tanto. 2) ad secundum: ma il fondamento non è anch'esso un concetto? O che altro? Falsità è mancanza di fondamento, cioè di che? Non ci soddisfa, dice lei. Appunto: ciò che riteniamo mancanza di fondamento è solo il fatto che una certa tesi non ci soddisfa. Ma allora non sarebbe giusto adottare una definizione pragmatica del vero - "quello che è buono per noi", diceva James… 3) ad tertium: francamente qui mi pare che l'aggettivo "vero" sia usato per "autentico": vero oro, vero vuoto, ecc. Non nego però che la tensione di Jaspers (che con il vero oro e il vero vuoto non c'entra) verso la Trascendenza non mi è estranea; ma come forse Lei sa, io ho analizzato questi termini, contenuti, concetti piuttosto con Heidegger che con Jaspers. Chi ha ragione? Lei crede davvero che si potrebbe riferirsi a un fondamento per decidere questa questione? Nello stesso libro “Addio alla verità” credo si capisca che preferisco Heidegger perché mi permette di progettare emancipazione, trasformazione, progettualità. Un saluto cordiale e ancora grazie. GVattimo

Roberto Vai ha detto...

Caro Vattimo, la ringrazio per la sua risposta.
Gli scritti di Heidegger hanno sempre suscitato in me una profonda avversione. La cosa mi stupiva, perché non sapevo darmene una chiara ragione.
Leggendo lo scritto autobiografico di Jaspers su Heidegger, pubblicato su Micromega (3/2006), ho finalmente avuto conferma dei miei sospetti. Heidegger filosofa utilizzando esclusivamente la razionalità, di cui è particolarmente dotato, ma non con lo spirito. Nei suoi pensieri, tanto acuti razionalmente, non si mette mai in gioco, in prima persona.
Per cui tutta la sua costruzione è senz’altro ammirevole, come impegno dell’intelletto, ma vuota di ciò che davvero conta: l’umanità.
Le ho scritto proprio nella speranza di suscitare in lei una qual perplessità riguardo alla sua predilezione per Heidegger.
La sua risposta mostra, a mio parere, il negativo influsso di questo cattivo maestro. Che è tanto ammirato proprio perché brilla per la sua razionalità, mentre il suo cuore è però immerso nelle tenebre.
Ben diverso è Jaspers, filosofo che vive la passione per la Verità, e ne sperimenta lo slancio e l’inevitabile naufragio.

Certamente il fondamento è un concetto, non possiamo comunicare senza i concetti, ma un conto è fermarsi all’ovvio significato, un altro è percepire ciò che il concetto trasmette, a noi direttamente, in prima persona!
Verità, realtà, fondamento... sono sempre il medesimo sostegno, indispensabile per non cadere nel caos, ma che è in sostanza inconcepibile.
Con “vera” materia, o “autentica” materia, o “reale” materia, o semplicemente con “materia”, si intende sempre il medesimo fondamento. Che non c’é, perché la Verità non c’é. Esso è solo cifra, cifra della Trascendenza.
Trascendenza che potrebbe essere il nulla assoluto, così come il nulla fonte d’infinite possibilità.
Ed è per questo che non è tanto una questione di carità, ma di fede, fede nella Verità.

Mi scusi se posso essere sembrato duro, ma il mio intento è solo di essere di qualche aiuto.

Cari saluti
Roberto Vai

Roberto Vai ha detto...

Caro Vattimo, vorrei solo aggiungere che la questione in gioco non è da poco. Il nichilismo avanza, ha già dato prova di sé con il nazifascismo. Che è stato, secondo me, solo un precursore di ciò che il nichilismo potrà portare... L’Italia ne è stata l’incubatrice allora, e pare che potrà esserlo ancora per il futuro.
Il nichilismo va affrontato, i rimedi escogitati dall’uomo, come lo sono state le religioni, non giovano più. Il nichilismo non è che l’esito inevitabile a cui perviene lo sviluppo della razionalità. Ed era già presente in nuce alla nascita del primo pensiero razionale.
La razionalità, tuttavia, non è che uno strumento, senz’altro importante, indispensabile, ma solo uno strumento, non è fonte di Verità!
Per superare il nichilismo occorre andare alle origini del nostro conoscere, e per far ciò la razionalità non è sufficiente, perché dobbiamo giungere ai suoi fondamenti, e i suoi fondamenti non le appartengono (come potrebbero?).
In questa impresa Karl Jaspers può darci un aiuto importante.

Anonimo ha detto...

"Il nichilismo avanza, ha già dato prova di sé con il nazifascismo. Che è stato, secondo me, solo un precursore di ciò che il nichilismo potrà portare..."

