Già, ma è risaputo – forse – che il Parlamento europeo “conta” poco, tutto sembra in mano alla Commissione (l’artefice del mercato unico) e al Consiglio, composto dai governi degli stati nazionali). Anche se in Europa la suddivisione dei tre poteri è meno netta, rispetto alla situazione degli stati nazionali (la Commissione è il potere esecutivo, ma possiede poteri di iniziativa legislativa; il Consiglio e il Parlamento, dunque non solo quest’ultimo, sono il potere legislativo), è chiaro che il Parlamento è l’anello debole della catena legislativa europea. E allora forse si spiega almeno in parte perché del Parlamento europeo si parli così poco, sui giornali e nei programmi televisivi italiani. Eppure quando sono stato parlamentare europeo, tra il 1999 e il 2004, di Europa si parlava eccome. Forse perché eravamo ancora prede della sbornia seguita alla costituzione dell’Unione Europea, all’ingresso faticoso dell’Italia nell’Europa di Maastricht, poi all’entrata in vigore dell’euro e alla creazione di una convenzione, quella che poi avrebbe scritto l’avveniristica (almeno inizialmente) Carta europea dei diritti fondamentali, che sembrava rappresentare le migliori speranze del continente. In negativo, l’Europa faceva capolino sui media italiani all’epoca del semestre di presidenza italiana con lo scontro tra Berlusconi e Schulz e la consegna ai parlamentari europei, da parte mia, di un opuscolo a firma di Marco Travaglio, tradotto in cinque lingue, illustrativo della figura del nostro presidente del consiglio. E ancora, con la scoperta del sistema Echelon (ho fatto parte della commissione d’inchiesta), una vera e propria struttura di spionaggio messa in atto dagli Stati Uniti e dalla stessa Inghilterra, con Canada, Australia e Nuova Zelanda; e con il dibattito sulle radici cristiane dell’Europa. Ma il clima, in generale, pareva diverso: per continuare con gli esempi legati alla mia persona, il 31 maggio 2003 (finivano in quei giorni i lavori della Convenzione) avevo promosso un’iniziativa che coinvolgeva alcuni intellettuali europei (Habermas, Derrida, Eco, Savater, Muschg e Rorty), tutti disposti a pubblicare – io scrissi su La Stampa un articolo dal titolo “Casa Europa” – un saggio sul futuro dell’integrazione europea, ciascuno su un importante quotidiano nazionale europeo.
domenica 31 maggio 2009
L’Europa che ci attende
Già, ma è risaputo – forse – che il Parlamento europeo “conta” poco, tutto sembra in mano alla Commissione (l’artefice del mercato unico) e al Consiglio, composto dai governi degli stati nazionali). Anche se in Europa la suddivisione dei tre poteri è meno netta, rispetto alla situazione degli stati nazionali (la Commissione è il potere esecutivo, ma possiede poteri di iniziativa legislativa; il Consiglio e il Parlamento, dunque non solo quest’ultimo, sono il potere legislativo), è chiaro che il Parlamento è l’anello debole della catena legislativa europea. E allora forse si spiega almeno in parte perché del Parlamento europeo si parli così poco, sui giornali e nei programmi televisivi italiani. Eppure quando sono stato parlamentare europeo, tra il 1999 e il 2004, di Europa si parlava eccome. Forse perché eravamo ancora prede della sbornia seguita alla costituzione dell’Unione Europea, all’ingresso faticoso dell’Italia nell’Europa di Maastricht, poi all’entrata in vigore dell’euro e alla creazione di una convenzione, quella che poi avrebbe scritto l’avveniristica (almeno inizialmente) Carta europea dei diritti fondamentali, che sembrava rappresentare le migliori speranze del continente. In negativo, l’Europa faceva capolino sui media italiani all’epoca del semestre di presidenza italiana con lo scontro tra Berlusconi e Schulz e la consegna ai parlamentari europei, da parte mia, di un opuscolo a firma di Marco Travaglio, tradotto in cinque lingue, illustrativo della figura del nostro presidente del consiglio. E ancora, con la scoperta del sistema Echelon (ho fatto parte della commissione d’inchiesta), una vera e propria struttura di spionaggio messa in atto dagli Stati Uniti e dalla stessa Inghilterra, con Canada, Australia e Nuova Zelanda; e con il dibattito sulle radici cristiane dell’Europa. Ma il clima, in generale, pareva diverso: per continuare con gli esempi legati alla mia persona, il 31 maggio 2003 (finivano in quei giorni i lavori della Convenzione) avevo promosso un’iniziativa che coinvolgeva alcuni intellettuali europei (Habermas, Derrida, Eco, Savater, Muschg e Rorty), tutti disposti a pubblicare – io scrissi su La Stampa un articolo dal titolo “Casa Europa” – un saggio sul futuro dell’integrazione europea, ciascuno su un importante quotidiano nazionale europeo.
