Un articolo di Famiglia Cristiana (26 luglio, http://www.stpauls.it/fc/0930fc/0930fc26.htm, di Roberto Zichittella) sull'insediamento del Parlamento europeo. Come vedete, Verhofstadt si è subito fatto sentire!
È la legislatura della svolta. In attesa di avere maggiori poteri reali, previsti dal Trattato di Lisbona, ha rimandato a settembre Barroso. Che dovrà sudarsi la rielezione.
Strasburgo
Il portoghese José Manuel Barroso, presidente della Commissione europea, passerà l’estate a studiare. Il Parlamento europeo di Strasburgo ha deciso di "rimandarlo" a settembre prima di decidere se concedergli un secondo incarico alla guida della Commissione di Bruxelles. E per lui non sarà un esame facile. Dovrà portarsi sotto l’ombrellone molti dossier: dovrà mostrare tutte le sue capacità di persuasione per convincere gli europarlamentari, ora più perplessi che entusiasti rispetto a una sua possibile rielezione.
A Barroso viene rimproverata un’eccessiva sudditanza verso i 27 Governi dell’Ue. Secondo molti eurodeputati, inoltre, la Commissione non ha saputo affrontare in modo adeguato la crisi economico-finanziaria. «Ha cessato di essere il motore dell’integrazione europea», spiega l’ex premier belga Guy Verhofstadt, presidente dell’Alleanza dei democratici e dei liberali per l’Europa.
Così, nella sua prima sessione dopo le elezioni di giugno, il nuovo Parlamento europeo ha sùbito alzato la testa e picchiato i pugni sul tavolo. Vuole dire la sua, fissare l’agenda e rivendicare i propri poteri di fronte agli Stati membri e alla Commissione. L’attenzione dell’Europarlamento è fissata sulla data del 2 ottobre, quando i cittadini irlandesi torneranno a esprimersi con un referendum sul Trattato di Lisbona. Bocciato in un primo referendum, questa volta il Trattato potrebbe avere luce verde. Con la sua entrata in vigore, il Parlamento acquisirà maggiori poteri decisionali in molti campi quali gli affari interni, l’agricoltura e il bilancio, nonché per la nomina delle alte cariche delle istituzioni europee.
Barroso sarebbe il candidato forte del Partito popolare europeo, uscito vincitore dal voto di giugno. Ma il Ppe, con 265 eletti, non ha la maggioranza assoluta (369 voti), indispensabile per riconfermarlo. E anche all’interno del Ppe non tutti sono convinti dai risultati ottenuti dall’ex primo ministro portoghese «Vincere le elezioni non basta a fare una politica», osserva David Sassoli, eletto a Strasburgo per il Pd e confluito nel gruppo dell’Alleanza progressista dei socialisti e dei democratici (S&D).
Per essere rieletto, Barroso deve contare su un’alleanza fra il Ppe, i socialisti, l’Alleanza dei democratici e liberali. Serve cioè un compromesso. Simile a quello che ha portato il polacco Jerzy Buzek alla presidenza dell’Europarlamento. Buzek (Ppe) resterà in carica per la prima parte della legislatura, ma dopo due anni e mezzo cederà la poltrona a un esponente socialista, probabilmente il tedesco Martin Schultz, il politico a cui Berlusconi diede del "kapò".
«Il Parlamento europeo è sempre stato un luogo di grandi compromessi, ma credo sia normale quando si rappresentano quasi 500 milioni di cittadini e 27 Paesi. Il problema è che spesso la mediazione porta a fare la metà di quello che serve fare», fa notare Gabriele Albertini, l’ex sindaco di Milano al suo secondo mandato a Strasburgo.
Il portoghese José Manuel Barroso, presidente della Commissione europea, passerà l’estate a studiare. Il Parlamento europeo di Strasburgo ha deciso di "rimandarlo" a settembre prima di decidere se concedergli un secondo incarico alla guida della Commissione di Bruxelles. E per lui non sarà un esame facile. Dovrà portarsi sotto l’ombrellone molti dossier: dovrà mostrare tutte le sue capacità di persuasione per convincere gli europarlamentari, ora più perplessi che entusiasti rispetto a una sua possibile rielezione.
