Carta, 22 maggio 2011.
Chiara Sasso
Uno dei tanti balconi che si affacciano sulla strada dove sta partendo la manifestazione Notav, Rivalta-Rivoli, è addobbato con bandiere. Qualcuno da sotto in su grida: «Cosa fate, non venite?». «Abbiamo la cresima oggi, non si può». Basterebbe questo come carta di presentazione del popolo Notav che ha di nuovo riempito le strade questa volta fuori dalla valle di Susa. Tracciato che interessa la Collina morenica di Rivoli, alle porte di Torino.
Sabato 21 maggio, per la questura quattromila, per l’Ansa quindicimila. Tanti. Come i trattori che hanno aperto la strada: oltre sessanta. Bambini saliti a grappoli, qualcuno è impegnato ad asciugare il sudore al padre impegnato al volante, dentro la cabina si muore di caldo. I cartelli sui musi dei trattori riportano frasi del tipo: La Coldiretti c’è: «Fermiamo il consumo del territorio». «In marcia per difendere l’ambiente, la nostra vita, l’agricoltura». Il segretario provinciale al termine della manifestazione ricorderà: «Oggi tutti hanno lasciato i lavori in cascina, il fieno lo imballeranno domani». Molti commentano l’accaduto di pochi giorni fa al termine di un consiglio comunale aperto, proprio a Rivoli. Un funzionario della Provincia, Paolo Foietta, con il compito di spiegare il tracciato del Tav è stato messo alle strette dal fuoco di domande di un pubblico sempre più esigente e incazzato, alla fine non ha avuto altri argomenti se non quello di appioppare un ceffone all’ex presidente provinciale della Coldiretti, Carlo Gottero. Finimondo. Il giorno dopo Stefano Esposito e Gianfraco Morgando, sottoscrivevano un comunicato Pd nel quale si esprimeva la più totale solidarietà a Foietta, il quale era stato costretto a subire un clima pesante, esasperato, tanto da fargli saltare i nervi e costringerlo a dare un «buffetto» al provocatore Gottero.
Certo non è da tutti poter vantare, come il movimento Notav, una professionalità nonviolenta acquisita in vent’anni, lotta pacifica, precisa come una goccia d’acqua, solo tante domande. Insopportabile.
Apre la manifestazione lo striscione: «In valle in pianura come a Chiomonte». «Hanno provato a Convincerci, a Costringersi a Comprarci», dirà al termine della manifestazione Sandro Plano presidente Comunità Montana, «ma noi siamo ancora qui perché quest’opera è una grandissima bufala. Lo dimostra l’ultima sparata, dicono che l’opera verrà fatta per fasi: prima il tunnel di Chiomonte, poi il nodo di Torino, il pezzo in mezzo, la bassa Valle di Susa, secondo loro se ne parlerà nel 2023. Che senso ha?». Tutto questo deciso nel vertice istituzionale del 3 maggio a Palazzo Chigi con il sottosegretario Gianni Letta, il ministro dei trasporti e delle Infrastrutture, Altero Matteoli, il presidente dell’Osservatorio Tav Mario Virano, il presidente della Regione Piemonte, Roberto Cota, e della Provincia, Antonio Saitta, il sindaco di Torino, Sergio Chiamparino, e solo alcuni dei sindaci della valle fra questi Antonio Ferrentino. Fuori a protestare con tanto di fascia i sindaci valsusini esclusi dall’incontro.
Chiamparino spiega: «E’ una questione di mancanza di soldi ma anche di ordine pubblico, proseguendo per fasi consentirà che, per almeno un decennio, sarà risparmiata quella parte della Val di Susa che oggi è più contraria alla sua realizzazione». Entro dieci anni saranno sfiancati? Distrutti? tutti morti?
«Sono cresciuto a pane e Notav», diceva un cartello. Una storia lunga vent’anni ha visto crescere generazioni. E sfilano anche oggi, carrozzine e bambini di tutte le età. Passano uno dopo l’altro i comitati dei paesi della valle di Susa: Meana, Sant’Antonino, Sant’Ambrogio, Vaie…e via di seguito. Tutti con il suo carico di storie, gente che litiga e si vuol bene, qualcuno passa a miglior vita, qualcuno nasce e fra una sepoltura, un battesimo una cresima si cementa un’unione fra persone che vuole metterci il naso e capire. Fuori non si capisce.
Madonne del Rocciamelone e alpini. Irrompe nel corteo perfino una grandissima bandiera italiana, alzata con un orgoglio tutto nuovo, ricorda: «Anche noi rappresentiamo l’Italia». Scarponi sotto il letto [passerà il giro d’Italia e poi il ballottaggio delle elezioni].
Una di queste sere correremo a Chiomonte. L’ottobre scorso l’Unione europea aveva concesso l’ultima proroga, per non perdere i soldi i cantieri della galleria alla Maddalena devono essere aperti entro il 31 maggio. Per intanto proprio lì è stato costruito un pilone votivo, con santi: San Francesco e la Madonna. Sabato è stato benedetto da don Michele, sotto una pioggerella sottile in una atmosfera che «da tanto non sento in chiesa».
Fra manifestazioni, consigli comunali, iniziative e polentate un aggancio anche con l’Unione europea. Sette eurodeputati [Luigi De Magistris, Sonia Alfano, Gianno Vattimo, Catherine Grèze, Eva Lichtenberger, Sabine Wils, Paul Murphy] di cinque paesi [Italia, Francia, Austria, Germania e Irlanda] e tre gruppi politici hanno chiesto al presidente della Commissione europea e commissione ai Trasporti, perché in contrasto con i principi espressi dalla Convenzione di Arhus alle riunioni del Governo italiano sono esclusi i sindaci di diciassette comuni e il presidente della Comunità Montana, mentre sono stati ammessi sindaci di comuni non interessati all’opera.
Perché vista la massiccia e persistente opposizione popolare a quest’opera è stato chiesto che l’installazione dei cantieri venga fatta con la militarizzazione dell’intera zona. Perché si è deciso di buttare via tutti questi soldi pubblici?
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