di Gianni Vattimo
La Stampa - TuttoLibri, 20 febbraio 2010
Elmar Holenstein, ATLANTE DI FILOSOFIA, trad. di M.Guerra, F.Mauri, V.Sanna; introduzione di F.Farinelli; Einaudi, pp.306, € 65
L’autore insegna filosofia all’ETHdi Zurigo. Il suo «saggio-atlante» esamina i rapporti tra geografia e filosofia, per illustrare poi con le mappe il corso delle idee, nelle diverse epoche e zone del mondo(Ovest, Sud, Est, Nord). Nell’introduzione Farinelli lo definisce il primo esempio di tentativo di «atlante globale», un «progetto pilota».
Diciamolo subito, anche se il rischio ci sembra per ora remoto, giacché l’insegnamento della filosofia nei licei è destinato a vedersela brutta, in qualunque forma “modernizzata” si presenti: questo libro che sembra un atlante, e che anzi è un atlante, potrebbe sembrare il modello di un nuovo modo di insegnare la filosofia in maniera finalmente indipendente dagli schemi storicistici che abbiamo conosciuto (e apprezzato, molti di noi) nel passato. Niente più storia della filosofia ma, appunto, geografia; che dovrebbe liquidare una buona volta tutto l’eurocentrismo del nostro modo di insegnare questa disciplina ricostruendone la storia: dei movimenti, delle scuole, dei singoli pensatori.
Non sappiamo se questo sia stato l’intento del compilatore di questa amplissima enciclopedia, e dubitiamo che dal punto di vista didattico potrebbe funzionare; anche se sospettiamo di non essere i lettori adatti, forse le nuove generazioni educate alle ricerche su Internet saprebbero cavarne un autentico profitto. Insomma, qui la filosofia – ma che cosa si intende, nel libro, con questo termine? – è presentata nel quadro più ampio della evoluzione delle civiltà umana dalle origini ai nostri giorni. Un proposito che più filosofico non sin potrebbe, data l’ossessione “tutto logica” che a sempre caratterizzato i filosofi. Solo che, per l’appunto, qui il riferimento al tutto rischia di fare scomparire quasi completamente l’oggetto specifico: l’atlante è un (buono, secondo noi) sommario di storia delle culture che le segue nel loro dispiegarsi nelle varie zone del mondo.
La legittimazione di un simile approccio, come si sa, la offre il massimo filosofo moderno, Hegel, che vedeva la filosofia svilupparsi – come la storia stessa della civiltà umana – da Oriente a Occidente. E dopo di lui, tra i padri nobili a cui l’autore qui si riferisce, c’è anche Karl Jaspers, con la sua teoria dei periodi “assiali”del pensiero umano, quelli cioè che avrebbero visto la nascita dei grandi orientamenti di pensiero, filosofici e religiosi, che hanno segnato lo sviluppo della (nostra?) civiltà. La differenza tra questi grandi – e comunque discutibili – esempi e l’enciclopedia di Holenstein sta nel fatto che quei grandi schemi erano animati da una concezione filosofica specifica, servivano, soprattutto in Hegel, alla affermazione di un sistema. La neutralità descrittiva dello studio di Holenstein, che è certo anche uno dei suoi pregi, finisce però per renderlo poco incisivo e alla fine della lettura ci domandiamo quali sono le cose nuove che abbiamo imparato non riusciamo a indicarne nessuna.
È vero che anche il mettere insieme questa enorme quantità di dati (tutti rigorosamente già dati nella letteratura “storica” corrente) alla luce di una visione geografica dei grandi movimenti delle civiltà umane potrebbe dar luogo (ricordate la tesi filosofica secondo cui la quantità si trasforma in qualità?) a qualche risultato non previsto. Per esempio, ed è questo un possibile interesse, largamente insoddisfatto, del libro, si potrebbero scoprire nessi che finora ci erano sfuggiti tra collocazione geografica e idee filosofiche: capire per esempio perché la filosofia nasce nelle isole greche poi si sviluppa in modo eminente nella Germania del secolo XIX. Non è che l’autore non si ponga questo problema: ma si limita – del resto non potrebbe né dovrebbe fare altrimenti – a constatare che storicamente è andata così, riportando – come del resto fanno tutti i manuali – la nascita della filosofia greca a influenze, indiane, medioorientali.
