Ho comprato questo DVD con l'Espresso: spiega molto bene con un linguaggio comprensibile a tutti un filosofo difficile da capire. Vorrei farLe una domanda: che ne pensa della "Lettera sull'umanismo" dove Heidegger afferma di non essere un esistenzialista?
Non è meglio dire... che siamo:"conseguenza istintiva del azione d'origine" che pur' sempre è un "getto" anziché..."progetto gettato"? Tra "istintivo" e "progetto" ci passa un bel mondo nel mezzo. Istintivo, visto che non possiamo dare una definizione all'azione d'origine...che via,via,diventa l'espressione dei luoghi che incontra, nel proprio carattere, sul quale basa il suo interesse al beneficio del proprio essere...
Elena, effettivamente nella Lettera Heidegger si lascia alle spalle l'esistenzialismo delle sue origini perchè, come dice, bisogna porsi su un piano "dove c'è anzitutto l'essere". Adesso non ricordo bene il mio filmetto; ma se ha voglia, si procuri la mia Introduzione a Heidegger edita da Laterza, un volumetto breve e non troppo costoso. Auguri, GianniV.
Adri: Dire che siamo conseguenza istintiva attribuisce troppa importanza alla pura biologia… Chi getta, nel progetto gettato, "è l'essere" dice Heidegger. Nemmeno Dio o un ente supremo. È l'essere, non identificabile con nessun ente, che può arricchirsi di tutto ciò che viene "dopo": la nostra cultura, le nostre scelte, la storia stessa.
Caro Luca, cerchi il mio "Oltre l'interpretazione" (Laterza). Ma sarà difficile trovare qualcosa sull'"essenza dell'uomo", nel mio pensiero... grazie del messaggio, GV
È, l’essere. È intero, inconsumato, pari a sé. Come è diviene. Senza fine, infinitamente è e diviene, diviene se stesso altro da sé. Come è appare. Niente di ciò che è nascosto lo nasconde. Nessuna cattività di simbolo lo tiene o altra guaina lo presidia. O vampa! Tutto senza ombra ti flagra. È essenza, avvento, apparenza. È forse il paradiso questo? Oppure, luminosa insidia, un nostro oscuro ab origine, mai vinto sorriso?
(Mario Luzi, "Viaggio terrestre e celeste di Simone Martini")
Un suo commento, in chiave ontologica, a questi versi (fra i vertici del Novecento) sarebbe splendido.
carissimo Professore, nella lettura che fa Berti di una pagina di Essere e Tempo, riguardante il tema delle passioni in Heidegger, emerge che quest'ultimo attribuisce alla paura il carattere di situazione emotiva fondamentale dell'Esserci. Resto perplesso poichè da ciò che a me è sembrato Heidegger non ritiene la paura bensi l'Angoscia quale stato emotivo fondamentale, stabilendo altresì un'assoluta differenza fra i due stati emotivi.
Prof. Vattimo innanzitutto complimenti per il blog. heidegger diceva che l'essere non può essere racchiuso dentro una definizione precisa ma solo con una serie di metafore. bene! si fa per dire. ho difficoltà a capire il nesso uomo-essere. l'essere non ha forse senso se si parla solo dell'uomo? quindi vi è una congruenza perfetta o sbaglio di brutto?
Carissimo Professor Vattimo, Lei interpreta l'Essere come divenire per evitare quell'oggettivizzazione tipica del pensiero metafisico. Sono d'accordo con questa interpretazione ma si dovrebbe anche tenere in conto l'idea del radicamento nella terra che a mio parere e' molto importante in Heidegger. Per non dimenticare l'Essere bisogna conservare le proprie radici, rimanere in contatto con la propria terra e le proprie tradizioni. Conservazione e divenire devono essere tenuti insieme per vivere il mistero dell'Essere altrimenti si ricade nella metafisica della prassi e/o della volonta' di potenza. Il dominio della tecnica e' frutto dello sradicamento dell'uomo.
Prof. Vattimo sono molto affascinato dall'ermeneutica. Mi chiedo però: se tutto è interpretazione, inevitabilmente si entra in una spirale di sospetto perenne. come ci si orienta? non si rischia di stare, perennemente appunto, sul chi va là????prenda per esempio le torri gemelle. da una parte ci sono i teorici del: va tutto bene, sono stati i cattivi a farli esplodere, dall'altra però si rischia di essere sospettosi senza avere in mano strumenti e capacità di fare indagini di alcun tipo???
