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venerdì 7 giugno 2013

Diálogos Gianni Vattimo

Entrevista con Gianni Vattimo en la Universidad Sergio Arboleda de Bogotà (Colombia) por Alejandra Jaramillo y Alejandro Jaramillo para el espacio Diálogos de Canal Capital 


                                                                                                      Parte 1

                                                                                                      Parte 2

                                                                    Parte 3

martedì 7 maggio 2013

'Por fortuna, aún existe la perversión'



Por Paola Villamarín, El Tiempo

Entrevista con Gianni Vattimo, uno de los grandes filósofos, quien vino a Bogotá a dictar una serie de conferencias.



Gianni Vattimo

–¿Qué lo hace feliz?

–¡No ser estúpido! –responde sin pensarlo, como si fuera un acto reflejo, el filósofo italiano Gianni Vattimo, discípulo de Hans-Georg Gadamer, estudioso de Heidegger y Nietzsche, creador del concepto de ‘pensamiento débil’ y diputado de la Unión Europea.

venerdì 3 maggio 2013

Vattimo y el sexo

Entrevista a Gianni Vattimo por Elber Gutiérrez Roa

El célebre pensador y eurodiputado italiano se salió de la filosofía en abstracto para hablar con El Espectador sobre su propio ser. Diálogo con un confeso católico, comunista y homosexual.

 


Gianni Vattimo no encaja ni poquito en el prototipo del filósofo aburrido, si se quiere huraño, que elucubra sobre conceptos ininteligibles y acude a expresiones grandilocuentes para explicar la realidad. Es dicharachero, alegre y tiene una habilidad para comunicar digna de envidia para cualquier presentador de los medios masivos a los que con tanta frecuencia cuestiona. Y no lo aprendió como diputado de la Unión Europea, cargo al que llegó a defender las ideas de izquierda italianas. Se lo debe a la educación católica que recibió antes de entrar a la filosofía e iniciar correrías internacionales en busca de respuestas sobre el ser y el mundo que lo rodea.

lunedì 4 ottobre 2010

L'Europa e la novità latino-americana

Altro post dal mio blog su Il Fatto Quotidiano

L'Europa e la novità latino-americana

I giornali, e la televisione, italiani hanno parlato pochissimo e in modo molto superficiale del tentato golpe in Ecuador. Quello che so l’ho letto soprattutto nel Guardian di Londra e in alcune newsletter da Cuba. Già questo relativo silenzio dice molto su come si vedono le cose latino-americane dall’Europa, ormai quasi dovunque dominata da governi di destra, o comunque di stretta osservanza statunitense. Si dice talvolta che tutte le comunicazioni via internet che noi inviamo e riceviamo, in tutto il mondo, passino attraverso i server che hanno la base negli Usa, e dunque che siano potenzialmente controllate dalla Cia. Non so se sia vero; quel che mi pare certo è che, in Italia e anche in vari paesi d’Europa, le agenzie di notizie, prima, e i giornali, poi, filtrano in modo molto stretto le informazioni sull’America Latina. Così, del golpe anti-Correa noi abbiamo saputo e parlato pochissimo.

Eppure diventa sempre più evidente che, forse più ancora che la crescita di India e Cina, è proprio l’America Latina la regione del mondo che può “fare la differenza” anche nel nostro futuro europeo. Mentre dall’Oriente viene solo la conferma dell’ordine capitalistico mondiale – le banche e la borsa cinesi sono ormai la vera potenza economica che sta soppiantando il dominio nordamericano, e l’India si avvia sulla stessa strada –, la sola vera “novità” accaduta nella storia degli ultimi decenni è proprio la trasformazione dell’America Latina, la nascita in quel subcontinente di governi democratici di orientamento socialista capaci di sfidare il potere delle multinazionali e gli interessi degli Usa.