Quello che certo non si trova nei nostri manuali scolastici – ma non sappiamo davvero se dovrebbe starci – è la quasi identificazione delle origini della filosofia con le origini dello stesso homo sapiens sapiens, cioè dell’uomo che poi, dopo secoli di evoluzione, siamo diventati noi (e Hegel, e Nietzsche, e...). Siccome la specie umana è nata, sembra, in Africa, qui troviamo un capitolo sui “più antichi e significativi contributi del continente africano a questa disciplina”: e questi contributi sono riassunti nella stessa pagina (66): il fatto che l’uomo può parlare liberamente (dire quel che vuole senza dipendere dagli impulsi che lo muovono); universalmente, anche di cose che non sono presenti o non esistono; può cambiare prospettiva, cambiare idea; può riflettere sulla propria lingua e modalizzare (valide, dubbie, probabili, false, ecc.) le sue enunciazioni; può argomentare razionalmente, adducendo ragioni pro o contro. Certo nessuna filosofia qualunque cosa essa sia può darsi senza queste condizioni, ma sono così generali che è difficile non identificarle con la civiltà umana tout court. Peraltro, parlando dell’America precolombiana, Holenstein utilizza una classificazione della storiografia filosofico-antropologica anglosassone, distinguendo saperi sul mondo e l’etica che sono diffusi tra il popolo o sono insegnati da qualche grande maestro spirituale, o sono affare di vere e proprie scuole: folk philosophy, sage philosophy, school philosophy.
Comunque, ciò su cui in fondo Hegel sarebbe d’accordo con l’autore è che la filosofia è la somma della civiltà umana, per cui la sua storia è la storia (e geografia) stessa della civiltà. Eurocentrismo? No, risponderebbe Holenstein, perché le culture umane, soprattutto se guardate dal vasto punto di vista antropologico e geo-sociologico che egli adotta, sono molto più simili di quanto non si creda: una tesi che mette abbondantemente da parte Hegel per una sorta di prospettiva vicina allo strutturalismo – un altro grande orientamento di pensiero, peraltro, nato, cresciuto e forse morto proprio in Europa.
Il libro, accanto alla vastità dell’informazione, ha il pregio di dare a pensare, e anche di far sognare, con tutte le sue belle cartine, come tutti gli atlanti. Non è poco, per un testo di “filosofia”.
16 commenti:
TESO DI GRANDE VALORE E MOLTO STIMOLANTE, PER SPOSTARE IL BARICENTRO FILOSOFICO EUROCENTRISTA A UN BARICENTRO PIU MONDOCENTRISTA. LO CONSIGLIO A TUTTI UELLI CHE ASPIRANO AD UNA VISIONE PIU' AMPIA
Eurocentrismo, nessi, mappamondi, panorami intellettualfilosofici, il professor Hegel!
Schopenhauer con sarcasmo chiedeva se davvero G. W. F. Hegel avesse mai insegnato qualcosa! A Tubinga fu ordinato "Magister" ma non risulta che passando sempre assai teutonicamente dal ruolo di precettore (ovvero consigliere e competente) al ruolo di professore (cioè di espositore e conoscente) avesse ammaestrato pubblicamente od ufficialmente! Lui era un appartenente ad una minoranza linguistica che praticava l'espressione tedesca ancora assai originalmente ma si sussurrava che forse ne era ultimo appartenente e perciò si cercava da parte di tanti nel suo accento l'ultimo testamento di un mondo perduto. Pareva impossibile, ma nell'appena raggiunta omogeneità del tedesco acculturato o già pronto per la cultura c'era posto anche per le reminiscenze non ancora passate e non ancora del passato! Quelli che trovavano anche minima facilità di ascolto con Hegel potevano seguirne i corsi, d'altronde era un egocentrico e raramente volle insegnare filosofia vera e propria, limitandosi quasi sempre ad impartire lezioni del proprio pensiero filosofico. Dopo varie esperienze fu... sorpreso a Berlino nel ruolo di "magister", un tanto maestro e assieme un tantino magistrato per così dire: lezioni di Estetica .
Ma tra tutti i suoi corsi, di cui erano conservati i resoconti degli uditori assieme ad indicazioni per le sillogi ad opera dello stesso autore dei corsi, lui volle indicare e non confermare proprio le lezioni berlinesi sulla "Estetica". Per il restante, le università tedesche avrebbero proceduto diversamente in assenza di dichiarazione... interrotta (o no?? Domando senza averne io di dubbi.) Hegel usava e rielaborava maggiormente o indicava lui stesso rielaborazione di appunti non suoi personali ma dei suoi uditori, per ottenere un testo largamente intellegibile senza che le sue differenze linguistiche e culturali pesassero sui vari lettori. La silloge sulla Estetica fu realizzata dopo la sua morte ma già da prima da Berlino ne era stata richiesta invano copia a chi d'uopo, tra cui, ovvio!, lo stesso Hegel. Scopo della richiesta? Evitare che Hegel perturbasse gli ordini universitari volgendone gli scopi al soddisfacimento delle proprie esigenze soggettive di pensatore di filosofia. Per quanto il linguaggio di lui a volte venisse recepito più o meno particolare, i fatti eran quelli. Prima della richiesta di adempimento editoriale era stata formulata con solenne "aut aut" proprio la richiesta delle lezioni stesse, questa soddisfatta da Hegel ma col fine non occulto di salvarsi il titolo di insegnante assieme alla reputazione, l'altra da lui soltanto "tollerata" se "da altrui parte", come di fatto avvenne dopo la sua morte. Ora, esuberanza intellettuale di Hegel a parte, io chiederei quale sarebbe la differenza tra questa vicenda ed un'altra contemporanea analoga, cioè: richiesta di non fare confusione tra universalismo e cosmopolitismo, tra il relazionarsi e le reciproche relazioni, tra ignoranza ed ignoranza senza relazioni. Per analogia nessuna e già basta per lasciar perdere le mappe ed accettare la parzialità di ciascuna visione storica determinata.