Caro Prof. Vattimo, apprezzo molto le sue spiegazioni su Heidegger, vorrei qui proporre una mia interpretazione. A me sembra che intendere l'Essere solo come evento storico, accadimento, possibilita' non e' sufficiente. Lo stesso Heidegger dice che solo un Dio ci puo' salvare, cioe' un immutabile che vada al di la' della situazione storica e sia universale. L'Essere non puo' che essere il Tutto, cio' che via via appare e cio' che resta nascosto MA, mai completamente afferrabile. Distinti Saluti, Alessandro - www.alenomia.blogspot.com
Essere quale essere tutto rappresenterebbe una negazione della differenza ontologica. L'essere degli enti, l'essere per se stesso... I primi rappresentano le cose dell'universo, il secondo Dio, il Mistero. L'affermazione del Mistero dell'essere e dell'universo non è l'affermazione di una unità, neppure di una entità... Inoltre esistono i fatti del mondo, gli accadimenti delle cose, ancor meno unificabili. Se il Mistero fosse una intelligenza suprema, neppure questa conterrebbe nel pensiero tutto il reale, tutti gli accadimenti. Ciascuna cosa, irripetibile, esorbita l'intelligenza, anche perché, autocoscienza singolare ed inimitabile a parte, l'universo delle cose si produce da sé e proviene soltanto, per così dire, dal Mistero, dal 'lasciar essere dell'Essere'. Insomma se è vero che neppure un Dio potrebbe concettualizzare l'esser tutto, (se... neppure un Dio potrebbe...), ancor meno l'intelligenza umana, dunque l'essere, sia quale semplice proposizione, sia quale affermazione oltre il linguaggio, cioè affermazione dell'esistere anche nella inespressività, nel 'silenzio', non potrebbe esistere quale esser tutto. Ciascuna cosa è parte di un tutto ma il tutto esorbita. Ciascuna cosa non è soltanto parte, esorbita il tutto. Oscuri panteismi a parte, che impedirebbero di pensare tali limiti, va considerato l'infinito non unitario. Distruggere le ambizioni impossibili! La filosofia pensa unitariamente tutto nel pensiero riflesso, non nella riflessione vera e propria. La "reductio ad unum", appunto: nel sottrarre, le chimere vanno cancellate dai diari, agende e libri dei filosofi.
Sia bene inteso che le chimere da cancellare non sono le parole scritte. Ho rispettomper l'altrui proprietà e non ho proposto alcuna costrizione. MAURO PASTORE
L'evento del non accadimento, l'assoluto permanere tra le relative permanenze cosmiche... Evento sì, ma non in Dio, bensì nella relazione Dio-mondo. Nel senso heideggeriano di "essere!", ovvero di essere non atto ma azione, Dio sarebbe anche un autoaffermarsi. Nel senso autentico di essere delle cose, Dio non sarebbe definibile "Essere". Il teologo giutamente replicherebbe che Dio stesso si potrebbe definire "Essere". È la questione delle intuizioni date senza esser cercate, i frammenti di un senso ulteriore, inafferrabile interamente, del quale l'intelletto molteplice coglie qualcosa ma non tutto. Razionalmente soltanto Mistero, anche se la ragione in tali casi è meno acuta dell'emozione. La parola Dio è l'allusione a un esistere che la metafora può dire e il calcolo razionale conferma ciò, tale poter dire, però solo se unito all'interesse per tale ricerca, che è priva di conoscenza. A parte tutto questo, oltre il significato della parola allusiva, che indica pur sempre un mistero, oltre il pensiero della relazione esistente tra questo Mistero ed il divenire del mondo, pensiero che afferma Dio quale evento, resta da da capire la distinzione tra l'infinito autoaffermarsi dal quale attingono tutte le materie le nostre affermazioni senza poter affermare l'infinito ma potendo constatarlo, e la finitezza cosmica, mondana, universale. Per questo il pensiero di Dio quale evento è soltanto il pensare a quel Dio, ad Allah, a Geova, al Padreterno, secondo i rapporti differenti del mondo, dei tempi e dei luoghi. È vero che la specificità reca maggior senso della genericità, ma è pur vero che il senso di questi discorsi è incentrato sul rapporto individuale con la divinità. Quindi il Dio nelle religioni è un pensiero più profondo del Dio dei filosofi, ma Dio nel singolo pensante è il vero contenuto di pensiero, gli altri non hanno concretezza. La filosofia atea non entra in questi meriti, v'è una religiosità filosofica che vi entra, restando a parlare di misteri senza la stessa opportunità a disposizione delle dottrine religiose; esistono però le filosofie religiose e le filosofie mistiche, che per quanto non a se stanti, sono pur sempre votate a questi ambiti. Nella spiritualità, che non si limita ad essere interiore, ma coglie significati della vita anche esteriore, il Dio dell'Islam, Allah, il Dio dell'Ebraismo, Geova, il Dio del Cristianesimo, Il Padreterno o più letterariamente 'l'Eterno', si manifesta quale ulteriorità tramite la quale la realtà, finanche quella ordinaria, diventa sensata, gradita, grata. Questo, è 'Dio', quello al quale si pensa, ma che non si pensa. Pensare, è diverso che 'pensare a'. (Per la continuazione si veda il mio testo successivo.)