Risposta giovane all’astensionismo
Ma la sensazione di sconforto resta. E allora cosa? Quando osservo i giovani che distribuiscono la mia faccia ai mercati insieme a me, mi capita di pensare che in fondo una risposta all’astensionismo c’è, seppure debole (ma fino a che punto? Forse è meno debole di quanto si pensi). L’elettore, come detto, urla la sua protesta: li ho votati per trent’anni, e non è successo nulla. Già, ma i giovani possono rispondere: “E io?”. Loro non possono dire altrettanto. Non hanno votato “inutilmente” per trent’anni: devono necessariamente trovare una risposta diversa. Quando i giovani rispondono “e io?”, l’elettore si ferma forse imbarazzato, giustificando la rassegnazione: “ne ho viste più di te”, ecc. Ma il giovane non può che ribattere, “io ci sto provando. In gioco c’è il mio futuro, oltre al vostro”. L’elettore tenta allora di spostare l’oggetto: “infatti, siete voi che dovete cambiare le cose”. Sì, risponde il giovane, ma se non riesco a coinvolgere le persone che votano da trent’anni, non potrò mai cambiare nulla, né spingere i giovani astensionisti a ripensare all’occasione perduta: molti di loro, lo dico per esperienza personale (avendo osservato come i ragazzi che sostengono la mia candidatura tentino di persuadere i loro coetanei astensionisti a votare), non attendono altro che un altro giovane disposto a discutere, faccia contro faccia, le ragioni della sua passione politica. I “vecchi” elettori tornano allora con la mente a quando stavano dall’altra parte. E magari ripensano a quanto appena detto. Se anche non è cambiato nulla per loro (ma è poi vero?), questo non è un buon motivo per spegnere le speranze dei giovani.
Sono anch'io un candidato per il software libero
- Libertà di eseguire il programma, per qualsiasi scopo (libertà 0).
- Libertà di studiare come funziona il programma e adattarlo alle proprie necessità (libertà 1). L'accesso al codice sorgente ne è un prerequisito.
- Libertà di ridistribuire copie in modo da aiutare il prossimo (libertà 2).
- Libertà di migliorare il programma e distribuirne pubblicamente i miglioramenti (e le versioni modificate in genere), in modo tale che tutta la comunità ne tragga beneficio (libertà 3). L'accesso al codice sorgente ne è un prerequisito. Un programma è software libero se l'utente ha tutte queste libertà[1].
Per approfondire clicca qui.
Il software libero è importante per l'Italia perché:
dinamizza il mercato nazionale delle PMI di servizi informatici[2];
realizza i valori costituzionalmente garantiti della libertà d'espressione e d'informazione, libertà di cultura, libertà d'iniziativa economica, uguaglianza e cooperazione[3].
beneficia la bilancia dei pagamenti[4] ed il bilancio dello stato[5].
[1] Definizione tratta dal sito del progetto GNU.
[2] Mentre nel mercato del software proprietario la vendita di licenze gioca in misura fondamentale, l'economia del software libero si incentra sulla fornitura di servizi (di installazione, personalizzazione, sviluppo, modifica, manutenzione, assistenza, e formazione) che possono essere erogati da PMI. La diffusione del software libero favorisce lo sviluppo di competenze informatiche sul territorio e quindi migliora la competitività del mercato ICT nazionale e, incidentalmente, riduce la dipendenza del sistema paese dalle risorse tecnologiche estere.
