sabato 23 gennaio 2010

Ben scavato vecchio Karl

Ben scavato vecchio Karl
Come e perché torna attuale il suo pensiero, un cantiere riaperto di fronte alle crisi del capitalismo

La Stampa - TuttoLibri, sabato 23 gennaio 2010

GIANNI VATTIMO
Ricordate la battuta di qualche anno, o decennio, fa: «Dio è morto, Marx è morto, e anch'io non mi sento troppo bene»? Ebbene forse possiamo cancellarla definitivamente. Dio se la cava ancora egregiamente, nonostante i dubbi alimentati dalle condotte scandalose dei suoi ufficiali rappresentanti in terra; e Marx è ormai largamente risuscitato per merito del palese fallimento del suo nemico storico, il capitalismo occidentale, salvato solo dalle misure «socialiste» dei governi liberali dell'Occidente.
Ad annunciare con freschezza (e audacia) giovanile il ritorno di Marx è uno studioso torinese emigrato temporaneamente al San Raffaele di Milano, dottorando sotto la saggia guida di Giovanni Reale, un accademico non uso a coltivare giovani ingegni sovversivi. Bentornato Marx!, con il punto esclamativo, è il titolo dell'affascinante libro di Diego Fusaro uscito presso Bompiani (pp. 374, e 11,50). Il libro ha il difetto di portare una dedica al sottoscritto, che ha avuto la ventura di essere tra i professori torinesi presso i quali ha studiato l'autore. Ma ne posso parlare senza pudore perché, a parte l'affettuosa dedica, di mio nel libro non c'è niente, credo nemmeno una citazione; il che può ben valere come garanzia: sia della serietà del lavoro, sia dell'assenza di qualunque conflitto di interesse in questa recensione.
Anzitutto, ci voleva la passione e il coraggio di uno studioso giovane per affrontare l'impresa di una ripresentazione complessiva del pensiero di Marx; non tanto perché ancora agli occhi di molti Marx sembra essere un argomento tabù. Ma soprattutto perché bisognava fare i conti con una bibliografia sterminata di studi critici, di interpretazioni anche politicamente contrastanti, senza metterli semplicemente da parte come se fosse possibile tornare al «vero Marx» saltando la storia della fortuna e sfortuna dei suoi testi; e senza, d'altra parte, farsi travolgere dalle discussioni tra gli interpreti, producendo un ennesimo studio in cui Marx risulta oscurato da uno dei tanti ritratti che pretendono di rappresentarlo.
Fusaro è riuscito egregiamente a evitare i due rischi, e ha raccontato con chiarezza e vivacità vita e dottrina di Marx prendendo anche francamente posizione su tante questioni interpretative presenti nella vasta letteratura che cita e discute nelle note. Uno dei temi ricorrenti nel libro è quello del rapporto tra Marx e il marxismo. Ma, dice Fusaro, l'opera di Marx è stata sempre un cantiere aperto - anche il Capitale è un libro incompiuto; e pretendere di cercare una verità originaria di Marx è sempre stata solo la tentazione dei dogmatismi che hanno creduto di richiamarvisi anche in connessione con politiche di dominio.
Dogmatismo è anche parlare di un socialismo «scientifico», ovviamente. Un vasto settore del marxismo novecentesco è stato dominato (si pensa ad Althusser) dall'idea che Marx sia stato anzitutto uno scienziato della società: proprio Althusser insisteva sulla «rottura epistemologica» che separerebbe il Marx giovane (i famosi Manoscritti economico-filosofici del 1844) dal Marx del Capitale, analista obiettivo della società dello sfruttamento e dell'alienazione.
