mercoledì 14 aprile 2010

L’omofobia del cardinale Bertone

L’omofobia del cardinale Bertone
Il manifesto, 14 aprile 2010

Ma allora dovremmo non chiamare pedofilo un qualunque maschio dedito a stuprare ragazzine minorenni, dato che la pedofilia è legata a quell'altra "perversione" che è l'omosessualità? Il card. Bertone, che afferma questa ennesima castroneria, lo fa evidentemente in nome di quella "antropologia biblica" a cui spesso alludono i gerarchi cattolici, non sospettando nemmeno lontanamente che essa ha più o meno l'attendibilità della cosmologia contenuta nello stesso testo sacro e abbandonata anche dai più reazionari astronomi pontifici. Del resto l'antropologia biblica non fornisce molti lumi su che cosa si debba definire in assoluto pedofilia: al catechismo ci hanno insegnato che la vergine Maria andò sposa a Giuseppe intorno ai tredici anni, era quello l'uso della società e dell'epoca, e le sue coetanee che si sposavano a quell'età non erano tutte benedette dallo Spirito Santo, concepivano e partorivano in modi meno soprannaturali. Forse non solo come "padre putativo", ma soprattutto perché non era omosessuale, anche oggi San Giuseppe sfuggirebbe all'accusa di essere pedofilo, vescovi e papi non lo denuncerebbero alle autorità civili, come del resto hanno continuato a fare per tanti anni conformemente ad autorevoli indicazioni del Santo Uffizio, anche ratzingeriano. Che anche l'età in cui si è ritenuti capaci di liberi rapporti sessuali sia un affare di cultura più che di natura non scandalizza nessuno, tranne coloro che continuano a credere che ci sia una "legge naturale" di cui sarebbero detentori il papa e i vescovi e che li autorizzerebbe a decidere in nome di Dio sull'aborto, la fecondazione assistita, l'eutanasia, il divorzio e magari su tutto ciò che le costituzioni moderne affidano alle leggi democraticamente scelte dai cittadini.

Noi possiamo condannare la pedofilia perché viola una legge dello stato, se uno non riesce a resistere a pulsioni pedofile deve cercare di controllarsi, anche con l'aiuto della medicina, più o meno come chi sia compulsivamente esibizionista, o sadico, cleptomane ecc. Non sappiamo se in queste tendenze ci sia qualcosa di "naturalmente" deprecabile, salvo quando, come nel caso della pedofilia, implichino violenza sugli altri; e i bambini, come non fanno contratti e non votano, così non sono considerati capaci di scegliere liberamente se, come e con chi fare sesso. Chi li costringe a farlo fa loro violenza, anche se possiamo capire che non si senta un mostro il vecchio curato o il vecchio maestro che accarezza una giovane parrocchiana o un giovinetto suo discepolo. Se l'una o l'altro non hanno ancora l'età può anche non essere peccato, ma è un reato, e come tale va perseguito (con tutte le eventuali attenuanti del caso: professor Socrate, quanti anni ha il suo Alcibiade?).

Dunque, a parte le dubbie omofobe del card. Bertone e di tanti suoi confratelli (evidentemente l'omosessualità resta il vero nemico, perché è una cosa seria, ormai nessuno la considera una "malattia"; e anche perché se la trovano continuamente per casa), potremmo persino dar ragione a vescovi e papi quando cercano di risolvere la cosa "in famiglia", proprio come accade quando un genitore scopre che il figlio, o la figlia, è stato molestato dallo zio, spesso senza riportarne quei terribili traumi denunciati dagli avvocati americani per ottenere i risarcimenti che hanno mandato in rovina tante diocesi. E, diciamolo a rischio di essere fraintesi o anche maledetti, quanta della violenza connessa alla pedofilia dipende dallo stigma sociale che l'ha da ultimo sempre più duramente colpita? Il pedofilo che abusa del bambino nel bosco forse non lo ucciderebbe se non temesse di essere denunciato alla nonna e poi proposto da Calderoli per la castrazione chimica. Creare mostri non è mai servito a nulla. Sto chiedendo di premiarlo, invece? Certo che no. Solo, enunciando pensieri che vengono in mente anche a chi, senza essere pedofilo (con tutto il rispetto per il loro problema) è sanamente omosessuale; pensieri su cui tanti, preti, vescovi e no, forse farebbero bene a riflettere.

