giovedì 12 settembre 2013

Zitto e taci. È la procedura

di Marco Bascetta, Il Manifesto


Non accade con frequenza che un conflitto radicato in un territorio circoscritto e incentrato su un oggetto ben determinato (un'opera infrastrutturale come la linea ad alta velocità Torino-Lione) si trasformi in una arena politica in cui emergono , mostrando tutte le tensioni e gli attriti che le attraversano, non poche «grandi questioni». Prima Gianni Vattimo, poi Erri De Luca e Ascanio Celestini, infine Massimo Cacciari e Giovanni De Luna, una bella schiera di intellettuali si sentono chiamati a prendere posizione non solo su una delle lotte più lunghe, tenaci e partecipate degli ultimi vent'anni in Italia, ma sul suo significato generale quanto alle forme della politica, le prerogative di governanti e governati, le priorità economiche o ambientali e il rapporto tra la legalità vigente e queste priorità. 

Tutti sembrano comunque concordare sull'inutilità, o quantomeno la scarsa razionalità economica di questa grande opera, considerati i costi, gli effetti ambientali e l'ostilità popolare che la circonda. È già qualcosa. La questione, per Vattimo, De Luca e ora Celestini è il diritto ad opporsi, anche trasgredendo leggi e ordinanze, allo sfruttamento di un territorio da parte di un intreccio di forti interessi politici ed economici che pretendono di agire nel nome di un discutibile «interesse generale». Nella sostanziale asimmetria di poteri che caratterizza la nostra società e la capacità di disporre della qualità delle nostre vite, è difficile dar loro torto.

Giovanni De Luna
De Luna, intervistato da «La Repubblica», si limita a ribadire il confine invalicabile tra violenza e non violenza, dimenticando, cosa che uno storico non dovrebbe fare, che la violenza praticata dai o nei movimenti è qualcosa che si produce e alimenta in un contesto relazionale in cui il potere costituito fa la sua parte e non la scelta arbitraria e onanistica di un singolo o di un gruppo. Come vorrebero lasciar credere quelli che dipingono la Val di Susa come una sorta di palestra per casseurs. Né dovrebbe dimenticare, lo storico, che diverse forme di sabotaggio fanno parte da sempre del repertorio dei movimenti pacifisti e non-violenti. Certo, c'è un problema di gradazione e di consenso, ma è un problema interno alla natura e allo sviluppo dei movimenti con tutti i suoi paradossi e le sue asprezze. 

Massimo Cacciari
Ma la questione delle questioni la prende di petto il professor Cacciari che, a partire dall'esperienza della Val di Susa, ci rende edotti su cosa sia o non sia la democrazia. La Torino-Lione fa piuttosto schifo, dichiara alla «Repubblica», ma poiché è stata decisa secondo le procedure formali previste, bisogna farla. La democrazia, perbacco, non è una assemblea permanente! Che, nel fare questa affermazione, il professore avesse in mente la tragica fine della Comune di Parigi? La democrazia, invece, quella seria e duratura, sarebbe una sequenza di procedure che ti permette di opporti fino a quando la decisione è presa. Poi ci devi stare. Sparisce in questo discorso il fattore tempo, il mutare dei cicli economici, delle sensibilità e dei rapporti sociali, il progredire del sapere scientifico. E a nessun italiano si può andare a raccontare che le riforme istituzionali, il rinnovo delle procedure e un qualche ripristino della rappresentanza possano, non dico anticipare, ma neanche seguire da presso questi mutamenti. Restano, però, scolpiti nel marmo dei protocolli i poteri dominanti al tempo della decisione e l'obbligo di tutti a rispettarne la volontà. Ahimé, bisogna rassegnarsi, la democrazia è proprio un'assemblea permanente che si esercita però nelle strade poiché non vi sono «sedi opportune» in cui esercitarla. O, meglio ancora, una sequenza di conflitti che mira a render possibile ciò che nella sequenza delle «procedure» non troverà mai spazio.

3 commenti:

Anonimo ha detto...

il blog è "pesante" da caricare. forse meno post per pagina
grazie

Franco Cuomo ha detto...

http://interfaceworld.blogspot.it/2013/09/esiste-una-censura-politica-su-facebook.html

MAURO PASTORE ha detto...

La costruzione di una strada in una valle è anche una questione ecologica. Le questioni ecologiche sono nate anche a causa della mancanza di consapevolezza riguardo ai limiti autentici di attività, poteri, nature, finanche della stessa natura umana; l'arbitrio senza conoscenza dei limiti diventa distruttivo, foriero di catastrofi. In un quadro di differenze e divari dovuti a situazioni e condizioni intrinsecamente inconciliabili, quali per esempio la particolarità della vita montana e l'astrattezza delle conoscenze tecniche, l'appello al solo principio di comunanza fallisce, anzi a volte è addirittura controproducente; peggio il tentativo di voler ridurre le molteplicità all'unità di un centro che in verità è anche falso, dato che lo Stato è fatto anche di periferie. Molteplicità e diversità, in una situazione nella quale illusioni e inganni non consentono a tutti di considerare la propria ignoranza, rendono l'appello alla più vasta comunità più che rischioso, mentre utile ma non sufficiente diventa la considerazione delle comunità particolari, le quali però sono strette tra la prepotenza della massificazione e l'invadenza di giganteschi sistemi economici sempre più incapaci di adeguarsi alla situazione presente; neppure il compromesso potrebbe servire a qualcosa, incapace di avviare veramente qualcosa di decisivo. Dunque se quelli che sanno, che capiscono, se quelli che vivono la condizione adatta per valutare e decidere sono degli esclusi, il rimedio non si trova e comincia a sparire anche la capacità di tener conto delle regole effettive, al di là delle enunciazioni astratte e apparentemente corrette. In Italia non esiste una legge che consente di ignorare la necessità primaria di rispettare l'ambiente e la natura e non è possibile vivere senza un rapporto favorevole con l'ambiente e la natura. Ma nessuna perizia, nessuna buona intenzione, nessun concetto opportuno, possono sostituire ciò che una determinata vita testimonia a chi la possiede. Dunque il bisogno generale di vie per trasporti e spostamenti non è reale se non è dipendente dalle esigenze particolari, quali quelle dei montanari, inoltre l'economia è subordinata all'ecologia quanto il soffitto di una stanza alle pareti della stanza stessa. Il logos ha un valore pratico, il nomos ha soltanto una funzione attuativa. Sovraordinata a entrambi v'è la saggezza della conoscenza, quella che gli antichi elleni chiamavano "Sophia".
Le ruspe meccaniche si adattano al suolo meno delle vanghe dei manovali, le decisioni spettano a chi possiede la saggezza per prenderle. Né comunismo né consumismo hanno saggezza sufficiente quando manca conoscenza dell'ambiente e della natura.

Mauro Pastore