A Barroso viene rimproverata un’eccessiva sudditanza verso i 27 Governi dell’Ue. Secondo molti eurodeputati, inoltre, la Commissione non ha saputo affrontare in modo adeguato la crisi economico-finanziaria. «Ha cessato di essere il motore dell’integrazione europea», spiega l’ex premier belga Guy Verhofstadt, presidente dell’Alleanza dei democratici e dei liberali per l’Europa.
Così, nella sua prima sessione dopo le elezioni di giugno, il nuovo Parlamento europeo ha sùbito alzato la testa e picchiato i pugni sul tavolo. Vuole dire la sua, fissare l’agenda e rivendicare i propri poteri di fronte agli Stati membri e alla Commissione. L’attenzione dell’Europarlamento è fissata sulla data del 2 ottobre, quando i cittadini irlandesi torneranno a esprimersi con un referendum sul Trattato di Lisbona. Bocciato in un primo referendum, questa volta il Trattato potrebbe avere luce verde. Con la sua entrata in vigore, il Parlamento acquisirà maggiori poteri decisionali in molti campi quali gli affari interni, l’agricoltura e il bilancio, nonché per la nomina delle alte cariche delle istituzioni europee.
Barroso sarebbe il candidato forte del Partito popolare europeo, uscito vincitore dal voto di giugno. Ma il Ppe, con 265 eletti, non ha la maggioranza assoluta (369 voti), indispensabile per riconfermarlo. E anche all’interno del Ppe non tutti sono convinti dai risultati ottenuti dall’ex primo ministro portoghese «Vincere le elezioni non basta a fare una politica», osserva David Sassoli, eletto a Strasburgo per il Pd e confluito nel gruppo dell’Alleanza progressista dei socialisti e dei democratici (S&D).
Per essere rieletto, Barroso deve contare su un’alleanza fra il Ppe, i socialisti, l’Alleanza dei democratici e liberali. Serve cioè un compromesso. Simile a quello che ha portato il polacco Jerzy Buzek alla presidenza dell’Europarlamento. Buzek (Ppe) resterà in carica per la prima parte della legislatura, ma dopo due anni e mezzo cederà la poltrona a un esponente socialista, probabilmente il tedesco Martin Schultz, il politico a cui Berlusconi diede del "kapò".
«Il Parlamento europeo è sempre stato un luogo di grandi compromessi, ma credo sia normale quando si rappresentano quasi 500 milioni di cittadini e 27 Paesi. Il problema è che spesso la mediazione porta a fare la metà di quello che serve fare», fa notare Gabriele Albertini, l’ex sindaco di Milano al suo secondo mandato a Strasburgo.
Euroscetticismo e destra razzista
Nel nuovo Europarlamento forze politiche di orientamento diverso sono spinte al compromesso e alla mediazione anche per arginare gli euroscettici (senza contare i gruppi apertamente antieuropei e razzisti) che hanno conquistato un seggio. Sono politici, come il francese Le Pen e i leghisti italiani, sempre pronti a scagliarsi contro "i burocrati di Bruxelles", ai loro occhi colpevoli di sottrarre la sovranità ai popoli. Ma gli euroscettici sono tanti, quasi in ogni nazione rappresentata all’Europarlamento.
«Bisogna impegnarci contro le forze politiche che vogliono tirare giù la saracinesca dell’Europa», assicura Pier Antonio Panzeri, ex segretario generale della Camera del lavoro di Milano, eletto per il Pd.
