Un altro consiglio di viaggio, dal mio articolo su La Stampa di ieri.
“Il Philosophenweg è un sentiero lungo circa due chilometri, che sale dal quartiere Neuenheim di Heidelberg verso l’altura dello Heiliger Berg”. Sono le prime righe del breve articolo che chiunque può trovare in Wikipedia, e al quale ho dovuto ricorrere per rinfrescare la mia memoria circa un luogo che per anni mi è rimasto in mente accentuando sempre più i suoi caratteri mitici e perdendo parallelamente ogni concretezza. Al punto che oggi, per arrivare ad imboccarlo, dovrei chiedere indicazioni.
Quando arrivo a Heidelberg (è già la seconda volta, ci sono stato due anni prima per un breve corso estivo) è il mese di ottobre del 1963. Sono titolare di una borsa della Fondazione Alexander von Humboldt - una delle più prestigiose e certo tra le più ricche – e mi preparo a passare almeno un anno, ma saranno poi due, seguendo i corsi di Hans Georg Gadamer, di Karl Loewith, e di Juergen Habermas da poco nominato in quella università. Poiché me lo posso permettere, cerco casa in uno dei quartieri più belli della città vecchia, subito al di là dell’Alte Bruecke, il ponte vecchio che scavalca il Neckar e conduce anche verso il Philosophenweg. Già da vari mesi ho cominciato a studiare Heidegger (mia madre resterà sempre incerta se studio Heidegger a Heidelberg oppure Heidelberg a Heidegger..) e il poeta che lui predilige, Friedrich Hoelderlin. Direi che i quel momento sono affetto da una ammirazione quasi patologica per la cultura tedesca: quando apro Hoelderlin provo una sorta di emozione fisica, il cuore in gola di chi si accosta a un sancta sanctorum. E sul Philosophenweg, che una delle prime sere comincio a salire, c’è anche un punto con una Hoelderlinstein, una pietra che segna il luogo da cui Hoelderlin ammirò il panorama della città vecchia ispirandovi una sua famosa poesia . Non ricordo di averla vista davvero; mi torna in mente la delusione provata quando, sul lago di Silvaplana, raggiunsi la “Pietra dell’eterno ritorno”, il luogo dove Nietzsche ebbe la rivelazione della idea che dominò da allora in poi tutto il suo pensiero: un sasso quasi invisibile, che sfuggirebbe al viandante se non ci fosse una scritta....Ma i filosofi a cui è intitolato il sentiero? Non sono i grandi classici tedeschi (ci sarà passato almeno Hegel, certo, che insegnò qui; e più di recente Max Weber, la cui casa si affacciava sul Neckar sotto la collina su cui si arrampica la strada). Il nome allude agli studenti che usavano passeggiarvi, spesso non solo in compagnia dei libri; e che, secondo un uso ottocentesco, erano tutti, almeno all’inizio, studenti di filosofia (Così come oggi chi compia il terzo ciclo di studi in una università americana, fosse pure un geografo o un chimico, è un PhD, Philosophiae Doctor). Anche di studenti, però, in quel mese di ottobre ne incontro pochi: i corsi cominciano a novembre, la città non è ancora così animata come sarà nel corso del semestre. Oltre a leggere Hoelderlin e Heidegger, vado solo a trovare Gadamer; che abita in collina, tanto che sulle prime mi immagino che viva appunto sul Philosophenweg, il che per la mia mitologia personale sarebbe il massimo. Ma no, sta da un’altra parte della collina; dove, invitato a cena, arrivo (con il mio mazzo di rose per la signora, Frau Professor) con un giorno netto di ritardo. Conosco le parole Samstag e Sonntag, sabato e domenica. Ma non ancora Sonnabend, che è altro termine per sabato. Risultato, credo di dover andare la domenica (Sonntag) sera (Abend). Gadamer mi ricorderà l’episodio anni dopo, quella sera lo stufato di cervo mi aspettava comunque. Del resto,mentre seguo benissimo le sue lezioni pubbliche, non sempre sono sicuro di capire quello che Gadamer mi dice nei colloqui privati; credo anche per la sua abitudine di intercalare espressioni del tedesco parlato: sowieso, kaum (appena appena, a stento, non proprio ma..)..Ancora oggi non mi fido di questo kaum, e anche Sonnabend continuo a sfuggirlo. Ma intanto, aveva allora 63 anni, Gadamer comincia a imparare l’italiano, e preferisce che io gli parli nella mia lingua. La kaum-frage, la questione del kaum, però, si riproduce in termini diversi: non sempre capisco il suo italiano Anche per questo le nostre conversazioni sono spesso lunghissime: discutiamo della mia traduzione del suo libro Wahrheit und Methode, che concluderò solo alla fine degli anni Sessanta, e che, edita da Fabbri e poi da Bompiani, rimarrà per vari anni l’unica traduzione esistente.
Tutto questo e molto altro evoca in me il Philosophenweg. A dimostrazione che tutto, o quasi, sta nei nomi: “l’essere che può venir compreso è linguaggio”, è una delle tesi centrali di Verità e metodo , su cui, anche guardando dall’alto della collina il Philosophenweg, ho avuto il privilegio di discutere con Gadamer : mettere o no tra due virgole la proposizione relativa, come in tedesco non si può non fare? Se ne è discusso ancora il giorno del centesimo compleanno del maestro, nella vecchia aula magna di Hedelberg, In italiano le virgole cambiano tutto: “L’essere, che può venir compreso, è linguaggio” – significa “tutto l’essere”. Senza le virgole, invece, solo quell’essere che può venir compreso è linguaggio; ma finisce per sembrare una tautologia. Temo che Gadamer, da buon pensatore moderato che non voleva urtarsi troppo con i “realisti”, tendesse a preferire l’italiano senza virgole, Ma io pensavo e penso che il suo, nostro, ispiratore Heidegger sarebbe stato per la versione più radicale, con le virgole.
Ma torniamo al Philosophenweg. Che di per sé non è molto diverso da tanti sentieri della collina torinese. Dunque (una prova che ci vogliono le virgole?) tutto sta nel nome. E non so nemmeno se, nominandolo in italiano, avrebbe per me la stessa suggestione. Sempre ancora con il mio cuore in gola appena avvicino la lingua di Hoelderlin e di Heidegger.
1 commento:
Interessante, tornerò a leggerlo con calma (e forse ce l'ho pure su La Stampa)..
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