Fusaro, del resto con l'appoggio di molti studi recenti, mostra che neanche l'analisi obiettiva delle strutture del capitalismo condotta nel Capitale sarebbe possibile senza l'operare, nello spirito di Marx, di un costante proposito normativo. Il termine «critica» che ricorre così spesso nei titoli dei suoi scritti - dalla Critica della filosofia del diritto di Hegel fino allo stesso Capitale che è sottotitolato «Critica dell'economia politica», ha sempre avuto per lui il duplice significato: analisi di un oggetto per determinarne il significato e valore, e smascheramento e denuncia di errori e mistificazioni.
Per questo Marx merita la qualifica di pensatore «futurocentrico»; per il quale la filosofia non deve limitarsi a descrivere (o addirittura, a contemplare) il mondo, ma deve trasformarlo (come dice la famosa undicesima delle Tesi su Feuerbach). A quella che Gramsci definirà la «filosofia della prassi» Marx giunge partendo da posizioni che condivide con i «giovani hegeliani», discepoli di Hegel che radicalizzavano in senso rivoluzionario le tesi del maestro, ma sempre mantenendosi nell'ambito di una critica teorica degli errori: così, la religione veniva smascherata come proiezione del desiderio di perfezione dell'uomo, ma tutto si limitava a sostituirvi un atteggiamento mentale filosofico.
Via via che, anche come giornalista della Gazzetta Renana, Marx acquista conoscenza concreta delle condizioni di sfruttamento in cui vivono i salariati della sua epoca, le posizioni di critica filosofica dei giovani hegeliani gli appaiono sempre più insufficienti: se l'uomo proietta in Dio una immagine di perfezione e felicità che non può avere, non basta spiegargli questo meccanismo alienante; bisogna modificare le condizioni di miseria e di infelicità in cui di fatto vive. Questo in fondo è il significato fondamentale del materialismo storico, che come lo spettro del comunismo ha tanto spaventato le borghesie di tutto il mondo.
Il Manifesto del Partito comunista, scritto nel 1848, è un lavoro «su commissione», Marx e Engels lo scrivono per mandato dalla Lega dei comunisti che si riunisce a congresso nel 1847, mentre nel 1864 parteciperanno alla fondazione della Associazione internazionale dei lavoratori, poi passata alla storia come la Prima Internazionale. Anche se da «giovane hegeliano» ha aspirato alla carriera accademica, Marx è ormai un attivista politico, anche la grande impresa scientifica del Capitale nasce in questo clima.
Ma: critica e azione politica in nome di che? Marx, nonostante le apparenze e le opinioni di tanti suoi interpreti, è un «filosofo della storia», eredita da Hegel, rovesciandone il senso puramente idealistico, una prospettiva finalistica (una traccia secolarizzata di religiosità): non che ci «sia» un senso dato della storia, ma certo l'uomo lo può creare se si progetta in un tale orizzonte. La descrizione scientifica del capitalismo ha solo senso in questa prospettiva emancipativa. Che nonostante il «sonno della ragione» mediatico-televisivo in cui siamo caduti, ha ancora, e di nuovo, la capacità di svegliare anche noi: davvero, bentornato Marx!