«Attenti a non demonizzare i nemici dell’Europa, perché rappresentano una parte dell’opinione pubblica che non possiamo trascurare. Piuttosto che isolarli dobbiamo convincerli», mette in guardia Rachida Dati, ex ministra del Governo francese. Pur convinto delle necessità di fare argine contro i nemici dell’Europa presenti a Strasburgo il filosofo Gianni Vattimo (Italia dei Valori) ha un timore: «Non vorrei che il giusto desiderio di fare blocco contro gli antieuropei porti agli estremi il compromesso, creando una melassa indistinta nella quale si annullano le differenze fra i vari gruppi. Un po’ di sano estremismo ci vuole». Di sicuro non è sano l’estremismo di gruppi come il British national party, un gruppo di ispirazione fascista rappresentato a Strasburgo dal suo leader Nick Griffin. Tronfio, tarchiato e con il ghigno da squalo, Griffin dice e ripete (lo ha fatto anche davanti ai nostri occhi) che bisognerebbe affondare i barconi carichi di disperati che attraversano il Mediterraneo diretti verso le coste meridionali dell’Europa.
Queste parole fanno rabbrividire Rita Borsellino. Nel suo primo giorno da europarlamentare, la sorella del giudice Paolo, assassinato a Palermo nel 1992, ha presentato un’interrogazione perché l’Europa presti attenzione al decreto sulla sicurezza voluto dal Governo italiano. «Nella mia vita», afferma la Borsellino (S&D), «credo di aver dimostrato di non temere le sfide. Non ho paura a confrontarmi, con asprezza, se necessario, con chi ha posizioni opposte alle mie. Non ho paura anche perché credo che la difesa dei diritti dell’uomo e la salvaguardia dei più deboli sia una linea assoluta e universale, che nessuno può mettere in discussione».
Nel nuovo Europarlamento forze politiche di orientamento diverso sono spinte al compromesso e alla mediazione anche per arginare gli euroscettici (senza contare i gruppi apertamente antieuropei e razzisti) che hanno conquistato un seggio. Sono politici, come il francese Le Pen e i leghisti italiani, sempre pronti a scagliarsi contro "i burocrati di Bruxelles", ai loro occhi colpevoli di sottrarre la sovranità ai popoli. Ma gli euroscettici sono tanti, quasi in ogni nazione rappresentata all’Europarlamento.
«Bisogna impegnarci contro le forze politiche che vogliono tirare giù la saracinesca dell’Europa», assicura Pier Antonio Panzeri, ex segretario generale della Camera del lavoro di Milano, eletto per il Pd.
«Attenti a non demonizzare i nemici dell’Europa, perché rappresentano una parte dell’opinione pubblica che non possiamo trascurare. Piuttosto che isolarli dobbiamo convincerli», mette in guardia Rachida Dati, ex ministra del Governo francese. Pur convinto delle necessità di fare argine contro i nemici dell’Europa presenti a Strasburgo il filosofo Gianni Vattimo (Italia dei Valori) ha un timore: «Non vorrei che il giusto desiderio di fare blocco contro gli antieuropei porti agli estremi il compromesso, creando una melassa indistinta nella quale si annullano le differenze fra i vari gruppi. Un po’ di sano estremismo ci vuole». Di sicuro non è sano l’estremismo di gruppi come il British national party, un gruppo di ispirazione fascista rappresentato a Strasburgo dal suo leader Nick Griffin. Tronfio, tarchiato e con il ghigno da squalo, Griffin dice e ripete (lo ha fatto anche davanti ai nostri occhi) che bisognerebbe affondare i barconi carichi di disperati che attraversano il Mediterraneo diretti verso le coste meridionali dell’Europa.
Queste parole fanno rabbrividire Rita Borsellino. Nel suo primo giorno da europarlamentare, la sorella del giudice Paolo, assassinato a Palermo nel 1992, ha presentato un’interrogazione perché l’Europa presti attenzione al decreto sulla sicurezza voluto dal Governo italiano. «Nella mia vita», afferma la Borsellino (S&D), «credo di aver dimostrato di non temere le sfide. Non ho paura a confrontarmi, con asprezza, se necessario, con chi ha posizioni opposte alle mie. Non ho paura anche perché credo che la difesa dei diritti dell’uomo e la salvaguardia dei più deboli sia una linea assoluta e universale, che nessuno può mettere in discussione».
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