Gianni Vattimo

3 commenti:

Adele ha detto...

Dopo i siciliani mafiosi, gli islamici terroristi , gli albanesi ladri, i romeni stupratori per salvare lo Stato… ci mancavano, gli omosessuali pedofili per salvare la Chiesa. Direi che ne avevamo proprio bisogno per rafforzare la nostra fede barcollante .
Tuttavia, nelle parole di Bertone ad essere stata oltraggiata non è tanto una categoria in sé e per sé, ma la persona umana. La persona con i suoi limiti , le sue debolezze, i “suoi difetti”. Ancora una volta, i membri più autorevoli della Chiesa si arroccano in difesa dell’indifendibile , con disperazione. E come spesso accade , quando si cerca di farla franca , opponendo le proprie egoistiche ragioni a quelle degli altri , è la ragione stessa ad essere sacrificata. Le parole di Bertone assecondano dunque una logica stupida cieca e cinica, ma anche contraddittoria, perché se è vero che l’uomo è stato creato da Dio a Sua immagine e somiglianza , quelle parole sono negatrici di quella verità .
Mi dispiace per tutte le persone omosessuali colpite da questa accusa e costrette a difendersi , a giustificarsi agli occhi della società intera. Quello di Bertone è un colpo basso e meschino che lo qualifica come persona priva d’ogni scrupolo morale, indegno di presentarsi al mondo come “uomo di Dio”.

Anonimo ha detto...

VATTIMO ORRENDO

Vattimo, sinistra e pedofilia

di Luca Bonaccorsi

da Terra, 15 aprile

L’omosessualità è una libera scelta tra adulti liberi. Gli stati che la perseguitano sono assassini e liberticidi. Vanno riformati, quando possibile. Sovvertiti se necessario. Le culture che per gli omosessuali costruiscono ghetti, condanne inappellabili, e strutture sociali discriminatorie sono fasciste e reazionarie. Vanno cambiate, trasformate, quando possibile. Abbandonate e combattute se necessario.

Ma la pedofilia è tutta un’altra partita. Non c’è libertà e non c’è sessualità nel rapporto genitale tra un adulto e un bambino: solo violenza e imposizione. Che, quando non è fisica, è psicologica. La violenza psicologica non è in alcun modo meno grave di quella fisica. Anzi, forse è peggiore. Distrugge l’identità del bambino, lo condiziona spesso a una vita incompleta e infelice.

Su questi pochi principi (su omosessualità e pedofilia) converge il (buon)senso dei più. Almeno nei paesi laici occidentali. Eppure anche nei paesi laici occidentali, e proprio nel corpo della sinistra che in una fase della sua storia è stata paladina dei diritti civili, c’è del marcio fetido, una confusione mentale purulenta che disconosce questi basilari principi di umanità.

L’esempio più lampante l’ha offerto ieri il filosofo cattocomunista Gianni Vattimo su il manifesto. La difesa di Vattimo alle accuse deliranti che Bertone ha lanciato dal Cile lunedì, si basa su una linea di ragionamento agghiacciante: la pedofilia, in fondo, non è una cosa così seria, questi preti sono antiquati con la loro “antropologia biblica”.

L’intellettuale cattocom parte da un ovvietà: la definizione di pedofilia dipende dalla cultura e dalla storia. Esempio classico: la Maria moglie di Giuseppe e madre di Gesù fu data in sposa a 13 anni. Era quindi Giuseppe un pedofilo? Se di Giuseppe, la cui esistenza è assai incerta, non sappiamo dire (in un mondo in cui si moriva intorno ai 40 anni forse i tempi di vita erano effettivamente differenti) di Vattimo, dopo la lettura, non resta alcun dubbio: a lui i pedofili non stanno antipatici. Scrive infatti Vattimo: «possiamo capire che non si senta un mostro il vecchio curato o il vecchio maestro che accarezza una giovane parrocchiana o un giovanetto suo discepolo. Se l’una o l’altro non hanno ancora l’età può anche non essere peccato...». Scorda, il filosofo, che nessun bambino denuncia gli adulti per delle “carezze”.

