Beata ignoranza
L'Espresso, 6 maggio 2011
Ciò che immediatamente incuriosisce e insieme insospettisce, del libro di Vladimir Jankélévitch uscito in questi giorni presso Einaudi (con una lucida introduzione storico-teorica di Enrica Lisciani Petrini) è anzitutto il titolo: "Il non-so-che e il quasi-niente" (pp. 500, euro 28). Pubblicato in Francia nel 1957, aveva incontrato scarsa attenzione nella cultura italiana, nonostante una prima traduzione del 1987. Per molti critici, il provocatorio titolo faceva pensare a uno scritto di ispirazione spiritualistico-edificante, quindi fatalmente reazionario, soprattutto se si pensa che le opere che uscivano negli stessi anni Cinquanta erano cariche di accenti critici o rivoluzionari: neopositivismo, esistenzialismo sartriano, marxismo. Ma reazionario Jankélévitch non era mai stato; militante del Fronte Popolare negli anni Trenta, aveva partecipato alla Resistenza, anche perché come ebreo non poteva che essere antinazista.
L'Espresso, 6 maggio 2011
Ciò che immediatamente incuriosisce e insieme insospettisce, del libro di Vladimir Jankélévitch uscito in questi giorni presso Einaudi (con una lucida introduzione storico-teorica di Enrica Lisciani Petrini) è anzitutto il titolo: "Il non-so-che e il quasi-niente" (pp. 500, euro 28). Pubblicato in Francia nel 1957, aveva incontrato scarsa attenzione nella cultura italiana, nonostante una prima traduzione del 1987. Per molti critici, il provocatorio titolo faceva pensare a uno scritto di ispirazione spiritualistico-edificante, quindi fatalmente reazionario, soprattutto se si pensa che le opere che uscivano negli stessi anni Cinquanta erano cariche di accenti critici o rivoluzionari: neopositivismo, esistenzialismo sartriano, marxismo. Ma reazionario Jankélévitch non era mai stato; militante del Fronte Popolare negli anni Trenta, aveva partecipato alla Resistenza, anche perché come ebreo non poteva che essere antinazista.
Questi particolari biografici contribuiscono a motivare la curiosità positiva che ci ispira il testo. Richiamare la filosofia allo studio di quella zona - della coscienza, e anche del mondo - a cui allude il titolo di Jankélévitch sembra avere una profonda attualità, e non solo per gli specialisti. Anche il lettore profano sarà affascinato dalle finissime analisi che l'autore dedica al vissuto di ogni giorno, con il proposito di cogliervi la traccia di quel non-so-che al quale sempre ci richiama l'insoddisfazione che proviamo di fronte a ogni pretesa di sapere esaustivo e cogente. Nessuna indulgenza a salti immotivati in qualche fede - Jankélévitch è anzi un partigiano dell'immanenza; ma una sorta di appello a vigilare per non lasciarsi sfuggire, nel banale quotidiano, ciò che indica in direzione di un diverso possibile ordine delle cose.
Gianni Vattimo
Gianni Vattimo
4 commenti:
Per l'Autore "Il non-so-che e il quasi-niente" del titolo era anche biograficamente, non nel senso di 'quasi per niente ebreo' ma nel senso forse solo implicito di 'non so cosa si vuole o vorrebbe con dir niente del nulla'. Musicalmente era una meditazione sull'Impressionismo. Filosoficamente era una ispirata rappresentazione dell'Occidente contemporaneo.
MAURO PASTORE
Mi risulta anche autore di prospettive filosofiche-politiche per giusto uso o fallimentare abuso da parte di ebrei, ma ebreo no.
MAURO PASTORE
È stata èdita in verità senza sufficienti distinzioni da "Feltrinelli" sua notevolissima Opera filosofica ed estetica dal titolo "La musica e l'ineffabile".
