Ecco un articolo pubblicato su La Stampa di oggi, 6 agosto 2009.
Sant’Anselmo, quel che resta di Dio
Lodato dal Papa, a nove secoli dalla morte. Ma la sua “prova ontologica” serve ancora alla religiosità d’oggi?
Si possono formulare idee abbastanza curiose se si rilegge il discorso tenuto dal papa nella cattedrale di Aosta il 24 luglio scorso, durante una visita che era stata presentata anche come un modo di rendere omaggio alla memoria di Sant’Anselmo, il grande teologo medievale aostano di cui ricorre quest’anno il nono centenario della morte. Il fatto sorprendente è che in quella occasione il papa non abbia neanche nominato Anselmo; e che d’altra parte, evocando la famosa battuta di Stalin (“Quante divisioni ha il Vaticano?”), abbia in definitiva confermato in qualche modo la propria adesione a quella che è rimasta famosa come la “prova ontologica” dell’esistenza di Dio formulata per l’appunto da Anselmo e da allora andata sotto il suo nome.
Si può qui parlare di una adesione alla prova di Anselmo nella misura in cui il papa oppone alla considerazione puramente materiale di Stalin, che non crede alla potenza di Dio perché non la vede dimostrata da realtà di fatto, l’impossibilità di negarne l’esistenza in ragione di una più profonda esperienza, quella della fede, che secondo il Papa, e lo stesso Anselmo, non è disgiunta da una sana razionalità. Ricordiamo gli elementi del famoso argomento anselmiano, che è stato chiamato ontologico perché fa leva sullo stesso concetto di essere e sulle sue leggi a cui nessun ente si può sottrarre. Dunque: se cerco di capire che cosa penso quando dico Dio, lo definirò come quell’essere di cui non si può pensare nulla di più perfetto. Ma se non esistesse, vorrebbe dire che c’è un ente più perfetto di lui, dotato appunto dell’esistenza. Dunque non posso negare l’esistenza di Dio senza contraddirmi.
Ma perché rifiutare la rozza battuta di Stalin dovrebbe significare accettare la prova ontologica di Anselmo? Forse proprio l’esigenza di sfuggire a questa domanda ha ispirato – almeno implicitamente – il silenzio del papa (che peraltro, in un discorso precedente dell’aprile scorso, aveva lodato Anselmo come grande esempio di pensatore capace di tenere unite in armonia fede e ragione). Il fatto è che la teologia medievale e moderna ha sempre cercato di non accettare la perentorietà di questo dilemma. San Tommaso e la tradizione aristotelica del pensiero cristiano hanno argomentato l’esistenza di Dio dalle sue opere: Dio come causa del mondo, come motore primo di tutto ciò che si muove, insomma come creatore e signore onnipotente dell’essere. Non proprio la potenza militare a cui pensava Stalin (anche se nell’antico testamento si chiama proprio “Deus sabaoth”, tradotto in latino come signore degli eserciti), ma qualcosa di molto simile.
E’ però questo il Dio di cui parla la Chiesa di oggi? La difficoltà di difendere il creazionismo nella forma letterale che troviamo nella Bibbia sembra costituire una sorta di indiretto invito a non mettere troppo frettolosamente da parte S.Anselmo, e i tanti che si sono ispirati a lui, compreso il padre della filosofia moderna, Cartesio, altro famoso adepto della prova ontologica. Insomma: via via che le scienze empiriche svelano i segreti della natura che credevamo impenetrabili – fino al big bang, fino alla mappatura del genoma, fino all’esplorazione delle più remote regioni dell’universo – diventa sempre più difficile pensare a Dio come al creatore e ordinatore di questo “tutto”. Se c’è una verità della religione, essa sembra doversi cercare solo “in interiore homine”, come diceva Agostino (che per primo formulò una prova del tipo di quella di Anselmo). È solo guardando dentro di noi, riflettendo sulla nostra esperienza di vita, che possiamo forse scoprire la “esistenza” di Dio.
La religiosità moderna è dunque piuttosto soggettiva che oggettiva, potremmo dire. Ma davvero nel senso di Anselmo? “Ontologico” era l’argomento di Anselmo perché riteneva di fondarsi sulla struttura logico-oggettiva dell’essere stesso: è in nome della “logica” che non posso negare l’esistenza di Dio. Ma chi si è mai convertito in base a questo argomento? Persino la logica, nella modernità, è diventata molteplice, e ha sempre più riconosciuto che le sue leggi non sono le leggi dell’essere stesso. Meglio dunque, come ha voluto fare la Chiesa e la teologia tomistica, mostrare ancora sempre che le divisioni a cui pensava Stalin in fondo ci sono. Ma il dilemma indecidibile – o Anselmo o Stalin – potrebbe alla fine significare che è proprio l’esistenza – quella che implica lo stare da qualche parte, il poter essere “oggetto” di una esperienza – ciò che non possiamo attribuire a Dio. Contro Anselmo e Tommaso, il grande Bonhoeffer: “Un Dio che “c’è”, non c’è”.