[3] Vedi l'articolo “Software libero e diritti fondamentali”, che evidenzia i profili di rilievo costituzionale del software libero.
[4] Se si usa più software libero diminuisce l'acquisto di licenze software. Da ciò consegue una diminuzione delle importazioni ed un beneficio nei conti della bilancia dei pagamenti. Infatti, i maggiori fornitori di software proprietario utilizzano strategie di ottimizzazione fiscale e vendono le loro licenze dall'estero (per esempio, Microsoft vende dalla filiale Irlandese. A p. 32 delle note integrative al bilancio di Microsoft S.r.l. per l'esercizio economico 2005/2006 si legge: E' importante rilevare che Microsoft Italia non vende ai clienti i prodotti di Microsoft, in quanto le vendite sono effettuate da Microsoft Ireland Operation Limited).
[5] Quando un'impresa od un privato rinunciano ad acquistare licenze di software proprietario dall'estero ed acquistano servizi di software libero in Italia, lo stato ha un maggior introito fiscale consistente nell'imposta sul reddito pagata dall'impresa nazionale e, a cascata, nell'imposta sui redditi dei dipendenti dell'impresa, dei fornitori, ecc.
(http://www.carocandidato.org/wiki/view/what)
Luino (VA): "In Europa per la difesa della democrazia"
Oggi saremo...
a Cuneo, alle 21, per la presentazione dei candidati IdV alle elezioni europee, circoscrizione Nord-Ovest (http://targatocn.it/it/internal.php?news_code=66661&cat_code=114).
sabato 30 maggio 2009
Tra Silvio e Gianni chi è valoriale
C’eravamo appena lasciati alle spalle l’odioso termine «attimino», e ancora resiste il termine «filiera».
Adesso ci arriva quello di «valoriale» che, a naso, dovrebbe indicare una gamma di valori indistinti ma tutti positivi.
E’ «valoriale», chiede Franceschini, il comportamento «educativo-genitoriale» di Berlusconi?
Sono «valoriali» i comportamenti di Di Pietro per i giornalisti del Giornale?
Di Pietro... l’Italia dei valori... ecco da dove può essere nato il termine «valoriale» che potrebbe essere applicato anche ai suoi adepti.
Per esempio: Gianni Vattimo è «valoriale»?
Così, su Tuttolibri di sabato 30 maggio, Nico Orengo. Che ci ha appena lasciati.
venerdì 29 maggio 2009
Blog e web: Obama e Berlusconi battuti da Bonsignore e Vattimo
Chiaramente i numeri sono ancora ben distanti da quelli americani. Ma sorprendentemente, facendo una comparazione*, notiamo che i blog dei nostri uomini politici probabilmente sono più interessanti, o perlomeno, la media delle pagine viste da ogni utente è in molti casi più alta di quello americano e ancor più il tempo dedicato al sito da ognuno (vedi grafici). Per molti altri il sito è ancora uno strumento per raccontarsi più che per dialogare. Peccato, perché l'Europa sarebbe più vicina se raccontata attraverso internet.
mercoledì 27 maggio 2009
Perché una persona di sinistra può votare l'IdV
di Gianni Vattimo (candidato per l’Italia dei valori)
Prima di un nuovo post (ma in realtà questo stesso lo è), vorrei rispondere a un commento (Marina) giunto al blog di MicroMega, di estrema importanza. Marina pensa che all’Italia dei Valori manchi “ancora quel quid davvero di sinistra che convinca quelli che ce l’hanno a morte con Berlusconi e la sua cricca, e sono rimasti delusi dal Pd, ma definiscono sprezzantemente Di Pietro un poliziotto, un questurino, un populista… dicono che ha una cultura di destra “nonostante tenti di presentarsi come colui che scopre la realtà del lavoro”. Segnala inoltre un video di Agnoletto che ricorda che Di Pietro chiederà a ogni parlamentare eletto nell’IdV di sedersi tra i banchi dell’Eldr, il partito dei liberali in Europa. Agnoletto spiega che l’Eldr ha votato la famigerata direttiva Bolkenstein, leggi discutibili sull’immigrazione e sull’orario di lavoro. Già. Leggi alle quali io sono contrario, ovviamente, come ho già avuto modo di ricordare in alcuni articoli del passato pubblicati, se non erro, su La Stampa. Una persona di sinistra può allora votare l’IdV? Io ne sono convinto.
