24 novembre 2010 |
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Interrogazione con richiesta di risposta orale alla Commissione Articolo 115 del regolamento Catherine Grèze, Ulrike Lunacek, José Ignacio Salafranca Sánchez-Neyra, Jean-Luc Mélenchon, Luis Manuel Capoulas Santos, Renate Weber, Nirj Deva, Luis Yáñez-Barnuevo García, Jean-Pierre Audy, Jürgen Klute, Helmut Scholz, Bernhard Rapkay, Constanze Angela Krehl, Rodi Kratsa-Tsagaropoulou, Antolín Sánchez Presedo, Sven Giegold, Raül Romeva i Rueda, Martin Häusling, Gianni Vattimo, António Fernando Correia De Campos, Bernadette Vergnaud, Oriol Junqueras Vies, Gesine Meissner, Dirk Sterckx, Gerben-Jan Gerbrandy, Ilda Figueiredo, Corinne Lepage, Nuno Teixeira, Antonyia Parvanova, Jean-Marie Cavada, Charles Goerens, Pavel Poc, Michael Cashman, Isabelle Durant, Rebecca Harms, Francisco Sosa Wagner, Véronique De Keyser, Jo Leinen, Thijs Berman, Damien Abad, Mariya Nedelcheva, Marie-Christine Vergiat
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domenica 12 dicembre 2010
Interrogazione sull'iniziativa Yasuni ITT nella prospettiva della lotta contro il cambiamento climatico
Interrogazione sulla libertà di espressione e discriminazioni sulla base dell'orientamento sessuale in Lituania
23 novembre 2010 |
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Interrogazione con richiesta di risposta orale alla Commissione Articolo 115 del regolamento Renate Weber, Sophia in 't Veld, Leonidas Donskis, Cecilia Wikström, Alexander Alvaro, Sonia Alfano, Gianni Vattimo, Baroness Sarah Ludford, Ramon Tremosa i Balcells, a nome del gruppo ALDE
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Interrogazione sui danni arrecati dallo storno all'agricoltura
26 novembre 2010 |
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Interrogazione con richiesta di risposta scritta alla Commissione Articolo 117 del regolamento Paolo De Castro (S&D) , Sergio Berlato (PPE) , Mario Pirillo (S&D) e Gianni Vattimo (ALDE)
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Interrogazione sulle basi dati sui Rom e discriminazione in Francia e nell'UE
12 ottobre 2010 |
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Interrogazione con richiesta di risposta orale alla Commissione Articolo 115 del regolamento Renate Weber, Nathalie Griesbeck, Sophia in 't Veld, Sonia Alfano, Cecilia Wikström, Louis Michel, Baroness Sarah Ludford, Gianni Vattimo, Leonidas Donskis, Alexander Alvaro, Niccolò Rinaldi, Ramon Tremosa i Balcells, Metin Kazak, Marielle De Sarnez, a nome del gruppo ALDE
Il dibattito e la risposta della Commissione: http://www.europarl.europa.eu/sides/getDoc.do?type=CRE&reference=20101019&secondRef=ITEM-017&language=IT |
Interrogazione sul programma di controllo delle transazioni finanziarie dei terroristi
15 ottobre 2010 |
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Interrogazione con richiesta di risposta scritta alla Commissione Articolo 117 del regolamento Sophia in 't Veld (ALDE) , Alexander Alvaro (ALDE) , Renate Weber (ALDE) , Sonia Alfano (ALDE) , Gianni Vattimo (ALDE) , Louis Michel (ALDE) e Baroness Sarah Ludford (ALDE) |
Oggetto: Garante ad interim e permanente del programma di controllo delle transazioni finanziarie dei terroristi | |
L'8 luglio 2010 il Parlamento europeo ha approvato l'accordo tra l'Unione europea e gli Stati Uniti d'America sul trattamento e il trasferimento di dati di messaggistica finanziaria dall'Unione europea agli Stati Uniti ai fini del programma di controllo delle transazioni finanziarie dei terroristi. La risoluzione legislativa del Parlamento invitava «la Commissione, ai sensi dell'articolo 8 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, che stabilisce che i dati personali siano soggetti al controllo di “un'autorità indipendente”, a presentare quanto prima al Parlamento europeo e al Consiglio una rosa di tre candidati tra cui sarà scelta la personalità indipendente che svolgerà per conto dell'Unione europea il ruolo di cui all'articolo 12, paragrafo 1, dell'accordo», precisando che «la procedura deve essere, mutatis mutandis, la stessa seguita dal Parlamento europeo e dal Consiglio per la nomina del garante europeo della protezione dei dati di cui al regolamento (CE) n. 45/2001 recante applicazione dell'articolo 286 del trattato CE» (http://www.europarl.europa.eu/sides/getDoc.do?type=TA&language=IT&reference=P7-TA-2010-0279#def_1_3#def_1_3). Il 27 agosto la Commissione europea ha annunciato la nomina di un garante indipendente ad interim. Il 29 luglio la Commissione ha pubblicato un invito a presentare le candidature per la posizione permanente di garante ai fini del programma di controllo delle transazioni finanziarie dei terroristi e ora sta esaminando le candidature ricevute. Tuttavia, la Commissione, per «motivi di sicurezza» ha deciso di tenere segreto o confidenziale il nome del garante ad interim. Inoltre, la Commissione non ha applicato la procedura richiesta dal Parlamento, affermando che, in ragione della delicatezza della materia e della necessità di proteggere la riservatezza del nome della persona designata per motivi di sicurezza, avrebbe tenuto informato il Parlamento ai sensi degli accordi specifici sulla trasmissione delle informazioni riservate, come stabilito nell'accordo quadro tra istituzioni UE. Può la Commissione indicare la base giuridica che giustifica il vincolo di riservatezza sull'identità di un funzionario pubblico comunitario, ad interim o permanente, preposto a controllare l'attuazione del programma di controllo delle transazioni finanziarie dei terroristi? Esistono precedenti di decisioni o accordi analoghi?
