domenica 14 novembre 2010

Gianni Vattimo: "Com'ero felice nella mia soffitta"

Gianni Vattimo: "Com'ero felice nella mia soffitta"

«Continuo a dire le stesse cose del ‘99, nel frattempo il Pd mi ha cacciato: sono cambiato io o loro?»

La Stampa, Torino, 14.11.2010. Intervista di Niccolò Zancan

Professor Vattimo, perché la politica torinese sembra impantanata?
«Il problema è che Chiamparino è difficile da sostituire. È un bravo sindaco, molto popolare. Quindi tutti stanno tergiversando, ma non mi sembrano lotte di potere drammatiche».

Qual è il suo candidato ideale?
«Di sicuro non uno del Pd. Chiederei a Marco Revelli, un sinistrorso che conosce bene la città. Perché no?».

Profumo o Fassino?
«Tutto sommato preferirei ancora Fassino, che è un politico. Ma sottolineo ancora, nel senso di extrema ratio».

Coppola o Ghigo?
«Ghigo. Se non altro, lo conosciamo già. Certo ha tutti i limiti di un destrorso».

Lo sa che è rimasto quasi solo più lei a parlare continuamente di destra e sinistra?
«Io la guardo da un punto di vista culturale. Questa distinzione non è mai sparita. La destra è naturalista, la sinistra culturalista. In questo senso: la sinistra vuole correggere volontariamente le differenze naturali che ci sono fra le persone, mentre la destra vuole sfruttarle. Il punto cruciale è sempre lo stesso: cercare di dare eguali condizioni di partenza».

Com’è essere un omosessuale a Torino?
«Se sei un giovane, stai facendo carriera e hai bisogno di approvazione, non è ancora tanto facile. Come direbbe il professor Catalano: è sempre meglio essere ricchi che poveri. Uno già sistemato, se ne può infischiare dei commenti e dei pregiudizi. Gli altri restano ricattabili, quindi soffrono. E soffrono anche per le battute di Berlusca...».

Cosa le piace di Torino?
«Il vecchio centro storico, ci passo la vita e ci starei sempre. È diventato molto bello. Il che spiega il mio favore verso il sindaco attuale, anche se è più di centrodestra che di centrosinistra, anche se è troppo ragionevole, è stato davvero un ottimo sindaco. Ora ci vorrebbe il suo gemello».

Qual è un posto della città dove è stato felice?
«Via Mazzini 52, la mia soffitta. Eravamo calati dalla collina, io e il mio amico Giampiero. Avevamo una vita, ricevevamo amici e gruppi, il martedì di via Mazzini... Sono stato contento».

Cos’era il martedì di via Mazzini?
«Lasciavamo il portone aperto a tutti quelli che volevano venire a bere un bicchiere, professori e giovani scappati di casa. Era una piccola Arcore ma senza escort e senza forze dell’ordine. E soprattutto, purtroppo, senza orge».

Ora c’è un mucchio di gente che fa la sua vecchia battaglia contro gli eccessi della movida. Ha visto?
«Sono un profeta... Ricordo il gran casino di un capodanno in piazza Castello, fino alle sette di mattina».

Qual è la sua ricetta?
«Locali insonorizzati e un’educazione collettiva migliore. Quelli che fanno tutto questo chiasso sono dei barbari».

Cosa cambierebbe di Torino?
«La renderei più a misura di pedone. Certe volte mi sorprendo a cristonare quando cerco di attraversare la strada. E’ ancora una città troppo bucherellata, disordinata, cantierizzata, a tratti sembra bombardata. E poi c’è il problema dei mezzi pubblici».

Cioè?
«Certi pullman sono degli assassini puri. Dite al prossimo sindaco di prendere il 68 che va al cimitero verso l’ora di pranzo. Io lì sopra capisco cos’è la selezione naturale. Chi manca di molleggio è fregato, le vertebre sono a rischio, la schiena si spezza. Un calvario».

Dal punto di vista sociale?
«Bisogna tornare ad aprire le sezioni di partito nei quartieri. Non lasciare la gente davanti alla televisione. Ecco perché io trovo i No-Tav un movimento esemplare: gente che si impegna e si informa, si organizza e va. Bisogna smetterla di gridare governo ladro, è il momento di vedersi, discutere e tornare a ragionare».

Chi può prendere il posto di Bobbio e Galante Garrone?
«Io sono disponibile, ma nessuno mi prende sul serio. Scherzo... Credo che all’Università di Torino ci siano maestri da non buttar via».

È una città con meno fermento intellettuale?
«Mancano i vecchi laboratori informali. Posti dove discutere sul futuro di Torino. Ricordo le riunioni promosse da Marco Rivetti. Ora ci si confronta meno o forse non mi invitano perché sono diventato un estremista e non servo a niente. Oppure c’è meno vitalità, perché abbiamo avuto un sindaco di cui ci siamo fidati».

Come mai è diventato un estremista?
«Guardi, io sono sempre stato un cattolico di sinistra e non mi sento molto diverso, è cambiato il contorno. Io continuo a dire le stesse cose che dicevo nel ‘99, nel frattempo quelli del Pd mi hanno cacciato. La domanda è: sono cambiato io o sono cambiati loro?».

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