martedì 26 maggio 2009
Genova, presentazione di "Addio alla verità": primi piani
VERITA', RELATIVISMO, MORALISMO
Facoltà di Filosofia CeSEP - Centro Studi di Etica Pubblica LFP - Laboratorio di Filosofia Pratica presentano
Cesano Maderno, Università Vita - Salute San Raffaele, Facoltà di Filosofia
Palazzo Arese-Borromeo, Sala dei Fasti Romani
Roberta De Monticelli
Roberto Mordacci
Modera: Glauco Tiengo
locandina
In occasione dell’uscita dei libri
Gianni Vattimo, Addio alla verità, Meltemi, 2009
Roberta De Monticelli, La novità di ognuno. Persona e libertà, Garzanti, 2009
Roberto Mordacci, Elogio dell’immoralista, Bruno Mondadori, 2009
Il tramonto della verità è la rappresentazione più fedele della cultura contemporanea: questo vale, secondo Gianni Vattimo, non solo per la filosofia, la religione e la politica, ma anche e soprattutto per l’esperienza quotidiana di ognuno di noi. La cultura delle società occidentali è – di fatto, anche se spesso non di diritto – sempre più pluralista. I media mentono, l’informazione e la comunicazione sono un gioco di interpretazioni e ai politici si consentono molte violazioni dell’etica, e dunque anche del dovere di verità, senza che nessuno si scandalizzi. Tuttavia, la nostra società “pluralista”, come mostrano ogni giorno le discussioni politiche, continua a credere alla “metafisica” idea di verità come obiettiva corrispondenza ai fatti e si illude di creare l’accordo sulla base dei “dati di fatto”.Prendendo radicalmente le distanze da tutte le pretese di fondare la politica su un sapere scientifico, fosse pure quello dell’economia e della tecnica, Gianni Vattimo sostiene che il solo orizzonte di verità che oggi la politica e la filosofia hanno il compito di cogliere, esplicitare e costruire consiste nelle condizioni epistemologiche del dialogo sociale e interculturale. Il tema della verità va dunque ricondotto a una questione di condivisione sociale e gli intellettuali sono chiamati a pensare forme di vita più comprensibili, condivise e partecipate.L’addio alla verità è dunque l’inizio, e la base stessa, della democrazia. Prendere atto che il consenso sulle singole scelte è anzitutto un problema di interpretazione collettiva, di costruzione di paradigmi condivisi o almeno esplicitamente riconosciuti, è la sfida della verità nel mondo del pluralismo postmoderno. Perché la verità non si “incontra”, ma si costruisce con il consenso e il rispetto della libertà di ciascuno e delle diverse comunità che convivono, senza confondersi, in una società libera.
Risposte, precisazioni
Caro Prof. Vattimo, terrò questo commento molto breve perché, non vedendo nessun commento sul blog, sono incerto se la funzione commento funzioni. Leggo sul Corriere.it una Sua dichiarazione: "Invece di chiedere a Berlusconi notizie da gossip su Noemi - afferma Gianni Vattimo, candidato alle europee per l'Idv - sarebbe meglio costruire un progetto di società realmente alternativo." Purtroppo, non si sa mai, con i giornali, quando una dichiarazione sia stata estratta dal suo contesto in modo fuorviante. In ogni caso, se potesse dedicare un intervento sul Suo blog alla questione, credo che cio' sarebbe utile non solo ma a me ma ad altri elettori dell'IDV. Detto molto in breve, sono molto sorpreso che le vicende riguardanti Noemi Letizia ed il Presidente del Consiglio vengano considerate questioni di "gossip". Grazie.