E-8327/10IT E-8410/10IT Risposta di Cecilia Malmström a nome della Commissione (3.12.2010) Come la Commissione ha già precisato in numerose occasioni, il nome del garante per l'attuazione dell'accordo TFTP (trattamento e trasferimento di dati di messaggistica finanziaria), sia per la carica ad interim che permanente, deve essere protetto per salvaguardare la privacy, l'integrità e la sicurezza della persona interessata. Pertanto, il nome della persona che ha accesso a informazioni particolarmente sensibili riguardanti il funzionamento del programma TFTP e le ricerche individuali effettuate non possono essere resi pubblici. Questo in conformità alle disposizioni del regolamento (CE) n. 45/2001 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 18 dicembre 2000, concernente la tutela delle persone fisiche in relazione al trattamento dei dati personali da parte delle istituzioni e degli organismi comunitari, nonché la libera circolazione di tali dati[1]. Si ricorda, tuttavia, agli onorevoli parlamentari che la Commissione ha comunicato il nome del garante ad interim ai coordinatori del gruppo della commissione competente della Camera. |
sabato 11 dicembre 2010
Ideologie italiane 1950-2000: intervista
Italienische Literatur und Kultur (HS 2010)
Gianni Vattimo
Ideologie italiane 1950-2000Gianni Vattimo e la sua filosofia alla Cattedra De Sanctis
Intervista del 22 ottobre 2010 per RSI 2 "L'attività culturale" (Luca Bernasconi)
Tolleranza è relativismo
Tolleranza è relativismo
Il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe che Pascal contrappone così nettamente al Dio dei filosofi è davvero l’“unico” Dio? Certo così lo pensava Pascal. Ma non è detto che, nel suo razionalismo, avesse davvero ragione. La tradizione ebraica e poi quella cristiana, e così quella musulmana, sono certamente monoteistiche. Ma proprio il monoteismo ha sempre creato loro molte difficoltà nel praticare la carità: se Dio è uno solo, caratterizzato dall’unità del primo principio tanto caro ai filosofi greci, non dovrà la società impedire la predicazione dell’errore e costringere i singoli a professare, per il loro bene, la sola verità?
La tolleranza è sempre parsa pericolosamente vicina al relativismo. E oggi l’insistenza del Papa nella condanna di questo “errore” - mai tanto centrale, in passato, nella lotta dei cristiani contro gli dei pagani, “falsi e bugiardi” ma non certo “relativi” - è segno che il multiculturalismo delle società tardo-moderne non riesce più a convivere con l’idea dell’unicità della verità. E svela il carattere violento e autoritario di questa idea. Chi ha davvero bisogno di un Dio unico, se non qualche autorità che pretende di comandare in suo nome?
Un filosofo come Heidegger ha parlato del divino e degli “dèi” al plurale, non certo per dichiararsi politeista, ma semmai per riconoscere il carattere di mito storico che appartiene anche alla divinità in cui crediamo. Con il divino possiamo entrare in rapporto solo se ne accettiamo l’insuperabile essenza mitica: di racconto, di simbolo, che cade fatalmente sotto i colpi di qualunque “matematico impertinente” quando vuole valere come unico e supremo principio razionale.
Né per recitare il Padre nostro, né per ascoltare le parole di Gesù nel Vangelo, abbiamo bisogno che Dio sia il Dio unico dei filosofi e dei matematici. Come predicava Nietzsche: ora che questo Dio è morto (con il colonialismo e l’imperialismo), vogliamo che vivano molti dèi. E non necessariamente con i tratti di Gengis Khan.