Il Dio quale evento è un concetto che rivela storie religiose, accadimenti politico-religiosi, schiudendo le porte allo studio storico di fedi e credenze. L'intolleranza marxista aveva chiuso le porte, anche nelle università, alle attività riguardanti tale mondo, che obbedisce anche a dei bisogni naturali, che "Marx & Compagni" fingevano di non sapere! Ma esiste anche la spiritualità, vera base delle dottrine religiose. Non ha senso definire l'eterno un evento, può avere senso considerare l'eternità un evento, in quanto relazione tra permanenza assoluta e impermanenza. Neppure ha senso però la credenza che il Dio pensato, delle religioni, sia una intuizione compiuta. I dogmi, notava e riportava John Wesley, padre del Metodismo cristiano, sono espressioni umane di misteri divini, dunque non restano gli stessi; invece restano gli stessi i misteri adombrati dai dogmi. Dico: adombrati; infatti nell'esprimere si sceglie ed il senso della totalità è perduto. Sono fondamentali i riti, la cui conoscenza non a caso è utile per comprendere la spiritualità delle religioni. Che la relazione Dio-mondo abbia una dinamica, è verità che nella filosofia cattolica, dal Modernismo al Pensiero Debole, è stata opposta, giustamente, alla rigidità, fatalmente segnata da un destino di sopraffazione o autosopraffazione e morte e disastro, voluto da una frangia del cattolicesimo ormai non più cristiana. Infatti se uno specchio contiene l'immagine di un passante, passato lui, riappare l'immagine dello sfondo; chi volesse illudersi che sia il passante od il passato, si ritroverebbe a parlare con un lampione ed a ricordare del manichino di una vetrina come fosse essere vivente. Chiaro l'esempio, apena abbozzato? Tuttavia (t u t t a v i a . . .) la filosofia, ed ancor meno quella religiosa, non può permettersi di lasciarsi travolgere dai significati del Dio creduto nelle religioni, dunque, direttamente o indirettamente (nel caso dell'ateismo), dovrebbe trascendere l'origine religiosa delle proprie riflessioni sull'argomento per accedere alle fonti delle spiritualità, per le quali sono fondamentali le affermazioni della permanenza e del permanere. Soltanto così, tra l'altro, la saggezza della filosofia sarebbe manifesta, disponibile. Ma molti filosofi ripiegano sul razionalismo, dando origine, peraltro, a curiosissimi fenomeni... di stupidaggini e incongruenze psicologiche... che non sono malori né malesseri né malattie, bensì... evidenti mancanze di saggezza e soprattutto distrazioni inescusabili! Non tutto è tempo.
Nel mio testo cominciante con: 'l'evento del non accadimento', l'espressione 'resta da da capire' ovviamente va intesa con una sola proposizione: 'resta da capire'. Il successivo 'Il Padreterno', sebbene tradizionalmente l'espressione sia normalmente usata con la maiuscola anche (o addirittura solamente) per l'articolo, preferisco sia intesa con la maiuscola soltanto per il sostantivo: 'il Padreterno'. Salve. MAURO PASTORE
19 commenti:
Che bel post, professore! :)
Chiara
Ho comprato questo DVD con l'Espresso: spiega molto bene con un linguaggio comprensibile a tutti un filosofo difficile da capire. Vorrei farLe una domanda: che ne pensa della "Lettera sull'umanismo" dove Heidegger afferma di non essere un esistenzialista?