Gentile professor Vattimo, non le sembra che un "progetto di società realmente alternativo" non possa prescindere dall'avere uomini che, ricoprendo ruoli istituzionali, dicano la verità sui propri affari privati? Non le sembra che il cittadino elettore abbia il diritto di confrontare la pubblica apparenza di un politico con il suo agire privato? Tanto più quando questo pubblico apparire insegue un modello di moralità bigotta e tradizionalista? Non sono un militante del PD, né mai lo voterò, sono ostile al suo progetto centrista e moderato ma, se per una volta questo "malriuscito amalgama" compie la propria elementare funzione di opposizione, che dire, lasciamogliela fare! Magari, un poco alla volta si abituano. Cordialmente ed auguri. Roberto.
La Stampa, 16 maggio 2009
Ciò che ha scandalizzò gli elettori americani nell’affare Lewinski-Clinton, e prima, quel che provocò le dimissioni di Nixon per il Watergate non furono tanto le malefatte di cui i due presidenti si erano resi colpevoli. Clinton aveva tenuto una condotta «inappropriata» con la stagista (allora non si chiamavano ancora veline), ma erano fatti suoi e della sua signora; Nixon aveva «spiato» il quartier generale degli avversari democratici, ma non sembra fossero stati rubati segreti tanto decisivi per la vittoria dell’uno o dell’altro candidato. No, quel che costituiva una macchia intollerabile per l’immagine dei due presidenti era che avessero mentito ai concittadini. Merita di ricordarlo oggi, in Italia ma non solo, quando sembra che la sopravvivenza di un governo dipenda dal fatto che il suo massimo esponente si sia reso colpevole o no di comportamenti «inappropriati» nei confronti di una minorenne o appena maggiorenne. Se di questo si trattasse, avrebbero ragione coloro che si rifiutano di scendere a un così basso livello della polemica politica. Ciarpame, come è stato definito il tutto, non è solo il tema delle passioni private d’un esponente governativo, ma il fatto stesso di interessarsene, violando il limite della privacy e della decenza. Non possiamo però considerare inessenziale, e parte dello stesso ciarpame, stabilire se le notizie che abbiamo della vicenda siano esatte o manipolate nell’interesse d’una delle parti in causa. Sapere se un’alta autorità governativa ha frequentazioni non conformi alla morale dei più è assai meno importante che stabilire se ci menta o no. Non è questione da lasciare alla privacy, diventa un fatto di enorme rilevanza politica. Ma, osserverà qualche mente politica molto europea e disincantata, solo un pubblico ingenuo e di tradizioni puritane come quello americano può pensare che i politici (e i detentori di potere economico o spirituale) non debbano mentire. Andiamo, persino Kant pensava che fosse legittimo mentire in nome di una causa superiore: per salvare lo Stato, la pace, l’ordine sociale. Davvero la verità è un valore così assoluto da diventare il criterio per la stessa legittimità delle istituzioni? Nella Morte a Venezia di Mann le autorità tengono nascosta la gravità dell’epidemia che fa strage per evitare la fuga dei villeggianti e la rovina del turismo. Tutti accettiamo come una triste necessità l’esigenza di non creare panico, e danni maggiori, in caso d’imminenti catastrofi naturali che non abbiamo il potere di evitare. La famosa distinzione di Max Weber tra etica della convinzione e etica della responsabilità vale anche in casi come questi. Paradossalmente, può essere un affare di convinzione morale personale il dovere di dire in ogni caso la verità; ma è altrettanto legittima una convinzione morale che antepone il bene comune al dovere di dire il vero. Però, anche per un convinto assertore di quest’ultima posizione, e tanto più in quanto si preoccupa del bene comune, diventa un dovere prevalente quello di dire il vero se la legge dello Stato glielo impone.Ha poco senso, dunque, rimproverare a qualcuno di mentire, come se il dovere di dire la verità fosse un dovere assoluto precedente ogni legge positiva. Solo se viola qualche legge sancita e perciò necessariamente condivisa dai membri della comunità (l’ignoranza della legge non è ammessa) la menzogna esce dalla sfera della «convinzione» e entra in quella della «responsabilità», anche giudiziaria. Non valore naturale assoluto, la verità è piuttosto un’arma. Persino per il Vangelo: «La verità vi farà liberi». Ma appunto quella che serve a chi non è libero per diventarlo. Mostrare (veracemente?) che il potente è un bugiardo è un modo di prendere sul serio la verità molto più che andare tra gli scioperanti a insegnare la tavola pitagorica o le leggi di Newton. Senza questa consapevolezza, davvero solo ciarpame.
