Sbagliava la signora Thatcher
L'espresso, 19 febbraio 2010
Quando il vostro commercialista, al momento della denuncia dei redditi, vi dice che quest'anno avete guadagnato di meno dell'anno scorso, la vostra reazione è un oscuro senso di colpa. Lo sviluppo, la crescita, sia del Pil o del proprio reddito, appare una legge naturale, divina. È un incantesimo che va rotto, per amore della stessa sopravvivenza. Proprio alla distruzione, o almeno a un profondo ripensamento, dell'economia si è dedicato da anni Serge Latouche, notissimo per i suoi libri sulla decrescita come unico modo di salvarci dalla incombente scomparsa della vita sul pianeta. L'ultimo libro ('L'invenzione dell'economia. Bollati Boringhieri, pp. 257, euro 18) che è anche una specie di summa di tutti i lavori precedenti, studia l'origine dell'economia (come scienza e come insieme di fatti sociali) perché solo capendo come essa è nata e si è imposta possiamo liberarcene.
Che si tratti di una invenzione, come dice il titolo, sottolinea che essa non è un prodotto 'naturale', come se fosse ovvio l'uomo deve essere 'homo oeconomicus' per esistere. Dati i bisogni ci vuole il lavoro, e poi lo scambio, il denaro, il salario, il capitale, il profitto. Se si accettano questi concetti, e la loro concatenazione sistematica costruita storicamente, la signora Thatcher aveva ragione, il capitalismo è il solo sistema che funzioni. Già, dice Latouche, ma l'idea dello sviluppo indefinito - della produttività, della riproduzione, della disponibilità di merci - è insostenibile e contraddittoria, e si rivela distruttiva, come vediamo sia con l'esaurimento incombente delle risorse naturali, sia per lo scoppio successivo delle varie 'bolle' con cui via via proprio l'economia ci ha illusi. Non sarà consolante, ma liberarci dallo spettro dell'economia sgombra almeno la mente per provare a pensare a qualche alternativa.
Che si tratti di una invenzione, come dice il titolo, sottolinea che essa non è un prodotto 'naturale', come se fosse ovvio l'uomo deve essere 'homo oeconomicus' per esistere. Dati i bisogni ci vuole il lavoro, e poi lo scambio, il denaro, il salario, il capitale, il profitto. Se si accettano questi concetti, e la loro concatenazione sistematica costruita storicamente, la signora Thatcher aveva ragione, il capitalismo è il solo sistema che funzioni. Già, dice Latouche, ma l'idea dello sviluppo indefinito - della produttività, della riproduzione, della disponibilità di merci - è insostenibile e contraddittoria, e si rivela distruttiva, come vediamo sia con l'esaurimento incombente delle risorse naturali, sia per lo scoppio successivo delle varie 'bolle' con cui via via proprio l'economia ci ha illusi. Non sarà consolante, ma liberarci dallo spettro dell'economia sgombra almeno la mente per provare a pensare a qualche alternativa.
Gianni Vattimo
1 commento:
Non credo che il capitalismo sia di per sé il male assoluto. Il problema è, semmai, che questo è diventato assolutamente folle e senza freni.
Le conseguenze e i limiti sono appunto quelle descritte nell'articolo. Nell'ecosistema Terra le risorse non sono infinite, e alcune vengono consumate con una velocità maggiore di quella di rigenerazione.
A ciò aggiungiamo l'esplosione della popolazione e i sempre maggiori squilibri economici tra gli Stati e all'interno degli Stati stessi.
Esiste una specie di 'capitalismo etico' che non metta in croce il 'legittimo profitto'?
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