5 commenti:

http://frame-frames.blogspot.it ha detto...

Vattimo rivaluta il marxismo?
Sicuramente non certo il "marxismo" diventato forma di stato distorcendo la validità del pensiero del filosofo di Treviri.
Più propriamente il suo è uno sguardo critico che va oltre il disincanto: ancora una volta il Marx "indebolito" di Vattimo ci parla:
Le ragioni almeno alcune possono scaturire da alcune considerazioni: 
Nei ’Lineamenti fondamentali della critica dell'economia politica’ per Marx “il sapere sociale generale ovvero il ‘knowledge’ “, è diventato forza produttiva immediata.
“Di fronte al ‘knowledge’ ed al ‘general intellect’ non si impone più la semplice energia (‘argon’) esclusa da implicazioni intellettive.
Nasce l'intelligenza ‘altra’ vale a dire in possesso di sapere-sapienza, avviene così il passaggio dall'‘argon’ alla ‘Techne’.
Il ‘knowledge’ non appare più subordinante, coercitivo o solo tale ma suadente, giocoso, seduttivo: la sua pervasività si insinua in ogni aspetto dell'esistenza: commercializzazione,istituzioni, cultura, scienza ed immaginario.
La creazione di un potere immateriale (capace di travalicare i limiti stessi del denaro, delle nazionalità, delle regole dello scambio) e i sistemi informatizzati del mercato hanno creato quella ‘differenza’ che ha fatto implodere interi paradigmi culturali e sistemi sociali e con la quale, ancora per molto tempo, saremo chiamati a confrontarci.
Se la critica dell'economia politica elaborata da Marx non ha offerto quella completezza che tutti si attendevano, vale a dire se il solo paradigma economico non è più uno strumento adeguato per comprendere la natura stessa dell'occidente e la crisi del socialismo, se la visione della storia è intrisa di paradigmi letterari e filosofici o in crisi o neometafisici, è forse enunciabile un nuovo paradigma?
Perché il dibattito sul problema del tempo che ha percorso la filosofia, la scienza e la letteratura moderna (Proust) non è entrato in connessione-collusione col paradigma temporale soggiacente nella ‘teoria del valore’ di Marx?
La classica visione del tempo procede per spostamenti progressivi e lineari.
Hawking ci fornisce la possibilità di calcolare una temporalità non lineare, quindi ci dischiude una visione della temporalità ‘altra’ dai paradigmi delle narrazioni ottocentesche, con la teoria dei ‘numeri immaginari’.
E' utile riflettere sulla visione marxiana del tempo enucleata nell'elaborazione scientifica del ‘tempo di lavoro’ inteso come il tempo necessario per produrre il ‘valore’ ed il ‘plusvalore’: l'intero sistema capitalistico dipende dal ‘tempo di lavoro’ ovvero da una elaborazione linearizzata del tempo; un parte necessaria per costruire l'economia sufficiente per l'esistenza della classe, un'altra per la costruzione del ‘plusvalore’ e del profitto.
Nella ‘teoria del valore’ di Marx c'è tutta la visione lineare e positivistica del tempo che, se fino agli anni '60 ha funzionato, dopo con l'irruzione delle nuove tecnologie e con la prevalenza di un'intellettualità diffusa, è entrata in crisi
La ricerca scientifica rovescia la ragione classica: da Gödel ai ‘frattali’ di Mandelbrot, alle ‘catastrofi’ di Thom a Feyerabend ‘la matematica rimette in discussione la possibilità di misurazione’.
E infine per Medawar ‘non esiste un metodo scientifico’:non è forse il caso di... ’capovolgere’ la teoria marxiana in alcune sue parti? Per l'appunto: Marx ha bisogno del Pensiero debole per parlarci ancora.

MAURO PASTORE ha detto...