Gianni Vattimo
È globale l'assedio ai diritti umani
Contro gli ottimisti che giurano sullo sviluppo automatico
La Stampa - TuttoLibri, 4 dicembre 2010
Non è certo un libro di lettura “comoda”, l’ultimo lavoro di Danilo Zolo, Tramonto globale. La fame il patibolo la guerra (Firenze University Press, Firenze, 2010, pp. 226, euro 17,90), ma per molteplici ragioni è il testo che ci sentiamo di raccomandare più di tutti, in questo momento in cui non sappiamo più bene in che mondo viviamo. Per esempio: non sappiamo se davvero stiamo in Afganistan per garantire la pace e i diritti umani, per difenderci (come membri della Nato) dalle minacce del “terrorismo internazionale” e per condurre una “guerra umanitaria”, e cioè giusta e meritevole di ogni sacrificio anche finanziario ai danni della nostra scuola e della nostra previdenza sociale.
I tre termini che fanno da sottotitolo, fame, patibolo, guerra, non sono scelti a caso, per suscitare orrore emotivo verso questi cavalieri dell’Apocalisse. Sono i fenomeni che, secondo Zolo, giustificano il suo pessimismo, enunciato esplicitamente nella introduzione: “L’ottimismo è viltà. Il pessimismo è coraggio”. Da studioso di scienze politiche (professore a Firenze e in varie università straniere) e anche da osservatore “impegnato” della storia contemporanea, Zolo – che si richiama molto frequentemente a Bobbio e al suo L’età dei diritti, senza però dimenticare la lezione di Carl Schmitt – dedica le tre sezioni del libro ai temi che sono stati al centro di quella riflessione di Bobbio, e cioè a un bilancio dei diritti umani, dello sviluppo della democrazia e del destino della pace, nel mondo in cui viviamo e che, secondo gli ottimisti, non necessariamente vili, in virtù della globalizzazione, avrebbe finalmente la possibilità concreta di realizzare quei valori.
Proprio la globalizzazione, invece, non solo non garantisce quegli sviluppi positivi che gli ottimisti si attendevano, ma ne minaccia in modo fatale la realizzazione dei diritti. “Oggi le venti persone più ricche del mondo dispongono di una ricchezza complessiva pari a quella del miliardo più povero” (p. 111, che richiama molti studi sul tema di Luciano Gallino).
E non si tratta solo di differenze percentuali, che potrebbero messere mitigate dall’aumento della ricchezza complessiva. “La verità è che le spese militari,le vittime civili dei conflitti e le morti per denutrizione sono aumentate negli ultimi due decenni in tragica sintonia” (p. 17): Joseph Stiglitz, ricorda Zolo, ha calcolato che in questo periodo sono aumentate di almeno cento milioni le persone che vivono in estrema povertà, mentre il reddito mondiale globale cresceva del 2,5% all’anno.
Ma come, non lo sapevamo già, tutto questo? Certo che sì, le statistiche su cui lavorano Zolo, Stiglitz, Gallino sono pubbliche; noi stessi ne leggiamo spesso nei giornali, ce lo dice persino la televisione. Non possiamo certo pensare a un immane complotto, del tipo di quello satireggiato dall’ultimo romanzo di Umberto Eco. Solo che per Zolo è ancora più difficile credere che la globalizzazione sia un processo avvenuto da sé, per lo sviluppo casuale di forze anonime (scoperte, nuove tecnologie, ecc.). Essa è l’esito delle scelte consapevoli delle maggiori potenze del pianeta, che, dando via libera alla concorrenza globale in nome di una dogmatica fede (non certo disinteressata) nel mercato, costringono gli stati nazionali a limitare i diritti dei lavoratori, a tagliare la spesa sociale, a aumentare le spese militari.
Naturalmente, gli ottimisti credono alla tesi dello sviluppo automatico della globalizzazione (così un sociologo come Bauman, citato da Zolo) e sono convinti che essa determinerà una diffusione di democrazia, pace, diritti, proprio per i suoi benefici effetti economici. Questi teorici, western globalists come Zolo ci insegna a chiamarli, includono nelle loro file pensatori del calibro di Juergen Habermas, Amartya Sen, Ralph Dahrendorf, oltre a Bauman, a Michael Walzer, Michael Ignatieff, Ulrich Beck. E’ utile fare questi nomi perché sono l’élite del progressismo democratico. Le cui aspettative sono tragicamente smentite appunto da realistico bilancio di Zolo, che proprio in questo realismo si mostra vero discepolo dell’ultimo Bobbio.
Se l’esplosione delle diseguaglianze economiche smentisce le speranze nella globalizzazione, il riconoscimento dei diritti umani è sempre più pesantemente minacciato dalla diffusione delle pretese universalistiche del common sense morale occidentale che, implicitamente per molti ed esplicitamente per alcuni come Walzer, non ha bisogno di giustificazioni, è l’etica universale tout court (vedi p. 162). A cui ricorrere per decidere su guerre giuste, azioni di polizia internazionale, interventi umanitari richiesti o anche no dalle Nazioni Unite, e gestiti sempre più autonomamente dalla Nato. Anche sul tema della pace, perciò, il nostro mondo ormai, e per ora, unipolare, è molto meno sicuro che ai tempi della Guerra fredda.