Non è meglio dire... che siamo:"conseguenza istintiva del azione d'origine" che pur' sempre è un "getto" anziché..."progetto gettato"? Tra "istintivo" e "progetto" ci passa un bel mondo nel mezzo.
Istintivo, visto che non possiamo dare una definizione all'azione d'origine...che via,via,diventa l'espressione dei luoghi che incontra, nel proprio carattere, sul quale basa il suo interesse al beneficio del proprio essere...
Elena, effettivamente nella Lettera Heidegger si lascia alle spalle l'esistenzialismo delle sue origini perchè, come dice, bisogna porsi su un piano "dove c'è anzitutto l'essere". Adesso non ricordo bene il mio filmetto; ma se ha voglia, si procuri la mia Introduzione a Heidegger edita da Laterza, un volumetto breve e non troppo costoso. Auguri, GianniV.
Adri: Dire che siamo conseguenza istintiva attribuisce troppa importanza alla pura biologia… Chi getta, nel progetto gettato, "è l'essere" dice Heidegger. Nemmeno Dio o un ente supremo. È l'essere, non identificabile con nessun ente, che può arricchirsi di tutto ciò che viene "dopo": la nostra cultura, le nostre scelte, la storia stessa.
Salve professore , può indicarmi un libro dove si parla dell'essenza dell'uomo ,attinente al suo pensiero?..
Caro Luca, cerchi il mio "Oltre l'interpretazione" (Laterza). Ma sarà difficile trovare qualcosa sull'"essenza dell'uomo", nel mio pensiero... grazie del messaggio, GV
È, l’essere. È
intero,
inconsumato,
pari a sé.
Come è
diviene.
Senza fine,
infinitamente è
e diviene,
diviene
se stesso
altro da sé.
Come è
appare.
Niente
di ciò che è nascosto
lo nasconde.
Nessuna
cattività di simbolo
lo tiene
o altra guaina lo presidia.
O vampa!
Tutto senza ombra ti flagra.
È essenza, avvento, apparenza.
È forse il paradiso
questo? Oppure, luminosa insidia,
un nostro oscuro
ab origine, mai vinto sorriso?
(Mario Luzi, "Viaggio terrestre e celeste di Simone Martini")
Un suo commento, in chiave ontologica, a questi versi (fra i vertici del Novecento) sarebbe splendido.
carissimo Professore, nella lettura che fa Berti di una pagina di Essere e Tempo, riguardante il tema delle passioni in Heidegger, emerge che quest'ultimo attribuisce alla paura il carattere di situazione emotiva fondamentale dell'Esserci. Resto perplesso poichè da ciò che a me è sembrato Heidegger non ritiene la paura bensi l'Angoscia quale stato emotivo fondamentale, stabilendo altresì un'assoluta differenza fra i due stati emotivi.
Prof. Vattimo innanzitutto complimenti per il blog. heidegger diceva che l'essere non può essere racchiuso dentro una definizione precisa ma solo con una serie di metafore. bene! si fa per dire. ho difficoltà a capire il nesso uomo-essere. l'essere non ha forse senso se si parla solo dell'uomo? quindi vi è una congruenza perfetta o sbaglio di brutto?
Carissimo Professor Vattimo, Lei interpreta l'Essere come divenire per evitare quell'oggettivizzazione tipica del pensiero metafisico. Sono d'accordo con questa interpretazione ma si dovrebbe anche tenere in conto l'idea del radicamento nella terra che a mio parere e' molto importante in Heidegger. Per non dimenticare l'Essere bisogna conservare le proprie radici, rimanere in contatto con la propria terra e le proprie tradizioni. Conservazione e divenire devono essere tenuti insieme per vivere il mistero dell'Essere altrimenti si ricade nella metafisica della prassi e/o della volonta' di potenza. Il dominio della tecnica e' frutto dello sradicamento dell'uomo.
Prof. Vattimo sono molto affascinato dall'ermeneutica. Mi chiedo però: se tutto è interpretazione, inevitabilmente si entra in una spirale di sospetto perenne. come ci si orienta? non si rischia di stare, perennemente appunto, sul chi va là????prenda per esempio le torri gemelle. da una parte ci sono i teorici del: va tutto bene, sono stati i cattivi a farli esplodere, dall'altra però si rischia di essere sospettosi senza avere in mano strumenti e capacità di fare indagini di alcun tipo???