MAURO PASTORE
Spiego meglio fatti e questioni del mio messaggio precedente.
Si consideri il contenuto delle Lezioni (le Lezioni di Estetica ad opera di G. W. F. Hegel) considerando che esse erano state commissionate senza che il destinatario ne fosse spontaneamente coinvolto e verificando che la commissione voleva che esse restassero scevre di personali coinvolgimenti ed autocoinvolgimenti e che dunque Hegel provvedesse a dare illustrazione dell'argomento, presentazione del tema, descrizione della materia di studio, informazione dei risultati comuni conseguiti, sintesi delle cose fondamentali cui tener conto per il futuro della filosofia nelle università; insomma tutto quanto di regola bastante per evitare che le università tedesche restassero impedite nel proseguio delle attività dalle dottrine di cui si era dato sèguito in mezzo ai veri e propri insegnamenti. Si dava ragione della commissione specificando che il professor Hegel aveva mostrato di saper usare le proprie personali dottrine per ricondurre le altrui all'interesse generale autentico degli studenti e dei professori ma non aveva successivamente dato avvio all'èsito finale, necessario per evitare parziale o totale chiusura della istituzione universitaria tedesca, atto che la commissione stessa aveva dovere di evitare ma non impedire anzi contribuire a realizzare qualora non si fosse prodotto l'esito stesso. I commissionari erano fiduciosi che il destinatario della richiesta potesse soddisfarla anche soltanto con minima adeguatezza ed a riguardo specificarono delle notazioni nelle quali si mostravano con chiarezza e semplicità le capacità già mostrate dal professor Hegel, aggiungendo quale nota esplicativa affermazione dell'estrema difficoltà incontrata nello stabilire il da farsi a causa della differente appartenenza culturale ed in parte della radicale diversità della loquela entrambe del destinatario, quindi terminando con indicazioni del tutto necessarie per evitare che tali differenze e diversità impedissero realizzazione di quanto ricercato.
Alla richiesta il destinatario della stessa dava parere positivo ed assenso, ma comunicava decisione positiva solo dopo che gli era stato intimato di dimettersi dalla attività professionale nella Filosofia o di riconsegnare tutti i suoi Titoli alla stessa attività attinenti od utili, casomai non avesse voluto realizzare quanto richiestogli, dato che in caso di rifiuto sarebbe stato giudicato inadempiente a tutti gli Impegni assunti con l'uso dei suoi Titoli specifici, compreso quello fondamentale di "Magister", non avendo voluto usare le preparazioni ottenute e possedute secondo quanto dei titoli e proprio quando era di suo dovere sia per il presente che per il futuro non solo dei suoi alunni ma pure di tutti gli alunni di tutte le università tedesche. Hegel faceva sapere di aver infine accettato solo sotto imposizione dello Stato perché a suo personale avviso sarebbe stato meglio chiudere tutto in ogni caso per l'avvilimento presente e le incognite future, l'uno e le altre effetti della indisponenza o cattiva disposizione di parte della società civile e della maggior parte della cultura ai danni dell'acume filosofico e della saggezza della filosofia...
Il mio racconto prosegue nel mio successivo messaggio.
MAURO PASTORE
(In questo mio messaggio v'è il seguito del racconto del mio messaggio precedente.)
Dopo avvenute lezioni con successo e idoneità, la commissione comunicava a G. W. F. Hegel che si era ritenuto doveroso assicurare continuazione universitaria in Germania perché oltre a quanto già opportunamente notato dal professor Hegel si era notato il caso o deliberato tentativo, inaccettabile non solo per le Università tedesche ma per la stessa Germania e l'Europa tutta, di impedimento o repressione delle espressioni popolari di saggezza antica o moderna e di occultamento delle manifestazioni di intelligenza filosofica unite a disposizioni emotive non convenzionali e non ordinarie ed a sentimenti e sentimentalità particolari od assoluti, tentativo o comunque reale caso cui Hegel era stato riconosciuto comunque estraneo. In pratica l'intera cultura del Romanticismo era sotto attacco o in condizioni più che sfortunate in Germania ed altrove in Europa e negli ambienti universitari tedeschi ed Hegel non ne era avveduto ma era stato ritenuto idoneo per contribuire al rispetto per le reali situazioni ed i reali valori culturali, sebbene non fosse stato ritenuto capace di ricevere adeguato rapporto sui particolari delle condizioni negative, sia perché la sua originale appartenenza non era esposta ai nuovi problemi creatisi, sia per la difficoltà a comunicargli tutto in tempo, sia per aver dovuto constatare quanto il professor Hegel restasse indifferente all'eventualità di un disastro culturale in Germania.