Zolo non pretende ovviamente di suggerire ricette contro questo tramonto globale delle nostre speranze. Si spinge solo a dire che se l’Europa riuscisse a diventare un vero soggetto politico autonomo, anzitutto dagli Stati Uniti, potremmo sperare in una più vivace multipolarità, magari un po’ più conflittuale ma capace di risvegliarci dal letargo e riaprire le finestre del futuro.
Gianni Vattimo
Non sono solo cartoline
Non sono solo cartoline
Gianni Vattimo
Fini-ta
Fini alla Camera vota la riforma dell’università – “la migliore delle riforme della legislatura”, ha osservato – e la riforma passa. Naturalmente, ciò non impedisce a Fli di votare la sfiducia al governo, dopo un’estate rovente di attacchi indecenti allo stesso Fini, e di presentarsi quale nuovo campione della legalità, della sobrietà, della giustizia. Apprendiamo che Fli valuta l’astensione sulla riforma della giustizia. E anche ciò non impedirà di votare la sfiducia. Chi non la vota è fuori, tuona Granata. Immaginiamo le risate dall’estero: i corrispondenti non avranno, temiamo, la pazienza di ripercorrere tutti i distinguo, le posizioni sfumate, gli interessi taciuti che animano questa travagliata stagione del centrodestra.
Gianni Vattimo
http://italiadeivalori.antoniodipietro.com/articoli/politica/finita.php
lunedì 22 novembre 2010
Teheran parte seconda
Teheran, parte seconda
Ho letto i tanti commenti giunti sul blog al mio post sul World Philosophy Day (WPD) a Tehran. In molti mi chiedevano di specificare cosa avrei detto al congresso. Su La Stampa di ieri, è riportata una parte – quella più strettamente filosofica – del mio intervento. Trascrivo qui di seguito per i lettori de Il Fatto Quotidiano l’introduzione, di natura politica, che farò precedere al mio discorso, intitolato “Universalismo, verità, tolleranza”. Lo faccio nella speranza di suscitare reazioni sul merito della riflessione e sulla proposta politica in essa contenuta (come avvenuto ad esempio in una discussione con Eco su queste tematiche), anziché commenti ispirati all’insensata equiparazione della critica delle politiche del governo israeliano e del sionismo all’antisemitismo, magari conditi da attacchi al sottoscritto (si veda, se proprio necessario, la reazione di Volli al mio post su ilfattoquotidiano.it). Sono certo consapevole della contraddizione, che in molti hanno notato, tra l’accettazione dell’invito di Tehran e il boicottaggio della kermesse israeliana (prima, ed egiziana poi) al Salone del Libro di Torino. Ma è poi tale? Forse no. Entrambe le questioni sono non solo culturali, ma anche politiche. E nel caso del Salone del Libro, che i paesi occidentali (l’Italia, poi…) – e non i loro intellettuali – non perdano occasione per ribadire il proprio sostegno alle decennali pratiche imperialistiche del governo israeliano, prendendo accordi con quest’ultimo per organizzare un evento – in Occidente, non a Tel Aviv – che inevitabilmente finisce per mortificare la causa legittima e colpevolmente trascurata dei Palestinesi, è a mio parere poco accettabile. O comunque, sembra imporsi una scelta, quella che appunto descrivo qui sotto. Un mondo multipolare ha le sue esigenze.
Universalismo, verità, tolleranza
Partorire idee e bambini
Partorire idee e bambini
L'espresso, 25 novembre 2010
Neppure Hannah Arendt, una delle grandi donne filosofe del nostro tempo, che ha opposto alla centralità dell’"essere per la morte" di Heidegger il concetto di natalità, sembra aver colto tutta la portata filosofica di quell’elementare evento originario che è il partorire. Francesca Rigotti, che insegna filosofia nella università di Lugano, vede anche in fatti come questo, tra i tanti che costellano tutta la storia del pensiero occidentale, il segno che la filosofia,m entre ha dedicato tanta attenzione alla nozione di creatività, non ha mai saputo collegarla al fatto elementare del parto. Dimenticando anche l’origine delle tante metafore che adoperiamo per parlarne, a cominciare dal termine "concetto": qualcuno si ricorda che è il prodotto di un concepimento? Certo si dice che una mente è “feconda”, che un’idea è “partorita”, ma persino quando si parla del parto nel senso letterale si fa attenzione soprattutto a chi nasce, non alla partoriente, eppure la nascita è una faccenda che impegna due soggetti, non solo chi viene al mondo. In realtà, pensa l’autrice, la cultura occidentale maschilista ha espropriato la donna anche di questo “primato”. Spesso pensando che le donne sono meno creative – in termini di opere d’arte, di sistemi filosofici, di fondazione di stati – perché per loro la creatività si esercita e si esaurisce tutta nell’essere madri. Ma non solo – come mostrano tanti esempi che il libro ricorda – una donna può fare figli e produrre opere; ma dall’esperienza del partorire, non obliata, possono nascere opere ben altrimenti originali e “creative” di quelle a cui ci ha abituati la cultura maschilista.