Caro Prof. Vattimo,
apprezzo molto le sue spiegazioni su Heidegger, vorrei qui proporre una mia interpretazione. A me sembra che intendere l'Essere solo come evento storico, accadimento, possibilita' non e' sufficiente. Lo stesso Heidegger dice che solo un Dio ci puo' salvare, cioe' un immutabile che vada al di la' della situazione storica e sia universale. L'Essere non puo' che essere il Tutto, cio' che via via appare e cio' che resta nascosto MA, mai completamente afferrabile.
Distinti Saluti,
Alessandro - www.alenomia.blogspot.com
Essere quale essere tutto rappresenterebbe una negazione della differenza ontologica. L'essere degli enti, l'essere per se stesso... I primi rappresentano le cose dell'universo, il secondo Dio, il Mistero. L'affermazione del Mistero dell'essere e dell'universo non è l'affermazione di una unità, neppure di una entità... Inoltre esistono i fatti del mondo, gli accadimenti delle cose, ancor meno unificabili. Se il Mistero fosse una intelligenza suprema, neppure questa conterrebbe nel pensiero tutto il reale, tutti gli accadimenti. Ciascuna cosa, irripetibile, esorbita l'intelligenza, anche perché, autocoscienza singolare ed inimitabile a parte, l'universo delle cose si produce da sé e proviene soltanto, per così dire, dal Mistero, dal 'lasciar essere dell'Essere'. Insomma se è vero che neppure un Dio potrebbe concettualizzare l'esser tutto, (se... neppure un Dio potrebbe...), ancor meno l'intelligenza umana, dunque l'essere, sia quale semplice proposizione, sia quale affermazione oltre il linguaggio, cioè affermazione dell'esistere anche nella inespressività, nel 'silenzio', non potrebbe esistere quale esser tutto. Ciascuna cosa è parte di un tutto ma il tutto esorbita. Ciascuna cosa non è soltanto parte, esorbita il tutto. Oscuri panteismi a parte, che impedirebbero di pensare tali limiti, va considerato l'infinito non unitario. Distruggere le ambizioni impossibili! La filosofia pensa unitariamente tutto nel pensiero riflesso, non nella riflessione vera e propria. La "reductio ad unum", appunto: nel sottrarre, le chimere vanno cancellate dai diari, agende e libri dei filosofi.
MAURO PASTORE
Sia bene inteso che le chimere da cancellare non sono le parole scritte. Ho rispettomper l'altrui proprietà e non ho proposto alcuna costrizione.
MAURO PASTORE
Dicevo: ho rispetto per...
MAURO PASTORE
L'evento del non accadimento, l'assoluto permanere tra le relative permanenze cosmiche... Evento sì, ma non in Dio, bensì nella relazione Dio-mondo. Nel senso heideggeriano di "essere!", ovvero di essere non atto ma azione, Dio sarebbe anche un autoaffermarsi. Nel senso autentico di essere delle cose, Dio non sarebbe definibile "Essere". Il teologo giutamente replicherebbe che Dio stesso si potrebbe definire "Essere". È la questione delle intuizioni date senza esser cercate, i frammenti di un senso ulteriore, inafferrabile interamente, del quale l'intelletto molteplice coglie qualcosa ma non tutto. Razionalmente soltanto Mistero, anche se la ragione in tali casi è meno acuta dell'emozione. La parola Dio è l'allusione a un esistere che la metafora può dire e il calcolo razionale conferma ciò, tale poter dire, però solo se unito all'interesse per tale ricerca, che è priva di conoscenza. A parte tutto questo, oltre il significato della parola allusiva, che indica pur sempre un mistero, oltre il pensiero della relazione esistente tra questo Mistero ed il divenire del mondo, pensiero che afferma Dio quale evento, resta da da capire la distinzione tra l'infinito autoaffermarsi dal quale attingono tutte le materie le nostre affermazioni senza poter affermare l'infinito ma potendo constatarlo, e la finitezza cosmica, mondana, universale. Per questo il pensiero di Dio quale evento è soltanto il pensare a quel Dio, ad Allah, a Geova, al Padreterno, secondo i rapporti differenti del mondo, dei tempi e dei luoghi. È vero che la specificità reca maggior senso della genericità, ma è pur vero che il senso di questi discorsi è incentrato sul rapporto individuale con la divinità. Quindi il Dio nelle religioni è un pensiero più profondo del Dio dei filosofi, ma Dio nel singolo pensante è il vero contenuto di pensiero, gli altri non hanno concretezza. La filosofia atea non entra in questi meriti, v'è una religiosità filosofica che vi entra, restando a parlare di misteri senza la stessa opportunità a disposizione delle dottrine religiose; esistono però le filosofie religiose e le filosofie mistiche, che per quanto non a se stanti, sono pur sempre votate a questi ambiti. Nella spiritualità, che non si limita ad essere interiore, ma coglie significati della vita anche esteriore, il Dio dell'Islam, Allah, il Dio dell'Ebraismo, Geova, il Dio del Cristianesimo, Il Padreterno o più letterariamente 'l'Eterno', si manifesta quale ulteriorità tramite la quale la realtà, finanche quella ordinaria, diventa sensata, gradita, grata. Questo, è 'Dio', quello al quale si pensa, ma che non si pensa. Pensare, è diverso che 'pensare a'. (Per la continuazione si veda il mio testo successivo.)