MAURO PASTORE
Cosa sta accadendo in questi anni, mesi, giorni, di simile in tutto e per tutto a quel che accadeva in Germania al tempo di Hegel?
I contrasti politici tra alfieri di globalizzazioni varie e vari nemici, principalmente tra chi vuol provvedere l'intero mondo politico di funzioni e mezzi comuni e tra chi vuole evitarlo, non sono dissimili dalle opposizioni tra imperialisti ed antimperialisti in Europa ed Occidente. Attualmente, epoca di poteri politici sovranazionali, transnazionali e non soltanto multinazionali ed internazionali, esiste una opinione pubblica a sua modo definibile mondiale, una comunità generale dislocata in vari e lontani luoghi, il che vien detto "Villaggio Globale"; ed esiste la filosofia un poco entro tale "Villaggio" ed anche un poco o pochissimo oltre. Entro ed oltre, non solo dialetticamente Occidente ed Oriente, la filosofia non è solo un panorama variegato e sfuggente ma è anche una presenza irrappresentabile ed inconcepibile dai sistemi filosofici di riferimento universali, per questo il cosmopolitismo se filosofico sicuramente non ha forma definibile e non è pensabile in anticipo né è descrivibile. A che gli atlanti oppure i mappamondi della filosofia e per che, se nel "Villaggio Globale" non tutto si può rappresentare e soprattutto noto ed ignoto convivono in dominii separati? A niente, Per niente! E questi niente non potranno essere mai e già non sono e non erano neanche prima i vuoti benefici ricercati da filosofi che usavano ed usano ed useranno il nichilismo per trovare nel fare una assenza la presenza opportuna, benefica, agognata. Infatti questi niente sono per filosofi e filosofie con troppe aspirazioni globali il volto inaccettabile di imprudenze, invadenze, incongruenze. Tutte mortali od esiziali e più per atti politici che per atti filosofici. E le altre eredità, politiche od impolitiche, delle eccessive aspirazioni filosofiche alla globalizzazione, in e per quanto movimenti ex-filosofici o ex-post-filosofici o post-ex-filosofici o post-filosofici, non potranno mai essere riscattate per questo, anzi si trovano in condizioni pressoché o ugualmente o maggiormente disastrose a fronte delle proprie pretese e delle alterità che la globalizzazione stessa incontra, chiama, o cui tali alterità gravano o incombono o lo potrebbero. E gli altri, quegli altri di cui ho detto e non appellato io, sono tutti lontani, remoti, od anche vicini o prossimi?
Perciò cosmopolitismo ed universalismo vanno ripensati abolendo le pretese negate da saggezza e conoscenza filosofiche. Ne va del proseguio delle comunicazioni di filosofia. E poiché si tratta di emergenza etica, si proceda come faccio io, per via logica, con effetto cioè... di autoinibizione spontanea degli autentici pretendenti. Qui su internet dove ho proceduto io è sede assai adatta ma non l'unica.
MAURO PASTORE
Voglio render più chiara una mia frase precedente. Si considerino le esplicazioni che ho inserito in parentesi quadra.
/ 'anzi si trovano in condizioni pressoché o ugualmente o maggiormente disastrose a fronte delle proprie pretese e delle alterità che la globalizzazione stessa incontra, chiama, o cui [cui = alla quale] tali [=medesime] alterità gravano o incombono o lo potrebbero' /.
MAURO PASTORE
Nel mio messaggio qui su del 20 giugno 2017 15:19 si consideri dopo l'ultima parentesi un punto.
MAURO PASTORE
Nel mio messaggio qui su del 21 giugno 2017 11:10 la frase: 'A niente, Per niente!' la si consideri pure scritta diversamente e cioè: A niente, per niente!
MAURO PASTORE
Specifico che io non sono marxista, non sono comunista, non sono a favore del marxismo.