Scusa Bob, se mi mi intrometto nella diatriba.
Premettto di non essere un esperto di questioni morali - filosofiche, ma la tua equazione nichilismo = nazionalsocialismo, non mi convince molto. Non è che per via di un presupposto pregiudiziale stai confondendo nichilismo con "qualunquismo"?

Roberto Vai ha detto...
Questo commento è stato eliminato dall'autore.
Roberto Vai ha detto...

Ciao Anonimo, non penso che il nazifascismo abbia a che fare direttamente con il qualunquismo. Il qualunquismo presente in una società può favorire l’avvento del nazifascismo, perché è una forma di debolezza della società stessa (il qualunquista non vi si oppone), ma non è il qualunquismo che origina il fascismo.
Il fascismo deriva invece, secondo me, dalla volontà di potenza, e questa volontà è la risposta delirante alla visione nichilista della realtà.
Anche il qualunquismo può originarsi dal nichilismo, ma in questo caso è un nichilismo debole, di chi non affronta davvero la questione, ma ripiega sul vivacchiare al meglio.
Il nichilismo nasce dall’angoscia esistenziale, che deriva a sua volta dall’interpretazione razionale della realtà. Se lo si affronta con decisione credendolo “Verità” assoluta, fidando cioè nella sola razionalità, l’esito non può che essere o il ripiegare su se stessi, oppure il delirio della volontà di potenza.

Ciao
Roberto Vai

Anonimo ha detto...

Ciao Roby, che bello che anch'io possa filosofare. Grazie per l'opportunità che mi offri. Dunque andiamo con ordine, tu scrivi:

"Il qualunquismo presente in una società può favorire l’avvento del nazifascismo, perché è una forma di debolezza della società stessa (il qualunquista non vi si oppone), ma non è il qualunquismo che origina il fascismo."

Innanzitutto bisognerebbe metterci d’accordo sul termine “qualunquismo” e quindi contestualizzarlo, cioè inserire quel termine in quel clima europeo del primo dopoguerra . Essendo, come andavano dicendo in quel periodo Mosca e Pareto, la società civile lo specchio della società politica,"le debolezze" quindi sono forze che interagiscono, cioè presupposti che caratterizzano un dialogo potente fra governanti e governati. “Il qualunquista” non si oppone, è vero. Ma il qualunquista si lascia indottrinare senza opporre nessuna resistenza non perché la sua coscienza sia “ tabula rasa” , cioè non abbia dei valori di riferimento, anzi! Dio, Patria e famiglia hanno nel suo cuore un posto privilegiato ed è su quei valori che il fascismo fa leva, per rafforzare il consenso, e quei valori, a loro volta, danno forza e legittimità al potere ufficiale. Si tratta, insomma di un processo interattivo e libero. Non è il qualunquismo che origina il fascismo, non è però del tutto vero. Dentro quella ideologia confluisce non solo il mito del guerriero e della potenza, ma anche la mentalità del buon padre di famiglia, del buon borghese , della prolifica madre fedele al marito alla chiesa e alla Patria, del contadino senza terra come del ricco industriale… Un’eterogeneità di interessi che rispecchiano eterogenei atteggiamenti , mentalità, valori etc… Non c’è “il nulla” in tutto ciò, al contrario, il fascismo come un grande calderone accoglie dentro tutto, tutto ciò che è possibile “raccattare” . Ed è per ciò una realtà opposta allo svuotamento, al nichilismo. Ecco come la vedo io , da profano del pensiero filosofico

Roberto Vai ha detto...

Ciao Anonimo, concordo con tutto quanto hai scritto. Il “fascismo come calderone che accoglie dentro tutto” non è il nulla. E vi compaiono difatti molti “valori”: Dio, patria, famiglia...
Ma appunto, il fascismo non è nichilismo, però ne deriva, ne è la risposta viscerale. Ed è proprio perché viene generato dalle viscere, come reazione al nulla, che accoglie dentro tutto.
Questo “tutto” viene in questo modo contrapposto al “nulla”, come baluardo che è però senza speranza. Delirio di volontà di potenza in risposta all’effettivo, seppur non dichiarato nemmeno a se stessi, svuotamento di ogni “verità”.

Il nichilismo è però pure una grande opportunità, la sfida necessaria a cui siamo tutti chiamati. Il suo superamento potrebbe rivelarsi un evento epocale, paragonabile alla nascita della razionalità. Il suo non superamento potrebbe invece farci precipitare nell’abisso.
Dipenderà da noi. Se a prevalere saranno le viscere, oppure se riusciremo ad andare oltre.

I migliori interpreti del nichilismo, come Nietzsche o Leopardi sono lontani mille miglia dal fascismo, erano grandi uomini e affrontavano con coraggio l’orrore del nulla. Ma non ne avevano compreso l’essenza: il significato dato al Divenire. Perché se la Verità non c’é... neppure la nostra interpretazione del Divenire è senz’altro vera.