Gianni Vattimo
lunedì 25 maggio 2009
Modena: workshop su Richard Rorty
"Addio alla verità": presentazione a Torre Pellice, martedì 26 maggio
domenica 24 maggio 2009
Berlusconi/Vattimo (Idv): Franceschini lasci perdere gossip Noemi
di Apcom
Se Pd insegue premier su suo terreno gente preferisce originale
Roma, 24 mag. (Apcom) - "Invece di chiedere a Berlusconi notizie da gossip su Noemi sarebbe meglio costruire un progetto di società realmente alternativo. Fino a quando il Pd continuerà ad inseguire il premier sul suo terreno, la gente sceglierà l'originale scartando la fotocopia". Lo sostiene, in una nota, il candidato di Idv alle Europee Gianni Vattimo.
Elezioni europee: sì, ma...
Elezioni europee: sì, ma... (Gianni Vattimo)
Sono elezioni europee e quindi bisogna parlare di ciò che si vorrà fare in Europa. Questo però è solo un argomento usato nei dibattiti elettorali televisivi per far credere agli elettori che si bada di più alla sostanza europea della cosa. Ed è anche giusto, naturalmente, perché una delle ragioni per cui l'Europa ha cosi poco peso nei nostri paesi è il fatto che i partiti nazionali hanno sempre visto il Parlamento europeo di Strasburgo come pura cassa di risonanza per le lotte interne ai singoli stati. Tuttavia, soprattutto per i partiti piccoli che non s'illudono di determinare da un giorno all'altro un cambiamento nel Parlamento europeo è bene ricordare che la posta in gioco il 6-7 giugno è anche e soprattutto la sconfitta possibile di Berlusconi e dei suoi complici. Siccome i voti locali saranno spesso e correttamente determinati da questioni specifiche e diverse, è importante che gli elettori utilizzino il voto europeo anche e soprattutto per far capire all'Italia e all'Europa che l'era berlusconiana nel nostro paese è finita.
Se questo è democrazia
Se questo è democrazia (Gianni Vattimo)
Scatti dal 22 maggio, Savona: Presentazione del mio libro "Addio alla verità", Libreria Ubik (Scrittorincittà 09)
Scatti dal 20 maggio, Genova: Presentazione del mio libro "Addio alla verità". Chiesa di San Torpete.
"Il Vaticano? Ha bloccato l'evoluzione della teologia".
"In Italia c'è una presenza debordante del Vaticano a limitare i diritti degli omosessuali e a condizionare i politici che temono di perdere anche un solo voto, ove il vescovo locale abbia a disapprovare proposte più liberali. Infatti in altri paesi europei, dove pure esiste la religione cattolica, ci sono già leggi che permettono unioni civili e matrimoni tra persone dello stesso stesso", dichiara il filosofo Gianni Vattimo, incontrato da Affari a Torino, appena fuori da Piazza San Carlo, mentre partecipava a una manifestazione di lancio del Genova Pride 2009 del prossimo 27 giugno, sfilando, distribuendo volantini, stringendo mani e dialogando divertito con le molte persone incontrate lungo il cammino.
"E poi c'è anche il fatto che l'evoluzione delle teologia è stata bloccata da questa esasperata proiezione politica del Vaticano. E i pochi che scrivono cose innovative sono teologi non ufficiali. Nei nostri seminari si insegna ancora la filosofia tomistica... Negli anni '50 e '60 c'era un dibattito vivacissimo sulla dottrina cristiana, poi con Wojtyla e Ratzinger tutto si è spento... E lo dico da credente, anche se forse il papa non è d'accordo"
A Cuneo
Dopo Luigi De Magistris, Carlo Vulpio e Giorgio Schultze, saranno a Cuneo i candidati per le Europee con Italia dei Valori: Vattimo, Bardi, Beretta, Cusati, Ferrante, Paladini, Pieredda e Vezza, per una serata di presentazione congiunta e per incontrare la cittadinanza, il 31 maggio alle ore 21.00 presso la SALA B del Centro Incontri Palazzo della Provincia. Alla serata parteciperà Tullio Ponso, candidato alla presidenza della provincia di Cuneo.