Tempo addietro provai ad inserire delle recensioni su un libro dal titolo "Stato e avanguardie cosmopolitiche", scritto da Lea Ypi ed in elenco sul sito di una catena di librerie. Ecco una delle recensioni inviate, tra i due apici qui di sèguito:
' Premetto che non sono nuovo all'argomento e che auspicavo da tanto tempo una pubblicazione su di esso, anche solo per render noto ciò che potrebbe accadere ma che già sta accadendo di fatto da molti anni. Dunque, avendo io dato oggi un'occhiata al libro, ho potuto farmene un'idea accurata, più di quando tempo fa ne diedi altri sguardi:
Analisi perfetta, proposta intellettualmente necessaria ma operativamente realizzabile soltanto quale autoannullamento del lato invadente della politica di globalizzazione o visionariamente per renderne le opposizioni consapevoli. La versione inglese del testo reca un titolo a mio avviso più fedele ad intenzioni e pensiero originali di chi ha scritto il libro, che evidentemente voleva illustrare una possibilità politica reale senza invitare a intraprenderne l'impresa: "Global Justice And Avant-garde Political Agency", ovvero, mi si consenta di dare mia traduzione: 'Sulla giustizia globale in riferimento all'avanguardismo politico.' Un libro adatto per coloro che vorrebbero fare del nichilismo un mezzo per condurre attività politica di inibizione, limitazione, distruzione degli interventi intrinsecamente violenti o umanamente inaccettabili già purtroppo iniziati nel mondo. Per chi invece volesse trarne un insegnamento stabile, questo libro non è adatto, anzi sarebbe fuorviante, perché i rapporti ivi descritti tra materialità e volontà e tra economia e politica, intesi cioè fraintesi quali tratti del divenire politico e mondano, rappresenterebbero una incitazione alle azioni politiche prive di adeguate conoscenze od informazioni intorno agli altri ed alle alterità. Il libro contiene anche qualche enunciazione di politica marxista e marxiana, incluse senza critica e senza encomi, il che rende la trattazione dell'argomento paradossale o potenzialmente contraddittoria, tranne che il marxismo appunto fosse considerato soltanto quale stato eventuale o effettivo di fatto cui corrispondere secondo eventuali bisogni o effettive esigenze; difatti l'accoglienza delle stesse dottrine marxiste nella prassi ed anche nella pratica condurrebbe, tra altri errori, anche al disastro del decadimento dalle scienze, politiche o sociali od altre che siano, allo scientismo, quindi condurrebbe dal cosmopolitismo alla negazione della mondanità, ciò che effettivamente sarebbe, politicamente ed ecologicamente, tragico viatico per le utopie ingannevoli e per la produzione più insensata. Il buon lettore dunque resti entro i confini di una lettura visionaria, oppure ambisca soltanto allo smantellamento della stessa globalizzazione politica, o comprenda in che guise o modi evitare la medesima possibilità politica chiarita o mostrata dalla stessa comprensione adoperata.
MAURO PASTORE '
MAURO PASTORE
Per esigenza di minore difficoltà offro seguenti spiegazioni sulla pubblicazione di Lea Ypi citata e commentata nel mio precedente messaggio:
Il nichilismo quale orentamento filosofico positivo si presta opportunamente a moderare od evitare le avventure filosofiche senza saggezza in mezzo a globalismi e globalizzazioni ma non si presta a supportarne.
Marx, marxisti, marxiani, quali possibili od eventuali parti invase dagli eccessi della globalizzazione, risulterebbero fuori da logiche, sia oppositive che non oppositive, accettabili, anche qualora fossero pure parti invadenti, ai propri stessi danni od altrui danni. Ciò significa che l'estrema protesta attuata in Occidente contro l'Occidente non trova in se stessa liceità diversa dal restante, neppure se essa soltanto contro se stessa, infatti agire o non agire globalmente implica darne conto anche ai prossimi e non solo ai coinvolti o coinvolgibili e la filosofia politica realizzata da Marx, marxisti, marxiani con tutte le relative conseguenze sono prive di ogni logica possibile o eventuale perché postulano imprescindibilmente ed inesplicabilmente la dittatura proletaria quale presunta ovvietà fuori discussione.
Il prospetto della effettiva possibilità di azione globale non va considerato direttamente quale prospettiva senza che i princìpi stessi del e nel prospetto eticamente necessari siano applicati. Ciò significa che tra dire e fare ci potrebbe essere adeguato ed accettabile affermare soltanto se condotto secondo i medesimi criteri del fare stesso e tale condizione necessaria resta comunque non sufficiente da se stessa o per se stessa.
MAURO PASTORE
La descrizione dei rapporti tra materialità e volontà, economia e politica, contenuta nel libro di Lea Ypi, fa parte del necessario ritratto di una componente ancora presente nell'avanguardismo politico. Il libro di Ypi infatti non è una dottrina politica e neppure una anti-dottrina. Di fatto in esso non c'è allora alcuna vera confutazione della dottrina del materialismo storico o di quella del materialismo dialettico usato dai marxisti.