Karl Marx fu prima socialista utopico, poi ispiratore del socialismo reale e già sulla via del totalitarismo per non voler accettare le differenze ìnsite nei vari contratti sociali di fatto già allora esistenti. Marx era un noto critico delle concezioni filosofiche di Hegel. Sulla scia del sensismo illuminista ed illuminato dal 'sensazionalismo' di Feuerbach, continuazione a suo modo idealista ma dal destino materialista del sensismo, Marx notò che il sistema hegeliano non aveva basi reali per funzionare in politica. Pensò di rifarlo su base sensista, incorrendo però in una gigantesca aporia per non essersi avveduto sulla natura unica dei dati percettivi e dunque sulla semplicità delle intuizioni basate sulle sensazioni. Cercò nelle dottrine di Feuerbach una visione assoluta della storia, ma che sensismo e suoi sviluppi ulteriori non potevano dare. Invece di considerare i limiti dell'approccio materialista, commutò il sistema di Feuerbach, che era descrizione critica, in una prassi materialista incorrendo così nella grave illusione che si potesse tener conto della attività soggettiva dei sensi oltre che della passività oggettiva per costruire una pratica filosofica e politica universale. Feuerbach, rimasto ancorato alle considerazioni unitarie del sensismo, fu quindi sottoposto da Marx a duri attacchi politici, anche inspiegabilmente personali e non senza terribili ingiurie (alcune anche scritte). Eppure il senso della molteplicità che Marx si era illuso d'aver ottenuto era solo un assolutismo materialista, opposto speculare di quello idealista hegeliano complice della prepotenza neoimperialista tedesca, anzi non solo opposto, anche derivatone per amore-odio politico e culturale. L'intolleranza intellettuale di Marx e dei suoi parve altro da quando sostenuta da Engels, affascinato dal positivismo e suo servo insospettabile. Engels forniva un contesto falsato, proveniente da dati interpretati senza rigore anzi secondo premesse culturali fallaci, mosse da astio verso la cultura Europea e da ignoranza della cultura euroasiatica. Engels fu in realtà modesto operatore culturale ed i suoi risultati filosofici, a causa dell'errore sul positivismo, praticamente nulli. Per disastrosa conseguenza di tanta prepotenza e supponenza Engels procurò l'affermazione del comunismo marxista, che il Marx stesso, infine avvedutosi della propria illusione, ripudiò ripudiando le decisioni del Partito, testimoniando solo a favore delle Comuni nazionali europee, però ripudio e testimonianza ultimi non ebbero corrispettivo filosofico nella sua opera, la medesima violenza comunista glielo impedì (Hegel invece ritrattò le proprie posizioni culturali e politiche autoridimensionandosi valori e portata del proprio operato). A che pro resuscitare il fallimento di Marx? Vantaggi non ve ne sono.

Il marxismo quindi sorse per opera di indistinzione: i marxiani non vollero identificare gli sfruttatori nel capitalismo, decidendo di condannarlo tutto quanto intero. In sèguito il marxismo fu usato come arma quando si voleva imporre un poco dappertutto il capitalismo, ma chi guidava lo stratagemma voleva la sconfitta dello stesso comunismo. Dal crollo del comunismo sovietico in poi il marxismo non è diventato più buono neppure per i doppi giochi politici e trova sostenitori consapevoli solo tra gli antipolitici o tra i nostalgici del più selvaggio capitalismo, che cercano di fare dei nostalgici del comunismo una scintilla che faccia loro scoppiare le tasche di soldi e soldini e soldoni.

MAURO PASTORE

MAURO PASTORE ha detto...

Realmente accaduto già ai tempi di Marx... fu la completa e non tanto implicita confutazione delle teorie marxiane, contenuta nell'opera "L'Unico e la sua proprietà", testo con firma pseudonima "Max Stirner", eletta a punto di riferimento imprescindibile ma senza beneplacito dell'Autore dai movimenti anarchici, che ne fecero lettura politico-filosofica anziché filosofico-politica. Nel testo è introdotta la nozione filosofico-psicologica di "volontà di potenza", la stessa che Nietzsche poi costruiva e riformulava anche e soprattutto in senso politico, per distruggere le ambizioni basate su idee ed utopie antiquate o prive di senso della necessità, purtroppo in sèguito travisata e sfruttata dal nazismo. Unico è ciascun individuo del quale è caratteristica la differente ambizione, pur nella comune, collettiva natura politica che spinge ognuno a desiderare con arbitrio. Per questo nessuna convivenza sociale potrebbe fornire soluzione a drammi e tragedie individuali e dunque nessun collettivo, in quanto fatto da singoli individui, potrebbe sfuggirne le conseguenze. La apparente trasgressione religiosa e morale delle affermazioni sulla smisurata ambizione umana sono ironicamente ricondotte alle affermazioni teologiche cristiane del Dio fattosi partecipe dell'umanità per servirla, non negate né ridicolizzate. Molti lo scambiarono per ateismo, inventandosene relativa e preveduta dottrina, mentre il libro di "Max Stirner" influenzò il sionismo ma soprattutto oltre a fornire ispirazione all'anarchismo servì la causa del liberalismo.