I pedofili toccano i genitali dei bambini. Li penetrano con le dita, quando va bene. Oppure si fanno masturbare dai bambini. Che strana idee delle “carezze” ha Vattimo. Ancora Vattimo: «noi possiamo condannare la pedofilia perchè viola una legge dello Stato». In realtà noi condanniamo la pedofilia innanzitutto perchè è aberrante. La condanniamo oggi anche per i paesi in cui non viola alcuna legge (vedi i casi di spose bambine in tanta parte del mondo). Forse Vattimo ha bisogno di una legge per condannare un pedofilo. La maggioranza degli esseri umani no: sanno che è un malato grave e pericoloso.

Lo sanno tutti quelli che hanno un rapporto con la realtà in generale, e con la realtà psichica dei bambini in particolare. L’assoluta incapacità di “sentire” la violenza insita nell’atto genitale (rifiutamoci, intanto, di chiamarlo “sessuale”) con un bambino porta il filosofo a pronunciare frasi da denuncia penale del tipo: «quanta della violenza connessa alla pedofilia dipende dallo stigma sociale che l’ha da ultimo sempre più duramente colpita?Il pedofilo che abusa del bambino nel bosco forse non lo ucciderebbe se non temesse di essere denunciato alla nonna e poi proposto per la castrazione chimica da Calderoli».
Tradotto: il pedofilo uccide i bambini per evitare lo “stigma”. È un atto quasi “difensivo” il suo. Se noi non lo colpevolizzassimo così brutalmente, dopo aver abusato il bimbo nel bosco, forse non lo ucciderebbe. L’accondiscendente prossimità dell’argomentare con la psicologia pedofila è preoccupante.

segue su http://www.terranews.it/news/2010/04/vattimo-sinistra-e-pedofilia

Adele ha detto...

Io direi che è invece orrenda la lettura delle parole di Vattimo da parte di questo Bonaccorsi. Solo un sessuofobo moralista ipocrita può spiegare con tanta minuziosa perizia "cosa si intende per carezze di un prelato nei confronti di un bambino", come fa questo moralista.
Non mi sembra che Vattimo abbia bisogno di una legge per condannare un pedofilo, e non corrisponde a verità che la maggioranza degli esseri umani la condanni ,se non con esacerbato moralismo , come il signor Bonaccorsi, senza sforzarsi minimante di capire , di ricordurre il fenomeno a fatti culturali . Forse si è dimenticato che fino a pochi decenni fa molte ragazzine, nel nostro meridione di Italia andavano in sposa a 14, 13 , persino a 12 anni! Chi le obbligava? La società stessa per riparare a un peccato: un rapporto sessuale avvenuto fuori dal sacramento matrimoniale. In Sicilia , fino a 30 , 40 anni fa ( non nei secoli AC) erano per la maggior parte spose bambine che già a 8 , 9 erano state svezzate, avevano varcato la soglia dell'infanzia. Lavoravano duramente a casa e nei campi, curando un esercito di fratellini, lavando i piatti , salendo e scendendo le scale dei padroni dove facevano le "criate" ( termine spagnolo che significa serve). Stesso destino spettava ai bambini che già a 6 anni andavano a lavorare dentro le cave delle miniere di zolfo e di sale, trattati come adulti da una società misera e incapace di pietà, come è oggi del resto, anche se , abbiamo imparato a riconoscere una fase dell'infanzia più lunga. Il problema di questa "devianza" è strettamente legato anche a retaggi culturali, che vanno ricondotti a sovrastrutture antiche. Sono d'accordo con Vattimo.