In un recente incontro con esponenti della opposizione colombiana al governo (Uribe) Santos, avvenuto al Parlamento Europeo, ci è stato spiegato che gli investimenti stranieri in Colombia – stimolati e “garantiti” dalla presenza di vere e proprie squadre di assassini che rapiscono e uccidono sindacalisti al solo accenno di uno sciopero – contano su una distribuzione dei profitti nella proporzione di 90 a 10: novanta per cento alle imprese investitrici, dieci per cento ai colombiani, governo, contadini espropriati, ecc. Non per niente la Colombia è tuttora uno dei paesi dove si aprono continuamente nuove basi militari nordamericane.

Prima Cuba, e poi sempre più Brasile, Argentina, Venezuela, Bolivia, Ecuador si sono dati governi che si sforzano di cambiare profondamente questa situazione di sfruttamento coloniale. L’Unione Europea, pur dominata da governi di destra (che pudicamente si definiscono di centro-destra), ha un vitale interesse per ciò che succede in America Latina. Non si tratta di aspettarsi che da un momento all’altro le nuove democrazie latino-americane abbattano violentemente la potenza Usa; ma la sola esistenza di un polo democratico-socialista nel subcontinente americano si riflette sull’Europa come una presenza capace di limitare le pretese di quell’imperialismo. So bene che le aspettative che molti di noi coltivano nei confronti di Lula, Chavez, Correa, Evo Morales contengono non poca mitologia, come se dicessimo agli amici latino-americani “occorre una rivoluzione, fatela voi perché l’Europa è troppo stanca e divisa per riuscirci”.

La concreta realtà latino-americana è assai più complessa di quanto la nostra mitologia e la nostra ammirazione riescano a immaginare. Sta di fatto che ogni golpe (come quello dell’Honduras) o tentato golpe (come quello contro Correa) che ha luogo nel sub-continente conferma l’idea che proprio di là possa venire la “novità” della nostra storia: non solo la sfida al persistente colonialismo economico che ci domina, ma anche il modello di una società non più costruita sul dominio e lo sfruttamento.

È anche e soprattutto di questo modello che l’Europa ha bisogno. La situazione emblematica rappresentata dalla Colombia, con gli investimenti stranieri “premiati” dalla divisione dei profitti nella proporzione di 90 a 10, non è ancora la nostra. Ma la delocalizzazione delle industrie europee verso paesi dove il profitto è più facile (in Italia, la Fiat minaccia di chiudere sempre più numerose fabbriche per trasferirle verso Oriente) mostra che il “modello colombiano”, la sottomissione dei sindacati con ogni tipo di minacce (per ora da noi si tratta solo di minacce di chiusura e perdita del lavoro), costituisce la via maestra sulla quale anche i nostri paesi sono avviati. Dunque – anche al di là di ogni solidarietà democratica con governi eletti dal popolo e minacciati da eserciti addestrati dai tanti “consiglieri” (si chiamavano così all’inizio anche in VietNam) nordamericani – Honduras, Ecuador, e la lotta dei loro governi popolari per la propria indipendenza ci riguardano profondamente, e questa è la prima ragione per cui l’informazione addomesticata ce ne parla così poco.

martedì 10 agosto 2010

Le aziende europee e i diritti umani in Colombia


Note di un viaggio in Colombia compiuto tra il 20 e il 24 luglio... postate sul blog de Il Fatto Quotidiano.

Le aziende europee e i diritti umani in Colombia


Può sembrare inutile o strano che un europeo racconti queste cose a un pubblico latino-americano, ma una delle impressioni riportate in questo viaggio è che proprio in America Latina queste notizie siano meno conosciute di quanto dovrebbero. Dunque: sono stato a Bogotà insieme a una delegazione di parlamentari europei, membri del Parlamento di Londra e di sindacati britannici. La delegazione era stata organizzata da un gruppo con sede e a Londra che si chiama “Justice for Colombia”, e che si interessa delle violazioni dei diritti umani che accadono in quel paese. Già alcuni mesi fa, un gruppo di sindacalisti e politici colombiani aveva visitato il Parlamento europeo chiedendo ai parlamentari di non approvare l’accordo di libero commercio (Free Trade Agreement, FTA) tra Unione Europea e Colombia che la presidenza spagnola dell’Unione (nel semestre gennaio-giugno 2010) aveva voluto a tutti i costi firmare, e che diventerà esecutivo solo dopo l’approvazione del Parlamento. Le ragioni della opposizione all’accordo sono presto dette: mentre le norme generali europee per questo tipo di accordi prevedono che essi siano condizionati dal rispetto dei diritti umani fondamentali da parte dei contraenti, il Parlamento europeo sa benissimo che questi diritti sono gravemente e continuamente violati in Colombia. Una delle ultime evidenze è la fossa comune (duemila cadaveri secondo i sindacalisti e l’opposizione; SOLO (!) 429 secondo il governo) scoperta di recente in un villaggio chiamato La Macarena, nel nord del Paese. Questa fossa è in un campo a ridosso di una base militare dell’Esercito Colombiano; e il governo sostiene che i corpi ivi sepolti siano di guerriglieri uccisi in combattimento. Anche solo seppellirli senza identificazione sarebbe già una violazione di fondamentali diritti. Ma ci sono buone ragioni per pensare che la versione del governo – che siano guerriglieri uccisi in battaglia – sia falsa.