(Chi ne volesse trovare una dovrebbe studiare il pensiero autentico di Lenin. Lenin fece uso di una dialettica materialista per togliere potere ai dogmatismi dei marxiani e per trasformare gli strumenti di potere marxisti. Questo materialismo dialettico fu dunque opposto al materialismo storico per porre fine nell'ex Russia zarista alla assolutizzazione della lotta di classe attuata da marxiani e marxisti la quale i bolscevichi disconoscevano quale metodo di potere. L'organizzazione marxista era stata accusata in Russia zarista dagli stessi bolscevichi di irrigidire ed irregimentare la società secondo una ripartizione non realmente valida ma fatta valere con la violenza oltre che con le illusioni di Marx. I bolscevichi ritennero le istituzioni tradizionali incapaci di opporsi a questo torto e fattisi parte attiva della estrema sinistra attesero il disastro del regime zarista inserendosi quindi nel comitato rivoluzionario comunista, infine impedirono che le nuove istituzioni politiche divenissero unica espressione e possesso del proletariato ormai organizzato. Così i bolscevichi guidarono la politica sovietica con Lenin quale loro capo e massima autorità dello Stato verso una prassi politica comunista multiculturale e non ideologizzata. Raggiunto un risultato minimo ma in un Paese ancora nel caos e nel dramma politico, ottennero tuttavia riconoscimento ed alleanza, finanche dagli Stati Uniti d'America. Purtroppo il restante marxismo, di nuovo insinuatosi nei Soviet, trovò in "Stalin" (pseudonimo usato con dolo perché non descriveva niente della persona che lo usava) e poi nei suoi seguaci il modo per riproporsi ed imporsi. "Stalin" non era marxista innanzitutto perché non era un intellettuale ed i suoi scritti erano compilazioni da altri e di altri autori. Quale mente nella politica ma non politica era definibile chiaramente criminale: decideva consapevolmente di costruire per i "credenti in Marx" la loro chiesa, cominciando il tentativo di trasformare società e convivenza sovietiche in base ai diagrammi astratti dei marxisti. Con tale beffa "Stalin" scalava il potere sospinto dagli intellettuali marxisti, più illusi e distratti che mai. Quando Lenin fu estromesso con inganno e violenza cominciò la dittatura di "Stalin", il quale giocava alla guerra interna costruendo i due fronti opposti proletari e borghesi e poi presentando per condottieri vittoriosi i funzionari statali marxisti, che se intuivano il doppio raggiro erano sottoposti a minacce sempre più gravi fino alla pena di morte. In ciò "Stalin" davvero non aveva alcuna smisurata ambizione perché era criminale in politica ma non politico. Gli agenti segreti britannici a fine guerra mondiale lo descrissero un pluriomicida incapace di fare sesso a causa delle sciagure che creava al futuro degli uomini in Unione Sovietica, insomma assassino fino a provare egli stesso naturale e necessario ed istintivo disgusto per una propria realizzazione sessuale futura. Con questo avviso della polizia britannica Churchill andava per gli accordi a distanza coi veri sovietici e confermava poi la descrizione di "Stalin" pubblicamente senza tacerne provenienza. Cominciata per vari motivi la fase di stanca di "Stalin", continuavano i suoi sgherri, poi anche infiltrati nel Kgb, ed il leninismo lottava più o meno apertamente fino a riprendere lentamente le sorti del Paese ed a ristabilire le libertà fondamentali, e siamo già ai tempi della "Chiarezza" e di Gorbaciov).
MAURO PASTORE
Quale testimonianza culturale per meglio intendere il discorso che ho posto in parentesi nel mio ultimo messaggio fornisco un link contenente due canti partigiani provenienti dalla poco nota o sconosciuta cultura greco-russa. In tali canti si pronunciava il solo nome 'Stalin' per ricondurne il pensiero al reale significato e smascherare l'impostore "Stalin". Il primo canto era il modo usato per comprendere e vagliare. Quelli che da se stessi si manifestavano insinceri erano adatti a partecipare e non solo ascoltando ai modi di una seconda esecuzione musicale, in lingua diversa, più coinvolgente per chi non avesse etica bastante per dire no ai crimini del regime di "Stalin". Gli insinceri infatti non riconoscevano l'ironia del secondo modo oppure ne avevano rapporto diverso da chi sincero neppure sapeva riconoscere l'inganno dell'impostore col nome. Con tale emotivo... per così dire sarcastico "passaporto", gli "amici del regime" lo contattavano o ricontattavano, i nemici li identificavano dalla incauta esperienza musicale ricevuta, gli altri "amici del regime" sospettavano gli stessi "amici del regime" senza capire esattamente perché. Lo stratagemma assomigliava a tattica di filibustieri, con la differenza che a farsi da costrittori erano i medesimi indegni ascoltatori, che si "apparavano" per "l'apparato" esponendolo al ridicolo ma anche ai disastri del "fuoco amico del regime", in tal caso troppo amico coi propri stessi appartenenti tanto che i fraintendimenti terminavano con pene capitali commesse tra stalinisti per stalinisti in combinazioni estremamente varie. La resistenza antistalinista spesso diffondeva le informazioni sul vero significato del nome 'stalin' nella stessa "Stalingrado", per un periodo breve diventato un luogo ostile ed impossibile agli stessi stalinisti.