In nota bio-bibliografica si danno notizie sulla vita dell'Autore ma non della sua vita, in quanto si inizia con affermazione senza nozione e quindi mancato dire. A rigor di logica gli ebrei russi sono un oggetto di fantasia, della ignoranza sulla religiosità possibile in Russia ed impossibile per i russi fuori Russia. Si potrebbe dire e non solo ciarlare, scrivere o parlare, di ebrei provenienti dalla Russia, ivi solo residenti, tuttalpiù si direbbe "russiani", non fosse che per esser tali non si potrebbe neppure conservare dell'ebraismo una eredità spirituale ed un retaggio religioso; dunque in tal caso il condizionale è meno che ipotetico, irreale cioè. Gli ebrei venuti dalla Russia sono ex-residenti non stabili e dunque direttamente arrivati (in meno di quanto se ne dica per altri nel libro sacro della Alleanza Antica sul numero delle generazioni funestate dagli effetti delle colpe paterne) da altri luoghi. Infatti le lande russe non consentono vera immoralità ebraica!...
Il mancato dire è colmato solo con previe informazioni sulle legislazioni passate e presenti della Francia. Chiamato e richiamato alle armi (prima della intrusione dei comandi delle truppe tedesche sotto dittatura nazista, ai quali i francesi erano tutti sottoposti soltanto indirettamente, fossero pure considerati semiti oppure ebrei o giudei) significava non obiettore di coscienza e cioè non ebreo né in rapporto, né passato né presente, con la comunità ebraica di allora che fondava la propria presenza ivi non solamente sul radicale e preventivo e stabile rifiuto della attività in esercito ma pure su relazioni uniche con obiettori di coscienza con medesima scelta etica e pratica. Ciò ne esclude il caso di origine ebraica anche solo per famiglia adottiva... Dopo che la Francia fu fatta invadere da Hitler e che l'esercito tedesco aveva regolato proprio stanziamento non a motivo di presenze straniere ma incontrando in questo ostilità da stessi capi nazisti, i quali con il servizio poliziesco siglato "S.S." imponevano quindi agli stranieri resoconti e lavori (mediante i quali poi volevano dare stime o ripudi, per generosità assurdamente autentiche o inautenticamente opportune, o con giustizia solo ideale o ingiustizia non solo ideale), egli che aveva già deciso di espatriare ma ancora francese era stato scambiato per straniero ed esentato da milizie francesi, all'estero ancora attive ed in guerra più o meno segreta, in Francia sotto blocco imposto da Hitler stesso, che invitava i soldati francesi ad entrare in esercito tedesco ma solo per rimandarli indietro sotto qualifica di "gentili e generosi ma non valorosi e semplici quanto i nostri". Questa trista amenità gli fu risparmiata, così il dramma del fraintendimento non gli era un peso ed allora poteva entrare in resistenza attiva e diretta contro il regime nazista, che a lui era inopportunamente positivo, intollerabile anche se lui per volontario espatrio dalla Francia...
Del resto tra i suoi lavori ne è menzionato uno a Lille, luogo allora a statuto culturale speciale (non diversamente adesso), per il quale di fatto necessario assolutamente disporre di esperienza di vita radicalmente altra da quelle di cui ebraismo e giudaismo sono reali non ideali possibilità...
...
MAURO PASTORE
MAURO PASTORE:...
Inoltre risulta cronaca sbagliata la notizia intorno al contributo alla Causa dello Stato di Israele, dato che contributo era in principio del tutto opposto, solamente dopo rifacimenti di quello Stato risultando favorevole, dunque si trattava di Causa per un altro Stato di Israele!... Riguardo a notizia di anno di morte, 1985, questa fu desunta da rapporti burocratici mal intesi. Infatti che io sappia era stato comunicato espatrio senza specificazione e non confermato arrivo in Israele ad altrui domanda; fosse morto in detto anno ciò per un ignorante potrebbe essere ipotesi da non scartare, ma non è attendibile il racconto di sua dedizione allo Stato di Israele e di sua intenzione di trasferirvisi non realizzata a causa di presunto intervenuto suo decesso.
In stessa nota di edizione si continua con elenchi di pubblicazione ma sotto distinzione che Autore di opera non della nota definiva per i non esperti di sue attività oppure ignari di filosofia e musica e che mostrava ugualmente agli altri, ragion per cui in nota stessa della edizione "Feltrinelli" non si offre quadro abbastanza attendibile del senso reale da conferirsi ad esse.
MAURO PASTORE
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