Gianni Vattimo
Francesca Rigotti, Partorire con il corpo e con la mente, Bollati Boringhieri, Torino, pp. 178, € 16.
venerdì 19 novembre 2010
Contro i danni dell'imperialismo
Quello che segue è uno stralcio del mio intervento al World Philosophy Day a Tehran, 21-23 novembre, pubblicato oggi su La Stampa, con il titolo "Contro i danni dell'imperialismo". Ho già descritto le ragioni che mi spingono a parteciparvi, nonostante le polemiche (si veda l'articolo di Maurizio Assalto questa mattina su La Stampa), in un precedente post su questo blog.
Universalismo, verità, tolleranza
Il punto che intendo proporre oggi qui, sapendo che è di intensa attualità per la filosofia e la politica che ci riguardano tutti, è che la questione dell’universalismo e della verità non può essere risolta da un punto di vista esclusivamente teoretico. Il terzo termine del titolo del mio intervento si riferisce proprio a questo. In un saggio che io qui assumerò come guida per la mia discussione (Solidarietà o oggettività?), Richard Rorty ha tentato di rintracciare le origini dell’universalismo filosofico in un preciso momento della storia del pensiero greco, quando cioè la polis aveva cominciato a espandere i propri commerci al di là dei confini in cui prima era abituata a svolgerli. In questo momento la filosofia greca iniziò a interessarsi del problema di come esprimere posizioni capaci di ottenere il consenso anche di coloro che non erano cittadini delle poleis greche, cercando dunque di porre le basi di una sorta di dominio non violento su tali popoli.
Senza discutere qui della validità di questa ipotesi di Rorty, dobbiamo ricordare che tutti noi cultori di filosofia ci siamo abituati a considerare questa “scoperta” dell’universalità come una tappa positiva nel progresso verso la civilizzazione e l’umanizzazione. Ancora oggi, pensatori di tutto rispetto come Apel o Habermas, ritengono che non sia possibile fare una qualche affermazione vera senza rivendicare, almeno implicitamente, la sua validità erga omnes. E questo omnes si riferisce non solo a coloro che giocano il nostro gioco linguisico o ai nostri concittadini: ma all’umanità in generale, rispetto alla quale la nostra affermazione rivendica la propria validità in nome della ragione stessa.
Ma nella condizione attuale che Heidegger ci ha insegnato a chiamare la fine della metafisica e che Nietzsche descrive come l’avvento del nichilismo, proprio questo appello alla validità universale è diventato sommamente sospetto. Abbiamo imparato a domandare chi è che parla, senza lasciarci spaventare dalla pretese che sia la ragione stessa. Nel mondo della fine del metafisica, ogni pretesa di universalismo deve fare i conti con il fenomeno della globalizzazione, che i filosofi non possono limitarsi a osservare da fuori: e ciò perché la storia e la crisi dell’imperialismo e del colonialismo occidentale hanno oggi una rilevanza filosofica decisiva. Non esageriamo se pensiamo che anche l’universalismo delle filosofie, anche di quelle che sorgono e si affermano al di fuori della tradizione europea, è uno dei danni collaterali prodotti dall’imperialismo occidentale. È come se l’Occidente, con la sua pretesa di parlare in nome della Ragione stessa, avesse contaminato anche altre culture, spianando la strada a una lotta tra diverse pretese di verità assoluta. In Italia abbiamo a tal riguardo un motto paradossale ma non troppo: “grazie a Dio, sono ateo”. Che potrei tradurre così: proprio perché sono cristiano non credo alla verità. La sola verità universale che la filosofia ha da offrire al mondo è quella che si incontra nel Vangelo, là dove Gesù, interrogato su come riconoscere il Messia al momento del suo ritorno alla fine dei tempi, risponde esortando a non credere a chi dice eccolo qui, eccolo là; senza dare alcuna altra indicazione positiva. Non è molto, ma può avere un decisivo significato liberante.
Gianni Vattimo
domenica 14 novembre 2010
Gianni Vattimo: "Com'ero felice nella mia soffitta"
«Continuo a dire le stesse cose del ‘99, nel frattempo il Pd mi ha cacciato: sono cambiato io o loro?»
Professor Vattimo, perché la politica torinese sembra impantanata?
«Il problema è che Chiamparino è difficile da sostituire. È un bravo sindaco, molto popolare. Quindi tutti stanno tergiversando, ma non mi sembrano lotte di potere drammatiche».
Qual è il suo candidato ideale?
«Di sicuro non uno del Pd. Chiederei a Marco Revelli, un sinistrorso che conosce bene la città. Perché no?».
Profumo o Fassino?
«Tutto sommato preferirei ancora Fassino, che è un politico. Ma sottolineo ancora, nel senso di extrema ratio».
Coppola o Ghigo?
«Ghigo. Se non altro, lo conosciamo già. Certo ha tutti i limiti di un destrorso».
Lo sa che è rimasto quasi solo più lei a parlare continuamente di destra e sinistra?