Il secondo canto compreso nel link era anche di quelli che veniva aggiornato con le conoscenze delle morti degli oppressori. Spiego di nuovo. A volte lo si faceva cantare dagli stessi oppressori, e questo veniva annunciato come l'ultimo desiderio, il gesto finale prima di una condanna a morte, che talvolta accadeva perché l'oppressore cantando o dopo aver cantato veniva scambiato per oppresso designato e perseguitato od ucciso. A loro volta l'emozioni di persecutori ed oppressori al canto rischiavano di farli fraintendere presso i complici. Lungi dall'essere però beffa, il secondo canto è da considerarsi "per i guai la morte volontaria del nemico", e la volontarietà nem8ca stava nel mancare di pietà assumendo però compassione dalla partecipazione musicale. Riferito alla "Grecia classica" ovvero nella antica Ellade studiata nelle scuole italiane ciò corrisponde con esattezza non al "canto interrotto" delle origini ma al leggendario canto dei "solamente traci", così detti erano i barbari selvaggi elleni che appunto secondo leggenda non avevano bisogno d'armi per uccidere.
https://m.youtube.com/watch?v=V2ommgC736I
Reinvio testo di mio messaggio precedente con parola corretta. Comunque non si intuiva male neppure con errore.
Quale testimonianza culturale per meglio intendere il discorso che ho posto in parentesi nel mio ultimo messaggio fornisco un link contenente due canti partigiani provenienti dalla poco nota o sconosciuta cultura greco-russa. In tali canti si pronunciava il solo nome 'Stalin' per ricondurne il pensiero al reale significato e smascherare l'impostore "Stalin". Il primo canto era il modo usato per comprendere e vagliare. Quelli che da se stessi si manifestavano insinceri erano adatti a partecipare e non solo ascoltando ai modi di una seconda esecuzione musicale, in lingua diversa, più coinvolgente per chi non avesse etica bastante per dire no ai crimini del regime di "Stalin". Gli insinceri infatti non riconoscevano l'ironia del secondo modo oppure ne avevano rapporto diverso da chi sincero neppure sapeva riconoscere l'inganno dell'impostore col nome. Con tale emotivo... per così dire sarcastico "passaporto", gli "amici del regime" lo contattavano o ricontattavano, i nemici li identificavano dalla incauta esperienza musicale ricevuta, gli altri "amici del regime" sospettavano gli stessi "amici del regime" senza capire esattamente perché. Lo stratagemma assomigliava a tattica di filibustieri, con la differenza che a farsi da costrittori erano i medesimi indegni ascoltatori, che si "apparavano" per "l'apparato" esponendolo al ridicolo ma anche ai disastri del "fuoco amico del regime", in tal caso troppo amico coi propri stessi appartenenti tanto che i fraintendimenti terminavano con pene capitali commesse tra stalinisti per stalinisti in combinazioni estremamente varie. La resistenza antistalinista spesso diffondeva le informazioni sul vero significato del nome 'stalin' nella stessa "Stalingrado", per un periodo breve diventato un luogo ostile ed impossibile agli stessi stalinisti.
Il secondo canto compreso nel link era anche di quelli che veniva aggiornato con le conoscenze delle morti degli oppressori. Spiego di nuovo. A volte lo si faceva cantare dagli stessi oppressori, e questo veniva annunciato come l'ultimo desiderio, il gesto finale prima di una condanna a morte, che talvolta accadeva perché l'oppressore cantando o dopo aver cantato veniva scambiato per oppresso designato e perseguitato od ucciso. A loro volta l'emozioni di persecutori ed oppressori al canto rischiavano di farli fraintendere presso i complici. Lungi dall'essere però beffa, il secondo canto è da considerarsi "per i guai la morte volontaria del nemico", e la volontarietà nemica stava nel mancare di pietà assumendo però compassione dalla partecipazione musicale. Riferito alla "Grecia classica" ovvero nella antica Ellade studiata nelle scuole italiane ciò corrisponde con esattezza non al "canto interrotto" delle origini ma al leggendario canto dei "solamente traci", così detti erano i barbari selvaggi elleni che appunto secondo leggenda non avevano bisogno d'armi per uccidere.
https://m.youtube.com/watch?v=V2ommgC736I
MAURO PASTORE
Completo il mio discorso filosofico (di questa pagina) con questo mio ed il seguente mio messaggio.