A muovere una terribile critica contro l'assolutismo marxista sopravvissuto fu Levinas, acuto analista e critico della frangia estremista e rivoluzionaria del relativismo contemporaneo, che Levinas tacciò di inconcludenza, violenza, inopportunità. Levinas aveva ispirato la politica israeliana, mostrandone le condizioni di mancanza di diritto e di impossibilità di favorevole applicabilità del diritto, tuttavia conferendo valore provvisorio alla necessità di praticare forme di rispetto politico senza diritto politico, quindi decretandone finito il periodo per Israele. Basava la nozione di rispetto dell'altro sull'atto del solo riconoscimento dell'altro, indicandone il presupposto teorico e di conoscenza nel "senso unico", ovvero senso in quanto tale semplicemente. Questa notazione servì per giudicare la fallacia del marxismo, per un periodo tendenza dominante per ambienti ebraici, giudaici, giudaizzanti che si sosteneva sui disastri del relativismo culturale più estremo, nella contemporaneità diversamente che nella modernità. Successivamente il professore e filosofo francese J. Derrida annotava che in Europa del marxismo ne era rimasto ancora lo spettro. Non potendo scorgere nessun valore nel destino filosofico occidentale e neppure nella religione del proprio ambiente di origine, Derrida, che non era ebreo ma era solo vissuto in ambienti ebraici, decideva di non lasciare nessun paradigma scritto per il proprio operato filosofico, definibile in verità quello di un nuovo e minimo 'eraclito' delle accademie ed università, come Kierkeggard era stato piccolo 'socrate' per la teologia evangelica e protestante cristiana. Sembrò che Derrida volesse indulgere al marxismo, ma il suo ultimo e non dichiarato anzi in apparenza contraddetto scopo (me ne sono avveduto ultimamente con gioia) era quello di mostrarne l'arbitrarietà e non necessità di movimento intellettuale, politico, culturale.

MAURO PASTORE

MAURO PASTORE ha detto...

Nel primo dei miei messaggi in questa pagina del forum ho usato lettera maiuscola per l'aggettivo "Europea" e minuscula per l'aggettivo "eurasiatica", entrambi riferiti al sostantivo "cultura". Ritengo preferibile esprimere nelle lettere la distinzione Europa/Eurasia considerando che l'Europa è partecipe della realtà eurasiatica meno che nel caso dell'Asia, dato il rapporto di filiazione Oriente-Occidente.

MAURO PASTORE

MAURO PASTORE ha detto...

"Kierkeggard" sta per Kierkegaard. Nonostante alcuni strani e sospetti pedanti non vogliano ammetterlo, i termini danesi, pur non ammettendo ufficialmente molteplicità di scritture quali quelli dall'alfabeto cirillico al nostro, tuttavia si possono scrivere differentemente senza errare qualora le scritture ricordino variamente la pronuncia originale danese. Ciò, a causa della diversissima fonetica del danese (in parte anche segnata talvolta). Una volta un sedicente professore, "neurologo", finse anche con se stesso di saper pronunciare il danese cercando di additare ignoranze dove non ve ne erano o fossero! In un porto del Nord Europa avevo sentito tanti anni prima un adagio adatto per questi casi: 'mai dir dei culi delle balene a quelli che non ascoltano se stessi!". In verità a me piace formulare l'ipotesi che Soren Kierkegaard fosse l'amante segreto della moglie del filosofo tedesco Schelling, appunto mi risulta tale Regina Olsen, antica fidanzata di Soren... Invece il sedicente professore "neurologo" lo ritrovai tempo dopo coi segni in mente e corpo di una scorpacciata di 'grasso interno' di capodoglio, e ricordai un'antica maledizione normanna: 'chi abusa del proprio errore, abusi per errore degli errori di percorso delle balene!' Questa si, che è una vera... norma!!

(MAURO PASTORE)