MAURO PASTORE
(Continuazione del mio testo precedente.)
Il Dio quale evento è un concetto che rivela storie religiose, accadimenti politico-religiosi, schiudendo le porte allo studio storico di fedi e credenze. L'intolleranza marxista aveva chiuso le porte, anche nelle università, alle attività riguardanti tale mondo, che obbedisce anche a dei bisogni naturali, che "Marx & Compagni" fingevano di non sapere! Ma esiste anche la spiritualità, vera base delle dottrine religiose. Non ha senso definire l'eterno un evento, può avere senso considerare l'eternità un evento, in quanto relazione tra permanenza assoluta e impermanenza. Neppure ha senso però la credenza che il Dio pensato, delle religioni, sia una intuizione compiuta. I dogmi, notava e riportava John Wesley, padre del Metodismo cristiano, sono espressioni umane di misteri divini, dunque non restano gli stessi; invece restano gli stessi i misteri adombrati dai dogmi. Dico: adombrati; infatti nell'esprimere si sceglie ed il senso della totalità è perduto. Sono fondamentali i riti, la cui conoscenza non a caso è utile per comprendere la spiritualità delle religioni. Che la relazione Dio-mondo abbia una dinamica, è verità che nella filosofia cattolica, dal Modernismo al Pensiero Debole, è stata opposta, giustamente, alla rigidità, fatalmente segnata da un destino di sopraffazione o autosopraffazione e morte e disastro, voluto da una frangia del cattolicesimo ormai non più cristiana. Infatti se uno specchio contiene l'immagine di un passante, passato lui, riappare l'immagine dello sfondo; chi volesse illudersi che sia il passante od il passato, si ritroverebbe a parlare con un lampione ed a ricordare del manichino di una vetrina come fosse essere vivente. Chiaro l'esempio, apena abbozzato? Tuttavia (t u t t a v i a . . .) la filosofia, ed ancor meno quella religiosa, non può permettersi di lasciarsi travolgere dai significati del Dio creduto nelle religioni, dunque, direttamente o indirettamente (nel caso dell'ateismo), dovrebbe trascendere l'origine religiosa delle proprie riflessioni sull'argomento per accedere alle fonti delle spiritualità, per le quali sono fondamentali le affermazioni della permanenza e del permanere. Soltanto così, tra l'altro, la saggezza della filosofia sarebbe manifesta, disponibile. Ma molti filosofi ripiegano sul razionalismo, dando origine, peraltro, a curiosissimi fenomeni... di stupidaggini e incongruenze psicologiche... che non sono malori né malesseri né malattie, bensì... evidenti mancanze di saggezza e soprattutto distrazioni inescusabili! Non tutto è tempo.
MAURO PASTORE
Nel mio testo cominciante con: 'l'evento del non accadimento', l'espressione 'resta da da capire' ovviamente va intesa con una sola proposizione: 'resta da capire'. Il successivo 'Il Padreterno', sebbene tradizionalmente l'espressione sia normalmente usata con la maiuscola anche (o addirittura solamente) per l'articolo, preferisco sia intesa con la maiuscola soltanto per il sostantivo: 'il Padreterno'. Salve.
MAURO PASTORE
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