«Io la guardo da un punto di vista culturale. Questa distinzione non è mai sparita. La destra è naturalista, la sinistra culturalista. In questo senso: la sinistra vuole correggere volontariamente le differenze naturali che ci sono fra le persone, mentre la destra vuole sfruttarle. Il punto cruciale è sempre lo stesso: cercare di dare eguali condizioni di partenza».
Com’è essere un omosessuale a Torino?
«Se sei un giovane, stai facendo carriera e hai bisogno di approvazione, non è ancora tanto facile. Come direbbe il professor Catalano: è sempre meglio essere ricchi che poveri. Uno già sistemato, se ne può infischiare dei commenti e dei pregiudizi. Gli altri restano ricattabili, quindi soffrono. E soffrono anche per le battute di Berlusca...».
Cosa le piace di Torino?
«Il vecchio centro storico, ci passo la vita e ci starei sempre. È diventato molto bello. Il che spiega il mio favore verso il sindaco attuale, anche se è più di centrodestra che di centrosinistra, anche se è troppo ragionevole, è stato davvero un ottimo sindaco. Ora ci vorrebbe il suo gemello».
Qual è un posto della città dove è stato felice?
«Via Mazzini 52, la mia soffitta. Eravamo calati dalla collina, io e il mio amico Giampiero. Avevamo una vita, ricevevamo amici e gruppi, il martedì di via Mazzini... Sono stato contento».
Cos’era il martedì di via Mazzini?
«Lasciavamo il portone aperto a tutti quelli che volevano venire a bere un bicchiere, professori e giovani scappati di casa. Era una piccola Arcore ma senza escort e senza forze dell’ordine. E soprattutto, purtroppo, senza orge».
Ora c’è un mucchio di gente che fa la sua vecchia battaglia contro gli eccessi della movida. Ha visto?
«Sono un profeta... Ricordo il gran casino di un capodanno in piazza Castello, fino alle sette di mattina».
Qual è la sua ricetta?
«Locali insonorizzati e un’educazione collettiva migliore. Quelli che fanno tutto questo chiasso sono dei barbari».
Cosa cambierebbe di Torino?
«La renderei più a misura di pedone. Certe volte mi sorprendo a cristonare quando cerco di attraversare la strada. E’ ancora una città troppo bucherellata, disordinata, cantierizzata, a tratti sembra bombardata. E poi c’è il problema dei mezzi pubblici».
Cioè?
«Certi pullman sono degli assassini puri. Dite al prossimo sindaco di prendere il 68 che va al cimitero verso l’ora di pranzo. Io lì sopra capisco cos’è la selezione naturale. Chi manca di molleggio è fregato, le vertebre sono a rischio, la schiena si spezza. Un calvario».
Dal punto di vista sociale?
«Bisogna tornare ad aprire le sezioni di partito nei quartieri. Non lasciare la gente davanti alla televisione. Ecco perché io trovo i No-Tav un movimento esemplare: gente che si impegna e si informa, si organizza e va. Bisogna smetterla di gridare governo ladro, è il momento di vedersi, discutere e tornare a ragionare».
Chi può prendere il posto di Bobbio e Galante Garrone?
«Io sono disponibile, ma nessuno mi prende sul serio. Scherzo... Credo che all’Università di Torino ci siano maestri da non buttar via».
È una città con meno fermento intellettuale?
«Mancano i vecchi laboratori informali. Posti dove discutere sul futuro di Torino. Ricordo le riunioni promosse da Marco Rivetti. Ora ci si confronta meno o forse non mi invitano perché sono diventato un estremista e non servo a niente. Oppure c’è meno vitalità, perché abbiamo avuto un sindaco di cui ci siamo fidati».
Come mai è diventato un estremista?
«Guardi, io sono sempre stato un cattolico di sinistra e non mi sento molto diverso, è cambiato il contorno. Io continuo a dire le stesse cose che dicevo nel ‘99, nel frattempo quelli del Pd mi hanno cacciato. La domanda è: sono cambiato io o sono cambiati loro?».
Giornata Mondiale della Filosofia a Tehran
Giornata Mondiale della Filosofia a Tehran
Lo confesso: sono uno dei filosofi invitati alla Giornata mondiale della Filosofia che annualmente si celebra per iniziativa dell’Unesco, e che quest’anno si svolge, oltre che in alcune altre capitali, in Iran, nelle giornate comprese tra il 21 e il 24 novembre. Circola intanto sul web una notizia secondo cui l’Unesco avrebbe ritirato la sua adesione alla giornata, con l’oscura ragione che, al momento della decisione di tenerla nella capitale iraniana, non sarebbero state fornite dal governo di Tehran sufficienti informazioni su tutti i particolari organizzativi. Ma, come si vede esplorando i vari siti relativi al “World Philosophy Day 2010”, la decisione, se tale è, di ritirarsi, l’Unesco l’ha presa solo sotto la pressione dei soliti paladini del “mondo libero”.