Sant’Anselmo, quel che resta di Dio
Lodato dal Papa, a nove secoli dalla morte. Ma la sua “prova ontologica” serve ancora alla religiosità d’oggi?
Si possono formulare idee abbastanza curiose se si rilegge il discorso tenuto dal papa nella cattedrale di Aosta il 24 luglio scorso, durante una visita che era stata presentata anche come un modo di rendere omaggio alla memoria di Sant’Anselmo, il grande teologo medievale aostano di cui ricorre quest’anno il nono centenario della morte. Il fatto sorprendente è che in quella occasione il papa non abbia neanche nominato Anselmo; e che d’altra parte, evocando la famosa battuta di Stalin (“Quante divisioni ha il Vaticano?”), abbia in definitiva confermato in qualche modo la propria adesione a quella che è rimasta famosa come la “prova ontologica” dell’esistenza di Dio formulata per l’appunto da Anselmo e da allora andata sotto il suo nome.
Si può qui parlare di una adesione alla prova di Anselmo nella misura in cui il papa oppone alla considerazione puramente materiale di Stalin, che non crede alla potenza di Dio perché non la vede dimostrata da realtà di fatto, l’impossibilità di negarne l’esistenza in ragione di una più profonda esperienza, quella della fede, che secondo il Papa, e lo stesso Anselmo, non è disgiunta da una sana razionalità. Ricordiamo gli elementi del famoso argomento anselmiano, che è stato chiamato ontologico perché fa leva sullo stesso concetto di essere e sulle sue leggi a cui nessun ente si può sottrarre. Dunque: se cerco di capire che cosa penso quando dico Dio, lo definirò come quell’essere di cui non si può pensare nulla di più perfetto. Ma se non esistesse, vorrebbe dire che c’è un ente più perfetto di lui, dotato appunto dell’esistenza. Dunque non posso negare l’esistenza di Dio senza contraddirmi.
Ma perché rifiutare la rozza battuta di Stalin dovrebbe significare accettare la prova ontologica di Anselmo? Forse proprio l’esigenza di sfuggire a questa domanda ha ispirato – almeno implicitamente – il silenzio del papa (che peraltro, in un discorso precedente dell’aprile scorso, aveva lodato Anselmo come grande esempio di pensatore capace di tenere unite in armonia fede e ragione). Il fatto è che la teologia medievale e moderna ha sempre cercato di non accettare la perentorietà di questo dilemma. San Tommaso e la tradizione aristotelica del pensiero cristiano hanno argomentato l’esistenza di Dio dalle sue opere: Dio come causa del mondo, come motore primo di tutto ciò che si muove, insomma come creatore e signore onnipotente dell’essere. Non proprio la potenza militare a cui pensava Stalin (anche se nell’antico testamento si chiama proprio “Deus sabaoth”, tradotto in latino come signore degli eserciti), ma qualcosa di molto simile.
E’ però questo il Dio di cui parla la Chiesa di oggi? La difficoltà di difendere il creazionismo nella forma letterale che troviamo nella Bibbia sembra costituire una sorta di indiretto invito a non mettere troppo frettolosamente da parte S.Anselmo, e i tanti che si sono ispirati a lui, compreso il padre della filosofia moderna, Cartesio, altro famoso adepto della prova ontologica. Insomma: via via che le scienze empiriche svelano i segreti della natura che credevamo impenetrabili – fino al big bang, fino alla mappatura del genoma, fino all’esplorazione delle più remote regioni dell’universo – diventa sempre più difficile pensare a Dio come al creatore e ordinatore di questo “tutto”. Se c’è una verità della religione, essa sembra doversi cercare solo “in interiore homine”, come diceva Agostino (che per primo formulò una prova del tipo di quella di Anselmo). È solo guardando dentro di noi, riflettendo sulla nostra esperienza di vita, che possiamo forse scoprire la “esistenza” di Dio.
La religiosità moderna è dunque piuttosto soggettiva che oggettiva, potremmo dire. Ma davvero nel senso di Anselmo? “Ontologico” era l’argomento di Anselmo perché riteneva di fondarsi sulla struttura logico-oggettiva dell’essere stesso: è in nome della “logica” che non posso negare l’esistenza di Dio. Ma chi si è mai convertito in base a questo argomento? Persino la logica, nella modernità, è diventata molteplice, e ha sempre più riconosciuto che le sue leggi non sono le leggi dell’essere stesso. Meglio dunque, come ha voluto fare la Chiesa e la teologia tomistica, mostrare ancora sempre che le divisioni a cui pensava Stalin in fondo ci sono. Ma il dilemma indecidibile – o Anselmo o Stalin – potrebbe alla fine significare che è proprio l’esistenza – quella che implica lo stare da qualche parte, il poter essere “oggetto” di una esperienza – ciò che non possiamo attribuire a Dio. Contro Anselmo e Tommaso, il grande Bonhoeffer: “Un Dio che “c’è”, non c’è”.
Gianni Vattimo
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