Tra le schiere delle avanguardie politiche, la ideologia legata a Marx, marxiani, marxisti nonché le dottrine del materialismo storico e del materialismo dialettico, insomma tutto ciò ancora oggi confuso spesso con ciò che lo confutava o lo confuterebbe, quale la politologia di Lenin e dei leninisti (che adottava anche gli stessi elementi da confutare per confutarli), è una presenza indubitabile dal destino però parimenti indubitabilmente segnato. Marx, marxiani, marxisti assieme alle loro ideologie caratteristiche, sono parte di ciò che la vera filosofia oggi definisce assolutismi moderni e cui riconosce limitata o nulla appartenenza filosofica. Tali assolutismi si possono suddividere in metafisici ed antimetafisici: i primi sono gli assolutismi della metafisica dell'oggetto, che è metafisica della metafisica, degenerazione del vero pensiero metafisico separata dalla semplice intuizione metafisica. Quale critica di tali degenerazioni e replicazioni l'antimetafisica non sempre si limitava al rifiuto contestualizzato, dunque accanto al rifiuto antimetafisico v'era la polemica antimetafisica fine a se stessa, non sempre diretta con precisione e priva di èsiti in quanto legata da interessi all'oggetto avversato. I fenomeni politico-filosofici nati dall'opera di Marx e ad essa restati riferiti in vari modi e gradi sono parte di polemiche antimetafisiche spurie e senza termine.
...
MAURO PASTORE
Sèguito del mio messaggio precedente:
Tutti gli assolutismi della metafisica dell'oggetto sono rappresentabili tramite idee dimidiate ed in particolare quelli antimetafisici anche per mezzo di segni materiali, resti di simboli non del tutto intesi o fraintesi, religiosamente o areligiosamente corrispondenti alle materialità delle rappresentazioni idolatriche, l'àmbito della restrizione cui la variante antimetafisica applicava anche inversione: movimenti subculturali, raramente culturali ma per anticultura in tal caso, che esistono ancor oggi. La magniloquenza e fascino del particolare idolo costituito dal mappamondo aveva assunto egemonia nel periodo di auge dell'assolutismo metafisico moderno. La relativa idolatria, priva di inversioni, agiva direttamente sulle illusioni illusionisticamente. La forma sferica o sferoidale dava idea erronea di stabile sapienza ed in ciò questo assolutismo, al proprio culmine, si tramutava in antifilosofia; proprio quella che aveva bollato per follia i viaggi dei navigatori alla ricerca della grande terra australiana. Anche per lo scontro con l'evidenza dei fatti, i pensatori non cocciuti fino al rifiuto della nuova geografia spesso si davano al disinganno artificioso dell'antimetafisica. Eppure, quando questa pareva oltre le insidie dei falsi cartografi, sarebbe stato con la toponomia il fatale scontro. Il grande veliero con ausilio di macchina a vapore, strumento che era adibito alla resistenza nel gelo antartico, incappò nel disastro perché il sedicente comandante in realta oramai ex si era convinto di poter spaziare per le distese antartiche con bussola e calcoli del geologo. Remoti erano gli intellettuali trionfanti che giocavano a lanciar fili da una porta all'altra dei loro stanzoni e a ballare seguendo il filo dei propri estatici ragionamenti erronei, quando per i ghiacci nel Sud dove la bussola "era perfetta" nondimeno le rivelazioni geologiche attuate nei "pezzi di costa" ancora scoperti non bastavano! Mentre quelli ballavano sia con soldi che senza, alcuni incauti marinai morivano assiderati in Antartide nonostante le... assicurazioni ricevute che sarebbe stato più certo che seguire un filo a terra in una grande sala disarredata (mi riferisco alla cosiddetta spedizione "Endurance"). Gli "atlanti", ad onor di regola buoni veramente solo se letti con coscienza dei punti di osservazione terrestri dei Monti Atlanti, erano diventati scuse per costruzioni di toponomie rigorosamente... mortali!
Ora? In mezzo ai testardi restringimenti ed inversioni si fanno atlanti filosofici e nascono rischi ulteriori. Eurocentristi, occidentocentrici... eppure gli atlanti funzionano per parametri non europei e sub-occidentali soltanto, perché calchi concepiti in base a luoghi della natura meridionale, anche se post ad Ovest in Africa!
Stavolta l'operatore sociale polemicamente illuso riderà mentre i suoi non sapranno neanche incappare in delinquenti o criminali, perdendosi in ex-porti fantasma e zone post-industriali? Allora sarà direttamente la coincidenza maligna la distrazione dell'assolutista ingannato ed ingannevole ironizzando non su sfericità di fondoschiena e mappamondi ma su improbabili grotte marine e vulve.
Insomma, in epoca di ecologia, maneggiateli i nuovi atlanti con la cura dei perfetti ignoranti.
MAURO PASTORE
Nel mio ultimo messaggio, verso la fine, c'è scritto "post" che sta per: posti.
MAURO PASTORE
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