sabato 23 maggio 2009
Intervista a me e Giorgio Schultze
A TORINO PROVE GENERALI DI REPRESSIONE
Sto forse partecipando a una nuova, piccola, guerra di Spagna, quella dove si collaudarono le armi per la seconda guerra mondiale? La manifestazione studentesca di Torino del 19 maggio, che alla fine ha visto due fermi e – forse con un po’ di esagerazione – venti agenti di polizia feriti, a quanto pare non gravi – non sarà un banco di prova per mettere a punto tecniche di repressione della guerriglia urbana di cui il governo sente di aver bisogno nel futuro prossimo?
Molti segni sembrano far pensare a questa spiegazione, che altrimenti sarebbe difficile da trovare. Tra questi segni, alcuni – non sappiamo se prodotti davvero da un unico “grande vecchio”, da un progetto di provocazione deliberato, ma certo molto ben congegnati – paiono particolarmente indicativi: già il nome della riunione dei rettori di quaranta università di tutto il mondo, battezzata subito “G8 dell’università”, come se quasi chiunque non sapesse che evocare il G8 suscita immediatamente reazioni contestative, oggi tanto più prevedibili dato lo stato di crisi di una città come Torino, dove solo qualche giorno prima si è consumato l’altro episodio “preoccupante”, e stigmatizzato con toni apocalittici da tutto il coro della stampa “indipendente”, della contestazione a Rinaldini della Fiom. Ma altro ancora fa pensare alla provocazione deliberata: chi comanda le forze di polizia a Torino è lo stesso vice-questore Spartaco Mortola della Diaz di Genova (otto anni dopo; era proprio necessario mandare lui?) ; e l’uso ostentato di elicotteri sul corteo, anche, a quanto pare, per sparare lacrimogeni. Come al G8 di Genova, il governo, sempre più incapace di fronteggiare seriamente la crisi economica, pensa di salvarsi trasformando il tutto in una questione di ordine pubblico. Fino a quando? Difficile sperare che sia solo per il periodo elettorale.
DI PIETRO, LA SINISTRA E LA COSTITUZIONE
Ma Di Pietro sta davvero a sinistra? Ha risposto lui stesso nel dibattito con Bertinotti al Salone del Libro: se la sinistra non c’è – e sarebbe difficile dire il contrario – io ci sono. Incontro studenti e colleghi da sempre schierati dalla parte dei diritti, del lavoro, della solidarietà sociale, e devo rispondere alle loro critiche: ti sei messo con un ex poliziotto (ma poliziotto, cafone meridionale immigrato al Nord vestendo la divisa, era anche mio padre!), con un magistrato forcaiolo… Ma la prima risposta che mi viene, oltre allo spirito del CLN – perché di una nuova resistenza si tratta, oggi, contro il nuovo fascismo che occorre contrastare prima che sia (se non lo è già) troppo tardi – è che almeno una cosa giusta l’ha detta proprio Berlusconi: la Costituzione italiana l’hanno scritta i comunisti e i cattolici di sinistra. Giustizialismo, egualitarismo, difesa della Costituzione, sono la realistica politica di sinistra oggi. Se si applicasse la Costituzione “cattocomunista” avremmo già una società più giusta, solidale, capace di sviluppo e rispettosa dei diritti individuali. Invece di questa che Di Pietro giustamente ha bollato come fascista, razzista, xenofoba e piduista. Un’affermazione netta dell’Italia dei Valori alle prossime elezioni, locali ed europee, è quello che realisticamente ci si deve augurare per la rinascita di una sinistra italiana che possa ancora motivare un elettorato deluso e troppo rassegnato, con il favore dei media addomesticati, al governo di una gang mafiosa e rapinatrice.