In Italia, è stata lanciato, pare da Reset (Bosetti, Amato), un boicottaggio della giornata di Tehran. Le solite ragioni, da ultimo anche la povera Sakineh; che è stata bensì condannata a morte, per l’assassinio del marito, ma che è ancora viva, mentre la povera disabile americana il cui caso è stato accostato a quello della signora iraniana, è stata democraticamente giustiziata pochi giorni fa senza che alcun sindaco di capitale occidentale abbia sentito il bisogno di affiggere su qualche Colosseo locale il suo ritratto in formato gigante. E intanto, chi difende e commenta enfaticamente la decisione del’Unesco di ritirarsi da Tehran è il cosiddetto filosofo Bernard Henri-Lévy, una specie di Fiamma Nirenstein (o Daniela Santanché? È pure bello) francese, apologeta a tutti i costi anche delle più criminali decisioni dello stato di Israele.
Riconosco nel cosiddetto imbarazzo dell’Unesco di fronte a una giornata di filosofia in Iran nulla più che la eco delle pressioni della Cia e del colonialismo sfrontato di Israele, che mentre stigmatizza Amadinejahd e vuole impedire ai filosofi di tutto il mondo di incontrarsi a Tehran con i colleghi iraniani, continua a calpestare senza scrupoli i diritti dei Palestinesi e tutte le delibere dell’Onu e di quella “comunità internazionale” di cui Bosetti e compagni pretendono di essere i portavoce. Anche per queste ragioni, per manifestare una volta di più lo sdegno e la rivolta contro l’ipocrita osservanza della disciplina poliziesca imposta dagli Stati Uniti e dai loro alleati (anche l’Italia di Berlusconi!), sarò a Tehran per il World Philosophy Day e mi auguro che i colleghi filosofi invitati abbiano la dignità di respingere il ricatto a cui qualcuno oggi cerca di sottoporli.
Gianni Vattimo
mercoledì 10 novembre 2010
An Ethics for Today
An Ethics for Today: Finding Common Ground Between Philosophy and Religion
Richard Rorty
November, 2010
In this posthumous publication, Rorty, a strict secularist, finds in the pragmatic thought of John Dewey, John Stuart Mill, Henry James, and George Santayana, among others, a political imagination shared by religious traditions. His intent is not to promote belief over nonbelief or to blur the distinction between religious and public domains. Rorty seeks only to locate patterns of similarity and difference so an ethics of decency and a politics of solidarity can rise. He particularly responds to Pope Benedict XVI and his campaign against the relativist vision. Whether holding theologians, metaphysicians, or political ideologues to account, Rorty remains steadfast in his opposition to absolute uniformity and its exploitation of political strength.
About the AuthorRichard Rorty (1931-2007) was professor of comparative literature and philosophy at Stanford University. His Columbia University Press books are The Future of Religion (with Gianni Vattimo) and What's the Use of Truth? Gianni Vattimo is emeritus professor of philosophy at the University of Turin and a member of the European Parliament. His books include The Responsibility of the Philosopher; Christianity, Truth, and Weakening Faith: A Dialogue (with René Girard); Nihilism and Emancipation: Ethics, Politics, and Law; and After Christianity.
Firenze, in 1500 chiedono giustizia ed equità per chi manifestò contro la guerra nel 1999
Firenze, in 1500 chiedono giustizia ed equità per chi manifestò contro la guerra nel 1999
Crescono le adesioni: da Gino Strada a Paul Ginsborg, da Piero Pelù a Massimo Carlotto e Alfredo Zuppiroli
A due giorni dall’inizio del processo di appello ben 1500 firme , raccolte in una settimana, spingono l’appello per chiedere giustizia nei confronti dei 13 condannati a sette anni per aver manifestato contro la guerra in Kosovo nel 1999. Dopodomani, 5 novembre, si terrà infatti il processo di appello e tra le 1500 firme di cittadini e cittadine turbati per la esagerata sentenza di condanna di primo grado troviamo anche i nomi illustri di Gino Strada, fondatore di Emergency e dello storico inglese Paul Ginsborg, del cantante Piero Pelù e dello scrittore Massimo Carlotto, del sociologo Alessandro Pizzorno e di Vittorio Agnoletto.
[Firma anche tu qui http://bit.ly/d8q0VG]
A sottoscrivere il testo anche l’europarlamentare Gianni Vattimo, il giurista Danilo Zolo e i presidenti nazionali di Banca Etica e dell’Arci, rispettivamente Ugo Biggeri e Paolo Beni; il conduttore Rai Massimo Cirri, il presidente della Fondazione Michelucci Alessandro Margara e il presidente della Commissione di Bioetica della Regione Toscana e primario all’Ospedale S.M.Annunziata Alfredo Zuppiroli; Silvano Sarti, presidente dell’Anpi Firenze e Roberto Passini presidente del Comitato per la difesa della Costituzione. A fianco dei 13 imputati anche i sacerdoti Vitaliano della Sala e Andrea Bigalli; Maso Notarianni, direttore di Peacereporter, Aldo Zanchetta dell’omonima Fondazione, Alberto Ziparo del Comitato contro il sottoattraversamento Tav e Lore nzo Bargellini del Movimento di lotta per la casa.