La scoperta della Macarena accade più o meno contemporaneamente al venire in luce di un altro scandalo gravissimo, anche se per ora limitato a un numero minore di vittime. È il caso noto come lo scandalo dei “falsos positivos”: diciassette giovani reclutati da membri della polizia nel sobborgo più povero di Bogotà, Soacha, con la promessa di un lavoro nel nord del Paese; portati lontano dalle loro case, uccisi e sangue freddo (spesso con un colpo alla testa, a bruciapelo), e poi frettolosamente travestiti da guerriglieri (con errori grotteschi: alcuni hanno ai piedi due stivali sinistri) per riscuotere la taglia che nel frattempo il governo di Uribe (e del suo ministro della difesa, Santos, nuovo presidente eletto che entra in carica il 7 agosto) avevano posto sulla testa di ogni guerriglieri ucciso.

Chi dunque voglia credere alla versione governativa su La Macarena, deve prima superare tutta la diffidenza che notizie come quella dei falsi positivi (cioè dei falsi risultati che il governo chiedeva alle forze antiguerriglia) inevitabilmente suscitano. Queste notizie sono solo una piccola parte di ciò che chiunque può venire a sapere sulla Colombia di oggi: sono migliaia i sindacalisti (circa mille solo quelli dei sindacati del scuola) uccisi o fatti sparire in questi ultimi anni. Justice for Colombia ha statistiche precise che si possono facilmente consultare e verificare. Così, quando si sente dire dal presidente eletto (ha ricevuto la nostra delegazione il 22 luglio) che l’economia colombiana si sviluppa grazie soprattutto agli investimenti esteri promossi dalla fiducia nella produttività del paese, è fatale che si pensi a come proprio tutti questi omicidi che hanno distrutto un’intera generazione di sindacalisti siano la base delle fiducia degli investitori internazionali. Che sono per lo più grandi multinazionali con base in Spagna (e anche in Italia, purtroppo); il che spiega molto chiaramente la determinazione con cui il governo “socialista” di Zapatero (ahimè, quanto gli abbiamo creduto, anche noi italiani) ha voluto arrivare alla firma del trattato.

A parte tutte le altre ragioni che proprio il popolo colombiano – soprattutto i contadini che risulterebbero i più gravemente penalizzati – ha per considerare il trattato un vero disastro e un ennesimo atto di imperialismo colonialistico, ci sono anche altre significative riflessioni generali su tutta la faccenda. La criminalità organizzata sta diventando sempre più spesso, anche in Europa, una forma di garanzia della disciplina del lavoro ad uso del profitto delle multinazionali. La forza della mafia in Italia si rivela sempre più come funzionale al mantenimento dell’ordine nelle fabbriche. In molti stati europei si comincia a guardare con interesse alla formula colombiana. Del resto l’alleanza tra capitali di rapina multinazionali e criminalità organizzata sta diventando un tratto tristemente comune in tutto il mondo industrializzato. Lottare per i diritti umani in Colombia finisce per essere – anche se per ora il rischio sembra remoto – un modo per difendere la libertà sindacale e i diritti umani anche nel cosiddetto “primo mondo”.

Gianni Vattimo