Ad affiancare coloro che hanno promosso l’appello – tra i quali ricordiamo Alessandro Santoro, Andrea Satta, Angela Staude Terzani, Enzo Mazzi, Folco Terzani, Luigi Ciotti, Ornella De Zordo, Marco Vichi, Sandro Veronesi, Sergio Staino, Simona Baldanzi – anche molti amministratori locali, consiglieri regionali, comunali e di quartiere, direttori di siti e giornali on line, attivisti di associazioni in difesa dei diritti.
Il testo dell’appello
Non intendiamo sindacare le procedure legali, né esprimere giudizi tecnico-giuridici sulla sentenza, ma ci pare che le pene inflitte in primo grado e le loro conseguenze sulla vita delle persone imputate, siano del tutto sproporzionate rispetto alla reale portata dei fatti. Non vi furono, il 13 maggio 1999, reali pericoli per l’ordine pubblico o per l’incolumità delle persone, e non è giusto – in nessun caso – infliggere pene pesanti, in grado di condizionare e stravolgere l’esistenza di una persona, per episodi minimi: perciò esprimiamo la nostra pubblica preoccupazione in vista del processo d’appello, convinti come siamo che la giustizia non possa mai essere sinonimo di vendetta e nemmeno strumento per mandare messaggi “esemplari” a chicchessia. Seguiremo il processo e invitiamo la cittadinanza a fare altrettanto, perché questa non è una storia che riguarda solo 13 persone imputate, ma un pass aggio significativo per la vita cittadina e per il senso di parole e concetti che ci sono cari, come democrazia, giustizia, equità.
I promotori
L’appello è ancora attivo e può essere sottoscritto on line alla pagina http://bit.ly/d8q0VG.
(http://www.altracitta.org/2010/11/03/firenze-in-1500-chiedono-giustizia-ed-equita-per-chi-manifesto-contro-la-guerra-nel-1999/)sabato 6 novembre 2010
Martiri cristiani e coscienze vaticane
Martiri cristiani e coscienze vaticane
Si annuncia davvero un secolo di persecuzioni contro i cristiani, come scrivono osservatori anche politicamente corretti, per esempio il vaticanista de La Stampa, Galeazzi? Accade anche in terre e regioni dove una lunga convivenza, non sempre pacifica ma per lo più non sanguinaria, tra cristiani, musulmani, ebrei, atei e pagani vari, era durata fino a poco tempo fa. Non solo: l’Iraq, dove adesso si spara ai fedeli riuniti nelle chiese, era uno dei paesi più laici di tutto il Medio Oriente. Difficile non pensare che qualcosa sia cambiato di recente in quei territori, tanto da riaprire la storia del martirologio cristiano. Che cosa sia cambiato non può sfuggire a nessuno: si tratta di un altro effetto collaterale della guerra “umanitaria” in cui le bugie di Blair e di Bush ci hanno piombato da anni.
Gianni Vattimo
http://www.ilfattoquotidiano.it/2010/11/05/martiri-cristiani-e-coscienze-vaticane/75341/
mercoledì 3 novembre 2010
Vattimo a Radio 24
Meglio le belle ragazze?
Ascolta un estratto del programma - Gianni Vattimo commenta la battuta di Berlusconi sui gay...
Gianni Vattimo, filosofo ed europarlamentare dell'Idv, sostiene che le frenesie sessuali di Berlusconi sono frutto di senilità e che siano più che risapute tra i suoi elettori.
http://www.radio24.ilsole24ore.com/main.php?dirprog=La_Zanzara
Che B. ci aiuti (a farlo cadere)
Che B. ci aiuti (a farlo cadere)
Ballarò di ieri sera, litania: bisogna giudicare B. non per la sua vita privata ma per quello che fa al governo. Accettiamo il consequenzialismo, e spingiamolo fino in fondo. Quali le ripercussioni dell’agire di B.? Primo, la stampa estera è scandalizzata. “Unfit to lead Italy”, diceva un tempo l’Economist. Ma ora ci ridono dietro, nel migliore dei casi. E reputano l’Italia un paese ormai perduto. Secondo, il presidente della Camera è scandalizzato. Bocchino sembra uno del Pd, tanto che verrebbe da dar ragione a Lupi: dov’era Fli quando B. proponeva unicamente leggi ad personam come azione di governo? In ogni caso, la fiducia che Fini ripone nel governo sembra ormai esaurita. Terzo, Mubarak (almeno immaginiamo) è imbarazzato. Quarto, i gay sono imbestialiti. Quinto, qualsiasi escort in Italia, oggi, può tranquillamente asserire di essere stata con B. anche se non è vero: tanto un’eventuale difesa di B. appare meno credibile delle più mirabolanti dichiarazioni che le tante Ruby potrebbero fare, anche mentendo.
Gianni Vattimo
http://www.ilfattoquotidiano.it/2010/11/03/che-b-ci-aiuti-a-farlo-cadere/74964/